UNA RIQUALIFICAZIONE SPIETATA

Diffondiamo un contributo contro la riqualificazione del Parco Don Bosco e delle Scuole Besta a Bologna.

Da: Senza chiedere permesso – Mercatino autogestito delle autoproduzioni.

Impossibile non incontrarsi nella solidarietà contro la riqualificazione del Parco Don Bosco e delle Scuole Besta:

Parliamo di oltre 18 milioni di euro per abbattere decine di alberi ad alto fusto, distruggere la fauna presente, demolire la scuola esistente e ricostruirne una nuova accanto – “green” – asfaltando il parco. Un vero capolavoro.

La cementificazione del parco Don Bosco è il volto di una città che non guarda in faccia a nessuno: abitanti, insegnanti, ex insegnanti, genitori di alunnx ed ex alunnx, associazioni.

Non servono grandi analisi, il grido delle Scuole Besta in lotta è inequivocabile: l’edificio più green è quello che è già in piedi.


L’uso strumentale della retorica green, della cooperazione, della partecipazione e dell’inclusione, si schianta con le rivendicazioni di chi gli spazi li vive dal basso.

Non si può accettare in nessun modo la devastazione di un parco frequentato e amato da tuttx gli/le abitanti del quartiere, e la conseguente distruzione di uno dei pochi polmoni verdi nella sempre più cementificata zona Fiera, dove l’aria che si respira è tra le più inquinate d’Europa.

Un progetto, la nuova scuola, in cui si ostentano paroloni come “innovazione scolastica”, “pedagogia cooperativa”, “pedagogia laboratoriale”, quando l’operazione rappresenta un passo indietro non solo per quanto riguarda la sostenibilità e l’impatto ambientale ma anche dal punto di vista didattico: contrariamente alla scuola attuale – progettata alla fine degli anni ’70 con il lavoro congiunto di architetti, pedagogisti ed insegnanti – il nuovo progetto prevede una struttura rigida con aule e corridoi, senza quegli ambienti di espansione delle aule per attività di gruppo e lezioni flessibili, e senza la proiezione delle aule verso il giardino e l’esterno, che caratterizzano l’attuale scuola. Un’operazione che comporterebbe un significativo peggioramento della fruizione degli spazi, della didattica, della vivibilità della scuola e della salubrità degli ambienti per alunnx e insegnanti.

Un edificio che secondo la stesse leggi di chi governa dovrebbe essere tutelato in quanto bene artistico, storico e culturale, come avvenuto per un’altra scuola della stessa architetta, e su cui dovrà pronunciarsi la Soprintendenza ai beni culturali a febbraio.

Se è vero che le scuole Besta necessitano di lavori a causa dei deterioramenti subiti nel corso degli anni, della mancata manutenzione, degli adeguamenti alle normative antisismiche, della scarsa efficienza energetica, è vero anche che non c’è nessun motivo valido per abbatterle e non ristrutturarle.

Vi sono inoltre errori procedurali sui cui l’amministrazione sta tentando di glissare e che potrebbero ostacolare l’ignobile proposito demolitore. Il comitato nato a difesa del parco e della scuola, studiando le carte del progetto, ha scoperto che «per l’erogazione dei fondi del PNRR […] è necessario rispettare il cosiddetto principio DNSH, Do Not Significant Harm, ovvero “non arrecare danni significativi all’ambiente”. Un principio tecnico che deve essere contenuto in una relazione specifica. “Ma la relazione allegata alla delibera di approvazione del progetto non dimostra nulla — dice il comitato — perché è̀ stata utilizzata una scheda sbagliata della specifica Guida operativa del ministero dell’Economia e della Finanza, ovvero la scheda 2 delle ristrutturazioni invece della scheda 1 relativa ai nuovi edifici da costruire e interventi di demolizione e ricostruzione».

Mentre l’amministrazione cerca di convincere la cittadinanza della bontà dell’impresa parlando di rigenerazione dell’area verde nella zona di demolizione – quando è noto che questi suoli non si rigenerano con la bacchetta magica – nel progetto compare – magia, questa si! – la possibilità di destinare parte dell’area ad un eventuale parcheggio, qualora la vicina Fiera ne avesse bisogno.

Siamo convinte che non c’è ecologismo senza anticapitalismo e lotta di classe.

Capitalismo e violenza istituzionale sono due facce della stessa medaglia, una ricetta che la giunta PD ha imparato a vendere bene grazie a strategie di comunicazione e marketing di tipo aziendale.

Non si può guardare alla riqualificazione del parco Don Bosco senza inserirla nel processo che vede coinvolto in egual modo l’arrivo dell’alta velocità e la costruzione della nuova stazione, la Trilogia Navile, la Tettoia Nervi, l’opera di Giulia Srl e delle P Tower, il complesso Unipol, gli Student Hotel, le operazioni speculari in Cirenaica e nel quartiere San Donato, il Tecnopolo, la riqualificazione del polo fieristico, Fico, il People Mover, il Tram, il Passante di Mezzo.

Una città lanciata in corsa sul podio del prestigio europeo, lo stesso “prestigio” che determina un aumento generalizzato del costo della vita, che devasta pianure, Appennini e montagne, e che fonda le sua ricchezza su lavoro sfruttato e alienato.

Scelte politiche precise volte a una turistificazione selvaggia del territorio, che si abbattono sistematicamente su chi vive già discriminazioni di classe, genere e cittadinanza, creando terreno fertile per le destre xenofobe, pronte a raccogliere consenso cavalcando malcontento, paure e stereotipi.

Se a livello internazionale massacri, guerre e genocidi si intensificano, a livello locale aumenta lo sfruttamento, il disciplinamento e il controllo sociale: in ogni città le lotte per l’abitare e per la casa, così come quelle ambientaliste ed ecologiste, vengono duramente represse. La scuola, divenuta territorio di conquista militare, mostra sempre più il suo volto di agenzia al soldo del potere, volta a selezionare la nuova classe dirigente e la nuova classe da sfruttare. Ciò che rimane della sanità pubblica e territoriale viene inesorabilmente smantellato e privatizzato, per privilegiare paradigmi discrezionali di stampo classista e autoritario. Dentro le carceri, nei cpr, alle frontiere, si muore, mentre all’esterno vivere diventa sempre più difficile per moltx.

Una realtà in cui emerge sempre più evidente la necessità di sovvertire l’esistente e lottare!

SPECULAZIONE, PROFITTO E CEMENTO:
COMBATTEREMO CONTRO OGNI ABBATTIMENTO!

CON IL PARCO DON BOSCO E LE SCUOLE BESTA IN LOTTA,
CONTRO LA CITTÀ VETRINA

Versione del testo stampabile qui -> UNA-RIQUALIFICAZIONE-SPIETATA


Link utili:

https://www.wumingfoundation.com/giap/2023/12/balle-green-scuole-besta/

https://sollevamentiterra.noblogs.org/post/2023/12/13/chiacchiere-con-il-comitato-scuole-besta/

https://www.bolognatoday.it/cronaca/pnrr-via-conoscenza-bolognina.html


Le immagini nel testo con quelle “creature strane” sono tratte dal film “Guida Galattica per autostoppisti” ispirato al romanzo di Douglas Adams del 1979.

Per fare posto ad una superstrada alcune ruspe minacciano di demolire la casa di Arthur Dent; ma la sorte dell’abitazione di Arthur Dent è niente rispetto a quanto sta per accadere a tutto il pianeta: una flotta spaziale Vogon è pronta a demolire la terra per conto dell’Ente Galattico Viabilità, per far posto ad una nuova superstrada iperspaziale.

