MODENA: UN DESERTO CHIAMATO SICUREZZA

Siamo tuttx invitatx a questa chiacchiera sulla repressione che sta colpendo molti quartieri, sul razzismo istituzionale che esprime, sulla così detta “emergenza droga” e i vari allarmi lanciati in materia di “sicurezza”. Un’occasione per parlare del necessario legame tra le lotte anitproibizioniste e le lotte contro il carcere. 🔥🖤 Il 15 marzo al Ligera a Modena.

Più info qui: https://brughiere.noblogs.org/events/event/modena-un-deserto-chiamato-sicurezza/

“Città in cui il continuo rinforzarsi delle retoriche della legalità e del decoro si traduce negli abusi sempre più legittimati delle forze dell’ordine e nella violenza del carcere. Un tempo che rende sempre più evidente la necessità di sovvertire l’esistente e lottare.”

“ALLARME DROGA” ED “EMERGENZA SICUREZZA” ERRICO MALATESTA ANTIPROIBIZIONISTA [1923]

In un testo del 10 agosto del 1923 Errico Malatesta su Umanità Nova (numero 181), con disarmante semplicità, snocciolava i principi base dell’antiproibizionismo.

Si poneva il problema della cocaina.

In sintesi Malatesta constatava come il grido d’allarme di esperti e scienziati contro il pericolo della cocaina si traducesse nell’ottusa richiesta continua di nuove e più severe leggi, nonostante l’esperienza avesse sempre, invariabilmente dimostrato che mai nessuna legge, per barbara che fosse, è mai valsa a estinguere fenomeni problematici, che invece malgrado le leggi e forse proprio a causa delle leggi, si estendono.

Senza nessuna banalità, evidenziava quanto il punire severamente consumatori e venditori non avrebbe fatto altro che aumentare negli speculatori l’avidità del guadagno, che sarebbe cresciuta ancora con l’inasprimento delle leggi.

Di conseguenza affermava quanto fosse inutile sperare nella legge, e proponeva, nel 1923, un altro rimedio: dichiarare l’uso ed il commercio libero, aprire “spacci” dove la sostanza fosse venduta a prezzo di costo, e poi fare riduzione del rischio, informazione, nessuno avrebbe fatto propaganda contraria, scriveva, perché nessuno avrebbe potuto guadagnare e speculare sull’uso di sostanze.

E ancora molto lucidamente non si illudeva: con questo non sarebbe sparita la possibilità di un uso dannoso della sostanza, poiché le cause sociali che creano le dipendenze non sarebbero sparite, ma in ogni modo il male sarebbe diminuito, perché nessuno avrebbe potuto guadagnare sull’uso di droga, e nessuno avrebbe potuto speculare sulla caccia agli speculatori.

Così concludeva:

“La nostra proposta o non sarà presa in considerazione, o sarà trattata da chimerica e folle. Però la gente intelligente e disinteressata potrebbe dirsi: poiché le leggi penali si sono mostrate impotenti, non sarebbe bene, almeno a titolo di esperimento, provare il metodo anarchico?”

PARMA: STREET RAVE PARADE [6 APRILE 2024]

Diffondiamo:

Il 6 aprile alle 13:12 a Parma: street rave parade 🔥

Sabato 6 aprile a Parma confluiremo nelle strade per riappropriarci di spazi in cui sperimentare nuove forme di socialità libere da sfruttamento e mercificazione. Attraverseremo la nostra città a suon di musica per esprimere il nostro dissenso nei confronti di una realtà sempre più soffocante, autoritaria, militarizzata, bigotta, alienante e insostenibile economicamente. Scenderemo in strada contro un modello di sviluppo insensato, contro ogni galera, frontiera, guerra e discriminazione razziale, di genere e di specie. Solidali e complici con chiunque lotti contro ogni forma di autorità e oppressione, balleremo per la costruzione di nuovi mondi in una prospettiva anticapitalista, ecologista e transfemminista radicale. Faremo bordello per farla finita con un presente in macerie fatto di miseria e repressione, e una realtà in cui nel nome del decoro e di una versione pervertita della sicurezza e della salute, ci sono fioriere che valgono più delle vite umane.

Siamo un insieme di individualità e collettivi che animano la vita sociale, politica e culturale di questa città. Ci siamo incontratx perché crediamo nella potenza dell’interconnessione dei percorsi e della trasversalità delle lotte.

Se anche a te questo mondo ti sta stretto e senti l’esigenza di esprimere la tua creatività per costruire un qualcosa di diverso, partecipa in prima persona alla costruzione di questo nuovo esperimento di liberazione dello spazio e dei corpi.

Nei nostri cuori portiamo un nuovo mondo che viene.

Per info: parmesanparade@bastardi.net
Canale telegram https://t.me/+smg7gLBT2dcwZmM0

SMASH REPRESSION: STREET PARADE MODENA [FOTO + TESTI]

DALLA STREET PARADE DI MODENA DEL 28 OTTOBRE 2023

Il 28 ottobre 2023, nella città della strage al carcere Sant’Anna,  ad un anno dal rave di Modena nord e dalla legge anti-rave, un anno di sgomberi, repressione e ostilità, per le strade e nei quartieri, un fiume di persone si è ripreso le strade al grido di Smash Repression, contro la società del proibizionismo, delle gabbie e dei CPR, in solidarietà ai rave, alle TAZ, agli spazi sociali e a chi lotta.

