TRIESTE: LE CHECCHE SCHECCANO

Riceviamo e diffondiamo:

Martedì 27 febbraio, con i nostri corpi e le nostre voci abbiamo portato disordine a un evento al Caffè San Marco a Trieste, che dovrebbe essere tutt’altro che ordinario: la presentazione di due libri, scritti da Silvia Guerini e Costantino Ragusa, che riportano contenuti estremamente transfobici e complottisti sulla stessa esistenza delle persone trans e queer.

Nel libro “Dal corpo neutro al cyborg postumano. Riflessioni critiche all’ideologia gender”, Silvia Guerini, sedicente anarco-ecologista radicale, sostiene che le rivendicazioni transfemministe e LGBTQ+ non trattino dei diritti di una parte di popolazione repressa, ma facciano parte di un’agenda più ampia e potente (ah ah, magari) con al vertice le Big Tech e vari padroni globali.

Gli autori incolpano il capitalismo e lo stato della diffusione della cosidetta “teoria gender” e contestano con pratiche violente la medicalizzazione dei corpi, in particolare dei minorenni che decidono di intraprendere un percorso di affermazione di genere. A marzo 2023, presso l’azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze, queste stesse persone hanno organizzato un presidio per denunciare “le conseguenze irreversibili dei bloccanti della pubertà”: un tentativo violento di sovradeterminare le scelte e i percorsi individuali delle persone trans*, invalidandone l’esperienza. Secondo le loro narrazioni, i percorsi di affermazione di genere sarebbero troppo facilmente accessibili. Peccato che gli iter serratissimi, con liste d’attesa infinite, ambienti discriminatori e pratiche istituzionali violente, dobbiamo affrontarli noi e non loro. E che i corpi medicalizzati, psichiatrizzati e messi continuamente in discussione, siano i nostri e non i loro.

Questa visione del mondo è indicativa di quanto i soggetti che la diffondono siano funzionali alla riproduzione dello stato di marginalizzazione e sfruttamento che viviamo: narra un ribaltamento dei rapporti di potere che racconta una realtà in cui froc3 e trans* sono una sorta di classe obbediente e funzionale al capitalismo, che trae guadagno e giovamento dall’attuale organizzazione della società e da chi la governa. Tutto ciò è ridicolo: alla violenza e alla discriminazione che subiamo ogni giorno sui nostri corpi (come accaduto anche martedì!) si somma l’ulteriore marginalizzazione sul piano economico, sociale, sanitario e su ogni aspetto materiale delle nostre vite.

La serata del 27 è stata l’ennesima occasione in cui persone cis-etero hanno tentato di schiacciarci, dettando regole da applicare sui nostri corpi e sulle nostre esistenze, vittimizzandosi e sostenendo che la sofferenza, l’autodeterminazione e la libertà siano retoriche che usiamo per “trasformare i nostri capricci in diritti umani”.

Il potere che queste persone hanno di spingere all’odio e alla queerfobia, di influenzare il pensiero di menti non informate, è pericoloso e mette a rischio la nostra libertà. Troviamo inaccettabile che gli sia stato messo a disposizione un luogo in cui farlo: il Caffè San Marco, che paradossalmente tra i suoi “punti forti” su google indica l’essere queer-friendly, ha concesso a queste persone uno spazio all’interno di uno dei locali storici di Trieste per diffondere messaggi di discriminazione e disinformazione.

Le parole d’odio risuonano se ci sono appoggio e ascolto, ed è per questo che abbiamo deciso di portare disturbo con la nostra presenza, di esprimere la nostra rabbia, di contestare con la nostra stessa esistenza di persone trans* quanto sostenuto da Guerini, Ragusa e Boscarol. Le checche hanno scheccato, abbiamo interrotto questo triste spettacolo di falsa informazione e contenuti queerfobici portando la nostra esperienza, la nostra rabbia, urlando assieme che “l’uomo violento non è malato, ma figlio sano del patriarcato”, nel momento in cui Ragusa ha alzato le mani su più compagn3, dimostrando in azione l’atteggiamento violento e machista che queste persone hanno verso la nostra esistenza, dimostrando che la loro intenzione è di decidere sui nostri corpi, di negarne l’esistenza e la validità.

Siamo dissidenti, siamo indecoros3, le nostre voci non saranno silenziate, i nostri corpi non saranno schiacciati, le nostre esistenze non saranno minate.

QUEER RAGE

Per approfondire lasciamo i link ad articoli di compagnx:
https://infernourbano.altervista.org/sulla-deriva…/

Postscriptum al testo “Sulla deriva reazionaria di alcuni/e “compagni/e”…”

NUOVA EDIZIONE ANARCOQUEER “COME STORMI DEL CAOS. Un progetto queer nichilista e insurrezionale”

Diffondiamo:

“COME STORMI DEL CAOS. Un progetto queer nichilista e insurrezionale”

Una rivisitazione in chiave anarchica delle teorie queer antisociali, per un progetto insurrezionale e nichilista di attacco all’esistente.

128 pagine, 8 euro a singola copia, 5 euro da cinque copie in su Collana Le Affinità Elettive.