POPOLO DELLA TERRA, ATTENZIONE, PREGO. QUI PARLA LA COMMISSIONE PER LA PIANIFICAZIONE DELL’IPERSPAZIO GALATTICO. I PIANI DI SVILUPPO DELLE ZONE PERIFERICHE DELLA GALASSIA RICHIEDONO LA COSTRUZIONE DI UNA SUPERSTRADA IPERSPAZIALE ATTRAVERSO IL VOSTRO SISTEMA STELLARE. IL CHE RENDE SFORTUNATAMENTE NECESSARIA LA DEMOLIZIONE DI ALCUNI PIANETI TRA CUI IL VOSTRO. I LAVORI AVRANNO INIZIO IMMEDIATO E DURERANNO CIRCA DUE MINUTI TERRESTRI. GRAZIE.

I Vogon, le creature rappresentate nelle foto, sono ottusi burocrati zelanti che senza un ordine in triplice copia spedito, ricevuto, verificato, smarrito, ritrovato, soggetto a inchiesta ufficiale, smarrito di nuovo ed infine sepolto nella torba per tre mesi e riciclato come cubetto accendifuoco, non alzerebbero un dito per salvare nemmeno la propria nonna.
 La maggior parte dei Vogon è impiegata negli uffici della burocrazia galattica e nella Flotta costruzioni Vogon, un lavoro che permette loro di vivere una vita socialmente accettabile pur seminando distruzione nell’universo.

DECOLONIZZARE LA PALESTINA – La Palestina attraverso la storia e il rainbow washing di Israele

Riceviamo e diffondiamo:

“DECOLONIZZARE LA PALESTINA. La Palestina attraverso la storia e il rainbow washing di Israele”

Mentre è in corso l’ennesima tappa della guerra condotta dallo Stato di Israele contro la popolazione palestinese per la conquista dei suoi territori, pubblichiamo i testi di due persone palestinesi che ripercorrono la storia della colonizzazione delle loro terre e la propaganda di rainbow washing di Israele.

164 pagine, 9 euro a singola copia, 6 euro da cinque copie in su. Parte del ricavato del libro sarà benefit per un’organizzazione queer palestinese.

Per ordinare il libro: anarcoqueer@riseup.net

Dalla prefazione:

Al momento della compilazione di questo libro è in corso l’ennesima tappa della guerra condotta dallo Stato di Israele contro la popolazione palestinese per la conquista dei suoi territori. Una guerra che non ha avuto inizio nel 1948, ovvero l’anno della dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele, come ritengono erroneamente molte persone, ma è nata con lo sviluppo dell’ideologia sionista alla fine del XIX secolo, che scelse il territorio palestinese come destinazione del futuro Stato per il popolo ebraico. La migrazione di massa del popolo ebraico verso quelle terre cominciò quindi già alla fine dell’Ottocento, ma il fenomeno acquisì poi consistenza con la fine della prima guerra mondiale, quando la Gran Bretagna acquisì il controllo di quei territori strappati all’Impero Ottomano e si adoperò per sostenere con forza le aspirazioni del movimento sionista. Da allora, il popolo palestinese non ha conosciuto pace. Guerre e ribellioni si sono susseguite, ma la colonizzazione israeliana, con la conquista e il controllo di sempre nuove fette di territorio palestinese, avanza ogni giorno di più, lasciandosi dietro una scia di sangue che non è possibile ignorare. […] Con questo modesto contributo, che prevede la traduzione e la pubblicazione di alcuni testi che ripercorrono la storia della colonizzazione della Palestina e la propaganda di rainbow washing di Israele, tratti da un sito creato da due persone palestinesi residenti in Cisgiordania, speriamo di offrire un piccolo segnale di solidarietà che getti luce su quello che accade realmente in quella piccola porzione di territorio sotto costante assedio.

Prossima uscita delle edizioni Anarcoqueer prevista per gennaio 2024.

“Come stormi del caos. Un progetto queer nichilista e insurrezionale”

OPUSCOLO: SABOTARE LA MACCHINA IMPERFETTA

Diffondiamo questo opuscolo scritto tra l’estate del 2022 e quella del 2023 da alcunx compagnx attivx sul territorio siciliano, sulla macchina della deportazioni in Sicilia, con un focus specifico sul CPR di Caltanissetta.

SABOTARE LA MACCHINA IMPERFETTA- Deportazioni e resistenze dentro e oltre il CPR di  Pian del Lago di Caltanissetta.

PDF – Sabotare la macchina imperfetta

Dall’introduzione:

Questo opuscolo è stato scritto tra l’estate del 2022 e quella del 2023 da alcunx compagnx attivx sul territorio siciliano. Si incentra sulla macchina della deportazione in Sicilia, focalizzandosi su una struttura specifica – il centro polifunzionale di Pian del Lago a Caltanissetta – al fine di delineare alcune riflessioni più ampie sull’attuale funzionamento del regime di frontiera in Italia e in Europa. Pensiamo che la condivisione di queste informazioni, seppur specifiche e geograficamente situate, possa essere utile anche per altre zone di Italia al fine di sostenere le pratiche di lotta e resistenza di chi viene reclusx nelle carceri “per migranti” e provare così ad inceppare la guerra che lo stato e l’Unione Europea stanno conducendo contro chi, dai vari sud del mondo, cerca di riappropriarsi della libertà e della ricchezza che la democratica Europa coloniale ha loro sottratto e continua a sottrarre.
Per quanto ci riguarda, Pian del Lago, così come tutti i luoghi carcerari, di detenzione amministrativa e della cosiddetta “accoglienza” vanno chiusi. Non c’è soluzione riformista o di presunta umanizzazione di questi luoghi che possa essere praticata: siamo contro l’idea che le condizioni di questi luoghi si possano migliorare, come d’altra parte ci dimostrano da decenni reclusi e recluse e come dimostra anche la storia ventennale di Pian del Lago. I Cpr si chiudono bruciandoli, distruggendoli, si chiudono da dentro, e con il sostegno di chi, da fuori, sostiene le pratiche di chi in questi luoghi ci si ritrova, senza nessun moralismo di nessuna sorta. Da nord a sud, in centri più o meno oppressivi, detenuti e detenute hanno in questi venticinque anni chiuso i centri solo tramite le rivolte. Luoghi che, a differenza di quanto spesso si sente dire, non costituiscono un’eccezione, ma sono parte integrante, produttiva e funzionale del sistema militare delle frontiere e della violenza capitalista. Da venticinque anni abbiamo CPR e altri internamenti, da molto prima abbiamo forme di reclusione e sfruttamento verso le soggettività mostrificate dallo stato e i suoi padroni.
Abbiamo quindi organizzato questo opuscolo attorno ad alcune sezioni: la ricostruzione di una genealogia dei CPR in Sicilia, che permetta di essere consapevoli da una prospettiva storico-politica delle dinamiche repressive che si sono susseguite fino ad ora e che potranno aprirsi in futuro; un focus specifico sul CPR di Caltanissetta, i suoi enti gestori e il vario indotto; le tecniche di militarizzazione contemporanee di questo tipo di strutture nonché le modalità concrete con cui le deportazioni avvengono; le forme di resistenza che sono state fino ad ora possibili.
In conclusione, riportiamo tre contributi, uno uscito su “Il Rovescio”, uno sulla rivista “Lo stato delle città” e uno sul sito “Napoli Monitor”, riguardanti le lotte del 2022 e del 2023. Si tratta di una prima versione, che diffondiamo vistane la necessità.

 

NOTE A MARGINE SULLE PERQUISIZIONI DI BOLOGNA

Riceviamo e diffondiamo un testo a cura di alcunx indagatx con qualche riflessione a seguito delle 19 perquisizioni avvenute il 16 novembre scorso tra Bologna, la Lombardia e il Trentino. Qui la versione in pdf.

