PARCO DON BOSCO: IL DIAVOLO FA I TAVOLI MA NON LE PANCHE


Riceviamo e diffondiamo questo testo sugli ultimi risvolti al Parco Don Bosco a Bologna.

PARCO DON BOSCO: IL DIAVOLO FA I TAVOLI MA NON LE PANCHE

E come nelle migliori favole bolognesi, oggi sui media mainstream vince l’ipocrisia targata PD.

Il Sindaco Lepore, a nemmeno due giorni dalla brutale aggressione poliziesca al giovane che presidiava il parco, mette in campo le sue armi democratiche invitando il comitato dei cittadini, che attendeva questa possibilità da mesi, al “dialogo”. Parole distensive e tavoli di trattativa in cui sarà presente anche il sedicente “comitato del sì”.

All’indomani del pestaggio e delle taserate notturne, a livello pubblico pare tutto archiviato, quando è evidente che se il parco don Bosco esiste ancora non è perché “ha vinto il dialogo sulla violenza”, ma per la forza e la determinazione con cui nei giorni scorsi una comunità plurale ed eterogenea ha resistito contro la violenza di chi voleva distruggerlo.

Rimangono in secondo piano le responsabilità del Sindaco e della sua giunta, che solo una manciata di ore fa smanganellava per tagliare metà parco, e oggi ne esce quasi come protagonista vittorioso del “dialogo”, mentre Nordio e Piantedosi riempiono le pagine di “conflitto democratico”, “legalità” e “proporzionalità” contro “i violenti”.

Quello che è successo nella notte i giorni scorsi al presidio ci riguarda tuttx: due taserate sui nostri corpi non possono essere acqua passata.

Dopo la sperimentazione avviata a settembre 2018, è dal febbraio del 2022 che la polizia bolognese ha in dotazione la pistola elettrica. Il 10 marzo a Bologna anche al Cas di via Mattei un ragazzo è stato colpito col taser dalle forze dell’ordine.

Persone colpite ripetutamente, cardiopatici, persone fragili rischiano di morire se colpite da queste armi di “deterrenza”. Abbiamo rischiato il morto nella rappresaglia poliziesca dell’altra notte, mentre si blatera di “democrazia”.

Tavoli per distendere la tensione, tavoli per pacificare la rabbia, tavoli per dividere e abbassare la forza di un movimento che sta raccogliendo troppo consenso.

La “partecipazione” svela il suo volto repressivo: se non si sottostà alla progettualità imposta dall’alto si può essere smanganellati e taserati. Lo ha dichiarato il questore Sbordone qualche giorno fa alla stampa: le proteste sono accettabili solo quando sono inefficaci.

Perché non si tratta solo del Parco Don Bosco ma di un intero territorio che subisce da anni e anni la morsa di scelte imposte e non volute: una città sempre più escludente ed esclusiva dove le lotte ecologiste, per la casa e per altri mondi possibili vengono duramente represse, e vivere diventa sempre più difficile per moltx.

Riusciremo a sovvertire finali già visti in città? Di proposte inaccettabili? Di ipotetiche modifiche al progetto che non cambieranno nulla e magari permetteranno all’amministrazione di rivendicarsi anche di averci provato, mentre il parco verrà tagliato?

Alcunx abitantx in lotta

CREMONA: MISERIA E CARCASSE

Riceviamo e diffondiamo un volantino distribuito mercoledì 28 febbraio a davanti alla Prosus, una ditta in provincia di Cremona che è letteralmente un mattatoio.

I lavoratori delle cooperative che da anni lavoravano nello stabilimento hanno occupato l’azienda e montato le tende davanti ai cancelli per quattro mesi quando Prosus li ha licenziati per mettere la fabbrica sul mercato ad un prezzo più “vantaggioso”. Circa due settimane fa il presidio è stato sgomberato.

Fra sindacalismo, recupero delle possibili tensioni di rivolta, oppressione e macelli di maiali, industrialismo e tecnologia, alcune rompigonadi hanno voluto dire la loro riguardo la totalità della situazione ad un pubblico gremito per l’arrivo della celebrità di turno al presidio davanti ai cancelli.

Qui il volantino distribuito in pdf: Miseria e carcasse


Cogliamo l’occasione per condividere di seguito una riflessione:

Sabotare la macchina, mettere in discussione quel lavoro nocivo che ammazza e ci ammazza, rivendicare la nostra autodeterminazione fuori dal ricatto di un salario fatto per ghermire e ghermirci, solidarizzare tra oppressx, diventa sempre più necessario se vogliamo rovesciare quell’ordine capitalista e patriarcale che ci opprime.

La catena che siamo costrette ad ingrassare è la stessa che ci lega mani e piedi.

Le innovazioni tecnologiche capitaliste non ci hanno affatto liberatx dallo sfruttamento e dal lavoro, ma hanno permesso ai padroni un migliore e più efficiente sfruttamento sul lavoro.

Se è sul lavoro di milioni di persone che questo modello di sviluppo insensato si regge, è evidente che non si può trattare più solo di diritto “sul lavoro” ma di sabotare la macchina, sottrarsi alla morsa di quel lavoro, vorace e ingordo, che divora ecosistemi, territori e comunità, basato su pratiche crudeli e oppressive, che ingrassano alcuni e tengono alla corda altri.

Non c’è un’altra possibilità, abbiamo una vita e basta per riprenderci quanto ci serve e ribellarci alla macchina, abbiamo una vita e basta per rischiare di essere liberx!

 

CONTESTI DI CURA O LUOGHI DI TORTURA? UN DOSSIER SULLA FONDAZIONE STELLA MARIS

Riceviamo e diffondiamo un dossier sulla fondazione “Stella Maris”- Istituto scientifico, Ospedale specializzato e Centro di assistenza – che di fatto gestisce, in appalto da Università e Asl nella provincia di Pisa, l’assistenza e la cura dei disturbi e delle disabilità dell’infanzia e dell’adolescenza.

Una fondazione dalla fortissima impronta cattolica  in prima linea nel crescente e preoccupante fenomeno della medicalizzazione e della psichiatrizzazione dell’infanzia. Vediamo infatti le giovani generazioni sottoposte da un lato al fuoco incrociato di una catalogazione in categorie mediche che spieghino in termini “scientifici” il loro distacco dal feticcio della normalità e, dall’altro, al conseguente uso dilagante e in crescita esponenziale di psicofarmaci che attaccano e minano la salute psicofisica con effetti devastanti per la vita futura.

Non solo, nell’utimo anno il Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud ha rotto il silenzio intorno agli abusi avvenuti nella struttura di Montalto di Fauglia: si parla di aggressioni fisiche e verbali, trattamenti degradanti quotidiani, spintoni, schiaffi, minacce e vessazioni costanti. Tra gli ospiti della struttura ricordiamo Mattia, morto nel 2018 per soffocamento in seguito al blocco della glottide dovuto alla somministrazione prolungata ed eccessiva di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di cui la famiglia – in lotta per la verità contro l’omertà e gli interessi che proteggono questa mega istituzione – non era mai stata informata.

Nonostante ciò la Stella Maris continua a ricevere  abbondanti finanziamenti e onorificenze dalla Regione Toscana e ad essere considerata un’eccellenza a livello nazionale. Il 20 gennaio 2022 il Comune di Pisa ha rilasciato alla Fondazione il permesso per costruire un nuovo enorme centro, in prossimità dell’Ospedale Cisanello, nella periferia pisana.

