UDINE: NO ALLA SMART CITY E AL CAPITALISMO DELLA SORVEGLIANZA

Riceviamo e diffondiamo:

DA VENEZIA A UDINE, NO CONTROL ROOM. No alla smart city e al capitalismo della sorveglianza!

Martedì 30 aprile ore 20:30, Spazio autogestito via De Rubeis 43, Udine.

Da marzo 2024, anche Udine, come Venezia, Trento, Bolzano, Milano e altre città entra in una progettualità di smart city. Un videowall di ultima generazione, una parete di 20 metri quadri composta da 12 monitor che trasmette le immagini in costante aggiornamento che provengono dalle telecamere di sorveglianza, che per mezzo di un software integrato da algoritmi di intelligenza artificiale, incrocerà dati come ad esempio il luogo, l’orario, il colore degli indumenti, i dettagli dei veicoli, dalle immagini raccolte in diversi contesti dalle telecamere. Tutto ciò nella Control Room del Comando di Polizia Locale di via Girardini a Udine.
Questa sala operativa permette di incrociare i dati ottenuti tramite le 190 videocamere di sorveglianza poste sul territorio udinese, con un totale di 496 obiettivi montati sulle telecamere stesse, cui andranno ad aggiungersi altre 86 ottiche montate su 26 nuovi apparecchi di videosorveglianza, che vanno sommati ai 18 dispositivi per il riconoscimento delle targhe delle vetture, dislocati nei principali nodi di traffico della città.
Nella realizzazione di queste politiche ultra tecnologiche di sorveglianza di massa, l’ente locale non è solo, si avvale infatti della collaborazione dell’Università di Udine – Dipartimento di Scienze matematiche, informatiche e fisiche che sta lavorando a Progetti di videosorveglianza predittiva con l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale in partenariato con MD Systems, ditta leader nei sistemi di sicurezza e sorveglianza.
Inoltre il Comune di Udine ha appena varato un Protocollo di sicurezza partecipata che prevede un sistema gerarchizzato di delazione di quartiere, in diretto contatto con le forze dell’ordine, atto a distruggere ogni possibile forma di solidarietà spontanea tra vicini di casa (e di classe sociale) per affrontare i problemi di vita di ognuno e a potenziare la criminalizzazione della povertà e della diversità dai canoni dominanti della società. La Regione FVG ha poi votato un nuovo regolamento che permette l’acquisto di droni, videocamere e fototrappole per contrastare l’immigrazione clandestina e il pericolo terrorismo e blindare ulteriormente il confine italo-sloveno, ora che il trattato di Schengen è sospeso. Questi dispositivi potranno essere acquistati anche dalle forze dell’ordine non di frontiera e impiegati nelle città e nei territori.
La smart city è un luogo che integra i sistemi fisici, digitali e umani nelle reti e nei servizi tradizionali (ad esempio nei sistemi pubblici di mobilità).
La prima ricaduta negativa sulla popolazione di questo modello urbano riguarda la privacy e la sorveglianza. Nell’ambiente della smart city, il sistema Internet delle cose – tra cui sensori, telecamere e Wi-Fi – modifica in modo radicale la consapevolezza situazionale e interferisce con la quotidianità delle persone attraverso il controllo totale e la polizia predittiva. Negli attuali scenari urbani la tecnologia non è una cosa a sé, ma è un soggetto che regola l’ambiente in cui si vive e che viene presentato come lo strumento necessario per la sicurezza, intesa come priorità in uno stato di emergenza permanente. Oggi la necessità di “difesa”, viene perseguita attraverso dispositivi di separazione e canalizzazione: le persone, diventate utenti della città, possono essere filtrate in funzione della legittimità riconosciuta alla loro presenza nel dato luogo da securizzare. La NATO richiede il proprio coinvolgimento nelle aree urbane in quanto “le città stanno diventando sempre più i bersagli principali di attacchi militari, politici e terroristici e sono ambienti di violenza e conflitto”. Molti investimenti nel settore della digitalizzazione delle città italiane arrivano dal PNNR, che prevede lo stanziamento di diversi miliardi di euro per la digitalizzazione e la trasformazione di territori vulnerabili in smart city, attraverso il recupero del ruolo dei Comuni e la promozione dei partenariati pubblico- privati. La cooperazione su cui si basano le smart city, vede infatti come soggetti gli enti territoriali regionali e locali, le istituzioni culturali e accademiche, le grandi aziende, i cittadini e i “city users”, cioè coloro che si recano in città per usufruire di un servizio.
In questo scenario una città che si contraddistingue è Venezia, che ha inaugurato una Smart Control Room nel settembre 2020, una vera e propria torre di controllo che ha sede nella sede della polizia municipale al Tronchetto, realizzata e gestita in collaborazione tra Comune, Venis S.p.A., Polizia locale e TIM. La data di nascita della Smart Control Room veneziana non è casuale, il 2020 infatti è l’anno in cui la gestione dell’emergenza Covid -19 criminalizza l’idea di folla e dà inizio ad un disciplinamento di massa attraverso dispositivi di controllo e identificazione che permettono spostamenti e accessi solo alle persone in possesso del Green Pass. Non troppo dissimile è il funzionamento del nuovo contributo d’accesso necessario per visitare Venezia, previsto per aprile 2024.