Riceviamo e diffondiamo alcune riflessioni, volantini e interventi portati quel giorno + qualche foto.

Siamo qui oggi contro il cosiddetto “decreto anti-rave”, ora legge, primo atto dell’attuale governo neofascista, legge che introduce una pena dai 3 ai 6 anni di reclusione per chi invade terreni o edifici per realizzare “raduni musicali” o altro tipo di intrattenimento  e aggregazione. È evidente la volontà dello Stato di reprimere ogni forma di organizzazione dal basso e impedire qualsiasi tipo di socialità fuori dal mercato, che non sia regolata dalla sua disciplina. Ce lo dicono gli sgomberi che avvengono in ogni città. Ce lo dicono i fogli di via che sono arrivati in questi giorni per impedire a compagne e compagni di essere qui con noi, per fare in modo che qui fuori in strada si sia sempre meno.

 Torniamo in strada oggi di nuovo contro la mercificazione dei nostri corpi e dei nostri desideri, contro la repressione che colpisce sempre più duramente chiunque si oppone a questo modello di sviluppo insensato, per rifiutare il divertimento consumistico e la desertificazione sociale imposta dall’alto, e difendere altri modi di stare insieme. Vogliamo che dalle nostre casse risuoni il grido di chi non si arrende nelle carceri, alle frontiere,  contro i CPR e il razzismo che permea sempre più questa società, contro la società del proibizionismo e delle galere, contro le retoriche del decoro, del degrado e della sicurezza portate avanti dai vari partiti di destra, così come della sinistra cosidetta progressista. Con Alfredo, Anna, Juan, Zac, Stecco… e a chiunque non smetta di lottare nonostante le pesanti condanne detentive ricevute!

SMASH REPRESSION!

A MODENA GLI ASSASSINII DI STATO SONO DI CASA!

In occasione della Street Rave Parade di oggi, il sindaco Muzzarelli e la questura starnazzano raccomandazioni di mantenimento del decoro urbano, di rispetto delle ”procedure democratiche” di espressione del dissenso, ricordandoci inoltre che qualsiasi tipo di ”provocazione” e ”atto violento’ verrà accolto a suon di manganellate democratiche con conseguenze legali annesse e connesse.

Che novità! La solfa è sempre quella: manifestare è un’azione ”legittima” e ”democratica” solo se non si mette veramente in questione l’esistente con le parole e con i fatti, solo se ci si comporta educatamente e responsabilmente accettando le leggi dello Stato e dei padroni fatte apposta per mantenere quella pace fatta di sfruttamento, repressione e guerre che dovremmo conoscere bene. Sapessero il sindaco e la questura quanto ce ne fotte della democrazia e delle loro sacre leggi!

A noi questo mondo fa proprio schifo e moriamo dalla voglia di rovesciarlo; vogliamo essere incompatibili con questo sistema e quindi col decoro e l’ordinarietà democratica. Che questa incompatibilità si esprima coi mezzi che meglio creda dunque; e se queste modalità non sono recuperabili e strumentalizzabili dal potere e dei leccaculi di giornalisti tanto meglio, se li attaccano:EVVIVA!

Che il Sindaco e la questura di una città – che l’8 marzo 2020 ha visto consumarsi all’interno del Carcere S.Anna una strage di Stato terminata con 9 detenuti morti – ci vengano a parlare di rifiuto della violenza, di diritti e di rispetto, la dice lunga su di quanto valgano le loro parole e la loro democrazia. Quel giorno il carcere di Modena, assieme a tante altre galere d’Italia, veniva scosso dalle rivolte dei detenuti, dalla loro rabbia e disperazione per le condizioni disumane accumulatesi da decenni, e non solo per la sospensione dei colloqui in carcere coi parenti motivata dall’emergenza Covid. La risposta alle rivolte da parte dello Stato è stata brutale e ha comportato 9 morti.

Ma nella democratica città di Modena la violenza va bene solo se viene esercitata dallo Stato contro gli oppressi, ancor meglio se questi sono emarginati, ricattabili o internati all’interno di lager come carceri e CPR. Quasi un mese fa, sempre all’interno del carcere di Modena, perdeva la vita un altro giovane ragazzo per arresto cardiaco nella sezione Nuovi Giunti. Le condizioni di salute in repentino peggioramento erano state segnalate dalle grida e dalle richieste di aiuto degli altri detenuti, ma sono rimaste inascoltate dalle guardie assassine e dal personale del carcere che ha permesso che il detenuto morisse senza venire prontamente soccorso. La violenza di Stato prende corpo anche nelle strade della città, e anche lì causa morti. Taissir Sakka (31 anni) è morto nella notte tra il 14 e 15 ottobre, il suo corpo è stato trovato in un parcheggio della città pieno di botte e con la testa aperta. In relazione a quanto accaduto quella notte sono indagati sei carabinieri.