All’interno del Dossier due testi:
– “Che cos’è Stella Maris”
– “Generazioni da sedare – il ‘caso’ ADHD – Ritalin – Progetto Prisma”

Qui il testo PDF Dossier Stella Maris
Qui un opuscolo a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud sulla storia di Mattia La storia di Mattia

Qui il comunicato diffuso dalla Rete Antipsichiatrica  al presidio che si è tenuto di recente a Brescia contro la violenza che regola la vita all’interno di moltissimi centri residenziali “di cura” per persone con disabilità o fragilità psichica. Luoghi dove la contenzione fisica e farmacologica è consuetudine e dove le prepotenze sono ordinarie e strutturali: dai maltrattamenti nella struttura di Montalto di Fauglia gestita dalla Stella Maris, agli abusi all’interno delle strutture della Cooperativa Dolce di Bologna, fino agli orrori della Comunità Shalom, nel bresciano. Riteniamo sia importante non spegnere i riflettori su una violenza così estesa, capillare, non episodica, accettata e sostenuta quotidianamente dal silenzio di tanta società “civile”.

Sul sito del collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud altri riferimenti utili https://artaudpisa.noblogs.org/post/category/dossier-stella-maris/

NAPOLI: ALCUNI TESTI DIFFUSI DURANTE LO SCIOPERO GENERALE DEL 23 FEBBRAIO

Riceviamo e diffondiamo alcuni testi diffusi durante lo sciopero generale del 23 febbraio

– Palestina, aiutiamoli a casa nostra.
– Contro la militarizzazione della società
– Mappa campana delle complicità dello stato italiano nel genocidio palestinese.
– Sorveglianza sociale, sorveglianza speciale

PALESTINA: AIUTIAMOLI A CASA NOSTRA

Che sia in atto un genocidio dei palestinesi da parte degli israeliani è fuori dubbio, come è fuori dubbio che questo sia iniziato molto prima del 7 ottobre (almeno dal 1948) con l’appoggio diretto degli Stati Uniti e dei governi europei.

La mobilitazione che si è generata in Europa in sostegno alla Palestina ha sicuramente avuto un ruolo importante nel far emergere un racconto differente da quello propinato dai media oltre a rendere palese la distanza tra le politiche governative e il sentire comune della gente, tuttavia non hanno potuto rallentare la macchina di morte dello stato israeliano né tanto meno intaccare le relazioni che i vari governi hanno stretto o stanno stringendo con esso.

Per quanto riguarda l’Italia, innanzitutto, è stata tra i primi paesi a riconoscere il neonato stato ebraico nel 1949 e da allora i rapporti con Israele sono stati vivificati con frequenti scambi diplomatici e affari commerciali. Ha sostenuto fin dall’inizio il diritto alla difesa di Israele, si è astenuta nella risoluzione per l’immediato cessate il fuoco, ha tenuto incontri bilaterali con Netanyahu e ha impedito l’apertura dei corridoi umanitari. Inoltre, non ha mai esitato a fornire armi, infatti la marina israeliana monta cannoni della Oto Melara (Leonardo) con i quali bombarda quotidianamente la striscia di Gaza e, attraverso l’Eni, sfrutta giacimenti di gas in acque territoriali palestinesi.

Altro ruolo fondamentale lo stanno ricoprendo i mass media di regime che attraverso una narrazione a senso unico, che vede il popolo israeliano vittima dei feroci attacchi dei “terroristi di Hamas”, tentano di creare le condizioni etiche che possano giustificare l’annientamento della popolazione palestinese.

Siamo stanchi della quotidiana conta dei morti a Gaza, della retorica dell’antisemitismo che tenta di bloccare qualsiasi forma di dissenso verso lo stato israeliano, dei benpensanti ottusi che vedono in Israele un avamposto democratico in un territorio popolato da “feroci barbari”, come siamo stanchi di ascoltare una propaganda ad uso di decerebrati che parla di bambini decapitati, stupri di massa e massacro di civili inermi israeliani.

Non siamo disposti a tollerare ulteriormente questa situazione. Coscienti della difficoltà di aiutare materialmente la popolazione di Gaza e della Cisgiordania nella loro terra, possiamo e dobbiamo intraprendere dei percorsi di lotta radicale che mettano in luce le responsabilità criminali del governo italiano, oltre che tentare di bloccare i meccanismi, basati sul mero interesse economico e strategico, che alimentano questo stato di cose.

Bloccare la macchina tecno­industriale che lavora nella produzione di strumenti civili e militari oltre che i progetti che varie università italiane portano avanti con aziende israeliane, ribaltare la narrazione dei pennivendoli di stato è possibile oltre che necessario.

Anarchici/e per la resistenza palestinese

Testo in PDF


CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLA SOCIETA’

Militarizzazione significa ampliare il campo dell’azione militare, tanto in forma teorica quanto in forma concreta in un territorio e nella società, ed è quello che negli ultimi anni stiamo vivendo in forma sempre più evidente.
I recenti conflitti dall’Ucraina al genocidio che Israele sta attuando in Palestina e i conseguenti effetti in medio oriente, passando per altri conflitti accesi ma meno conosciuti e presenti nei media, hanno spinto gli Stati ad armarsi in forma sempre maggiore. Per diversi paesi occidentali in questi anni gli investimenti bellici sono cresciuti raggiungendo livelli che non si vedevano dalla fine della guerra fredda. Basti pensare che l’Italia spende mediamente 74 milioni di euro al giorno in spese militari e che queste cifre sono considerate ancora poco dagli alleati della Nato.
Questa corsa agli armamenti, non si manifesta solo attraverso la compravendita di armi e i conflitti in paesi “lontani”, ma si esercita anche nei nostri territori e nelle nostre vite, contro i nemici interni, che sono di volta in volta i derelitti più sacrificabili in nome della sicurezza: poveri, migranti, dissidenti.
Qui a Napoli è da anni che lo Stato risponde a qualsiasi problema di natura sociale aumentando la presenza di polizia e militari nelle strade, basti pensare all’operazione Strade Sicure che dal 2008 prevede una massiccia presenza di pattuglie che ormai nell’indifferenza più totale della popolazione controllano strade e quartieri della città.
Una grande salto in avanti in questo senso è stato fatto durante la pandemia da Covid-19, di nuovo nell’indifferenza della maggior parte, il governo ha disposto polizia e militari nelle strade mentre terrorizzava con una funzionale propaganda di guerra chiunque disertasse dalla linea dettata.
Un’altra forma in cui la militarizzazione dei territori si manifesta è nell’investimento in infrastrutture che hanno come scopo quello di facilitare la mobilità per le truppe e gli armamenti. Tentativo cioè di adattare la geografia della penisola allo scacchiere di guerra globale, esempio di questo ne è, fra gli altri, la costruzione del ponte sullo stretto, che come è stato appurato, dovrebbe rientare nel Trans European Transport Network TEN-T il cui scopo dichiarato è quello di creare una rete in grado di soddisfare “un piano di azione sulla mobilità militare 2.0”
La volontà dello stato di portare la disciplina di guerra ovunque ha trovato un grande laboratorio nelle scuole e nell’università. Da un lato sempre più scuole indottrinano giovani menti alla disciplina militare invitando militari a mettersi in cattedra. Dall’altro le caserme diventano sempre più luogo ideale per portare bambine e ragazze in gita. A spianare la strada a questo processo, l’uso sempre piu’ normalizzato del linhuaggio bellico nella vita quotidiana.
La questione del sapere e della ricerca universitaria funzionale alla guerra è poi un grande tema.
Infatti il doppio uso delle tecnologie e delle ricerche prodotte dalle università in ambito civile che poi vengono trasmesse all’ambito militare e viceversa è una grande questione aperta dai tempi della bomba atomica. Il fatto che le università collaborino con industrie belliche, come sempre di più sta succedendo, non solo permette una maggiore permeabilità nello scambio di ricerche fra civile e militare, ma contribuisce ad una sempre maggiore legittimazione del campo militare.
Il fatto che la militarizzazione permei la societa’ civile e la corsa agli armamenti sia sempre piu’ evidente rendono chiaro quanto uno scenario di guerra alle nostre latitudini sia sem- pre piu’ possibile.