Per ordinare il libro: anarcoqueer@riseup.net

Dalla prefazione:

[…] “Come stormi del caos” trae ispirazione da un filone particolare delle teorie queer, quello cosiddetto “antisociale”, pescando in particolare da autori e collettivi come Lee Edelman, Jack Halberstam, Guy Hocquenghem e il FHAR, ma anche da autori e autrici già riconosciutx per la validità della loro critica sociale, anche se non ascrivibili a un ambito anarchico, come Silvia Federici, Jacques Camatte e Walter Benjamin, in particolare per quanto riguarda le loro riflessioni più riuscite sul capitalismo, la domesticazione, il corpo e la storia; non facendo, in questa operazione, distinzioni tra analisi prodotte in ambito accademico e analisi provenienti da ambienti militanti, ma saccheggiando apertamente quegli aspetti della teoria che possono essere declinati in una prospettiva anarchica e scartando quello che invece è ritenuto superfluo o non condivisibile.
La prospettiva insurrezionale dell’attacco, in contrapposizione con una visione attendista che investe energie nella crescita del movimento in vista di una futura ipotetica “rivoluzione sociale”, si accompagna qui a un approccio nichilista di critica a tutti quei progetti “positivi” di riformismo, inclusività o creazione di alternative alle storture sociali, in quanto facilmente recuperabili dal potere e, anzi, materiale utile per la ristrutturazione in chiave “progressista” (e quindi ancora più totalizzante) del sistema capitalista e dello Stato.
Da qui l’idea di una queerness che, per esprimere al meglio il suo potenziale, rivendica la propria negatività, trasformando in una promessa quell’accusa reazionaria che la vede come prodromo e sintomo del disfacimento dell’ordine sociale. Una queerness che dev’essere quindi anti-politica, perché proprio la politica, nel suo progettare il futuro per garantire la sopravvivenza dell’ordine sociale, è il luogo principale della riproduzione di quell’ordine. Nel suo incrinare l’ideologia del “futurismo riproduttivo”, una queerness che si rivendica come puramente negativa va a spezzare quelle norme che rendono possibile l’assetto sociale assieme a tutti i suoi ruoli, non solo quelli di genere ma anche quelli militanti e rivoluzionari, che nella loro astrazione tentano di rendere intelligibile il soggetto del rifiuto, mantenendolo nell’alienazione e censurando la sua ricerca di gioia immediata, di conflitto, di godimento. Il futuro come ideologia, come luogo-trappola, che secondo le parole di Bædan “assicura il sacrificio di ogni energia vitale per la pura astrazione del proseguimento idealizzato della società”. […]


Ricordiamo che sono ancora disponibili le uscite precedenti delle
edizioni Anarcoqueer:

* “STREGHE ISTERICHE UNTRICI. Il ruolo della medicina nella repressione delle donne”. 172 pagine, 10 euro a singola copia, 7 euro da cinque
copie in su

* “Guerriglia Frocia. Testi di Ed Mead e Rita “Bo” Brown sulla George Jackson Brigade e il collettivo gay anticarcerario Men Against Sexism
(1975-1978)”. 112 pagine, 8 euro a singola copia, 5 euro da cinque copie
in su

* “DECOLONIZZARE LA PALESTINA. La Palestina attraverso la storia e il
rainbow washing di Israele”. 164 pagine, 9 euro a singola copia, 6 euro
da cinque copie in su

DECOLONIZZARE LA PALESTINA – La Palestina attraverso la storia e il rainbow washing di Israele

Riceviamo e diffondiamo:

“DECOLONIZZARE LA PALESTINA. La Palestina attraverso la storia e il rainbow washing di Israele”

Mentre è in corso l’ennesima tappa della guerra condotta dallo Stato di Israele contro la popolazione palestinese per la conquista dei suoi territori, pubblichiamo i testi di due persone palestinesi che ripercorrono la storia della colonizzazione delle loro terre e la propaganda di rainbow washing di Israele.

164 pagine, 9 euro a singola copia, 6 euro da cinque copie in su. Parte del ricavato del libro sarà benefit per un’organizzazione queer palestinese.

Per ordinare il libro: anarcoqueer@riseup.net

Dalla prefazione:

Al momento della compilazione di questo libro è in corso l’ennesima tappa della guerra condotta dallo Stato di Israele contro la popolazione palestinese per la conquista dei suoi territori. Una guerra che non ha avuto inizio nel 1948, ovvero l’anno della dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele, come ritengono erroneamente molte persone, ma è nata con lo sviluppo dell’ideologia sionista alla fine del XIX secolo, che scelse il territorio palestinese come destinazione del futuro Stato per il popolo ebraico. La migrazione di massa del popolo ebraico verso quelle terre cominciò quindi già alla fine dell’Ottocento, ma il fenomeno acquisì poi consistenza con la fine della prima guerra mondiale, quando la Gran Bretagna acquisì il controllo di quei territori strappati all’Impero Ottomano e si adoperò per sostenere con forza le aspirazioni del movimento sionista. Da allora, il popolo palestinese non ha conosciuto pace. Guerre e ribellioni si sono susseguite, ma la colonizzazione israeliana, con la conquista e il controllo di sempre nuove fette di territorio palestinese, avanza ogni giorno di più, lasciandosi dietro una scia di sangue che non è possibile ignorare. […] Con questo modesto contributo, che prevede la traduzione e la pubblicazione di alcuni testi che ripercorrono la storia della colonizzazione della Palestina e la propaganda di rainbow washing di Israele, tratti da un sito creato da due persone palestinesi residenti in Cisgiordania, speriamo di offrire un piccolo segnale di solidarietà che getti luce su quello che accade realmente in quella piccola porzione di territorio sotto costante assedio.

Prossima uscita delle edizioni Anarcoqueer prevista per gennaio 2024.

“Come stormi del caos. Un progetto queer nichilista e insurrezionale”

UDINE: PER VOI CHE VI SENTITE ASSOLTI [25 NOVEMBRE]

Riceviamo e diffondiamo il testo di un intervento fatto dalla Laboratoria TFQ al termine del corteo transfemminista contro la violenza di genere di Udine, ringraziando le compagne per il contributo.

25 novembre 2023 – “Per voi che vi sentite assolti”

Novembre 2023, la storia si ripete: l’ennesimo uomo ha deciso di uccidere una donna e siamo già stufe del can can mediatico che si scatena ogni volta che succede. Siamo stufe della narrazione del bravo ragazzo, di quanto fosse un gesto inaspettato, di quanto sia così incredibile e, a parole, inaccettabile quanto avvenuto. Lo sottolineiamo: A PAROLE è inaccettabile, perché, nei fatti, nulla si muove affinché qualcosa cambi davvero.