La società dello Stato e dei padroni si fonda sul monopolio della violenza e sul suo utilizzo sui corpi e le menti di chi si ribella o di chi risulta scomodo. Accettare le narrazioni di chi ci vuole divisi in buoni (decorosi) e cattivi (indisciplinati, ribelli e teppisti violenti) significa fare il gioco di questa società, difendere la violenza di Stato collaborando con esso. I nostri nemici sono lo Stato e i padroni colpevoli di stragi quotidiane sul lavoro, in mare, nelle galere e nei CPR, nei territori occupati militarmente e coinvolti nel conflitto globale che giorno dopo giorno va internazionalizzandosi sempre di più.

Anarchiche e anarchici

Siamo entrati in SMASH REPRESSION urlando con convinzione NO 41-BIS contro la repressione e la violenza di Stato e ci siamo ritrovati a chiedere scusa di esistere su media e stampa. Nella stessa città che ha dato il La al decreto anti-rave e che sta archiviando la strage al carcere Sant’Anna non ci stiamo a rassicurare lo Stato “che la violenza non sarà tollerata in nessun caso, per nessun motivo” come fatto per questa street, assecondando proprio le stesse retoriche che da sempre usano per dividerci in buone e cattive, e reprimerci. Nella stessa città candidata ad ospitare un CPR, dove le morti in carcere continuano, e non solo in carcere, anche per le strade, non ci stiamo a prendere lezioni da chi della violenza ne ha fatto istituto.
Non abbiamo nulla da dimostrare a Stato e pennivendoli. Non ci preoccupa cosa diranno giornali, benpensanti e forcaioli. Non abbiamo nessuna immagine da difendere, non ci interessa se qualcuno ci dipingerà come vandali. Lo hanno sempre fatto e lo faranno sempre.
Post paternalistici legati all’iniziativa dove si invita a “lasciare la città quanto più possibile pulita”, a “non fare la pipì per strada”, dove ci si descrive come “4 scappat* di casa” che devono dimostrare di essere “bravi” e “civili” (solidarietà e rispetto invece a chi è scappat* di casa). Ci chiediamo cosa succederà se la città domani non sarà “pulita” come promesso, cosa succederà se qualcuno scriverà qualcosa sui muri, cosa succederà se i bagni chimici non basteranno, cosa succederà se i giornali ci dipingeranno come sempre, come più gli piace? Si prenderanno le distanze dai barbari incivili? Questo è esattamente ciò che combattiamo, i principi grazie alla quale la repressione ci divide, si riproduce e impera. Nel nome del decoro e di una versione pervertita della sicurezza, ci sono fioriere che valgono più delle vite umane. Capiamo bene che una manifestazione così grossa, in particolare una street, può avere bisogno di attenzioni specifiche, ma che queste attenzioni e questa cura siano per noi, per nostra scelta, non per dimostrare qualcosa a chi ci opprime.

Come individualità in lotta contro carcere, sfruttamento e repressione, rifiutiamo questo genere di messaggi e di discorso.

NON CHIEDIAMO SCUSA DI ESISTERE, LOTTIAMO PER ESISTERE!

SE È LEGALE NON CI PIACE – Ad un anno dal decreto anti-rave

È passato ormai un anno dal cosiddetto “decreto anti-rave”, un anno da quando sull’onda dell’indignazione generale causata dal Witchtek di Modena, è stato introdotto un nuovo reato: invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica (art. 633-bis). Tale reato è punito con la reclusione da 3 a 6 anni e con la multa da 1.000 a 10.000 euro, oltre che con la confisca del sound e delle attrezzature.
La repressione delle feste è la parte folkloristica del decreto da dare in pasto all’elettorato. Per capirne le vere intenzioni, cioè quelle di togliere ogni margine al dissenso non fine a sé stesso, dobbiamo ricordarci che introduce nuove disposizioni riguardanti l’ergastolo ostativo, rendendo particolarmente difficile la concessione di benefici penitenziari per i detenuti che non collaborano con la giustizia.
In Italia abbiamo visto in questi mesi un’escalation repressiva che ha portato ad una vera e propria caccia alle streghe nei confronti di chi, di volta in volta, è stato additato come il nemico pubblico di turno – i ravers, i migranti, gli ecologisti, gli anarchici – con leggi create ad hoc per colpire queste individualità e le loro azioni.
Lo Stato che fa la guerra ai free party è lo stesso Stato che quotidianamente lascia morire persone dentro la cella di un carcere o in mare, lo stesso Stato che quotidianamente tortura e abusa dentro galere e CPR o alle frontiere. È lo stesso Stato che schiera la polizia a difesa delle fabbriche, picchiando chi decide di scioperare. È lo stesso Stato che vorrebbe seppellire vivi i nostri compagni e le nostre compagne a colpi di sentenze di tribunale e anni di galera.
Ogni volta che si manifesta una forma di conflitto, la repressione colpisce con forza. Per questo crediamo che la lotta contro il decreto anti-rave non possa essere una lotta isolata, ma vada inserita in una cornice più ampia che renda evidente, da una parte, il tentativo di disciplinamento da parte dello Stato – che vorrebbe annichilire qualsiasi forma di azione diretta – dall’altra, l’intersecarsi di tutte le lotte – da quella contro il carcere e il 41 bis, a quella contro il TAV, le basi militari e le grandi opere.
Per questo crediamo sia importante non delegittimare il potenziale sovversivo dei free party, non cercare il dialogo con gli sbirri, non giustificarsi dicendo che “non stiamo facendo niente di male” o “non siamo criminali”: quando balliamo stiamo commettendo un reato. Il nostro posizionamento non è neutro: anche la festa è un momento conflittuale!
Il rave è un atto illegale e come tale implica il conflitto con l’autorità. Non vogliamo e non dobbiamo giustificarci agli occhi dello Stato, non vogliamo ottenere alcuna legittimità o riconoscimento. Rivendichiamo la nostra illegalità perché non vogliamo un posto nel loro sistema marcio, né tantomeno vogliamo essere accettati! Rivendichiamo la nostra illegalità perché sono loro ad imporre regole e leggi: non pensiamo che la creazione di TAZ sia un “diritto” da “liberi cittadini”, bensì un’azione concreta che ogni individuo può intraprendere per gettare le basi di un’esistenza autogestita, per gettare il cuore oltre l’ostacolo rappresentato da una realtà opprimente, di repressione, guerre e sfruttamento. Ed è nei confronti di questa realtà e delle loro leggi che ribadiamo tutto il nostro odio…