FUORI LA GUERRA DALLE UNIVERSITA’, DALLE SCUOLE, DAI TERRITORI E DALLE NOSTRE VITE! LA GUERRA E’ OVUNQUE E CONTRO TUTTI, ESCLUSO CHI NE TRAE PROFITTO… QUINDI GUERRA ALLA GUERRA!

Testo PDF


Lo stato italiano è complice di Israele nel genocidio palestinese. La guerra che vediamo in televisione si produce qui. 


SORVEGLIANZA SOCIALE E SORVEGLIANZA SPECIALE

A dicembre il tribunale di sorveglianza di Napoli, su richiesta firmata dal questore di Napoli Maurizio Agricola, ha disposto l’applicazione della misura di sorveglianza speciale per Zac (ora prigioniero nel carcere di Terni) per due anni e sei mesi con le seguenti restrizioni: di non allontanarsi dall’abitazione senza preventivo avviso dell’autorità di sorveglianza, di non uscire prima delle 7 e non rientrare dopo le 20, di non associarsi “abitualmente” a persone condannate o preposte a misura di prevenzione o sicurezza, di non accedere a esercizi pubblici e di pubblico trattenimento, vivere onestamente rispettando le leggi, non detenere né portare armi, darsi alla ricerca di un lavoro, non partecipare a pubbliche riunioni, di portare sempre con sé la carta di permanenza, di presentarsi ogni domenica, o comunque a ogni invito, all’autorità preposta alla sorveglianza. A ciò si aggiunga una cauzione di 3000.00 euro da versare come garanzia, ma frazionabile in cinque comode rate.

La misura sarà eseguita non appena Zac uscirà dal carcere, a prescindere dall’esito del processo per 280 bis e 270 quinques, che intanto continua.

Ad oggi, la guerra contro il nemico interno si è sovrapposta irrimediabilmente a quella contro il nemico esterno, in un unico movimento per l’accumulo di predominio politico, economico e culturale che va innanzitutto a svantaggio delle popolazioni e degli oppositori.

In questo quadro l’accorpamento della magistratura antimafia e antiterrorismo (2015) ha generato una macchina strapotente che si autoalimenta con sempre nuove inchieste e mezzi a disposizione per sorvegliare sempre più persone o far credere di farlo, con l’obiettivo di instillare la paura e fare il vuoto intorno a chi viene colpito più direttamente.

Contro ogni distinzione tra colpevoli e innocenti, che è puro arbitrio dell’inquisizione democratica, sostenere le ragioni della rivolta e le identità messe sotto attacco, è una questione di autodifesa collettiva. Gli strumenti repressivi sempre più duri che vengono usati contro determinate categorie di persone sono destinati ad espandersi. L’ampliamento del regime del 41 bis, la storia recente dello strumento repressivo del 270 (associazione sovversiva), l’imputazione di Zac per 270 quinquies (autoaddestramento), il pacchetto sicurezza, il decreto Caivano, l’estensione della sorveglianza e della carcerazione a tutti i livelli, ne sono un esempio. Su questa stessa scia, i sindacati autorganizzati vengono accusati di associazione a delinquere, la lotta dei disoccupati organizzati diventa estorsione, gli scontri in strada puniti con l’aggravante camorristica, le pubblicazioni o gli striscioni censurati con l’accusa di istigazione a delinquere o apologia di terrorismo.

Anche l’estensione delle misure di prevenzione e del dispositivo della “sorveglianza speciale” – storicamente usate per punire poveri, briganti e antifascisti – è una delle tante conseguenze della fusione di apparati antimafia e antiterrorismo e della necessità di equiparare l’armamentario di guerra contro la criminalità organizzata e quello (mediatico, giuridico, linguistico) contro i dissidenti. Non è un caso che nell’odierno stato di emergenzialità permanente queste misure vengano richieste e elargite automaticamente e parallelamente all’accusa di terrorismo – come nel caso di Zac – o anche ben prima. Basta essere costretti in una delle categorie costruite, col linguaggio e col diritto, come “socialmente pericolose”, per vedere le proprie residuali “libertà”, già di per sé forme illusorie del sistema democratico, ulteriormente ristrette dalla sfilza di obblighi e divieti prescritti dalle misure di prevenzione. Questo sistema è storicamente espressione di una radicata cultura del sospetto e della tendenza, fin dalla colonizzazione del Sud Italia, a trasformare le questioni sociali, gli ideali e le lotte in problemi giudiziario-criminali.

Fino ai nostri giorni, quando l’obbligo di dimora, il domicilio coatto, il coprifuoco, il divieto di frequentare luoghi pubblici e di intrattenimento, che sono l’armamentario dispiegato dalle misure di prevenzione, sono stati oggetto di una sperimentazione di massa in tempi di guerra contro un nemico invisibile, quando il terrorista era un virus, e tutti indiscriminatamente, dovevano mettersi al riparo seguendo le regole di distanziamento sociale, umano e politico.

La morale securitaria che connota il XXI secolo e il terrorismo di Stato che opera attraverso l’apparato mediatico e giudiziario antiterroristico porteranno all’estensione su scala sempre più ampia di questi strumenti già impugnati contro gli oppositori del passato, grazie all’indeterminatezza costitutiva della norma e all’attuale momento storico. Tradendo i presupposti dello stesso (raccapricciante) diritto borghese, nato sul principio (comunque di impossibile applicazione se laddove c’è Stato non c’è libertà) che il corpo dovesse restare “libero” fino all’accertamento in sede processuale di una presunta colpevolezza (che non è già vero nel caso della carcerazione preventiva), le misure di prevenzione avvinghiano alle loro catene di carta intere categorie di persone senza alcun bisogno di processare degli atti come reati, perché a essere “rea” è già solo la personalità, l’ambiente, la condotta, l’idea. Questi dispositivi di psicopolizia, del resto, non sono volti a punire “reati”, ma a evitare che possano verificarsi, perciò impongono sequele di processi alle intenzioni, o meglio, ai pensieri potenzialmente trasformabili in atti… prima che si trasformino in atti. La sorveglianza speciale, quindi, è potenzialmente elargibile a chiunque, persino (si veda il decreto Caivano) a degli adolescenti. Un mezzo strapotente.

La criminalità organizzata di Stato che ha ipotecato le nostre vite al capitale sembra avere campo sempre più largo per reprimere il dissenso e per poter eseguire il prelievo necessario alla ristrutturazione capitalistica in corso, resa possibile dalla transizione digitale. Questa neoschiavitù, in cui ogni corpo è diventato una miniera da cui estrarre dati, è la più infame delle estorsioni.