NOTE A MARGINE SULLE PERQUISIZIONI A BOLOGNA

Dopo una pigra estate di accertamenti da parte dei RIS di Parma sui materiali rinvenuti nei luoghi dei fatti contestati, l’indagine che vedeva 6 compagni/e coinvolte ha preso un nuovo slancio. Le perquisizioni avvenute a metà novembre a carico di 19 persone (due in trentino, una nel bergamasco e le restanti a Bologna) ci rendono noto come il bacino di accusati/e si sia allargato. La presunta associazione con finalità di eversione dell’ordine democratico è ora a carico di 11 persone, cui ne vanno aggiunte 8, considerate di fatto alla stregua di pedine, a cui sono addossati alcuni dei fatti specifici.
Tutte le azioni – e più in generale la finalità della presunta associazione – avrebbero come movente la solidarietà ad Alfredo, la lotta al 41bis e al carcere in generale e, nel caso di alcuni ripetitori incendiati, l’opposizione alla partecipazione dell’Italia alla guerra in Ucraina. Questi fatti ci danno l’opportunità di spendere qualche parola di carattere generale su quello che sta accadendo a noi e ad altri compagni/e in questo paese.

L’azione repressiva che ci coinvolge va ovviamente interpretata nel contesto più ampio della stagione anti-anarchica che sta seguendo la campagna di lotta contro il 41bis e per la libertà di Alfredo.
Ci pare chiaro il presupposto da cui partono le procure di tutta Italia e i ROS.
Si tratta dello stesso sillogismo fatto proprio dal ministro Nordio, e che sta tenendo Alfredo al 41bis: la lotta anarchica porta ad organizzarsi senza scrupolo di legge, l’assenza di legge è violenza, dunque l’anarchismo è violenza e criminalità finalizzata a ricattare lo Stato.

Muovendo da questo assunto, la strategia della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo che sta dietro l’azione degli sgherri dell’Arma sembra articolarsi su due fronti.
Da una parte la proliferazione di operazioni di piccola entità calate sulle specificità locali, ma con un impianto accusatorio simile. Il fine è che in questa gran massa ne scappi fuori qualche precedente utile per la futura repressione a tappeto di ogni manifestazione dell’attività anarchica.
Dall’altra, sebbene non si tratti di una novità, ci pare aver subìto un’accelerata in una sorta di “banalizzazione” del reato di terrorismo. Passateci il termine, lo usiamo in mancanza di altro, lungi da noi affermare che ci sia una corretta applicazione del reato in questione e dichiararci vittime di un’aberrazione dello stato di diritto. Quello che vogliamo dire è che ci troviamo di fronte ad un’applicazione su vasta scala del reato in questione, e per altro non solo ai danni dell’azione anarchica, volta ad aggravare atti di limitata gravità penale (reati di opinione, manifestazioni non autorizzate, danneggiamenti, imbrattamenti).

UN TERRENO DA TESTARE

Azioni repressive simili sono avvenute in tutta Italia. Ognuna con le sue specificità e con l’obiettivo di colpire specifici gruppi di compagne/i, ma tutte accomunate da un rinnovato 270 bis. Rinnovato, ahinoi, sulla base della sentenza Scripta Manent, di cui nelle carte a noi presentate troviamo un vero e proprio copia-incolla. Un insieme di anarchici/che in lotta diventerebbe di necessità “un’associazione di stampo anarco-insurrezionalista che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di eversione dell’ordine democratico, strutturata in modo non gerarchico e spontaneista secondo il patto di ‘mutuo appoggio’ ed attraverso la ‘solidarietà rivoluzionaria’ (…) con l’accordo sulla scelta dell’azione diretta compiuta mediante l’uso di ogni mezzo”. A ciò è bene aggiungere come il codice penale italiano detti che “sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che (…) sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto”. Nel caso di questa inchiesta non si parla nemmeno di “poteri pubblici” ma delle politiche delle multinazionali. Si legge infatti nelle carte che l’associazione in questione si prefiggerebbe l’obiettivo di compiere azioni dirette e/o di sabotaggio, tutte connotate da violenza politica, aventi come fine ultimo la cessazione delle politiche perseguite dalle grandi multinazionali italiane anche in ragione del recente conflitto russo-ucraino, la liberazione da tutte le carceri e la liberazione del militante Cospito Alfredo dal regime detentivo previsto dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario.

Sarebbe interessante conoscere la genesi dell’indagine a cui siamo sottoposte/i. Assistiamo infatti, per certi aspetti, a un copione inedito: nessuna pomposa operazione da prima pagina con misure cautelari fondate su roboanti reati associativi, che poi si cerca di validare in corso d’opera.
Invece, dopo un anno e mezzo di indagini si richiedono analisi di laboratorio che informano 6 compagne/i, (già oggetto, negli ultimi tre anni, chi di operazioni analoghe con tanto di misure cautelari a seguito, chi di condanne definitive e chi di richieste di sorveglianza speciale) di essere sottoposti ad un’indagine per 270bis con diversi reati specifici (tra cui un 280bis); dopo altri 5 mesi seguono un ampliamento della rosa delle persone indagate e 19 perquisizioni. Ci pare verosimile che a questo punto gli inquirenti vogliano arrivare a richiedere delle misure cautelari fondate su qualcosa di ben architettato, e chissà, magari trovare finalmente il modo di liberarsi per un pò di questi sei personaggi scomodi”. Interpretare questo nuovo copione ci risulta difficile; possiamo tuttavia ipotizzare che, almeno sul piano locale, la memoria dell’operazione Ritrovo del 2020 possa avere indotto la controparte ad adottare un approccio più cauto, almeno sin qui.

SULLA BANALIZZAZIONE DEL REATO DI TERRORISMO

Merita notare che in questa indagine lievi reati di piazza contestati alle 8 persone non incluse nell’associazione diventino però, grazie all’aggravante dell’eversione dell’ordine democratico, un pretesto per avviare intercettazioni, richiedere il prelievo di DNA, avanzare possibili richieste cautelari.
Capiremo col tempo se un giudice si prenderà effettivamente la briga di firmare un’ordinanza per il prelievo coatto del DNA, per tutte le persone coinvolte nelle perquisizioni, indipendentemente dall’entità dei fatti di reato contestati.
Pare che sul movimento anarchico si stia tentando un intervento simile a quello impiegato nel contrasto al cosiddetto “islamismo jihadista” che, seppur distante anni luce dall’idea anarchica, è stato un fenomeno sulla cui gestione lo Stato ha dovuto scervellarsi producendo strumenti giuridici e impianti accusatori che oggi si prova a impiegare nella repressione anti-anarchica. Sebbene la tattica e gli strumenti impiegati differiscano, la strategia è la medesima: applicare una sanzione spropositata per gesti di incisività modesta. Visitare il sito sbagliato, frequentare la piazza sbagliata, sventolare la bandiera sbagliata, urlare lo slogan sbagliato sono il pretesto per trasformare qualcosa che un tempo avremmo concepito come semplice dissenso, in terrorismo. Così facendo anche gesti banali diventano impraticabili, figurarsi poi cosa può diventare un’azione un po’ più decisa. Su certi pensieri e pratiche cala una pesante cappa di paura, e il terrore che rimane fa tabula rasa di ogni pensiero sovversivo e radicale.

Il recente pacchetto sicurezza varato dal governo sulla scia dei DL Cutro e Caivano, la repressione delle lotte del sindacalismo di base e dei movimenti ambientalisti, la repressione contro i “no vax”, così come la recente repressione anti-anarchica, stanno tutte assieme nel clima di attuale irrigidimento securitario.
Perché lo Stato stia agendo così è una domanda che merita porsi. Esiste un governo che necessita di nemici e emergenze costruite ad arte, di un fronte interno insomma da combattere per deviare l’attenzione dal fatto che il vento di cambiamento che da anni la destra ha promesso all’elettorato, è evidente, sarà men che un alito, e che le condizioni di vita andranno irrimediabilmente peggiorando. Gente insomma cui addossare i mali di un’Italia in declino. Ed esiste poi uno Stato che, ci pare, ha almeno due orizzonti che ne muovono l’azione: la possibilità di una guerra in cui sarà necessario in un prossimo futuro dover intervenire direttamente, e la necessità di una riconversione energetica. A fronte di ciò è necessario perseguire non tanto la pace sociale, che è traguardo ormai utopico per chi ci governa, ma una società accettabilmente pacificata, dove gli inevitabili conflitti risultino gestibili e bastonabili prima che deraglino.
Se da una parte è sempre stato proprio dello Stato italiano negli ultimi decenni quello di abbassare gradualmente, o per piccoli balzi, il livello del conflitto ed impegnarsi in una repressione dal carattere costante e preventivo, ci pare che questa ampia diffusione repressiva sia sintomo di un’altrettanto diffusa paura, fra chi ci governa, della possibilità che situazioni difficilmente gestibili e pericolose si possano improvvisamente verificare. In questo senso le rivolte nelle carceri del 2020 sono state davvero un inedito e possibile avviso di quello che significa perdere il controllo della situazione. Cose simili è imperativo che non succedano, si stanno ripetendo i governanti.