Hanno ragione le voci che si levano a denunciare il femminicida come figlio sano di questa società, a sottolineare che non sia una mela marcia, ma la norma.
Sappiamo che il femminicidio è solamente l’apice della violenza di genere, l’atto finale di una credenza pervasiva, come espresso con forza da Elena Cecchettin, che il patriarcato vorrebbe vedere zitta e piangente in casa. A lei va tutta la nostra solidarietà in questo momento. Sappiamo -come lei- di vivere in una società misogina, sessista, omofoba, transfobica, razzista e classista, costruita per porre al vertice della piramide l’uomo (principalmente bianco eterosessuale e cisgenere) ed è a voi uomini che ci rivolgiamo.

Voi uomini siete responsabili, nessuno escluso. Voi, anche voi che vi chiamate femministi, voi che vi chiamate compagni, magari antiautoritari e per questo vi credete “illuminati” o risolti.
Vi sentite a disagio? Vi fa arrabbiare se vi chiamiamo in causa? Bene: domandatevi perché. Soprattutto: domandatevi cosa avete fatto fino ad oggi per non meritarvi il nostro dito puntato.
Voi uomini etero-cis attuate quotidianamente scelte che mettono in pericolo le nostre vite. Ogni volta che alzate gli scudi e dite “ma io non ho mai fatto niente!”, chiedetevi esattamente cos’è questo “niente”: avete mai fatto veramente qualcosa? Avete reagito contro il catcalling? Contro le battute sessiste fatte nella compagnia di amici, a scuola, al bar, al lavoro, in palestra? Oppure avete preferito il quieto vivere e pensare che “in fondo è un mio amico, lo conosco, non farebbe male a una mosca”? Avete agito quando il vostro amico, il vostro compagno ubriaco molestava qualcuna alle feste perché “tanto, si sta solo divertendo un po’…è innocuo” o “va beh è solo un po’ pesante”? Avete finto di non capire il concetto di consenso con la scusa di essere brilli e di starvi solo godendo la serata? E che, in fondo, chiedere – e chiedere, e chiedere, e chiedere, e chiedere finché non cedono – è lecito e non una violenza?
O avete pensato “Che male c’è? E’ il gioco della seduzione!” mentre fingevate di non sapere che insistere, prendere per sfinimento, approfittare di una vulnerabilità che sia psicologica o data da sostanze, non è “provarci”, ma agire potere e violenza?
E quando siamo venute da voi a dirvi che il vostro amico o il vostro punto di riferimento nel movimento è uno stupratore, un violento, a chi avete scelto di credere? Avete trovato difficile pensare che la nostra versione fosse reale? Avete deciso che era più facile invocare le “situazioni fumose”, le “relazioni complicate”, le “violenze da entrambe le parti” o l’alcol?
Siete corsi subito sulle barricate dicendo “bisogna confrontare le versioni dei fatti” obbligando lei a rivivere la violenza e a produrre le “prove” come fanno i tribunali che tanto odiamo? Per poi confrontarle e metterle sullo stesso piano – come se ci fosse un piano comune!- e infine giudicare se questa versione fosse più o meno convincente? Avete messo in discussione la parola di una donna che denunciava una violenza solo perché non incarna lo stereotipo della “vittima” così come ce la disegna il sistema: “mansueta, disperata, sottomessa al dolore, indifesa, docile e pure zitta”? Ma magari è stata anche un po’ stronza? Assertiva? Vendicativa? E in base a questo avete fatto passare la violenza in secondo piano? Avete pensato: “Se l’è andata a cercare” o “Una persona che ha subito una violenza non avrebbe reagito così”, “Perché ha lasciato passare tanto tempo prima di dirlo? Perché è rimasta in quella relazione? Perché non si è difesa? Perché ha continuato a frequentare quell’uomo che l’ha stuprata, molestata, ha agito violenza e controllo?”? Avete pensato “Che esagerata!” come se ci fosse un modo per reagire alla violenza unico e inequivocabile?
Ogni volta che avete dato spazio a queste domande avete agito il patriarcato.
Ogni volta che avete invalidato la parola di una donna che denuncia violenza, che avete ribaltato la responsabilità su chi l’ha subita, avete tolto la responsabilità a chi l’ha agita e ne siete diventati complici.
Voi siete il problema: perché è facile dire “non tutti gli uomini”, ma poi è sempre un uomo. Ancora un uomo. L’ennesimo uomo assassino o stupratore. Il vostro fratello, il vostro amico, il vostro compagno. Voi.
E noi siamo qui a ricordarvi questo e anche un’altra cosa: ogni volta che vi siete sentiti offesi ed esclusi di fronte al separatismo, ogni volta che vi è venuto il fastidio davanti alla scelta delle donne e delle dissidenze di genere e sessuali di organizzarsi per i fatti propri perché vi siete sentiti esclusi o minacciati e avete impedito a queste persone di organizzarsi per colpire un sistema che le opprime chiamandole “lotte identitarie fini a se stesse, perché in realtà siamo tutti oppressi di fronte al sistema”, ogni volta che avete detto “Ci sono problemi più importanti”, avete scagliato la VOSTRA RESPONSABILITÀ lontano, indebolendo il nostro attacco e difendendo quel sistema di cui non siete altro che complici. Non c’è niente di già risolto dentro di voi: è tutto vivo e vegeto e continuate a replicarlo.
Ma se voi potete permettervi di autoassolvervi, noi continueremo ad accusarvi, finché non inizierete a dimostrare che siete veramente dalla nostra parte e non solo quando c’è da stracciarsi le vesti perché “come abbiamo potuto non accorgerci?”. Perché i segni ci sono sempre stati, ma avete preferito pensare che dietro la definizione di “attivista” o di “alleato femminista che scende in piazza” si trovasse una “tana libera tutti”. I segni ci sono sempre stati, attorno a voi e dentro di voi, ma avete scelto di fingere consapevolezza senza mai intraprendere un percorso vero.