Perché una società che abolisce tutte le avventure, rende la distruzione di questa società l’unica avventura possibile.

Nemiche dello Stato

FREE PALESTINE

Siamo qui ma il nostro cuore e le nostre menti sono al fianco della Palestina, per lo stop immediato del massacro in corso e contro tutti i governi che lo stanno avallando.

In aggiornamento…

MODENA: STREET RAVE PARADE

SMASH REPRESSION/MODENA – 28 OTTOBRE 2023

Ad un anno esatto dal rave di Modena nord e dalla legge anti-rave, un anno di sgomberi, repressione e ostilità, per le strade e nei quartieri, nella città che ha visto la strage al carcere Sant’Anna, contro la società del proibizionismo, delle gabbie e dei CPR, in solidarietà ai rave, alle TAZ, agli spazi sociali e a chi lotta… tuttx a Modena il 28 ottobre! 🏴‍☠️

ROMA: APRIAMO LA STREET PARADE CON UN CARRO CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE

Diffondiamo da L38Squat:

APRIAMO LA STREET PARADE “IL GRIDO DELLE PERIFERIE PRENDE FORZA IN STRADA” CON UN CARRO CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE

Saremo in testa alla street parade e non vogliamo che siano altri a parlare al posto nostro.

Ogni giorno i quartieri popolari vengono dipinti come “terra di nessuno”, facile teatro di violenze contro le donne e la gente che li abita come complice silenziosa.
L’Italia femminicida utilizza i mezzi d’informazione per cristallizzare la violenza. Ogni giorno veniamo bombardatx dalle notizie mediatiche con i particolari scavati nella vita delle donne uccise da mariti, fidanzati, amici cugini e zii senza che venga mai rivolta un’accusa alle fondamenta di una società basata sulla sopraffazione.
La politica difende il potere patriarcale e strumentalizza gli episodi di violenza maschile sulle donne per campagne securitarie che hanno lo scopo di terrorizzarci, disciplinarci e spingerci a restare chiuse in casa. La risposta politica ai più eclatanti episodi di violenza sono blitz di polizia nei quartieri popolari, i militari nelle stazioni e un innalzamento delle pene e tutto ciò niente ha a che fare con il contrasto alla violenza sulle donne. Le tante politiche di populismo penale fatte sulla nostra pelle non hanno mai prodotto alcun risultato: i dati pubblicamente noti che riguardano la violenza maschile sulle donne sono invariati. Mai viene nominata l’importanza delle reti di solidarietà e sorellanza, mai ci si riferisce al lavoro dei centri antiviolenza, mai si parla della necessità di educare contro gli stereotipi di genere che collocano le donne sotto il controllo degli uomini.
Viviamo nelle occupazioni di case, sbarriamo i portoni per portare solidarietà a chi è sotto sfratto, ma sappiamo bene che spesso le mura domestiche sono tutt’altro che luoghi sicuri per noi perchè è proprio in famiglia che avviene il maggior numero di violenze.
Chi parla al posto nostro non sa che alcune volte è stato proprio il senso di appartenenza e la conoscenza reciproca in quartiere a permettere a molte di noi di cavarsela, impedendo che la violenza restasse un fatto privato.
Se il primo passo è riconoscere la violenza che su di noi viene agita, il secondo è avere la possibilità di fuggirne. Sappiamo quanto è complicato riuscirci quando non hai una indipendenza economica o una rete di relazioni su cui poter contare.
Questo è per noi un motivo in più per scendere in strada e darci forza insieme, perché nessuna venga lasciata sola coi propri guai. Lo facciamo con la musica che piace a noi, con lo spirito alto di chi non je la darà mai vinta.
Venerdì 27 ottobre – ore 18.30
Partenza dal primo ponte del quartiere Laurentino 38
(via Ignazio Silone altezza via Gian Pietro Lucini)