Nella città di Bologna la lotta in solidarietà con Alfredo si è espressa vivace, con azioni diurne, notturne, azioni simboliche, momenti di piazza, iniziative -va pure ricordato- portate avanti non solo da anarchiche/ci. Non certo una situazione che deraglia, ma sicuramente l’espressione di un conflitto vivo, estesosi anche fuori dai margini dell’anarchismo, e quindi fastidioso. Restringere ciò all’azione premeditata di un gruppo di 11 teste calde anarchiche ci pare quantomeno eccessivo. I fatti specifici su cui si fonda questa indagine, lo ripetiamo sono cinque, ovvero: il tentato danneggiamento di alcuni mezzi della MARR, il danneggiamento di alcuni ripetitori, l’interruzione di una messa, l’occupazione di una gru e il blocco di una via con dei cassonetti incendiati; su di essi non ha senso entrare nel merito, se non per dire che sono gesti che riteniamo giusti e assolutamente comprensibili all’interno del clima di lotta in cui si sono espressi. Ci sentiamo semmai di discostarci dall’ennesima trovata associativa della procura di Bologna, proprio perché a livello politico ci addossa la responsabilità di una lotta di cui siamo stati/e partecipanti fra tanti/e; è una responsabilità che, a prescindere dalle implicazioni penali, moralmente non ci sentiamo di avere, non sarebbe giusto nei confronti di tutte quelle persone che hanno lottato per la libertà del nostro compagno. Una libertà che continuiamo a tenere nel cuore.

Alcunx indagatx

UDINE: PER VOI CHE VI SENTITE ASSOLTI [25 NOVEMBRE]

Riceviamo e diffondiamo il testo di un intervento fatto dalla Laboratoria TFQ al termine del corteo transfemminista contro la violenza di genere di Udine, ringraziando le compagne per il contributo.

25 novembre 2023 – “Per voi che vi sentite assolti”

Novembre 2023, la storia si ripete: l’ennesimo uomo ha deciso di uccidere una donna e siamo già stufe del can can mediatico che si scatena ogni volta che succede. Siamo stufe della narrazione del bravo ragazzo, di quanto fosse un gesto inaspettato, di quanto sia così incredibile e, a parole, inaccettabile quanto avvenuto. Lo sottolineiamo: A PAROLE è inaccettabile, perché, nei fatti, nulla si muove affinché qualcosa cambi davvero.

Hanno ragione le voci che si levano a denunciare il femminicida come figlio sano di questa società, a sottolineare che non sia una mela marcia, ma la norma.
Sappiamo che il femminicidio è solamente l’apice della violenza di genere, l’atto finale di una credenza pervasiva, come espresso con forza da Elena Cecchettin, che il patriarcato vorrebbe vedere zitta e piangente in casa. A lei va tutta la nostra solidarietà in questo momento. Sappiamo -come lei- di vivere in una società misogina, sessista, omofoba, transfobica, razzista e classista, costruita per porre al vertice della piramide l’uomo (principalmente bianco eterosessuale e cisgenere) ed è a voi uomini che ci rivolgiamo.

Voi uomini siete responsabili, nessuno escluso. Voi, anche voi che vi chiamate femministi, voi che vi chiamate compagni, magari antiautoritari e per questo vi credete “illuminati” o risolti.
Vi sentite a disagio? Vi fa arrabbiare se vi chiamiamo in causa? Bene: domandatevi perché. Soprattutto: domandatevi cosa avete fatto fino ad oggi per non meritarvi il nostro dito puntato.
Voi uomini etero-cis attuate quotidianamente scelte che mettono in pericolo le nostre vite. Ogni volta che alzate gli scudi e dite “ma io non ho mai fatto niente!”, chiedetevi esattamente cos’è questo “niente”: avete mai fatto veramente qualcosa? Avete reagito contro il catcalling? Contro le battute sessiste fatte nella compagnia di amici, a scuola, al bar, al lavoro, in palestra? Oppure avete preferito il quieto vivere e pensare che “in fondo è un mio amico, lo conosco, non farebbe male a una mosca”? Avete agito quando il vostro amico, il vostro compagno ubriaco molestava qualcuna alle feste perché “tanto, si sta solo divertendo un po’…è innocuo” o “va beh è solo un po’ pesante”? Avete finto di non capire il concetto di consenso con la scusa di essere brilli e di starvi solo godendo la serata? E che, in fondo, chiedere – e chiedere, e chiedere, e chiedere, e chiedere finché non cedono – è lecito e non una violenza?
O avete pensato “Che male c’è? E’ il gioco della seduzione!” mentre fingevate di non sapere che insistere, prendere per sfinimento, approfittare di una vulnerabilità che sia psicologica o data da sostanze, non è “provarci”, ma agire potere e violenza?
E quando siamo venute da voi a dirvi che il vostro amico o il vostro punto di riferimento nel movimento è uno stupratore, un violento, a chi avete scelto di credere? Avete trovato difficile pensare che la nostra versione fosse reale? Avete deciso che era più facile invocare le “situazioni fumose”, le “relazioni complicate”, le “violenze da entrambe le parti” o l’alcol?
Siete corsi subito sulle barricate dicendo “bisogna confrontare le versioni dei fatti” obbligando lei a rivivere la violenza e a produrre le “prove” come fanno i tribunali che tanto odiamo? Per poi confrontarle e metterle sullo stesso piano – come se ci fosse un piano comune!- e infine giudicare se questa versione fosse più o meno convincente? Avete messo in discussione la parola di una donna che denunciava una violenza solo perché non incarna lo stereotipo della “vittima” così come ce la disegna il sistema: “mansueta, disperata, sottomessa al dolore, indifesa, docile e pure zitta”? Ma magari è stata anche un po’ stronza? Assertiva? Vendicativa? E in base a questo avete fatto passare la violenza in secondo piano? Avete pensato: “Se l’è andata a cercare” o “Una persona che ha subito una violenza non avrebbe reagito così”, “Perché ha lasciato passare tanto tempo prima di dirlo? Perché è rimasta in quella relazione? Perché non si è difesa? Perché ha continuato a frequentare quell’uomo che l’ha stuprata, molestata, ha agito violenza e controllo?”? Avete pensato “Che esagerata!” come se ci fosse un modo per reagire alla violenza unico e inequivocabile?
Ogni volta che avete dato spazio a queste domande avete agito il patriarcato.
Ogni volta che avete invalidato la parola di una donna che denuncia violenza, che avete ribaltato la responsabilità su chi l’ha subita, avete tolto la responsabilità a chi l’ha agita e ne siete diventati complici.
Voi siete il problema: perché è facile dire “non tutti gli uomini”, ma poi è sempre un uomo. Ancora un uomo. L’ennesimo uomo assassino o stupratore. Il vostro fratello, il vostro amico, il vostro compagno. Voi.
E noi siamo qui a ricordarvi questo e anche un’altra cosa: ogni volta che vi siete sentiti offesi ed esclusi di fronte al separatismo, ogni volta che vi è venuto il fastidio davanti alla scelta delle donne e delle dissidenze di genere e sessuali di organizzarsi per i fatti propri perché vi siete sentiti esclusi o minacciati e avete impedito a queste persone di organizzarsi per colpire un sistema che le opprime chiamandole “lotte identitarie fini a se stesse, perché in realtà siamo tutti oppressi di fronte al sistema”, ogni volta che avete detto “Ci sono problemi più importanti”, avete scagliato la VOSTRA RESPONSABILITÀ lontano, indebolendo il nostro attacco e difendendo quel sistema di cui non siete altro che complici. Non c’è niente di già risolto dentro di voi: è tutto vivo e vegeto e continuate a replicarlo.
Ma se voi potete permettervi di autoassolvervi, noi continueremo ad accusarvi, finché non inizierete a dimostrare che siete veramente dalla nostra parte e non solo quando c’è da stracciarsi le vesti perché “come abbiamo potuto non accorgerci?”. Perché i segni ci sono sempre stati, ma avete preferito pensare che dietro la definizione di “attivista” o di “alleato femminista che scende in piazza” si trovasse una “tana libera tutti”. I segni ci sono sempre stati, attorno a voi e dentro di voi, ma avete scelto di fingere consapevolezza senza mai intraprendere un percorso vero.