Ma una cosa è certa. Quando pandemia, guerra e “transizione” digitale richiedono una sorveglianza sempre più estesa e la rendono possibile affiancando le catene di carta che ci legano al controllo poliziesco-giudiziario con le catene di fibra ottica che ci connettono alla rete del controllo elettronico, diventa sempre più visibile e tangibile quanto l’intera società sia ora più che mai un carcere a cielo aperto. Tra strumenti di carcerazione preventiva e luoghi di carcerazione punitiva, la distinzione, benché concreta, diventa sempre più sfumata nella testa di quanti vivono con insofferenza la proliferazione di catene multiple, e di quanti hanno come orizzonte la libertà.

La repressione poliziesco-giudiziaria selettiva contro anarchici e dissidenti, e la repressione culturale e digitale contro intere popolazioni si somigliano sempre più nei fini quanto nei mezzi, per un mondo di deradicalizzati da memoria, personalità e idee. In un mondo diviso da sempre più sbarre fisiche e digitali, chi potrà dire di non essere un sorvegliato speciale?


IL FRONTE INTERNO DELLA GUERRA

Questa società non ha più nulla da offrire se non malattie, morte, guerre.

E ottuso realismo politico, il più meschino nemico dei sogni. La vittoria del realismo contro l’utopia cercherà sempre più di far quadrare i conti in un’equazione senza scampo, di farci credere che la vita in ogni suo aspetto è totalmente sotto vigilanza, che il controllo totale può esistere a dispetto di ogni imprevisto.

Dalla fine della seconda guerra mondiale, la ghigliottina nucleare sospesa sulle nostre teste è stata un attacco senza precedenti alle possibilità di autodeterminazione di popoli e individui, perché la morte collettiva è diventata un bottone da premere. Un ricatto senza se e senza ma.

Oggi, l’intelligenza artificiale che sta per pervadere ogni infrastruttura sociale, economica e politica è una rivoluzione senza confini, se non quelli che le nostre coscienze e mani sapranno porre, perché finirà per eliminare anche la necessità ultima dell’operatore umano che preme quel dannato bottone. Al suo posto, un banale algoritmo. Quello stesso algoritmo che in un futuro prossimo si sostituirà nelle aule di tribunale al meccanismo già diabolico delle (im)perizie tecno-scientifico-industriali (un vero e proprio business) che ad oggi decide della libertà di migliaia di persone incarcerate.

È davvero questa la banalità del male, un insieme di ripetitive, automatiche e cieche procedure tecniche che attraverso software di elaborazione dei dati secondo parametri arbitrari pretendono di costruire verità inconfutabili in questa parte del mondo e massacri altrove. Se non vogliamo che in un domani non troppo remoto sia un algoritmo a decidere della vita e della libertà, è necessario attaccare il paradigma tecno-scientifico-industriale che domina tanto nella società, nelle aule di tribunale e sui campi di guerra, col suo ventaglio di mezzi (dalla videosorveglianza, alla videoconferenza, ai droni).

Più il male è banale, ancora più banale dell’impiegato burocrate, banale quanto una macchina robotica, più si cercherà di banalizzarlo: l’intelligenza artificiale, in fondo, è solo una soluzione tecnica ai problemi dell’umanità – non importa quanto questi siano il prodotto di scelte tecniche passate. E poi permetterà di curare malattie incurabili, di vincere la guerra, di costruire città più sicure e funzionali alla frenesia del nostro tempo. Non importa quanto i ritmi del lavoro e della competitività diventeranno insostenibili per gli esseri umani che non vorranno collaborare, o peggio, assimilarsi alla macchina. Non importa quanto la creazione di immagini false ma assolutamente verosimili ci renderà totalmente incapaci di informarci e irrimediabilmente diffidenti verso le nostre possibilità di comprendere qualcosa del mondo e di intervenire su di esso, azzerando ogni prospettiva che guardi al futuro e mettendoci all’angolo con la sensazione di essere caduti nella trappola di un controllo totale. È contro questo realismo che rischia di imporre una volta per tutte la più orribile delle distopie, che è fondamentale andare al sodo, selezionando le sole informazioni che contano davvero per metterci di traverso a un futuro fatto di isolamento, infelicità e ingiustizia.

L’accumulazione capitalistica di miliardi dati per far funzionare le tecnologie che servono a combattere la guerra, nel dominio di poche multinazionali che stringono accordi con le università finanziandone la ricerca, sarebbe impensabile senza i data-center localizzati che li conservano. Una guerra per il controllo delle materie prime e delle risorse che servono a realizzare le tecnologie che governeranno il futuro non può essere combattuta senza fabbriche di armi, senza le infrastrutture che servono al flusso di informazioni e uomini; senza la ridefinizione giornalistica e accademica dei nuovi nemici interni e esterni; senza il pacifico consenso del fronte interno dell’opinione pubblica all’economia di guerra che ci hanno imposto col rincaro dei generi primari (cibo e energia); e alla cultura dell’odio tra sfruttati.

Perciò, non possiamo avere paura di estendere l’idea che abbiamo della guerra. È necessario prendere atto dell’impossibilità di distinguere la guerra al nemico interno dalla guerra contro il nemico esterno, tra i tempi di guerra e i tempi di pace, così come tra produzione e ricerca tecnologica militare e civile, perché fino a che esisterà, lo Stato è e sarà sempre uno strumento di guerra: contro altri stati, contro popoli e territori colonizzati, contro la natura e gli individui in rivolta. L’accumulo e il mantenimento di potere nelle mani di pochi a danno dei più è una guerra permanente combattuta quotidianamente con tutti i mezzi necessari, dallo sfruttamento senza confini sui luoghi di lavoro alla cascata di bombe sui cieli di interi territori. Il pericolo di distruzione dei posti di lavoro legato all’intelligenza artificiale è direttamente proporzionale al pericolo di distruzione materiale della sua applicazione alle tecnologie militari. Questo stato di guerra a tutti i gradi si esprime all’interno dei confini nazionali con la riabilitazione del lavoro minorile per mezzo dell’alternanza scuola-lavoro, con la militarizzazione dei quartieri, delle scuole, del conflitto sindacale. Per quanto non sia mai esistita una scuola neutrale, la sua attuale militarizzazione le rende sempre più luogo di arruolamento forzoso, di uniformazione per accettare l’esistenza dell’uniforme, della forza armata che tiene l’umanità divisa tra oppressi e oppressori e che si oppone a ogni tentativo di liberazione.

Mentre piovono bombe dai cieli d’Israele, da questa parte del mondo siamo bombardati dalla frenesia violenta di un flusso di notizie in cui è impossibile distinguere ciò che importa. La nostra coscienza diventa muta davanti a questa difficoltà di comprensione e di immaginazione, il nostro sguardo cieco a ogni prospettiva futura. Come possiamo ripartire dall’utopia per combattere la resa a questo destino dominato dalla razionalità del meno peggio? Il realismo politico vuole intimidirci col ricatto che due o tre guerre piccole contro gruppi terroristi e Stati canaglia siano meglio di una grande guerra da cui si potrebbe anche uscire sconfitti. In parte ci sono già riusciti, paralizzando ogni movimento di solidarietà internazionalista tra oppressi che potesse ostacolare l’invio di armi e imporre dal basso il cessate il fuoco, con l’operazione mediatica che ha beceramente assimilato la resistenza ucraina alla lotta partigiana contro il nazi-fascismo.