Avete preferito continuare a uccidere le donne, invece che la maschilità egemone dentro di voi.

Laboratoria TFQ Udine

 

BOLOGNA: CORTEO CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO

Diffondiamo un piccolo racconto, senz’altro parziale e non esaustivo, del corteo di ieri contro la violenza maschile e di Stato, che ha scaldato il cuore di molte compagne, e anche il nostro. 💜​​​🔥​

Ieri a Bologna un centinaio di compagnx, sorelle, donne, frocie, soggettività queer e non binarie, sono scese in strada, spalla a spalla, contro la violenza maschile e di Stato, per unirsi alla marea di rabbia che ha invaso Roma, cosi come tante altre città.

Il corteo ha attraversato la Bolognina, quartiere storicamente popolare preda di un violento processo di gentrificazione e militarizzazione, fino a raggiungere il centro, in Piazza Verdi.

È stato detto forte e chiaro che se le forze dell’ordine pensano di poter saccheggiare una rabbia che non gli appartiene e che gli è ostile, hanno capito male, che questa sicurezza che spettacolarizza e strumentalizza episodi di violenza per fare pinkwashing istituzionale e coprire campagne securitarie, discriminatorie e razziste, fa parte del problema, non è la soluzione; che se pensano di legiferare sui corpi delle donne, per assoggettare altri corpi, troveranno la strada sbarrata.

Si è ricordato come il sistematico annientamento all’interno delle città di spazi di intersezione e solidarietà alimenti processi di desolidarizzazione nei quartieri, quando é proprio la conoscenza reciproca in quartiere che tante volte ha impedito alla violenza di rimanere un fatto privato, a pemettere che fosse socializzata e affrontata.

Si è ribadito che una società che si autoassolve e che delega a esercito e militari un problema sul quale essa stessa si basa non fa la sicurezza di nessunx, che chi stupra e uccide è un uomo, non un immigrato, e anzi, più spesso è il “bravo ragazzo”, quello “conosciuto”, “inserito”, che “non farebbe male a una mosca”.

Si è ricordata la storia che si ripete da secoli, a ciclo continuo, che stronca le vite di compagne e sorelle per il desiderio maschile di dominarle, assoggettarle, annichilirle, e quanto il risentimento dell’assassino di Giulia verso la sua autonomia sia in perfetta continuità con la violenza istituzionale perpetuata dall’attuale Presidente della Camera Lorenzo Fontana, che accusa della crisi sociale proprio le donne che studiano, pensano, si laureano, non si dedicano alla famiglia e non fanno figli.

Si è gridata l’ostilità verso una società che intende ridurre i corpi femminili al loro ruolo riproduttivo, utili solo come dispensatori univoci di cure sempre disponibili, dediti all’uomo, al padre, al capo, a riprodurre lo stato nazione bianco.

È stata portata per le strade la voce delle soggettività trans, queer, non binarie e intersex in carcere, sono state ricordate le compagne detenute e tutte le persone che subiscono la violenza della reclusione.

E’ stata portata solidarietà alla resistenza dei movimenti femministi palestinesi e a tutte le donne, le soggettività frocie, queer e non binarie, che stanno lottando per la libertà e per l’autodeterminazione, contro il saccheggio colonialista e imperialista delle nazioni, tutte.

E’ stata ribadita l’importanza dell’autodifesa, della sorellanza, di riprendersi strade e spazi, perché nessuna sia lasciata sola con i propri guai e con la propria rabbia, perché non saremo mai libere finché tuttx non saranno liberx!


BOLOGNA: CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO

BOLOGNA: CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO

Diffondiamo un testo scritto a Bologna da alcune compagne eretiche, transfemministe e antiautoritarie:

CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO. Ci proteggono le nostre compagne non il pacchetto sicurezza 

Abbiamo appreso con rabbia e dolore che Giulia Cecchettin è la 105esima vittima di femminicidio di quest’anno. Vorremmo dirci stupite, ma lo sapevamo già tutte. È la storia che si ripete da secoli, a ciclo continuo, che stronca le vite di compagne e sorelle per il desiderio maschile di dominarle, assoggettarle, annichilirle.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una crescente spettacolarizzazione dei casi di violenza di genere che hanno ricevuto attenzione mediatica, la dinamica è sempre la stessa, mentre si racconta morbosamente la violenza nei minimi dettagli, costringendo la persona coinvolta a ripercorrere costantemente l’accaduto, si cerca di fissare una distanza tra chi commette violenza e la società civile. Lo abbiamo visto succedere a Palermo e lo stiamo rivedendo accadere in questi giorni: chi ci stupra o uccide diventa il “mostro”, il “pazzo”, l'”animale”, troppo difficile ammettere che invece si tratta di una persona “inserita”, conosciuta, un compagno, un amico, un familiare, un conoscente, “quello che non farebbe male a una mosca”, è lo stesso motivo per cui in tante circostanze non siamo credute. È questa normalità che riproduce relazioni di potere e assoggettamento che combattiamo, in famiglia, nelle case, sul lavoro, per le strade.