BOLOGNINA: UN DESERTO CHIAMATO SICUREZZA

Questo testo affronta gli ultimi risvolti di un attacco iniziato da tempo al quartiere Bolognina (Bologna), un processo che, seppur nelle sue specificità, non è differente da quanto stanno subendo altre città e territori: la speculazione e la cementificazione chiamata “riqualificazione”, la strumentalizzazione “dell’emergenza droga” e “dell’allarme sicurezza”, la discriminazione della popolazione migrante, la militarizzazione della vita quotidiana, il progressivo restringimento della sanità e dei servizi. Una realtà in cui la sistematica distruzione di comunità e territori è l’esito di quella violenza istituzionale che si nutre di politiche razziste, proibizioniste e repressive, per sostenere e alimentare economie assassine e rendere più docili le classi sfruttate. Città in cui il continuo rinforzarsi delle retoriche della legalità e del decoro si traduce negli abusi sempre più legittimati delle forze dell’ordine e nella violenza del carcere. Un tempo che rende sempre più evidente la necessità di sovvertire l’esistente e lottare.


Con il patto integrato sulla sicurezza tra Prefettura e Comune di Bologna siglato durante la visita in città del ministro dell’interno Piantedosi del 21 gennaio, l’amministrazione bolognese ha inaugurato una nuova stagione repressiva per dare il colpo definitivo a quei quartieri nel mirino dei piani di “pulizia”, “riqualificazione” e messa a profitto della città, non ancora del tutto asserviti all’ideologia della sicurezza e del decoro.

Lo Stato c’è e si deve vedere” aveva detto Piantedosi; lo abbiamo visto e lo stiamo vedendo.

SPECULAZIONE ED “EMERGENZA DROGA”

La Bolognina in particolare negli ultimi mesi è stata oggetto di un feroce accanimento mediatico volto a normalizzare una militarizzazione della vita pressoché quotidiana. Con le retoriche della lotta al “degrado” e alla “droga” si stanno legittimando agli occhi dell’opinione pubblica sistematici interventi di polizia per le strade, che, a ben vedere, non hanno mai inciso e non incideranno affatto sulle “criticità” millantate, anzi, le esaspereranno ulteriormente, isolandole sempre più.

Oggetto del terrore la così detta “m-i-c-r-o-c-r-i-m-i-n-a-l-i-t-à”, una categoria in cui fasce già marginalizzate di popolazione vengono liquidate come problema di ordine pubblico.

Non spaventa il problema di un diffuso impoverimento, di un sostentamento e di una vita sempre più difficile per moltx, di un accesso alla casa sempre più proibitivo, delle barriere che deve affrontare chi è senza documenti e senza diritti di cittadinanza; non interessano realmente le problematiche legate all’uso e all’abuso di sostanze legali o illegali ecc. Ciò che interessa è soprattutto che tutto ciò non si veda, disturbi o intralci i progetti di speculazione.

Il 18 luglio si è tenuta in Bolognina una riunione della “cabina di regia” istituita col Patto sulla sicurezza, in cui, in continuità con la strategia avviata a gennaio, è stato deciso un ulteriore inasprimento dei controlli “al fine di prevenire e reprimere la vendita e il consumo di sostanze stupefacenti”. Il Sindaco ha colto l’occasione per fare la sua passerella promozionale tra i commercianti e gli abitanti della zona nel tentativo di esacerbare e strumentalizzare quelle difficoltà, pressoché endemiche, espressione di un quartiere storicamente popolare.

Dopo gli “street tutor” in centro arrivano le nuove ronde di periferia, riqualificate per l’occasione come “sentinelle di condominio”. A promuovere il fascino discreto della delazione questa volta Confabitare, associazione per la tutela della proprietà immobiliare che nel 2020, insieme ad Ape-Confedilizia Bologna, si schierò contro la proroga del blocco sfratti, e che nel 2022, in prima linea contro il “degrado”, ha firmato il protocollo di intesa col Comune di Bologna contro il “vandalismo grafico”, per la rimozione dei graffiti in città.

Dopo aver chirurgicamente fatto a pezzi comunità, sfrattato famiglie, addomesticato realtà e sgomberato spazi sociali, in un contesto di delega e atomizzazione generalizzato, l’amministrazione si appresta a colpire ancora la Bolognina in nome della “legalità” e della “lotta alla droga”, esasperando quella guerra tra poveri utile soltanto ai padroni, cavalcando con retoriche emergenziali quello scarto presente tra sicurezza reale e percepita, e incoraggiando sentimenti quali la paura e la diffidenza tra persone, per una “sicurezza” che ha sempre meno a che fare con la solidarietà e le “comunità”, parole ampiamente abusate dall’amministrazione di questa città, e sempre più con l’esercizio della disciplina e dell’ordine pubblico.

Trattare il consumo di sostanze psicotrope, legali o illegali, in termini sensazionalistici, o liquidarlo come qualcosa da “estirpare”, come avvenuto in questi giorni con le passerelle del Sindaco e la spettacolarizzazione di operazioni “antidroga” dal tempismo quantomeno sospetto – comprese di scenografici elicotteri a sorvolare il quartiere – si inserisce in una propaganda volta per lo più a promuovere speculazioni economiche e manovre politiche.