BOLOGNA: FINCHÉ TUTTX NON SARANNO LIBERX

Diffondiamo:

Oggi abbiamo deciso di partecipare al corteo per il 25 aprile, al fianco del popolo palestinese, con uno spezzone antimilitarista anarchico, contro guerra e repressione.

In un contesto di guerra e riarmo esplicito si esaspera la repressione dei nemici interni, sempre più persone sono private della libertà. Nei quartieri vediamo aumentare ogni giorno la militarizzazione, il razzismo e la guerra contro i poveri, con l’ausilio delle violenze quotidiane delle forze dell’ordine, mentre nelle carceri le condizioni di detenzione diventano sempre più dure.

In un momento in cui lo stato affila i suoi dispositivi repressivi e il carcere si sovrappone sempre più al manicomio, ribadiamo che la città per cui lottiamo non ha quartieri con le sbarre!

Abbiamo deciso di scendere in strada per esprimere la nostra solidarietà e complicità ai compagni Alfredo Cospito e Anna Beniamino, per i quali ieri la cassazione ha confermato le condanne rispettivamente a 23 anni e a 17 anni e 9 mesi.

Contro la tortura del 41 bis, contro le violenze di stato, contro il nuovo piano carceri, al fianco di chi lotta.

Libertà per tutte e tutti!

Appuntamento al carcere della Dozza sabato 27 aprile alle 15:00 davanti alla sezione femminile lato via Ferrarese  (benzinaio).

MILANO: TORTURE E VIOLENZE AL CARCERE MINORILE BECCARIA

Ieri mattina, 13 agenti di polizia penitenziaria (di cui 12 ancora in servizio presso il carcere minorile Beccaria di Milano) sono stati arrestati per torture e violenze nei confronti dei minori detenuti; altri 8 agenti sono invece stati sospesi dal servizio.

I reati contestati, tra i quali anche una tentata violenza sessuale ad opera di un agente nei confronti di un detenuto, risalgono almeno al 2022 con condotte reiterate nel tempo fino ad oggi.

“Gli agenti devono rispondere, a vario titolo, di maltrattamenti in danno di minori, anche mediante omissione, aggravati dalla minorata difesa e dall’abuso di potere; concorso nel reato di tortura, anche mediante omissione, aggravato dall’abuso di potere del pubblico ufficiale nonché dalla circostanza di aver commesso il fatto in danno di minori; concorso nel reato di lesioni in danno di minori, anche mediante omissione, aggravate dai motivi abietti e futili, dalla minorata difesa e dall’abuso di potere; concorso nel reato di falso ideologico ed infine una tentata violenza sessuale ad opera di un agente nei confronti di un detenuto”.