Avete preferito continuare a uccidere le donne, invece che la maschilità egemone dentro di voi.

Laboratoria TFQ Udine

 

QUALCHE DRITTA IN PIÙ SUL PRELIEVO DEL DNA

Riceviamo e diffondiamo questo foglio che contiene qualche info, speriamo utile, per chi si può trovare a dover rispondere a un “invito” al prelievo del dna durante una perquisizione. Avere qualche conoscenza in più rispetto le procedure che regolano questo tipo di richiesta può essere utile ad evitare di cadere nel trannello della minaccia del prelievo coatto, e farci sentire più sicurx nel sottrarci al prelievo.

BRUGHIERE – CRONACHE DAI BASSIFONDI BOLOGNESI E DINTORNI [FANZINE]

In un’epoca in cui il tempo vissuto scivola via fagocitando ogni cosa, macinando momenti, notizie e informazioni senza trattenerne nulla, abbiamo scelto di prenderci il tempo di riguardare all’anno passato, per prendere meglio la mira su quello futuro.

Per una fanza di fine anno che raccolga gli articoli salienti pubblicati su Brughiere lanciamo un invito a grafiche e graficx, non maschi etero cis. Il concept è anticarcerario, antipsichiatrico e contro tutte le frontiere: sbarre aperte, muri che si rompono, radici che spaccano il cemento, fiori e farfalle, piante, anche carnivore… ma anche schermi rotti e tutto quanto possa indicare una critica alle tecnologie capitaliste. Raccogliamo i disegni (in bianco e nero) fino al 10 dicembre, da inviare a: brugo@autistiche.org

LIBRO BENEFIT PRIGIONIERX: “L’AGNELLO AMMAZZERÀ IL LEONE” DI MARGARET KILLJOY

Fresco fresco di rilegatura, diffondiamo un nuovo libro benefit prigionierx, pensato e creato in quel di Bologna.

“L’agnello ammazzerà il leone” di Margaret Killjoy.

Una storia di avventura di un gruppo di amicx anarco-punk-squatter che vive in una cittadina occupata nell’Iowa che si trova a dover far i conti con Uliksi, un demone dai poteri piuttosto singolari, quando la situazione in città sfugge di mano.

Dal retro di copertina:

“Potrei dirvi che scrivo storie su società anarchiche e personaggix anarchicx perché voglio promuovere il progetto politico dell’anarchismo, e questo sarebbe vero, ma sarebbe solo una parte della verità. Lo faccio perché voglio scrivere narrativa, voglio raccontare al mondo di persone come me e perché sono un’anarchica.

La narrativa si basa sul porre domande. E la domanda che ho posto in questa storia, ovviamente, è: e se un gruppo di anarchicx in una città occupata evocasse un demone cervo per mangiare la gente?”

Stampato con il ciclostile e con rilegatura DIY, tutto il ricavato del libro andrà benefit prigionierx.

Per info su copie, prezzo e distribuzione scrivete a agnelli@insiberia.net

CILE: CONCLUSIONE DEL PROCESSO E DICHIARAZIONI FINALI DI FRANCISCO SOLAR E MÒNICA CABALLERO

Diffondiamo:

Nell’ultima settimana si sono tenute le udienze finali del processo di primo grado contro i compagni anarchici Mónica Caballero e Francisco Solar, arrestati il 24 luglio 2020 e accusati (il solo Francisco) dell’invio dei pacchi-bomba al 54° commissariato dei carabineros e a Rodrigo Hinzpeter, ex ministro dell’interno e della difesa nazionale, nonché dirigente del gruppo Quiñenco (25 luglio 2019), ed entrambi del duplice attacco esplosivo nell’edificio dell’immobiliare Tánica (27 febbraio 2020), situato nel quartiere borghese di Vitacura (nell’area metropolitana di Santiago) e avvenuto nel contesto della rivolta generalizzata scoppiata in Cile nell’ottobre 2019. L’azione contro il 54° commissariato e Hinzpeter venne rivendicata dai Cómplices Sediciosos – Fracción por la Venganza, mentre quella nell’edificio Tánica dalle Afinidades Armadas en Revuelta.

Nel dicembre 2021 Francisco si è assunto la responsabilità per entrambe le azioni, sostenendone le ragioni, la scelta degli obiettivi e la significatività rivoluzionaria.

Il 10 agosto 2022, dopo una serie di proroghe al periodo d’indagine, si sono concluse le udienze preliminari e sono state rese note le richieste di condanna: 30 anni di carcere per Mónica e 129 anni per Francisco (secondo il sistema giudiziario vigente nello Stato cileno la procura esprime le richieste prima dell’inizio della fase dibattimentale vera e propria, il juicio oral). Il 18 luglio di quest’anno, dopo un rinvio, è quindi iniziato il processo, cui i compagni hanno assistito in presenza solamente nel corso delle prime e delle ultime udienze, assistendo in videoconferenza per le restanti. Durante quella del 18 luglio il pubblico ministero, rimodulando le richieste iniziali, ha dichiarato che la procura intende infliggere una condanna tra i 20 e i 25 anni a Mónica e una di oltre 150 a Francisco. Durante l’udienza del 19 luglio Francisco ha ribadito l’assunzione di responsabilità per tutte le azioni.

L’arresto e le udienze contro i compagni sono state costantemente seguite dai mass-media in Cile, vista la rilevanza del processo, volto a dare un monito agli anarchici e alle forme di guerriglia sviluppatesi nella realtà sociale cilena in particolare negli ultimi anni, a partire dalla rivolta generalizzata del 2019-‘20. Alle udienze processuali è coincisa una mobilitazione solidale con attività di agitazione e propaganda, trasmissioni sulle frequenze radiofoniche solidali, iniziative in strada e dibattiti, la pubblicazione di un numero unico (“Complicidad y sedición”).

Riportiamo qui di seguito l’aggiornamento sul verdetto e le dichiarazioni finali dei compagni, presenti in aula durante l’udienza del 6 novembre (si tratta di trascrizioni, pertanto non essendovi una stesura scritta la punteggiatura è stata definita da chi ha tradotto).


Verdetto contro i compagni anarchici Mónica Caballero e Francisco Solar

Ieri, 7 novembre 2023, mentre all’esterno si teneva un presidio solidale, il tribunale – dopo quattro mesi di processo – ha emesso il verdetto contro i compagni Mónica e Francisco.

Francisco è stato dichiarato colpevole come autore per:

– due invii di ordigni esplosivi (alla 54° comisaría dei carabineros e a Hinzpeter);
– un tentato omicidio nei confronti dei carabineros;
– un reato di lesioni gravi nei confronti di un agente dei carabineros;
– un reato di lesioni;
– cinque reati di lesioni lievi;
– un danneggiamento (54° comisaría);
– un tentato omicidio nei confronti di Hinzpeter;
– due reati di collocazione di ordigno esplosivo (edificio Tánica).

È stato assolto dall’accusa di usurpazione di identità.

Mónica è stata condannata in qualità di complice per due reati di collocazione di ordigno esplosivo (edificio Tánica), mentre è stata assolta dall’accusa di possesso di marijuana.