Militarizzare la bolognina, rastrellare “casa per casa” per “passare al setaccio” con squadre di polizia “le cantine dello spaccio” e riempire il quartiere di agenti in borghese, non migliorerà la vita di chi ha un utilizzo problematico di sostanze legali o illegali, o di chi già subisce discriminazioni di classe, genere, razza e cittadinanza, ne peggiorerà la condizione. Un’occasione per “ripulire” la zona e preparare il terreno a quei progetti di riqualificazione, museificazione e turistificazione pianificati da tempo dall’amministrazione, che esaspereranno ulteriormente l’accesso alla casa e alla reale vivibilità del quartiere.

RAZZISMO ISTITUZIONALE

La sovrarappresentazione della popolazione straniera nel discorso pubblico quando si parla di “allarme sicurezza” è lo specchio della violenza del razzismo istituzionale, e della paura e del pregiudizio che questo riproduce nella “società civile”, piuttosto che di una reale “emergenza sicurezza” in “correlazione con l’immigrazione”, un’equazione distorta e riduzionista.

La dinamica è la stessa subita da chi migrava dalle regioni del sud Italia.

Naturalizzare lo stato di subordinazione che molta popolazione migrante e straniera subisce in termini di sfruttamento, discriminazione, diritti, è utile soltanto a Stato e padroni che si nutrono di questo allarmismo per portare avanti le loro economie assassine.

LE RILEVAZIONI DEI SERVIZI PER LE DIPENDENZE A BOLOGNA

Volendo prendere in considerazione le statistiche e le relazioni – parziali – fornite dall’Ausl di Bologna, queste identificano due categorie di consumatori che si rivolgono ai servizi per le dipendenze (SerD): i consumatori considerati “socialmente integrati”, indicati in aumento, persone pressochè inserite nel tessuto sociale e produttivo, coinvolte in particolare dal consumo problematico di alcol e cocaina, o come policosumatori, consumatori problematici di più sostanze – legali e/o illegali – e non di una sola sostanza elettiva (anche qui con la prevalenza di alcol e cocaina), e i consumatori considerati “socialmente marginalizzati”, una fascia di popolazione indicata in cambiamento (per età media e consumo) ma non in aumento per quanto riguarda l’afferenza ai servizi. Si tratta di una categoria di consumatori costituita in gran parte da persone ai margini del tessuto sociale, fuori dal processo produttivo, con scarsa disponibilità economica e spesso con problemi legati alla legge (consumatori di sostanze assunte per via innettiva, oppioidi, cocaina e consumatori di crack, sostanza il cui utilizzo si sta allargando e che sembra sostituire nel consumo l’eroina). L’Ausl indica che per ogni persona che si rivolge ai servizi sanitari per difficoltà di questo tipo, ce ne sono almeno altre cinque che non lo fanno. Per quanto riguarda la popolazione migrante l’accesso ai servizi resta difficile e complicato, sia per la burocrazia e le norme legate ai documenti, sia per le barriere linguistiche.

LA TESTIMONIANZA DI UNA LAVORATRICE

La testimonianza di un’operatrice ci informa di come all’interno dei SerD bolognesi (Servizi per le dipendenze) sia sempre più privilegiato un approccio burocratico, medicalizzante, psichiatrizzante e contenitivo, con ampio abuso della delega agli psicofarmaci nel “trattamento”, mentre trova sempre meno spazio la relazione, l’ascolto e la possibilità di accesso a supporto sociale concreto. Emerge un problema specifico per quanto riguarda la popolazione non residente, senza documenti e senza fissa dimora, per cui i servizi sono drasticamente ridotti e di minor qualità.

Aumenta anche il numero delle così dette “doppie diagnosi”, persone con problematiche di dipendenza certificate e una concomitante valutazione psichiatrica, in carico quindi contemporaneamente ai Serd (servizi per le dipendenze) e ai Csm (Centri per la salute mentale). Questo non necessariamente si traduce in un miglioramento dell’offerta di sostegno, anzi, spesso e volentieri determina un processo di delega e “rimpallo” tra servizi che può paralizzare percorsi e possibilità, oltre che determinare un accavallamento delle figure professionali coinvolte, generando lentezze e a volte confusione nella persona. Viene inoltre segnalato come tra le persone migranti in condizioni di fragilità sia diffuso l’abuso di rivotril e crack. In generale i tempi di attesa per una “prima visita” in alcuni servizi possono essere estremamente lunghi, in particolare in quello alcologico e in quello istituito per la popolazione considerata “vulnerabile” non residente; medici e operatori non possono dedicare molto tempo a persona, un po’ per un’organizzazione socio-sanitaria assolutamente scellerata, insensata e inefficace, un po’ per la legittimazione di una cultura sempre più miope in tema di sostanze e mortificante per quanto riguarda la relazione d’aiuto, i ruoli delle “professionalità” coinvolte e la loro formazione.