Aldilà delle solite dichiarazioni di PM e procuratori vari che parlano di “mele marce” e di una “brutta pagina per le istituzioni”, sappiamo bene che questi non sono episodi isolati, dovuti alla violenza individuale di qualche sbirro. Solo dall’inizio del 2024 sono 30 i suicidi nelle carceri italiane: sappiamo bene, infatti, che quella della reclusione è una realtà fatta di torture, violenze, umiliazioni e vessazioni quotidiane.

LIBERX TUTTX

FUOCO ALLE GALERE!

TORINO: MISURE CAUTELARI PER IL CORTEO IN SOLIDARIETÀ AD ALFREDO

Questa mattina sono state emesse 19 misure cautelari nei confronti di alcunx compagnx indagatx per il corteo del 4 marzo 2023 a Torino, in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito. Quel giorno, un corteo molto animato fu ripetutamente caricato dalla polizia e bersagliato di lacrimogeni, lanciati fin dentro il cortile di Radio Blackout.

Fra le misure emesse: 3 arresti domiciliari, 7 obblighi di dimora con obbligo di firma, 1 divieto di dimora, 8 obblighi di firma. Le accuse sono di devastazione e saccheggio, violenza, lesioni aggravate a pubblico ufficiale. In tutto, sono 75 le persone indagate.

Ribadiamo la nostra complicità e solidarietà con lx compagnx colpitx dalla repressione.

STRAGISTA E’ LO STATO
NON CHI LO COMBATTE!

19 misure cautelari per il corteo del 4 marzo a Torino contro carcere e 41 bis

 

BOLOGNA: PRESIDIO AL CARCERE DELLA DOZZA

Riceviamo e diffondiamo:

SABATO 27 APRILE alle 15.00 ci vediamo davanti alla sezione femminile del carcere della Dozza. Appuntamento al benzinaio Eni di Via Ferrarese, dietro al carcere.

Contro le violenze di stato, contro il nuovo piano carceri, libertà per tutte e tutti!

– A gennaio al carcere della Dozza un detenuto ha tentato il suicidio.

– Nei primi mesi dell’anno due detenuti a distanza di poche settimane hanno dato fuoco alla loro cella.

– A marzo nella sezione femminile due detenute si sono tolte la vita mentre una terza è rimasta gravemente ferita.

– Di recente un detenuto si è rivoltato ai suoi aguzzini con il supporto di un estintore.

Questi sono solo alcuni degli episodi riportati dalla stampa locale, chissà invece quante sono le storie e le proteste che non riescono a oltrepassare quelle mura.
Mentre nei quartieri vediamo aumentare ogni giorno la guerra contro i poveri, il razzismo e la repressione, con l’ausilio delle violenze quotidiane delle forze dell’ordine per le strade, nelle carceri le condizioni di detenzione diventano sempre più dure, in celle sempre più sovraffollate, dove d’estate si soffoca e di inverno si gela, senza acqua calda, tra cibo scadente e i soprusi costanti delle guardie.
Con il piano carceri gli stessi governanti che hanno riempito le galere fino a farle scoppiare intendono continuare ad investire nella costruzione di nuovi centri detentivi e padiglioni.
In un momento in cui il carcere si sovrappone sempre più al manicomio, e sempre più persone sono private della libertà, torniamo sotto al carcere della Dozza per ribadire che la città per cui lottiamo non ha carceri né quartieri con le sbarre! Portiamo la nostra solidarietà ai detenutx, facciamogli sentire che non sono solx!

Compagnx solidalx⁩

BOLOGNA: SOLIDARIETÀ ANTIPSI/ANTI-INPS

Riceviamo e diffondiamo:

Scriviamo questo testo per rompere il silenzio su quanto sta accadendo ad un compagno, per portargli la nostra solidarietà e complicità, e per condividere la sua storia, consapevoli che come la sua ce ne sono molte altre.