Ma se continuiamo a sentirci “al sicuro” perché “tanto la guerra è lontana”, abbiamo fatto davvero male i conti. L’assassinio, o, ancora peggio, il suicidio di ogni etica non conforme alla logica realista di un mondo dominato da guerra e intelligenza artificiale significa la vittoria di una logica di conquista e mantenimento del potere di pochi, in fondo talmente irrazionale, da rischiare il massacro dell’intera umanità.

Come soli antidoti: disfattismo rivoluzionario e solidarietà a chi si ribella! rendendo impossibile la percezione e la realizzazione di un sistema di guerra e controllo totale.

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TESTI IN SOLIDARIETÀ A JUAN

Diffondiamo due testi in solidarietà a Juan Sorroche, in vista del presidio solidale davanti alla corte di cassazione del 26 gennaio 2024, giorno in cui si terrà un’udienza a carico del compagno. Juan, in carcere dal maggio 2019, è stato condannato a 14 anni e 7 mesi in appello per un attacco alla sede della Lega di Villorba (TV) avvenuto nel 2018.

NUOVA EDIZIONE ANARCOQUEER “COME STORMI DEL CAOS. Un progetto queer nichilista e insurrezionale”

Diffondiamo:

“COME STORMI DEL CAOS. Un progetto queer nichilista e insurrezionale”

Una rivisitazione in chiave anarchica delle teorie queer antisociali, per un progetto insurrezionale e nichilista di attacco all’esistente.

128 pagine, 8 euro a singola copia, 5 euro da cinque copie in su Collana Le Affinità Elettive.

Per ordinare il libro: anarcoqueer@riseup.net

Dalla prefazione:

[…] “Come stormi del caos” trae ispirazione da un filone particolare delle teorie queer, quello cosiddetto “antisociale”, pescando in particolare da autori e collettivi come Lee Edelman, Jack Halberstam, Guy Hocquenghem e il FHAR, ma anche da autori e autrici già riconosciutx per la validità della loro critica sociale, anche se non ascrivibili a un ambito anarchico, come Silvia Federici, Jacques Camatte e Walter Benjamin, in particolare per quanto riguarda le loro riflessioni più riuscite sul capitalismo, la domesticazione, il corpo e la storia; non facendo, in questa operazione, distinzioni tra analisi prodotte in ambito accademico e analisi provenienti da ambienti militanti, ma saccheggiando apertamente quegli aspetti della teoria che possono essere declinati in una prospettiva anarchica e scartando quello che invece è ritenuto superfluo o non condivisibile.
La prospettiva insurrezionale dell’attacco, in contrapposizione con una visione attendista che investe energie nella crescita del movimento in vista di una futura ipotetica “rivoluzione sociale”, si accompagna qui a un approccio nichilista di critica a tutti quei progetti “positivi” di riformismo, inclusività o creazione di alternative alle storture sociali, in quanto facilmente recuperabili dal potere e, anzi, materiale utile per la ristrutturazione in chiave “progressista” (e quindi ancora più totalizzante) del sistema capitalista e dello Stato.
Da qui l’idea di una queerness che, per esprimere al meglio il suo potenziale, rivendica la propria negatività, trasformando in una promessa quell’accusa reazionaria che la vede come prodromo e sintomo del disfacimento dell’ordine sociale. Una queerness che dev’essere quindi anti-politica, perché proprio la politica, nel suo progettare il futuro per garantire la sopravvivenza dell’ordine sociale, è il luogo principale della riproduzione di quell’ordine. Nel suo incrinare l’ideologia del “futurismo riproduttivo”, una queerness che si rivendica come puramente negativa va a spezzare quelle norme che rendono possibile l’assetto sociale assieme a tutti i suoi ruoli, non solo quelli di genere ma anche quelli militanti e rivoluzionari, che nella loro astrazione tentano di rendere intelligibile il soggetto del rifiuto, mantenendolo nell’alienazione e censurando la sua ricerca di gioia immediata, di conflitto, di godimento. Il futuro come ideologia, come luogo-trappola, che secondo le parole di Bædan “assicura il sacrificio di ogni energia vitale per la pura astrazione del proseguimento idealizzato della società”. […]


Ricordiamo che sono ancora disponibili le uscite precedenti delle
edizioni Anarcoqueer:

* “STREGHE ISTERICHE UNTRICI. Il ruolo della medicina nella repressione delle donne”. 172 pagine, 10 euro a singola copia, 7 euro da cinque
copie in su

* “Guerriglia Frocia. Testi di Ed Mead e Rita “Bo” Brown sulla George Jackson Brigade e il collettivo gay anticarcerario Men Against Sexism
(1975-1978)”. 112 pagine, 8 euro a singola copia, 5 euro da cinque copie
in su

* “DECOLONIZZARE LA PALESTINA. La Palestina attraverso la storia e il
rainbow washing di Israele”. 164 pagine, 9 euro a singola copia, 6 euro
da cinque copie in su

AGITIAMOCI ANCORA! PER LA ROVINA DELLA SOCIETÀ

Diffondiamo:

Agitiamoci ancora!

Nel 2020, sui muri di Imola (BO) furono attacchinati due manifesti in solidarietà con Alfredo Cospito e Anna Beniamino, in seguito alle condanne di secondo grado del processo Scripta Manent e in solidarietà con i compagni e le compagne all’epoca prigionieri nell’ambito dell’operazione Bialystok.

Il manifesto “Agitiamoci”, in solidarietà con Anna e Alfredo, colpì particolarmente la solerte DIGOS di Imola e per me e Luigi arrivò una denuncia per istigazione a delinquere nella fattispecie dell’apologia di delitti con finalità di terrorismo (art. 414 comma 4 c. p.), oltre che per violenza o minaccia ad un corpo politico (art. 338 c. p.) con l’aggravante del luogo pubblico e del travisamento (art. 339 c. p.). A Luigi, inoltre, viene anche contestata la violazione del foglio di via da Imola. Il PM non poteva essere altri che Gustapane, che si sta costruendo una miserabile carriera a Bologna grazie alle operazioni contro gli anarchici.

Luigi si trova agli arresti domiciliari restrittivi dall’8 agosto 2023 in seguito all’operazione Scripta Scelera contro il quindicinale “Bezmotivny”, ma sapendo di fare cosa a lui gradita, colgo l’occasione dell’udienza preliminare che, per entrambi, si terrà il 23 gennaio, per diffondere il manifesto incriminato. Poiché a giugno dello scorso anno Alfredo e Anna sono stati condannati rispettivamente a 23 anni e 17 anni e 9 mesi di carcere, ho modificato il manifesto in modo da poterlo diffondere ancora, ancora e ancora.

In seguito alla denuncia io e Luigi scrivemmo un volantino, “Idee Chiare”, che diffondo con piacere a maggior ragione proprio perché il compagno è stato zittito dalla repressione.

Il 23 gennaio alle ore 11, presso il tribunale di Bologna, si terrà l’udienza preliminare.

Veronica

PDF: “Agitiamoci”
PDF: “Idee Chiare”

UNA LETTERA DA STECCO

 

Da Il Rovescio una lettera di Stecco:

25/12/2023

Carcere di Sanremo

Questo scritto non è un comunicato. Qui non vi leggerete riflessioni sul mio arresto o riguardo a questa nuova esperienza carceraria, o su altre questioni politiche. Esse arriveranno al momento opportuno, cioè quando riterrò sedimentate alcune faccende personali, e alcune riflessioni che stanno maturando in questi primi mesi di detenzione.