TRA PROIBIZIONISMO, CRIMINALIZZAZIONE, REPRESSIONE E CARCERE

Davanti a questo quadro la risposta statale continua ad essere la criminalizzazione di intere fasce di popolazione, il progressivo depauperamento dei servizi pubblici territoriali e di prossimità, l’appalto sempre maggiore dell’assistenza a cooperative-azienda e a lavoro sfruttato, e lo speculare rinforzo di strategie e interventi di tipo securitario e carcerario, tanto che alla Dozza, carcere della città, davanti a celle bollenti come forni e un sovraffollamento che sta sfiorando il 160% della capienza consentita – oltre 800 detenuti a fronte di 500 posti previsti, quindi circa 300 persone recluse in più – dopo gli arresti sensazionali degli ultimi giorni si stanno bloccando i nuovi ingressi. Una situazione decisamente in contraddizione con i recenti tentativi di maquillage e “re-branding” volti a coprire la violenza strutturale che caratterizza l’istituto carcerario cittadino.

Nonostante i laboratori antiproibizionisti da oltre 20 anni indichino come l’unico modo per stroncare alla radice i narcotraffici sia la depenalizzazione della coltivazione di cannabis per uso personale e il commercio legale delle foglie di coca – come chiedono le popolazioni indigene sudamericane da decenni – le politiche repressive e la caccia alle streghe su categorie sociali già marginalizzate e stigmatizzate non si arresta, anzi, appunto, li arresta: gli ultimi dati indicano che circa il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, e che oltre il 40% di chi finisce in cella in Italia fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione, alla faccia del tanto declamato “recupero sociale”. Questo è accaduto grazie a leggi razziste, discriminatorie e liberticide come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini. Politiche repressive il cui bersaglio non è mai stato il grande narcotraffico – un giro miliardario che allo Stato e alle sue mafie fa evidentemente comodo così – ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di sostentamento, reti sociali o non è spendibile in termini di profitto.

IL TESTO UNICO DELLE LEGGI IN MATERIA DI DISCIPLINA DEGLI STUPEFACENTI

Nell’ordinamento giuridico italiano la detenzione di sostanze stupefacenti è sanzionata dal DPR n.309/1990, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. In particolare i due articoli rilevanti per quanto riguarda “droghe” e galera sono il 73, per il caso di detenzione ai fini di spaccio e il 75, per il caso di detenzione al fine di utilizzo personale.

L’articolo 73 recita “Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000”.

Questa legge continua a rappresentare la principale causa di ingresso nel sistema giudiziario italiano e di detenzione nelle patrie galere.

MANGIATE LE CAROTE RESTA SOLO IL BASTONE

Mentre sanità e servizi sprofondano inesorabilmente verso il baratro sotto gli occhi – e sulla pelle – di tutti, e le spese militari aumentano, le politiche della “tolleranza zero” si confermano strumento di governo delle diseguaglianze per il mantenimento dello status quo, una dissimulata guerra ai poveri e alle dissidenze volta ad isolare chi, per rifiuto o necessità, vive ai margini delle città, mirando a spostare questi margini, sempre un po’ più in là.

Distrutte comunità e legami, ridotti quegli ammortizzatori sociali che consentivano di scaricare parzialmente i danni prodotti dal capitalismo sulla “cosa pubblica”, accentuato lo sfruttamento, la precarizzazione e l’insicurezza lavorativa, non deve stupire il naturale determinarsi di situazioni di conflitto e attrito all’interno delle città, non riconducibili ad ambiti di compatibilità. Per neutralizzarli, esaurita la strada del welfare state, non rimane che quella repressiva. A noi, non resta che la lotta.


Link alla versione pdf del testo e alle note: UN DESERTO CHIAMATO SICUREZZA

FREE CRIME IS NOT A PARTY. SPEZZIAMO LE CATENE DELLA REPRESSIONE

Riceviamo e diffondiamo questo testo su free party e repressione:

È il 10 ottobre 2022 quando il governo italiano appena insediato, guidato da Giorgia Meloni, emana il cosiddetto “decreto anti-rave”, convertito in legge dopo pochi mesi. Sull’onda dell’indignazione generale di politici e media, causata dal Witchtek di Modena, il decreto è finalizzato al “contrasto di raduni illegali” ed introduce un nuovo reato, disciplinato dall’art. 633-bis: invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica. Tale reato è punito con la reclusione da 3 a 6 anni e con la multa da 1.000 a 10.000 euro, oltre che con la confisca del sound e delle attrezzature.

La repressione delle feste è la parte folkloristica del decreto da dare in pasto all’elettorato. Per capirne le vere intenzioni, cioè quelle di togliere ogni margine al dissenso non fine a se stesso, dobbiamo ricordarci che introduce nuove disposizioni che regolano l’ergastolo ostativo: se non collabori con la giustizia, infamando qualcun altro, molto difficilmente ti verranno concesse misure come la semilibertà, i permessi premio o la libertà condizionale.

In Italia abbiamo visto in questi mesi un’escalation repressiva che in nome di un giustizialismo forsennato ha portato ad una vera e propria caccia alle streghe nei confronti di chi, di volta in volta, è stato additato come il nemico pubblico di turno – i ravers, i migranti, gli ecologisti, gli anarchici – con leggi create ad hoc per colpire queste individualità e le loro azioni.