Riassumendo, il tribunale ha accolto quasi tutte le richieste della procura, tranne, nel caso di Francisco, una delle imputazioni di tentato omicidio (che è stata derubricata in lesioni) e l’accusa di furto d’identità (per cui è stata disposta l’assoluzione); nel caso della compagna Mónica ha modificato la sua posizione da “autrice” dei fatti a “complice” e ha rigettato alcune aggravanti richieste dagli inquirenti.

Il tribunale dovrebbe emettere la sentenza definitiva, comprensiva degli anni di condanna che peseranno su ciascuno di loro, il prossimo 7 dicembre.

Salutiamo i cuori neri che assumono il compito di colpire i potenti.

Amore e anarchia per Mónica e Francisco.


Dichiarazione di Francisco Solar Domínguez

Buongiorno,

le azioni delle quali mi sono già assunto la responsabilità, che ho rivendicato politicamente e per le quali verrò condannato, fanno tutte parte di una lunga tradizione storica, specificatamente anarchica, che si incarica di restituire, in prima persona e senza necessità di intermediari, i colpi dei potenti e dei repressori; perché se qualcuno pensava che le loro politiche del terrore, basate su imposizioni e restrizioni di ogni sorta, così come su ondate repressive in cui addirittura, spesso e volentieri, calpestano la loro propria legalità (che tanto dicono di difendere e rispettare), sarebbero passate inosservate e non avrebbero suscitato risposte, si sbagliava di grosso.

Siamo in molti a saper aspettare il momento giusto per agire, a concepire la memoria non come un baule in cui riporre ricordi da contemplare e lamentele, ma piuttosto come un motore, che dà impulso all’azione vendicatrice come parte di una nostra pratica politica permanente, che si nutre della nostra storia, con i nostri successi e le nostre sconfitte.

Ed è stato questo esercizio mnemonico a nutrire le azioni individuali che realizzai negli anni 2019 e 2020; azioni individuali che non necessitavano né del consenso né dell’accordo collettivo, ma che furono il risultato dell’analisi, della decisione e della volontà personali, azioni che per alcuni altri furono parte e indubbiamente fortificarono la guerriglia urbana anarchica, la quale non scompare a prescindere dai costanti colpi repressivi, dimostrando nei fatti la praticabilità e l’efficacia delle relazioni informali orientate all’azione rivoluzionaria. Dimostrando peraltro come non sia necessaria una grande struttura organizzativa per la realizzazione di azioni incisive.

In questo senso, è importante far notare come le grandi organizzazioni rigide e stabili si trasformino rapidamente nel proprio stesso fine, cioè si organizzano nient’altro che per fortificare l’organizzazione stessa, a differenza delle organizzazioni informali che basano le proprie relazioni sull’attacco, cosa che conferisce loro quel dinamismo che previene l’irrigidimento e la comparsa di logiche burocratiche.

Le azioni, oltre a essere colpi diretti a dei rappresentanti e a dei simboli del potere, e oltre a dimostrare che è possibile realizzare i suddetti attacchi, costituiscono un mezzo per la diffusione di idee e messaggi, messaggi di ribellione e libertà, che verranno recepiti e posti in pratica da chiunque lo desideri. Messaggi che solo collegati con queste azioni costituiscono un reale pericolo per l’ordine imposto.

E parlo di ordine imposto perché in questa società non esiste un contratto sociale per il quale gli individui abbiano delegato la propria libertà allo Stato in cambio di libertà e sicurezza – impostazione che per inciso costituisce le fondamenta degli Stati moderni – ma, al contrario, lo Stato si fonda sulla spoliazione storica delle libertà degli individui, sottomettendoli e limitandoli in sempre più aspetti della loro vita, cosa che fortifica e perpetua il dominio statale. Lo Stato non è più solo un’istituzione, ma lo si ritrova in ognuna delle nostre relazioni, rendendo ancora più complesso ed esteso il dominio statale, e pertanto azioni contro lo Stato non solo sono giustificate, ma assolutamente necessarie. E, certo – come ha detto anche il signor Pubblico Ministero nella sua requisitoria finale – “concediamogli pure la parola!”, ma una parola che sia vincolata all’azione rivoluzionaria, perché una parola che pretenda costruire nuove relazioni, scevre di qualunque autorità, deve necessariamente andare di pari passo con l’azione rivoluzionaria.

Non si può negare la crescita e la proliferazione dei gruppi anarchici, negli ultimi tempi, cosa che ha comportato il fatto che i discorsi e le pratiche antiautoritarie siano presenti in gran parte delle mobilitazioni e delle rivolte attuali. Vedendo l’anarchia come una tensione piuttosto che un punto d’arrivo, e intendendola al pari di una lotta permanente contro ogni espressione dell’autorità piuttosto che una società perfetta o un paradiso terrestre, come in molti suggeriscono, si comprende come queste azioni individuali violente siano una parte imprescindibile di questo percorso di liberazione. Voglio lasciar intendere molto chiaramente che, lungo questo percorso, azioni come queste non sono le prime né saranno le ultime, ma come ho già detto precedentemente sono parte di un continuum storico che non sparirà; nonostante ci condannino a decadi di reclusione, e persino se ci uccidessero, ci saranno sempre individui e gruppi di individui che sono disposti a rispondere alla brutalità dello Stato e del capitalismo: ciò è inevitabile.

Infine, voglio approfittare di questa occasione per mandare un saluto complice ai prigionieri e prigioniere, anarchici e sovversivi, che lottano nelle carceri di questo paese.

Viva l’anarchia!

[6 novembre 2023]


Dichiarazione di Mónica Caballero Sepúlveda

Cercherò di essere abbastanza breve, visto che avevo deciso di non prendere la parola in questa sede, però reputo che sia necessario precisare una serie di questioni piuttosto specifiche rispetto ad alcune affermazioni in prevalenza del Pubblico Ministero.

Dunque, ho deciso di rilasciare una dichiarazione finale in questo processo, che mira a essere una punizione esemplare, perché non posso lasciar passare l’opportunità di difendere e chiarire una serie di aspetti che hanno a che fare con le idee e le pratiche che ho difeso e adottato praticamente negli ultimi 20 anni della mia vita.

Il signor Pubblico Ministero ha chiesto al mio coimputato se sono anarchica. E sì, certo che sono anarchica, però questo che significa? Dicendo anarchismo mi riferisco a un insieme di idee e pratiche che, inquadrate in principi che sono, ad esempio, il mutuo appoggio, la solidarietà, l’autogestione, costruiscono idee e pratiche che si iscrivono nella distruzione e nella costruzione, che voglio dire con questo?, la costruzione di ciò che è…

Quando mi riferisco all’anarchismo, intendo quell’insieme di idee e pratiche che in base a principi come il mutuo appoggio, la solidarietà e l’autogestione, costruiscono le condizioni affinché tutti gli individui… costruiscono le condizioni affinché tutti e tutte ci sviluppiamo in maniera integrale, tuttavia allo stesso tempo queste condizioni mirano alla distruzione di ogni forma di dominio.

Cosa intendo con “ogni forma di dominio”? Quelle forme di dominio che sono, ad esempio, l’attuale sistema di oppressione economica imperante, ciò vale a dire il capitalismo, e anche l’egemonia del potere politico, ovvero l’attuale Stato.

All’interno di queste pratiche noi anarchici possediamo un ampio ventaglio, come ben diceva il Pubblico Ministero. Tra le pratiche anarchiche esiste la violenza, ma ciò non è appannaggio unicamente dell’anarchismo, e allo stesso modo l’anarchismo non contempla la violenza come sua unica espressione pratica; e sì, ci sono compagni che hanno collocato degli ordigni, o che hanno spedito ordigni esplosivi, ma insisto: questa pratica di violenza politica non appartiene al solo anarchismo e l’anarchismo non esercita unicamente la violenza politica.