Un compagno che percepisce una pensione di invalidità sta subendo la ritorsione di vedersela quasi totalmente sottratta perché l’INPS, a seguito della verifica dei requisiti – a posteriori – per il reddito di cittadinanza percepito tra il 2021 e il 2022, ritiene non ne avesse diritto.

Si parla di una cifra complessiva di 7000 euro.

Per riavere i soldi indietro l’INPS intende però, da maggio, decurtargli quasi il 90% dell’invalidità, rischiando così di compromettere un intero percorso di emancipazione.

Inutile dire quanto questo metterebbe seriamente in difficoltà la quotidianità del compagno, che da anni non solo lotta per la sua autodeterminazione, ma contro un paradigma medico-psichiatrico in cui senza una rete sociale o un welfare familiare, non si ha nessuna reale scelta.

Non possiamo accettare che per riavere il reddito di cittadinanza lo Stato sottragga ad una persona tutta l’invalidità prelevandogli quel poco che le permetteva a malapena di fare fronte alle necessità primarie.

Durante la pandemia le difficoltà sono state tante, e così il compagno, come tante persone, ha fatto domanda per il reddito di cittadinanza, on-line. Ma le insidie della digitalizzazione sono infinite, basta una crocetta o una dichiarazione scorretta, che l’onere è tuo.

Per qualche tempo il compagno ha potuto sperimentare una vita più indipendente e autonoma, dalla famiglia, dai servizi. La verifica retroattiva a posteriori irrompe nella sua vita con quella violenza secca che solo la burocrazia statale è in grado di esprimere ed esercitare.

A questo mondo chi non ce la fa a stare al passo della cultura capitalista e lavorista ultra competitiva dominante è spronato ad adeguarsi con il bastone o con la carota alle misure assistenziali, obbligato a dimostrare il proprio status di ‘persona bisognosa’ tra servizi e procedure spesso mortificanti e impersonali, in cui barcamenarsi non è affatto scontato. Servizi spesso lontani anche dalla condizione sociale delle persone ‘utenti’, che giustamente tendono a volersene sbarazzare con il rischio però di non vedersi più riconosciuta alcuna forma di diritto a condizioni di inserimento lavorativo o di lavoro ‘protetto’ nè alcun tipo di tutela.

Al momento, per quanto il debito non si possa cancellare, il compagno sta tentando ogni via possibile per fare in modo che l’invalidità non sia colpita in modo così importante, tra colloqui con figure e operatori del sistema sanitario, affinchè un’ingiustizia del genere non passi inosservata, e sportelli sociali non istituzionali che offrono anche servizi di patronato, per la possibilità di avviare anche un ricorso.

Consapevoli che non ci vanno a genio nè i servizi istituzionali paternalisti nè l’impatto che il progressivo abbandono delle misure di welfare e di sostegno ha su chi vive sulla propria pelle stigma e discriminazioni, condividiamo quanto sta accadendo al compagnx perchè pensiamo ci riguardi tuttx e chiamiamo alla solidarietà.

strappi@canaglie.org – https://antipsi.noblogs.org


A Bologna il 2 maggio cena solidale ANTIPSI/ANTI-INPS  al Mercatino autogestito Senza Chiedere Permesso.