Si è parlato in questi giorni con indignazione del risentimento che l’assassino mostrava nei confronti della laurea imminente di Giulia, incapace di accettarne l’autonomia, i traguardi, ma se scaviamo, l’odio covato da quest’uomo non ci stupisce e ritorna ben presto familiare. Lorenzo Fontana, attuale Presidente della Camera ed ex ministro della famiglia e della disabilità, figura cardine del Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona del 2019, nel suo testo “La culla vuota della civiltà: all’origine della crisi” senza tanti giri di parole accusa della crisi in corso proprio le donne. Donne che studiano, pensano, si laureano, non si dedicano alla famiglia e non fanno figli. Secondo l’ex ministro attuale Presidente della Camera sono le donne che si sottraggono al loro ruolo di riproduttrici e ancelle del focolare che creano la crisi della nostra società, non chi sfrutta e si arricchisce sulla pelle di comunità e territori, annientandoli. Fontana del resto non fa altro che inserirsi in una lunga genealogia di attacco ai nostri corpi: non dimentichiamo che l’aborto, oggi più che mai minacciato – anche a causa di una normativa che spesso impedisce fattivamente di abortire – era, secondo il codice Rocco, un reato contro «l’integrità e la sanità della stirpe». Una donna non può scegliere se essere madre o se non esserlo: deve riprodurre la società che le uccide, altrimenti è una donna snaturata. Mentre sui giornali si parla di emergenza femminicidi e di uomini impazziti che cedono a raptus, ci si dimentica della continuità storica tra la violenza istituzionale nei confronti delle donne e ciò che si riproduce nelle case e per le strade. Una lunga tradizione di oppressione se si pensa che oltre alla negazione del diritto all’aborto, in Italia il delitto d’onore e il matrimonio riparatore sono rimasti in vigore in Italia fino al 1981.

Omicidi e violenze non sono casi isolati, non sono emergenze improvvise dove lupi venuti dal nulla fanno sembrare la nostra rassicurante quotidianità una serie di true crime. La violenza di genere non è un “problema di ordine pubblico” ma qualcosa di strutturale e sistemico che pervade ogni ambito della nostra normalità. Le lacrime di coccodrillo di una società ipocrita a pochi giorni dal 25 novembre non ci interessano.

Amaramente possiamo pensare che, sì, i nostri corpi valgono, amaramente… perchè nella società capitalista e coloniale i nostri corpi valgono solo quando la loro messa a valore è funzionale a riprodurre lo stato nazione bianco, quando reggiamo le famiglie sulle nostre spalle, quando scandiamo la nostra esistenza tra il lavoro salariato sfruttato e gli istanti di un lavoro domestico invisibilizzato. I nostri corpi valgono se siamo dispensatrici univoche di cura, dedite all’uomo, al padre, al capo, sempre disponibili al ruolo di accudimento. I nostri corpi valgono nella misura in cui sono utili alla propaganda dell’emergenza del politicante di turno che vuole assicurarsi qualche voto in più promettendo “sicurezza contro le barbarie”. Una sicurezza che si pretende arrivi senza che sia messo in discussione l’assetto sociale, e che si traduce nel razzismo sulle persone migranti, nella classificazione di “zone della paura”, nell’aumento di militari e polizia per le strade, in retate nei quartieri, arresti e carcere.

Secondo i dati istat, i crimini violenti si sono sistematicamente ridotti dal 1980 a oggi. L’unico dato in lieve aumento sono appunto i femminicidi. Quella che è cambiata radicalmente, in questi anni, è la percezione di un’assenza di sicurezza. Addomesticatx da anni di retoriche dell’emergenza, ci siamo piegatx alla paura, sempre più alienatx. E così ritorna il vecchio motivetto colonialista e fascista: bisogna proteggere le nostre donne dal pericolo nero. Si legifera sui nostri corpi per assoggettare altri corpi, generalizzando risposte punitive e repressive su parti di popolazione proveniente da specifici contesti sociali e territoriali. Il nome di un luogo che ha visto coinvolti ragazzi minorenni in gravi atti di violenza di genere, diventa il nome di una legge in cui la violenza di genere non è assolutamente il focus dell’intervento ma soltanto il pretesto per prendere provvedimenti di natura autoritaria verso fasce di popolazione già marginalizzate come i minorenni delle periferie.

A Bologna in questi giorni un giornale locale riportava che “sono stati soprattutto giovanissimi nordafricani gli autori di violenze sessuali in luoghi pubblici a Bologna.” Giovane, nordafricano, stupratore. Questa l’equazione di chi vuole parlare alle pance per raccogliere consenso.

Non ci rende sicure una società che si autoassolve e che delega a esercito e militari un problema sul quale essa stessa si basa. La divisa che ci bastona per le strade e ci incarcera quando ci difendiamo o lottiamo per una vita radicalmente diversa fa parte del problema, non è la soluzione. Di questa sicurezza che istituzionalizza e riproduce l’uso patriarcale della forza e della prevaricazione non ce ne facciamo nulla. Non sarà armare di più le forze dell’ordine a renderci sicure. Non sarà un inasprimento delle punibilità su chi usa violenza, che fermerà la violenza.

Desideriamo ripensare a tutto un altro genere di sicurezza, a tutto un altro genere di famiglia, a tutto un altro genere di comunità e di vita, che metta in discussione alla radice la violenza maschile e lo sfruttamento predatorio che si abbatte anche sugli altri corpi, che rimetta al centro la sorellanza, la solidarietà tra oppressx, la lotta per un mondo di libere e uguali, la cura reciproca e l’autodeterminazione.

Bologna, novembre 2023

Alcune compagne eretiche, transfemministe, antiautoritarie

“PER TUA SOLA COLPA” OPUSCOLO/MOSTRA SUL D.L. CAIVANO

Diffondiamo da La Vampa una mostra sul d.l. Caivano per la libera divulgazione.

“Nonostante la grande attenzione mediatica agli episodi di cronaca, la violenza di genere non è assolutamente il focus dell’intervento governativo, ma diviene un mero pretesto per prendere dei provvedimenti di natura autoritaria verso – in questo caso – i minorenni delle periferie.”

Di seguito disponibile in due versioni: pannelli mostra, opuscolo.