In relazione a tutto ciò, devo necessariamente porre una domanda e contemporaneamente rispondermi: che cosa caratterizza la pratica anarchica? Le pratiche anarchiche, violente o meno, si inscrivono e traggono ispirazione necessariamente all’interno delle idee antiautoritarie. Non possiamo separare l’idea dalla pratica antiautoritaria anarchica, finanche rivoluzionaria in un ampio spettro, senza tenere in considerazione la complementarietà tra idea e pratica. Vale a dire che le pratiche anarchiche non si sostengono senza la colonna vertebrale delle idee. Mettendo in chiaro tale questione rilevante tra idea e pratica, posso categoricamente dire che una pratica anarchica, violenta o no, non sarà mai indirizzata in maniera indiscriminata.

Il Pubblico Ministero, in una delle sue repliche, chiedo venia, durante la sua requisitoria, ha menzionato un concetto molto azzeccato e antico di noialtri anarchici: si è riferito alla propaganda con il fatto. La prospettiva del Pubblico Ministero sulla propaganda con il fatto, o ciò che ha cercato di spiegare in relazione a questo concetto, è una maniera molto miope di vederla, fondamentalmente perché ha tentato di inquadrarla nel contesto storico in cui ebbe il suo apogeo. Se non ricordo male, tra la fine dell’‘800 e l’inizio del 1900, durante un congresso a Londra, un gruppo di anarchici di diversi luoghi del mondo assunsero come pratica la propaganda con il fatto, e questa propaganda con il fatto la incarnarono attraverso assassinii, collocazioni di ordigni esplosivi, e una lunga lista di altri episodi. Ma la propaganda con il fatto è molto più di questo. Ciò che io sto facendo, ciò che sta facendo il mio coimputato in questo stesso processo, con le nostre parole, è propaganda con il fatto; questo è il punto: tutto ciò va molto più in là del mero esercizio della violenza, e nello specifico degli ordigni esplosivi.

Devo anche sottolineare come in questo processo, così come in tutti gli altri processi penali in cui sono stata e in quelli di cui sono stata spettatrice, nei confronti di compagni e compagne tanto in Cile come in altre parti del mondo, si è sempre assimilata la nostra visione politica a dei fatti delittuosi, e mi pare curioso, per non dire altro, che si stia negando questo aspetto investigativo, altrimenti che senso avrebbe avuto il sequestro delle decine, per non dire centinaia, di libri, le centinaia o migliaia di volantini, poster, opuscoli, e così via? Non capisco se non abbia altro scopo che lo studio della nostra concezione del mondo o del nostro modo di intendere la politica o lo scontro con il dominio, e non comprendo la negazione di questo aspetto.

Come già dicevo prima sono anarchica, pertanto nemica di ogni forma di dominazione, sottomissione od oppressione realizzata attraverso qualsiasi struttura di potere, per cui lo Stato, in tutte le sue forme e rappresentazioni, è illegittimo. Partendo dall’idea per cui questo, lo stesso Stato, si creò e consolidò a partire dall’idea del bene comune, o per lo meno il bene della gran maggioranza, cosa che è assai lontana dalla verità, vivo in un mondo in cui un gruppo privilegiato esiste al prezzo della miseria della grande maggioranza. Costruire forme antagoniste alle relazioni di potere è necessario affinché esista uno sviluppo integrale di tutti gli abitanti di questo mondo, tanto umani quanto animali.

Infine, posso dire a tutti i presenti che aspetto piuttosto tranquillamente il verdetto di questo tribunale, perché so che le idee di emancipazione alle quali ho dedicato buona parte della mia vita trascendono me stessa.

In ultimo, ai presenti e ai miei compagni e compagne presenti, come a coloro che ascolteranno o leggeranno in seguito le mie parole, posso dire che fino all’ultimo respiro che mi rimanga, sempre affermerò: morte allo Stato e che viva l’anarchia!

[6 novembre 2023]

Qui il PDF del testo.

 

“Dal fuoco alle esplosioni, percorriamo lo stesso percorso di vendetta. Solidarietà e complicità con Monica e Francisco”

“Che i prigionieri escano e le carceri brucino. Monica, Francisco e Marcelo in strada! Morte allo Stato, viva l’Anarchia!”

BORDERS, MILITARY, COPS AND DETENTION CENTER FOR REPATRIATION: A NEW ACCELERATION OF STATE RACISM IN ITALY [PART 2]

Pubblichiamo la traduzione in inglese di un articolo suddiviso in due parti condiviso di recente “FRONTIERE, MILITARI, SBIRRI E CPR : UNA NUOVA ACCELERATA DEL RAZZISMO DI STATO IN ITALIA”. Ringraziamo The Blackwave Collective che ha curato la traduzione affinchè  l’articolo raggiunga quante più persone possibili, oltre barrirere linguistiche e frontiere.

Di seguito la seconda parte (qui in italiano).


We receive and disseminate the first part of a text written by several hands by comrades fighting against Detention Center for Repatriation and borders between Italy and France. In the text, an attempt is made to make a synthesis of the European trends of recent months and the recent decrees passed by the government.

At this link, the first part.

Talks about repeated “migration crises” are a great classic of domestic and European politicians and newspapers. These narratives serve to justify the repression and exploitation of migrant people on European soil. In practical terms, exploitation and racist repression are sustained at the national level by a legislative production made up of decree-laws and at the supranational level by the relentless establishment of treaties and agreements. The ever-increasing presence of militarized borders, cops and jails for undocumented people are the practical implications of these policies.

The “Lampedusa crisis” of recent months, which has seen thousands of people stranded in a semi-prison situation on the island, seems to have accelerated some trends in Italian migration and border management. This text wants to try to dwell on some recent changes (especially from the legislative point of view) to give some small elements of analysis to those who fight against state racism, its jails and its borders. In particular, we will try to trace the latest developments concerning the role of Frontex in Europe, the trends in some European countries on the issue of administrative detention and deportations, and the latest decrees in Italy.

IN ITALY, THE CUTRO LAW: EXPLOITATION OR REPRESSION/EXPULSION

While there is a common trend at the European level to move toward the imprisonment and deportation of more and more people, national policies follow and sometimes anticipate these lines. Regarding Italy in particular, we would like to start by analyzing the so-called Cutro Decree, passed after the shipwreck in February 2023 and converted into law on May 5. This law aims to manage migration through a streamlining of vetting practices for bosses, a calculation of flow quotas that provides for the explicit exploitation of workers who will not be able to obtain documents, and by operating an ironic elimination of the already perverse economic migrant/exile migrant distinction. Any person arriving on Italian soil outside the unrealistic quotas established by the decrees finds their administrative situation squeezed onto the ultra-punitive and marginalizing status of poor migrants who are unable to justify their displacement within the parameters defined by “humanitarian reasons.”

The law provides for a three-year planning of flows, that is, the quotas of people who can enter for work. The measure was enacted primarily in response to pressure from employers’ organizations and trade associations of productive sectors such as agribusiness, for instance, which complained of a structural labour shortage. Despite the significantly higher quotas in this latest decree than in previous years (more than 450,000), the need is at least double (833,000 quotas, even though the government itself says so(1). That makes it clear that the Italian government expects to use undocumented people and is careful not to propose a form of regularization for those who are already in Italy.

The Italian government consistently used the instrument of flows, which existed since the 1990s, before there was an organic immigration law (the TUI). Its use has fluctuated over the years according to trends in the labour market and migration policies. When the Libyan route was opened (as a result of the NATO invasion of Libya) in 2011, de facto landings supplanted the quota contraction to the point of making it almost impossible to enter Italy legally for work purposes. The subsequent contraction of landings as a result of the policies of the Renzi government (Minniti and all those that came after him), together with the abandonment of some sectors (agriculture as an example) by workers from Eastern Europe, has created a structural labour shortage in some sectors. For a couple of years now, because of this, employer associations have been calling for the flows raised.

Another planned change, designed to simplify bureaucratic procedures, stipulates that, even without a clearance, the worker can already come to Italy to work. In addition, the master who applies to seasonal workers through the flow decree is free from controls. Under the guise of simplification, a rule created that validates irregularity.