Lo Stato che fa la guerra ai free party è lo stesso Stato che quotidianamente lascia morire persone dentro la cella di un carcere o in mare, lo stesso Stato che quotidianamente tortura e abusa dentro galere e CPR – come hanno messo in luce alcuni compagni e compagne con il loro sciopero della fame contro il regime di tortura del 41 bis. È lo stesso Stato che schiera la polizia a difesa delle fabbriche, picchiando chi decide di scioperare per ottenere condizioni di lavoro migliori. È lo stesso Stato che vorrebbe seppellire vivi i nostri compagni e le nostre compagne a colpi di sentenze di tribunale e anni di galera.

Ogni volta che si manifesta una forma di conflitto, un tentativo di sovvertire l’esistente, la repressione colpisce con forza. Per questo crediamo che la lotta contro il decreto anti-rave non possa essere una lotta isolata, ma vada inserita in una cornice più ampia che renda evidente, da una parte, il tentativo di disciplinamento da parte dello Stato – che vorrebbe annichilire qualsiasi forma di azione diretta – dall’altra, l’intersecarsi di tutte le lotte – da quella contro il carcere e il 41 bis, a quella contro il TAV, le basi militari e le grandi opere.

Per questo crediamo sia importante non delegittimare il potenziale sovversivo dei free party, non cercare il dialogo con gli sbirri, non giustificarsi dicendo che “non stiamo facendo niente di male” o “non siamo criminali”. Il nostro posizionamento non è neutro: anche la festa è un momento conflittuale.

L’arrivo degli sbirri non equivale necessariamente alla fine della festa! Ci sono modi diversi dalla ritirata per affrontarli: se siamo i primi a credere alla loro invincibilità, abbiamo già perso in partenza. Una comunicazione onesta e una solidarietà pratica tra le varie anime della festa potrebbero consentire di trovare la soluzione migliore per ogni caso specifico.

Crediamo sia importante evitare il fuggi-fuggi generale e non lasciare da sole le crew, le quali tuttavia non possono pensare di essere gli unici
soggetti ad avere voce in capitolo su come affrontare la situazione.

Capiamo bene che il rischio di perdere migliaia di euro di attrezzature sia un valido motivo di preoccupazione: questo dovrebbe essere tenuto in considerazione da tutti i presenti alla festa. Tuttavia, pensare di poter gestire la risposta alla violenza poliziesca mettendo a tacere qualsiasi atto conflittuale che si discosti dal subire passivamente (come avvenuto al Witchtek di Modena nel 2022), crea una gerarchia tra chi organizza e chi partecipa alla festa.

Il rave è un atto illegale e come tale implica il conflitto con l’autorità. Non vogliamo e non dobbiamo giustificarci agli occhi dello Stato, non vogliamo ottenere alcuna legittimità, vogliamo continuare a ribadire la nostra perenne ostilità a questa realtà fatta di sfruttamento ed oppressione.

Perché una società che abolisce tutte le avventure, rende la distruzione di questa società l’unica avventura possibile.

Luglio 2023
Nemiche dello Stato


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BOLOGNA: SMASH REPRESSION! STREET RAVE PARADE VOL.2

Rilanciamo da Smash Repression ER (Emilia Romagna)
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Torniamo in strada dopo l’appuntamento di dicembre scorso, quando migliaia di persone, in Italia come in Francia, si sono riversate nei centri di diverse città ballando insieme a colpi di bpm. Vogliamo tornare a ballare per affermare che non siamo dispostx alla mercificazione e alla repressione dei nostri corpi e dei nostri desideri. Abbiamo scelto la street per ribadire che non accettiamo , né il decreto legge anti-rave, né l’annichilimento che colpisce le forme di vita non omologate. Sfileremo per le vie di Bologna contro la criminalizzazione del dissenso e della libera espressione, al fianco di chi lotta contro uno Stato che cerca di estinguere ogni forma di opposizione e resistenza, proprio nei giorni in cui si commemora la liberazione delle città emiliane dall’invasione nazifascista. Il nostro è un urlo contro la società del controllo ed il sistema carcerario, portiamo la nostra solidarietà ad Alfredo, Anna, Juan… e a chiunque , singolx e collettivx, non smetta di lottare nonostante le pesanti condanne detentive ricevute. Attraverso l’autogestione costruiamo spazi sempre più safe per tuttx condividendo pratiche transfemministe ed antiproibizioniste e lottiamo contro l’oppressione patriarcale che punisce chi non si rende docile. Rivendichiamo la legittimità dell’aprire spazi di libertà ed iniziativa ed espressione, le quali passano dall’avere cura delle rispettive soggettività. Per questo ci rivediamo nelle vie e nelle piazze al grido di ‘SMASH REPRESSiON’. Facciamogli la festa!

IL 22 APRILE A BOLOGNA

NB: per adesioni è necessario scrivere alla mail, i messaggi sui social non verranno presi in considerazione, entro il 13/04.

Ci vediamo sabato 15 aprile per un momento di iniziativa pubblica dove porteremo la ricchezza dei nostri percorsi e momenti di workshop e confronto. A presto per ulteriori aggiornamenti…

smashrepression.bologna@canaglie.net