Questo umile scritto ha il semplice scopo – per me doveroso – di ringraziare, salutare, e di portare solidarietà anche da dentro queste mura.

Ho atteso un poco prima di decidermi nel mettere giù queste mie parole, anche se la decisione di metterle su carta era già stata presa la sera del 4 dicembre, giorno dell’udienza al Tribunale di Imperia, per il documento falso trovatomi addosso il giorno cui la mia esperienza di latitante è stata fermata da un gruppo operativo dei Nocs.

Quel giorno al tribunale, mentre ero nel gabbione, l’avvocato mi ha annunciato della scomparsa di mia madre. Non è mio interesse raccontare questioni diciamo personali, bensì voglio raccontare – questo sì – della presenza dei compagni e compagne in aula, della loro vicinanza, della loro forza, e dell’ennesima prova di solidarietà. Ma anche dei compagni e compagne che al suo funerale hanno deposto dei fiori, facendomi così partecipe, con questo gesto, ad un momento importante della mia vita, a cui, per mia pregressa decisione, avevo deciso di non partecipare. Questi gesti, assieme alla mole di parole di vicinanza che mi arrivano per lettera, ad alcune azioni di solidarietà, è qualcosa di difficile descrizione riguardo a quello che provo, sono fatti che mi riempiono di orgoglio e di determinazione. È una consapevolezza che mi accompagna da anni, l’esistenza della solidarietà tra compagni e compagne, tra sfruttati e sfruttate, esiste, è palpabile, essa va al di là del singolo, della mia situazione specifica, questa ha poca importanza davanti alle responsabilità nel continuare la lotta, davanti alle necessità storiche di innescare la rivoluzione sociale.

Io sono solo un umile compagno che prova a mettere tutto quello che ha a disposizione per raggiungere i più alti fini di libertà ed emancipazione per tutti e tutte. Per questo non sono abbattuto nel trovarmi in questo luogo, perché sono in mezzo agli ultimi, agli esclusi, a chi appartiene a questa classe sfruttata. In mezzo a loro, indipendentemente dalle differenze e contraddizioni, continuo a portare il mio contributo alla lotta, alla presa di coscienza. Lo Stato un’altra volta sta fallendo nel provare a spezzare la nostra solidarietà, i nostri legami politici, affettivi amicali, e in primis quelli di affinità. Un’unione su cui non ho dubbi riguardo alla tenuta, nella sua consistenza e presenza, in cui ripongo tutta la mia fiducia ed energie. Un’unione che so che tutti assieme terremo salda nel prossimo futuro, visto che siamo consapevoli che qui in Italia molti di noi finiranno nelle maglie repressive per la conclusione di vari processi.

Anni che affronteremo con dignità, dove ognuno di noi sarà sostegno l’uno dell’altro, dove questo tempo non sarà vissuto passivamente, ma attivamente, per continuare la nostra battaglia per i nostri ideali, per un’idea di giustizia e libertà, un’idea che si chiama Anarchia.

Tutte queste certezze ho percepito in aula. Tutte le nostre difficoltà, tutti gli ostacoli che abbiamo attorno in questa fase storica possono essere superati con la forza di volontà, nello studio, nell’unione.

Purtroppo quattro giorni dopo ho saputo della scomparsa del compagno anarchico Alfredo Maria Bonanno. È stato un altro momento per confrontarmi con il dolore, perché assieme a tanti altri compagni e compagne abbiamo avuto modo di leggere le sue parole, confrontarsi con la sua personalità, per alcuni e alcune l’aver potuto agire assieme a lui nel corso della sua vita dedicata alla lotta, a un ideale.

Un compagno verso il quale ho un senso di gratitudine per la mia formazione ideale e politica.

Mi ritengo fortunato di aver potuto, assieme ad altri, organizzare con lui i comizi anarchici nell’inverno 2021 a Trieste. Comizi in cui aveva voluto presenti dei grandi drappi neri, simbolo della nostra rivolta anarchica, drappi che oggi innalziamo per la sua dipartita.

Ho fresche nella memoria le discussioni con lui prima di partire latitante, davanti ad un piatto di pasta in un’osteria, e potermi stupire ancora della sua forza, determinazione, lucidità.

Colgo quest’occasione per portare il mio cordoglio alla sua famiglia, ai suoi affetti, e ai compagni e compagne delle edizioni Anarchismo.

Concludo dicendo che:

– Saluto con viva forza il coraggio e la determinazione dei compagni Francisco Solar e Monica Caballero, che il 7 dicembre sono stati condannati dallo Stato cileno;

– Porto la mia vicinanza ai comuneri mapuche della CAM condannati recentemente dallo Stato cileno, e a quelli che nei prossimi mesi subiranno la repressione dei tribunali per la loro giusta resistenza;

– Saluto Gabriele, Tobias, e Ilaria, arrestati dallo Stato ungherese. Buona fuga a chi si sta sottraendo dalla morsa delle manette, così facendo dimostrano che le strade della libertà sono sempre aperte;

– Ringrazio i compagni e le compagne greci, sia per la loro dignità nell’affrontare la repressione, sia per tener viva la memoria rivoluzionaria, ma soprattutto per il loro continuo contributo analitico utile a tutto il movimento rivoluzionario;

– Ringrazio i compagni bielorussi nel loro trasmettere parole coraggiose dalle galere del regime di Lukaschenko in questi anni di guerra. Solidarietà a tutti i disertori di ogni guerra e di ogni nazione;

– Mando forza al compagno francese Boris per un suo miglioramento di salute;

– Libertà immediata per i prigionieri Giannis Michailidis e Nikos Maziotis in Grecia, a Marcelo Villaroel in Cile, a Claudio Lavazza in Francia;

– Auguro buona libertà e ritorno dai propri affetti dopo tanti anni di galera a Pola Roupa, Thomas Meyer Falk, Gabriel Pombo da Silva e a Davide Delogu, anche se ancora ristretto agli arresti domiciliari;

– Saluto Anna, Poza, Nasci, Rupert, Dayvid, Zac, Saverio, Paska, Stefano, Juan, rinchiusi assieme a me nelle patrie galere di questo Stato. A Sasha ristretta agli arresti domiciliari;

– Mi unisco a voi fuori con quello slogan che in tanti e tante avete urlato negli scorsi mesi: “Fuori Alfredo dal 41bis”. Un abbraccio particolare a lui. Fuori tutti e tutte da quel regime detentivo;

– Per ultimo, con il dolore nel cuore, mando un saluto a pugno chiuso al compagno palestinese Georges Abdallah, contro cui ad aprile si terrà al tribunale di Trieste un processo per la storia della sua resistenza al regime sionista di Israele. Per una Palestina libera da Stati, padroni e da qualsiasi autorità.

Sempre per l’anarchia e la rivoluzione sociale!

Libertà per tutti e tutte!