ROMA: APRIAMO LA STREET PARADE CON UN CARRO CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE

Diffondiamo da L38Squat:

APRIAMO LA STREET PARADE “IL GRIDO DELLE PERIFERIE PRENDE FORZA IN STRADA” CON UN CARRO CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE

Saremo in testa alla street parade e non vogliamo che siano altri a parlare al posto nostro.

Ogni giorno i quartieri popolari vengono dipinti come “terra di nessuno”, facile teatro di violenze contro le donne e la gente che li abita come complice silenziosa.
L’Italia femminicida utilizza i mezzi d’informazione per cristallizzare la violenza. Ogni giorno veniamo bombardatx dalle notizie mediatiche con i particolari scavati nella vita delle donne uccise da mariti, fidanzati, amici cugini e zii senza che venga mai rivolta un’accusa alle fondamenta di una società basata sulla sopraffazione.
La politica difende il potere patriarcale e strumentalizza gli episodi di violenza maschile sulle donne per campagne securitarie che hanno lo scopo di terrorizzarci, disciplinarci e spingerci a restare chiuse in casa. La risposta politica ai più eclatanti episodi di violenza sono blitz di polizia nei quartieri popolari, i militari nelle stazioni e un innalzamento delle pene e tutto ciò niente ha a che fare con il contrasto alla violenza sulle donne. Le tante politiche di populismo penale fatte sulla nostra pelle non hanno mai prodotto alcun risultato: i dati pubblicamente noti che riguardano la violenza maschile sulle donne sono invariati. Mai viene nominata l’importanza delle reti di solidarietà e sorellanza, mai ci si riferisce al lavoro dei centri antiviolenza, mai si parla della necessità di educare contro gli stereotipi di genere che collocano le donne sotto il controllo degli uomini.
Viviamo nelle occupazioni di case, sbarriamo i portoni per portare solidarietà a chi è sotto sfratto, ma sappiamo bene che spesso le mura domestiche sono tutt’altro che luoghi sicuri per noi perchè è proprio in famiglia che avviene il maggior numero di violenze.
Chi parla al posto nostro non sa che alcune volte è stato proprio il senso di appartenenza e la conoscenza reciproca in quartiere a permettere a molte di noi di cavarsela, impedendo che la violenza restasse un fatto privato.
Se il primo passo è riconoscere la violenza che su di noi viene agita, il secondo è avere la possibilità di fuggirne. Sappiamo quanto è complicato riuscirci quando non hai una indipendenza economica o una rete di relazioni su cui poter contare.
Questo è per noi un motivo in più per scendere in strada e darci forza insieme, perché nessuna venga lasciata sola coi propri guai. Lo facciamo con la musica che piace a noi, con lo spirito alto di chi non je la darà mai vinta.
Venerdì 27 ottobre – ore 18.30
Partenza dal primo ponte del quartiere Laurentino 38
(via Ignazio Silone altezza via Gian Pietro Lucini)

FIRENZE: PRIDE FAVOLOSKA [30 SETTEMBRE]

Diffondiamo la chiamata della Pride Favoloska… e ci vediamo in strada! 💜🔥

PRIDE TRANSFEMMINISTA QUEER NAZIONALE  – Concentramento ai Giardini della Fortezza ore 17:00,  Firenze.

Le aggressioni subite dallx compagnx queer durante i pride a Firenze, Novara e Rimini, non sono una novità di quest’anno. Esse si inseriscono in un contesto di esasperazione da parte di un certo associazionismo lgbtqia+ che vuole cancellare politica e lotta dai pride. Questo clima, unito alla repressione dello stato, non ci farà tirare indietro o scadere in narrazioni vittimiste: una risposta di piazza significa costruire una realtà alternativa alle loro sfilate prive di ogni conflittualità e politica.

FAVOLOSE: Non siamo orgogliose di amare, o di essere uguali al resto dell’umanità. Siamo orgogliosx di aver preso a pietrate gli sbirri le notti di Stonewall, della Compton Cafeteria e dei White Riots. Orgogliose di aver sabotato a San Remo il congresso dei sessuologi con le fialette puzzolenti. Siamo orgogliose dellx femminellx sulle barricate, della potenza rivoluzionaria delle nostre lotte. Siamo orgogliose della nostra storia, di sapere bene come la nostra comunità ha preso le libertà che ha ottenuto: a pietrate sulle guardie, assaltando municipi e occupando case vuote, non certo votando il PD o scendendo a patti col potere.

LOSCHE: In un momento storico in cui il diritto di manifestare e di dissentire sta finendo sotto gli anfibi militari, ci preme ricordare che abbiamo smesso di chiedere il permesso di esistere tanto tempo fa. Scendere in piazza per noi significa prenderci uno spazio e non chiederemo scusa per farlo. In un paese che si fregia di diritti umani ma che utilizza ancora un codice fascista per la “pubblica sicurezza”, atto a reprimere la libertà di manifestare, che utilizza norme fasciste mai abolite per cacciare dalle città chi si ribella. Tra sgomberi, misure cautelari e preventive, “terrorismo” affibbiato sempre di più a chi lotta per case per tutti, contro la povertà e contro le discriminazioni. Ribadiamo che coloro che fanno vivere nel terrore, che, mentre blaterano di nonviolenza e dialogo, distruggono qualsiasi cosa intralci il loro cammino, sono i fautori di questo ordine.

ECOLOGISTE: La Terra è sotto attacco da quel capitalismo che sfoggia arcobaleni a giugno mentre devasta mari e terre. E’ nella nostra essenza di transfinocchie difendere la Terra. Non ci venderemo per un carro della coca cola al pride. Siamo solidali con chiunque agisca per difendere la Terra. Ci opponiamo a ogni grande opera che è utile solo a ricchi e padroni. Solidali e complici con la liberazione animale. Per poter sfrociare liberamente abbiamo bisogno di un pianeta dove non si soffochi, non di arcobaleni di plastica.