Conversely, for those who land on European Mediterranean coasts or for those who are already in Italy, de facto, it is confirmed that the only channel to get documents in Italy remains the application for international protection, of which the criteria increasingly narrowed, while also growing control and repression, and the guarantees, already meagre for those who are asylum seekers, absent for those who no longer have any hope of regularizing themselves, decrease. The Cutro law also heavily intervenes in the discipline of special protection. Until now, special protection was the only meagre possibility of regularization for those who did not fit the asylum criteria and subsidiary protection. In fact, among the criteria was taking into account the violation of “private and family life”: that is, the applicant had a way to assert his family ties on Italian territory, social and labour insertion, and the length of stay in the country. It was also possible to apply directly to the Questore for recognition without going through the asylum procedure(2). The Cutro law eliminates the violation of private and family life as a legitimate reason for obtaining a residence permit, and the applicant will no longer have the Questura channel to apply. The special protection permit will continue to exist, but it can only be issued if there is a risk of torture or inhuman and degrading treatment in the country of origin. It almost eliminates the possibility of access to forms of regularization for all those people who have been living and working in Italy illegally for years. Residence permits for special protection will no longer be able to be converted into residence permits for work.

The condition of illegality in which people will left is particularly violent considering that the Cutro law also provides for an expansion of the list of safe countries, that is, those countries where Italy does not deem there to be a risk of persecution or degrading treatment. Gambia, Nigeria, and Côte d’Ivoire are now on this list. Note that for these four new entries, these are the countries from which most migrants arrive on Italian shores, as well as those for which it is easier to implement deportation decrees because of the ease given by the bilateral agreements present.

In parallel, the Cutro law sneakily attacks the status of asylum seekers, re fining the control and repression devices provided for those who are applying for asylum. The law provides for an increase in hotspots (now there are three) for identification and registrationƒ procedures of asylum seekers. Hotspots are facilities where the Salvini Law (2018) provides for the possibility of deprivation of liberty for up to 30 more days and where the guarantor of detainees intervenes, reflecting their prison-like nature. In hotspots or similar facilities, identity verification will now also be able to take place through the use of photodactyloscopic surveying and access to databases, in line (avant-garde) with the future guidelines of the European pact on migration concerning how to divide “parcel migrants” among member countries of the union.

In the name of the same racist management and detention spirit, the new law stipulates that a resident’s identity is not verifiable, they may be transferred to a Detention Center for Repatriation for up to 90 days, to which 30 days may added. So, among the reasons why one can detained in Detention Center for Repatriation, one can add the case of waiting for a response to the application for international protection. To avoid detention, any asylum seeker must now prove that they can have 4538 euros available which to “buy” the state a life outside the Detention Center for Repatriation.

The structure of this decree converted into law already falters in the first months, with the first ruling to the contrary pronounced at the end of September 2023: a judge of the court of Catania does not validate the detention of 4 people in the hotspot of Pozzallo (Ragusa) (3). A second ruling to this effect comes on October 8, again from a judge in Catania, again concerning the detention of 6 people in the same Pozzallo hotspot, which is not validated. In any case, the structure of the law shows that it wants to translate in writing the evidence of the border as ubiquitous throughout Europe, enshrining in black and white that every detention, deportation and control post must be treated, in fact, as a border. The government is now analyzing appeals filed by judges, considering them mere bureaucracy (4). The legal text of the Cutro Decree remains standing and enforced.

THE LAMPEDUSA “CRISIS”: THE SOUTHERN DECREE AND SUBSEQUENT MEASURES

Still on the media wave generated after a series of landings of several thousand people in Lampedusa in the past two months, the Government passed two more decrees on the migration issue in September 2023.

The first decree concerns regulations on the housing and detention of migrants; it threaded into a Decree concerning the Mezzogiorno. There are two central points: the extension of detention time pending deportation and the ownership of detention facilities.

  1. Migrantsconsideredirregularandsubjecttoadeportationdecreecouldnowbe detained up to a maximum of 18 months, with 3-month extensions validated by the judge at the request of the Questore.
  2. BothCentersofPermanenceforRepatriationandHotspotsandCASsare transformed into “works intended for national defence for certain purposes.”

The Government, thanks to the assignment given to Defense and the reclassification of facilities, bypasses consultation with regions and municipalities in identifying the facilities. The Ministry of Defense is in charge of their design and implementation.
The Government has established a fund of 20 million euros for 2023: expenditure of 400,000 euros authorized for 2023 and one million euros in 2024.

Management of the facilities will be entrusted to private individuals, as is currently provided for Permanence Centers, while supervision will remain in the hands of the police force. Procedures for construction work are declared “Extraordinary,” so the MoD can order the immediate procurement of services and supplies as an exception to procedures (as in cases of earthquake or flood).

The number of centres will have deemed “suitable” and may increase over time. Existing buildings, probably former barracks, will also be converted. The armed forces will thus be primarily the operational arm that will allow for cuts in procedures, time, and costs.
In practice, the government is equipping itself with the tools to quickly and extensively set up a series of new prisons for undocumented people, where they will be locked up for a year and a half while awaiting deportation (the idea is one Permanence Center per region).

Yet another decree is then approved three days after the first one. The structure of the new immigration and “security” squeeze (included in yet another 11-article decree-law) provides an additional category of individuals at risk of deportation, i.e. people with long-

term residence permits but considered dangerous “for serious reasons of public order or state security.” It is a really serious measure because it implies that any foreign person, even one with documents, will be at risk of deportation.
Further tightening also to those administrative/legal avenues hitherto possible to try to slow down deportation proceedings: a repeated application for asylum (after the denial of the first one) will not block the execution of a pending removal order.

Another issue is that of the management of minors: the decree provides for the possibility of conducting “anthropometric” and health assessments more quickly, including the use of X-rays, to verify the actual age of people who declare themselves to be unaccompanied minors. If the age declared does not match the assessments (altought such measurements are often inaccurate and scientifically controversial [5]), the alien can condemned for making false statements to a public official, and the conviction may be deportation itself.

Finally, there is a further enlargement of funds designated for migration management: the measure allocates €5 million for 2023 and €20 million from 2024 until 2030 for interventions in favour of the Police and Fire Service. In addition, it increases police personnel at Italian embassies and consulates to enhance entry visa verification.

Summing up this legislative review, we can say that the Meloni government has only ever operated by decrees, starting with the so-called Piantedosi Decree of January 2023, which makes sea rescue more complicated and provides penalties for NGOs that fail to comply with complex procedures.

Legislatively speaking, operating by decrees emphasizes an emergency, emergency and racist management as well as reaffirming a war on the skin of the “migrant enemy,” a situation that reinforced in the use of military engineering for new detention centres.
All the legislative interventions we have written about increasingly operate in various measures an overlap between reception and detention, making the repressive reading more and more evident concerning the act of migrating.

The media necessity of the right-wing discourse on migrants has meant that the decrees were “legally” poorly written: the language denoting them is nebulous, and confused, not to mention that they contain a variety of contradictions, which is why the judges of the Catania section annulled the detentions. Despite this, the decrees are enforceable immediately, and the period of uncertainty about the actual application of the rules weighs even more heavily on the lives of those considered irregular.

It is yet another form of institutional racism.

In conclusion, it will consider how the measures discussed above will implemented in reality. We have spoken here in legal and technical terms, but the venues of the courts are not where we place our energies and expectations of struggle.
We do not yet know how the situation will unfold: the governments’ plans will clash with the struggles and resistance of all those who will continue to cross seas and walls, to break out and destroy the cages in which you want to lock them up, to fight to be able to make decisions about their own lives. And we will see if we can build effective and not just symbolic forms of solidarity with these struggles so that of all these cages will not remain only rubble.

 


NOTES

(1) https://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-42/23077

(2) https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/06/1-Scheda-su-riforma-della-protezione-speciale-DEF.pdf