Luca Dolce detto Stecco

OGNI CUORE É UNA BOMBA A OROLOGERIA

Estratti dal libro “Rote Zora. Guerriglia urbana femminista”  …e un augurio di buon anno nuovo, dalle Brughiere! 🔥🧨

OGNI CUORE É UNA BOMBA A OROLOGERIA

Da sempre le donne hanno combattuto nei gruppi armati, tuttavia la loro partecipazione alla lotta è stata spesso taciuta. Ma i tempi cambiano e, ormai, la partecipazione delle donne alla guerriglia è diventata talmente importante da non poter essere più occultata. Anche la divisione del lavoro secondo la quale le donne si occupano dei compiti relativi all’infrastruttura, mentre gli uomini portano a termine le azioni, è stata superata. I gruppi sovversivi di donne come le Rote Zora sono ancora pochi, ma anche questo cambierà! […]

Le donne sono esposte a ogni livello di violenza: alla violenza indiretta e strutturale di questo sistema sociale che blocca ogni altra possibilità di vita, e ai rapporti di violenza brutale, diretta e personale esercitati dagli uomini. Nel corso degli ultimi anni, abbiamo assistito all’aumento delle violenze contro le donne dei paesi dove la parità dei diritti è riconosciuta formalmente e giuridicamente. Le donne vivono la violenza quotidianamente, sotto forme diverse e su più livelli. Vengono umiliate, sminuite, picchiate, stuprate. Nella RFT ogni 15 minuti una donna viene stuprata! Il 50% delle donne vengono violentate da uomini che conoscono. Ogni anno nella RFT 4 milioni di donne sono maltrattate dai loro mariti! La violenza strutturale è determinata dai maltrattamenti delle donne in seno alla famiglia, dallo stupro, dalla minaccia di stupro e dalla spettacolarizzazione della violenza sulle donne nei media, nella pubblicità e nell’industria della cultura. Comprendere che la violenza contro le donne non è un’eccezione ma un principio generale del dominio maschile, ha permesso di riconoscere quanto la lotta alla violenza sessista vissuta personalmente sia indissociabile dalla lotta contro ogni violenza del sistema. […]

SOTTO L’IMPOTENZA SI NASCONDE LA VIGLIACCHERIA

Ogni donna che ha già tirato una pietra, che non è scappata quando degli uomini l’hanno importunata, ma al contrario ha risposto, potrà condividere il sentimento di liberazione che abbiamo provato quando abbiamo messo una bomba davanti al tribunale costituzionale federale in occasione della decisione relativa all’articolo 218. Nella nostra società la liberazione ha a che fare con la distruzione, distruzione delle strutture che vogliono incatenarci al ruolo di donna. Non riusciremo ad annientare queste strutture finchè non attaccheremo i rapporti che ci vogliono distruggere. Attacchiamoli nelle forme più diverse, ma sempre a partire dal nostro inconciliabile odio per questa società.

ORDIGNO ESPLOSIVO ALLA CORTE COSTITUZIONALE FEDERALE. 4 MARZO 1975, KARLSRUHE

Le Donne delle Cellule Rivoluzionarie hanno compiuto un attacco contro la Corte Costituzionale il 4 marzo 1975. Non per “difendere la Costituzione della Corte Costituzionale” come sostiene il signor Abendroth, ma per difendere noi stesse da questa Costituzione, che fornisce un quadro legale allo sfruttamento quotidiano, all’infiacchimento e al logoramento psichico di milioni di donne e uomini. Una Costituzione che costringe all’illegalità le donne, e molte le uccide quando non lasciano decidere alla mafia dei medici e dei giudici sulla propria sessualità, l’uso del proprio corpo, il numero dei propri figli. Noi non ci uniamo al lamento di coloro che si dolgono perché la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale una legge votata democraticamente dal Parlamento, in quanto non c’è una differenza sostanziale quando 6 o 600 stronzi dettano le condizioni di vita a 60 milioni di persone. Noi facciamo però distinzioni molto nette, nelle attuali condizioni, tra le leggi più o meno dannose nei confronti del popolo, che questo pugno di servi del capitale, pagati con i soldi delle tasse, emana contro di noi. La sentenza terroristica della Corte Costituzionale, che ribadisce essere giusto e legale il divieto di abortire secondo il famigerato “statuto liberal-democratico”, è così intollerabile, per il disprezzo e l’annientamento delle donne che presuppone, che noi la combatteremo con tutti i mezzi possibili. […]
L’articolo 218 non impedisce alcun aborto e questo lo sanno anche coloro che per il suo mantenimento tirano in ballo Dio e gli sbirri.

Lo sanno:
– I tribunali, per i quali da sempre l’assassinio di una donna che si ribella conta meno di quello di un porco oppressore. Siamo solidali con tutte le donne che si liberano dei loro oppressori.
– Le chiese, che nella loro millenaria storia hanno perpetuato la loro struttura fascista, secondo cui le donne non sono persone, ma madri o puttane, “santificate” o punite per la loro sessualità attraverso la gravidanza, poiché sanno bene che è la paura a riempire le loro chiese. Non abbiamo dimenticato che le chiese hanno messo al rogo le nostre sorelle femministe nel medioevo. Noi donne non dobbiamo più andare nelle chiese se non per sconsacrare questi covi di sessismo, per esempio attraverso scritte murali, slogan urlati in coro durante le funzioni, petardi e bombe fumogene… e per dare pubblicamente aria alle tonache ammuffite di preti e cardinali.
– i medici, che tengono per sé sia le loro conoscenze mediche che le loro mancate conoscenze per continuare il loro sfruttamento dell’utero. I quali umiliano e ricattano le donne in cerca di aiuto e anche se le aiutano usano per lo più il metodo pericoloso, sorpassato e brutale del raschiamento, rifiutando di imparare a praticare il sistema innocuo dell’aspirazione. Additiamo pubblicamente questi porci, scriviamolo sulle loro macchine, sulle loro ville. […]

Verrà il giorno in cui le donne si ribelleranno… ma solo se iniziamo oggi!

 


L’anno scorso… https://brughiere.noblogs.org/post/2022/12/29/estratti-dal-libro-di-mau-quelli-erano-i-tempi/

UNA RIQUALIFICAZIONE SPIETATA

Diffondiamo un contributo contro la riqualificazione del Parco Don Bosco e delle Scuole Besta a Bologna.

Da: Senza chiedere permesso – Mercatino autogestito delle autoproduzioni.

Impossibile non incontrarsi nella solidarietà contro la riqualificazione del Parco Don Bosco e delle Scuole Besta:

Parliamo di oltre 18 milioni di euro per abbattere decine di alberi ad alto fusto, distruggere la fauna presente, demolire la scuola esistente e ricostruirne una nuova accanto – “green” – asfaltando il parco. Un vero capolavoro.

La cementificazione del parco Don Bosco è il volto di una città che non guarda in faccia a nessuno: abitanti, insegnanti, ex insegnanti, genitori di alunnx ed ex alunnx, associazioni.

Non servono grandi analisi, il grido delle Scuole Besta in lotta è inequivocabile: l’edificio più green è quello che è già in piedi.


L’uso strumentale della retorica green, della cooperazione, della partecipazione e dell’inclusione, si schianta con le rivendicazioni di chi gli spazi li vive dal basso.

Non si può accettare in nessun modo la devastazione di un parco frequentato e amato da tuttx gli/le abitanti del quartiere, e la conseguente distruzione di uno dei pochi polmoni verdi nella sempre più cementificata zona Fiera, dove l’aria che si respira è tra le più inquinate d’Europa.