INCLUSIVE : Appiattire i pride non cancella la rabbia. “Il pride è per tutti” raccontano gli infami aggressori dell’associazionismo lgbt borghese e bianco. Certo, se se sei un bianco ghei cis borghese la polizia per te è utile. Ma ci siamo anche noi, che con la loro violenza abbiamo a che farci ogni giorno. Non dubitiamo che ciò sia incomprensibile a molti.Ciò che invece è semplice comprendere è il significato di inclusività: includere gli oppressi, non gli oppressori. La nostra pride include le migrantx che abbattono le frontiere, le lavoratricx e le disoccupatx, le ribellx, le redditatedicittadinanza, le bidelle lelle, le metalmeccaniche insorgenti, le puttane in lotta, le finoqquie che non arrivano a fine mese, le commesse stanche di sorridere a ricchi e padroni, le detenute in sciopero della fame e le recluse nei lager CPR. Chiunque senta che questo mondo non sia proprio il migliore possibile, ma non chi difende la miseria, i fili spinati, le galere. Non includeremo mai chi del fare guerra ai popoli ne ha fatto il proprio mestiere; il fascino della divisa non lo subiamo.

ANTIMILITARISTE: Non c’è guerra che come translellefroce sentiamo nostra. Non c’è stato né esercito che riconosciamo di pubblica utilità alla nostra comunità. Rifiutiamo la guerra, ma rifiutiamo anche la logica della sua accettazione passiva. Chi fa la guerra sappiamo benissimo chi è. Il nostro orgoglio è fermare i carichi di armi diretti al fronte, abbassare i profitti di chi con la guerra si compra lo yacht di lusso. Nella nostra comunità non c’è spazio per guerra ed eserciti, confini e muri. Il nostro pride è intralciare i loro piani in ogni maniera.

PROTAGONISTE: Sappiamo benissimo dell’uso strumentale del termine “antagonista” usato dall’associazionismo gay come dalla democrazia cristiana. Ci rivendichiamo di certo l’essere antagoniste verso il mondo capitalista, ma nel nostro pride ci sarà spazio anche per il nostro Protagonismo, quello di tutte le translellebiqueeraceunicornaliene che vi parteciperanno, perché è uno spazio che ci prendiamo per tutte noi e per quelle di noi che in piazza non ci possono essere più!

AUTODIFESE: Non ci protegge lo stato e non ci protegge la polizia. E non abbiamo alcuna intenzione di vendere le nostre cule per chiedergli di farlo. Sosteniamo profondamente la dignità di difenderci da sole e collettivamente. Costruiamo reti di autodifesa, costruiamo una comunità che davvero pensi al bene dell’altrx, e alla nostra sicurezza, autogestendocela come finocchie. Non siamo sicure in piazze piene di militari e volanti ma lo siamo in piazze piene di transphroce e alleate con cui costruire la nostra sicurezza.

SCIOPERANTI: Il lavoro non nobilita l’uomo e non nobilita noi transprocione. Lavorare per il profitto di pochi, guadagnare qualche spicciolo che non ci basta neanche per il mascara, ci priva di quella dignità di cui la comunità lgbtqia+ da sempre è estremamente fiera: la dignità di non cedere, di stare sempre a testa alta. Il nostro pride porta orgogliosamente solidarietà e complicità con tuttx coloro che stanno scioperando, picchettando, bloccando la produzione, che mandano a fanculo il proprio capo, che non hanno la forza di farlo ma vorrebbero. Mentre arcigay & Co si fa sponsorizzare da Deliveroo e altri sfruttatori, ci rivolgiamo alle froce e alle alleate nelle fabbriche, nelle grandi catene, a tutte coloro che di essere costrette a dare i propri giorni a infami sfruttatori, non ne possono più.

SIEROPOSITIVE: La nostra pride è orgogliosamente infetta, rifiuta ogni stigma e violenza che colpisce le persone. Non c’è colpa nell’avere una malattia, siamo orgogliosamente tutte infette e a difesa delle nostre sorelle. Non dimentichiamo il ruolo di stati e polizie nel lasciarci morire durante una pandemia, gridiamo rabbiosamente vendetta per tutte quelle che abbiamo dovuto piangere per l’ignavia di una società che ora ci chiede pure di stare in silenzio.

OCCUPATE: La casa è un diritto. Eppure nessunx di noi quasi ha una casa dove stare. In una città con migliaia di edifici vuoti rivendichiamo la pratica di togliere un po’ di lusso ai signori della città e costruire sfamiglie in case strappate alla speculazione. La nostra pride è schierata contro ogni sgombero e sfratto. Non si può pagare 600 euro al mese per una stanza, prendiamoci le case e non paghiamo più!

DEGRADATE: La gentrificazione e la repressione del decoro ci rende impossibile vivere nelle nostre città. Certa parte di associazionismo lgbt+ ha strizzato l’occhio a queste politiche per avere spazi commerciali e brandizzabili nel lunapark turistico. Alla norma decorosa reagiamo con il degrado dei nostri corpi fastidiosi, la nostra povertà disturbante. Ai Dehors contrapponiamo piazze piene di vita e orge nelle pubbliche vie, quartieri restituiti a chi li abita e ritorno delle comari di quartiere al posto delle guardie. Rivogliamo la nostra città e vogliamo viverci senza dover vendere un rene. Vogliamo i quartieri pieni di vita e non di merce e turismo di lusso. La nostra pride non sarà una parata per i selfie dei turisti. Siamo il degrado che non riuscite a ripulire. Ogni student hotel e Airbnb saranno occupati!

SCARCERATE: Il carcere è parte del problema non della soluzione. Se il carcere fosse una cosa davvero funzionante, ce ne dovrebbero essere sempre di meno. Il fatto che invece aumentino dà una chiara spiegazione del loro vero ruolo: discariche sociali dove allontanare chi sbaglia e non risolvere minimamente le problematiche di questa società che, spingendo alla miseria quasi tutti, non ha altra soluzione che manganelli e gabbie. Abolire il carcere è necessario, e non c’è transfemminismo in un mondo che ha bisogno del carcere.

ANTIRAZZISTE: Sappiamo bene i pilastri su cui si regge questa società. Non basta come fanno i pride ufficiali scrivere antirazzismo e far due interventi per fermare il razzismo. Con i governi stragisti, con chi fa patti con gli sgozzagole libici, con chi costruisce lager (Cpr) in tutta Europa, con chi alza muri alle frontiere e schiera polizia, con chi fa affogare gente in mare, non abbiamo niente da spartire. Non c’è partito che non abbia fatto guerra ai migranti, usando poi le istanze lgbtqia+ per pulirsi la faccia, ben accolto da quei traditori dell’associazionismo gay borghese. Tutta questa ipocrisia deve finire. L’Europa sta facendo un genocidio, e tutti i suoi governi ne sono complici. La nostra Pride vuole ribadire l’odio per il razzismo di stato, il sostegno alle rivolte e alle resistenze dei migranti in Italia e alle frontiere. Libertà per tuttx lx migrantx! Distruggiamo i confini di genere e prendiamo a pietrate quelli degli stati!

Il 30 settembre vogliamo dare una risposta di piazza che ridia senso al concetto di pride, di queer, di rivolta e di lotta. Questo è quello che vogliamo costruire, invitando tuttx quellx che sono stanchx di brand, sponsor e polizia ai pride, a scendere in piazza.

Un pride costruito da e per le persone lgbtqia+. Un pride di lotta intersezionale, che riconosce che la lotta per la libertà è una sola. Una pride che dia spazio ai nostri corpi brutti, non conformi, disabili, neurodivergenti, e non a vetrine di corpi normati dall’estetica imposta.
Un pride schierato in modo chiaro contro ogni discriminazione, che abbatta l’ipocrisia di collaborare con chi ogni giorno ci attacca e ci agisce violenza.
Un pride autogestito, ribelle, gratuito, senza profitto. Un pride che festeggi le sassate di stonewall, le ribellioni in giro per il mondo, come fu concepito alla sua nascita.

Canali e riferimenti: facebook “Favola Loska” – Instagram “favolosk3_1812″


1/10/2023 Assemblea nazionale delle collettive e individue tfq a Firenze.

Gli attacchi subiti ai pride di varie parti d’Italia mostrano che il modo di agire dell’associazionismo lgbt+ ,da sempre schierati con la pacificazione delle lotte, ha preso le forme fisiche dei manganelli degli sbirri che evidentemente tanto gli piacciono.
A tutto questo ci è sembrato doveroso reagire facendo una chiamata nazionale di piazza a Firenze.
Ma sappiamo che una data non può bastare, e la necessità di una rete che dichiari apertamente conflitto con chi si schiera con gli oppressori, invece che cercare dialogo o posto nelle sue file, sia ormai tra le priorità.
Per questo chiamiamo a raccolta tutte le individue e le collettive lgbtqia+ da tutti i territori per conoscerci e costruire una rete con progettualità riguardo i percorsi di contestazione ai pride istituzionalizzati e alla costruzione di lotte translellebiqueeer.
Una necessità che sappiamo essere non solo nostra. Ci vediamo dopo il pride, domenica 1/10/2023 h 11.00 al CPA Firenze Sud.

COS’È SUCCESSO AL TOSCANA PRIDE DI FIRENZE

Diffondiamo il comunicato della Favoloska Ribellione di Firenze, ringraziando le compagnx che l’8 luglio si sono presx l’onere e la gioia di portare la loro scomoda presenza nell’ambito del Toscana Pride, aprendo una conflittualità che crediamo non solo necessaria, ma auspicabile e desiderabile. Speriamo sia un esempio per moltx, speriamo sia solo l’inizio!

Dopo essere stat3 circondate dalla digos che non voleva farci unire al pride, dopo che è stata “concessa” all3 froc3 la testa del corteo, lo stesso Toscana Pride che si rivendica le rivolte di Stonewall ci ha impedito di fare un intervento sul palco, davanti a una piazza mezza vuota, facendoci allontanare dalla celere a suon di manganellate. Toscana Pride si rivendica di difendere i nostri corpi, e allo stesso tempo ci schiera contro la polizia che, secondo loro, “non è un pericolo per le persone queer”.

Siamo fier3 delle manganellate che ci siamo pres3 sotto quel palco,
perché sono la dimostrazione dell’ipocrisia di Toscana Pride e di tutte le associazioni che ne fanno parte, che pretendono di parlare a nome di tutt3 13 froc3 e allo stesso tempo ci silenziano con l’uso della forza della polizia, dicendoci che “ce le siamo cercate” e che “non ce ne hanno date abbastanza”, e poi ci scherniscono da sopra un palco sul quale noi froc3 non conformi e non silenzios3, a quanto pare, non siamo 13 benvenut3.

Le istituzioni e i pride istituzionali e commercializzati, come si dimostrava quello di ieri con il suo carro di Student Hotel, sono la bugia continua che ci mantiene oppress3.

“Con un mattone è iniziato, con un manganello è finito” avevamo scritto in un altro comunicato, bene state sicur3 che i manganelli di ieri non pongono fine a niente, così come non hanno mai posto fine alla lotta frocia.

Secondo l’intenzione era quella di spaventarci, noi rispondiamo che i manganelli non ci hanno mai fatto paura. Ci subiamo violenza quotidiana da tutta la società e sempre, come adesso, rispondiamo con orgoglio, lotta e RESISTENZA FROCIA!