Un progetto, la nuova scuola, in cui si ostentano paroloni come “innovazione scolastica”, “pedagogia cooperativa”, “pedagogia laboratoriale”, quando l’operazione rappresenta un passo indietro non solo per quanto riguarda la sostenibilità e l’impatto ambientale ma anche dal punto di vista didattico: contrariamente alla scuola attuale – progettata alla fine degli anni ’70 con il lavoro congiunto di architetti, pedagogisti ed insegnanti – il nuovo progetto prevede una struttura rigida con aule e corridoi, senza quegli ambienti di espansione delle aule per attività di gruppo e lezioni flessibili, e senza la proiezione delle aule verso il giardino e l’esterno, che caratterizzano l’attuale scuola. Un’operazione che comporterebbe un significativo peggioramento della fruizione degli spazi, della didattica, della vivibilità della scuola e della salubrità degli ambienti per alunnx e insegnanti.

Un edificio che secondo la stesse leggi di chi governa dovrebbe essere tutelato in quanto bene artistico, storico e culturale, come avvenuto per un’altra scuola della stessa architetta, e su cui dovrà pronunciarsi la Soprintendenza ai beni culturali a febbraio.

Se è vero che le scuole Besta necessitano di lavori a causa dei deterioramenti subiti nel corso degli anni, della mancata manutenzione, degli adeguamenti alle normative antisismiche, della scarsa efficienza energetica, è vero anche che non c’è nessun motivo valido per abbatterle e non ristrutturarle.

Vi sono inoltre errori procedurali sui cui l’amministrazione sta tentando di glissare e che potrebbero ostacolare l’ignobile proposito demolitore. Il comitato nato a difesa del parco e della scuola, studiando le carte del progetto, ha scoperto che «per l’erogazione dei fondi del PNRR […] è necessario rispettare il cosiddetto principio DNSH, Do Not Significant Harm, ovvero “non arrecare danni significativi all’ambiente”. Un principio tecnico che deve essere contenuto in una relazione specifica. “Ma la relazione allegata alla delibera di approvazione del progetto non dimostra nulla — dice il comitato — perché è̀ stata utilizzata una scheda sbagliata della specifica Guida operativa del ministero dell’Economia e della Finanza, ovvero la scheda 2 delle ristrutturazioni invece della scheda 1 relativa ai nuovi edifici da costruire e interventi di demolizione e ricostruzione».

Mentre l’amministrazione cerca di convincere la cittadinanza della bontà dell’impresa parlando di rigenerazione dell’area verde nella zona di demolizione – quando è noto che questi suoli non si rigenerano con la bacchetta magica – nel progetto compare – magia, questa si! – la possibilità di destinare parte dell’area ad un eventuale parcheggio, qualora la vicina Fiera ne avesse bisogno.

Siamo convinte che non c’è ecologismo senza anticapitalismo e lotta di classe.

Capitalismo e violenza istituzionale sono due facce della stessa medaglia, una ricetta che la giunta PD ha imparato a vendere bene grazie a strategie di comunicazione e marketing di tipo aziendale.

Non si può guardare alla riqualificazione del parco Don Bosco senza inserirla nel processo che vede coinvolto in egual modo l’arrivo dell’alta velocità e la costruzione della nuova stazione, la Trilogia Navile, la Tettoia Nervi, l’opera di Giulia Srl e delle P Tower, il complesso Unipol, gli Student Hotel, le operazioni speculari in Cirenaica e nel quartiere San Donato, il Tecnopolo, la riqualificazione del polo fieristico, Fico, il People Mover, il Tram, il Passante di Mezzo.

Una città lanciata in corsa sul podio del prestigio europeo, lo stesso “prestigio” che determina un aumento generalizzato del costo della vita, che devasta pianure, Appennini e montagne, e che fonda le sua ricchezza su lavoro sfruttato e alienato.

Scelte politiche precise volte a una turistificazione selvaggia del territorio, che si abbattono sistematicamente su chi vive già discriminazioni di classe, genere e cittadinanza, creando terreno fertile per le destre xenofobe, pronte a raccogliere consenso cavalcando malcontento, paure e stereotipi.

Se a livello internazionale massacri, guerre e genocidi si intensificano, a livello locale aumenta lo sfruttamento, il disciplinamento e il controllo sociale: in ogni città le lotte per l’abitare e per la casa, così come quelle ambientaliste ed ecologiste, vengono duramente represse. La scuola, divenuta territorio di conquista militare, mostra sempre più il suo volto di agenzia al soldo del potere, volta a selezionare la nuova classe dirigente e la nuova classe da sfruttare. Ciò che rimane della sanità pubblica e territoriale viene inesorabilmente smantellato e privatizzato, per privilegiare paradigmi discrezionali di stampo classista e autoritario. Dentro le carceri, nei cpr, alle frontiere, si muore, mentre all’esterno vivere diventa sempre più difficile per moltx.

Una realtà in cui emerge sempre più evidente la necessità di sovvertire l’esistente e lottare!

SPECULAZIONE, PROFITTO E CEMENTO:
COMBATTEREMO CONTRO OGNI ABBATTIMENTO!

CON IL PARCO DON BOSCO E LE SCUOLE BESTA IN LOTTA,
CONTRO LA CITTÀ VETRINA

Versione del testo stampabile qui -> UNA-RIQUALIFICAZIONE-SPIETATA


Link utili:

https://www.wumingfoundation.com/giap/2023/12/balle-green-scuole-besta/

https://sollevamentiterra.noblogs.org/post/2023/12/13/chiacchiere-con-il-comitato-scuole-besta/

https://www.bolognatoday.it/cronaca/pnrr-via-conoscenza-bolognina.html


Le immagini nel testo con quelle “creature strane” sono tratte dal film “Guida Galattica per autostoppisti” ispirato al romanzo di Douglas Adams del 1979.

Per fare posto ad una superstrada alcune ruspe minacciano di demolire la casa di Arthur Dent; ma la sorte dell’abitazione di Arthur Dent è niente rispetto a quanto sta per accadere a tutto il pianeta: una flotta spaziale Vogon è pronta a demolire la terra per conto dell’Ente Galattico Viabilità, per far posto ad una nuova superstrada iperspaziale.

POPOLO DELLA TERRA, ATTENZIONE, PREGO. QUI PARLA LA COMMISSIONE PER LA PIANIFICAZIONE DELL’IPERSPAZIO GALATTICO. I PIANI DI SVILUPPO DELLE ZONE PERIFERICHE DELLA GALASSIA RICHIEDONO LA COSTRUZIONE DI UNA SUPERSTRADA IPERSPAZIALE ATTRAVERSO IL VOSTRO SISTEMA STELLARE. IL CHE RENDE SFORTUNATAMENTE NECESSARIA LA DEMOLIZIONE DI ALCUNI PIANETI TRA CUI IL VOSTRO. I LAVORI AVRANNO INIZIO IMMEDIATO E DURERANNO CIRCA DUE MINUTI TERRESTRI. GRAZIE.

I Vogon, le creature rappresentate nelle foto, sono ottusi burocrati zelanti che senza un ordine in triplice copia spedito, ricevuto, verificato, smarrito, ritrovato, soggetto a inchiesta ufficiale, smarrito di nuovo ed infine sepolto nella torba per tre mesi e riciclato come cubetto accendifuoco, non alzerebbero un dito per salvare nemmeno la propria nonna.
 La maggior parte dei Vogon è impiegata negli uffici della burocrazia galattica e nella Flotta costruzioni Vogon, un lavoro che permette loro di vivere una vita socialmente accettabile pur seminando distruzione nell’universo.