BOLOGNA: CHI VIVE DI GUERRA NON VA LASCIATO IN PACE

Diffondiamo

VERSO IL CORTEO “DISARMIAMO LA FIOCCHI MUNIZIONI” DEL 18 MAGGIO A LECCO

Un’azienda che fattura 100 milioni di euro in armi esportate in tutto il mondo e che dal 2021 ha visto incrementare i suoi utili del 70% è una chiara immagine della direzione presa da questo mondo. Un’immagine che si lega a stretto filo con il genocidio del popolo palestinese, con i nuovi armamenti e le nuovi classi di leva mobilitate sul fronte russo-ucraino, con un’operazione militare che si prepara nel Mar Rosso a difesa del libero mercato. Saremo in piazza per discutere e presentare un momento di contrasto all’economia di guerra e alla corsa agli armamenti, con chi lo sta organizzando. Lo faremo alla vigilia dell’udienza che deciderà quanti anni Anna e Alfredo, compagni anarchici accusati di un ordigno di fronte a una scuola allievi carabinieri (che, ricordiamocelo, sono dei militari), dovranno passare in carcere, perché opporsi alla guerra esterna e opporsi alla guerra interna vadano di pari passo.

Martedì 23 aprile ore 17

Piazza Verdi Bologna

ROMA: A CHI HA SCELTO DA CHE PARTE STARE

Diffondiamo:

Martedì 23 aprile ore 17.30

Largo Arenula

 

Lo Stato ogni giorno tortura e uccide nelle carceri, arma guerre dentro e fuori i confini, punisce chi sceglie di opporsi. Dopo un anno di mobilitazione al fianco di Alfredo, contro 41 bis ed ergastolo ostativo, scendiamo in strada ancora, in solidarietà ad alcun compagn imputat per quelle giornate di lotta e in vista dell’udienza in Cassazione del 24 aprile per il reato di strage politica ad Alfredo ed Anna, all’interno del processo Scripta Manent.

TENTATIVI DI SUICIDIO E RIVOLTA AL CARCERE DI SPINI

Martedì 9 aprile nel carcere di Spino di Gardolo i detenuti di una sezione hanno staccato i caloriferi, allagandone i locali. La rivolta è stata poi sedata, richiamando in servizio tutti gli agenti della penitenziaria.

I giornali hanno riportato la notizia della protesta (anzi, il racconto della direzione e dei sindacati di polizia), ma ne hanno taciuto le motivazioni. All’origine della protesta sembrano infatti esserci due tentativi di suicidio nel giro di pochi giorni. Il primo da parte di un detenuto africano, portato prima in ospedale, e successivamente riportato in carcere in infermeria. Al momento sembra fuori pericolo di vita.

Il secondo di un altro detenuto nordafricano a cui sono stati rifiutato più volte i permessi per vedere i figli: dopo le sue proteste gli è stato fatto un rapporto disciplinare che ha comportato la perdita del lavoro all’interno. È stato portato in isolamento, ammanettato sotto il letto e poi portato in infermeria, dove ha cercato di impiccarsi.

Questi tentati suicidi e la conseguente rivolta arrivano dopo il suicidio di Indira (a dicembre 2023), soccorsa tardivamente dalle guardie e lasciata morire. Nelle carceri italiane dall’inizio del 2024 c’è stato un suicidio ogni tre giorni.

La causa di queste morti è il carcere stesso, con le sue restrizioni, le ordinarie vessazioni da parte delle guardie, la sanità inesistente e il sistematico rigetto delle richieste domiciliari e uscite anticipate da parte dei tribunali di sorveglianza. Non ultimo c’è il tentativo di imporre le “sezioni chiuse”, riducendo quindi la possibilità di socialità tra reclusi.

SOLIDARIETÀ ALLE DETENUTE E AI DETENUTI DI SPINI E A CHI SI RIVOLTA

FONDAZIONE STELLA MARIS E TAPPETO CONTENITIVO: COME SE FOSSE UNA COSA NORMALE

Riceviamo e diffondiamo questo testo a cura del Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud sull’ultima udienza del processo sui maltrattamenti ai ragazzi con disabilità ospiti della struttura di Montalto di Fauglia (Pisa) della Stella Maris, dove è venuto fuori dell’uso del tappeto contenitivo.

Come se fosse una cosa normale

In attesa della prossima udienza in programma il prossimo 14 maggio, abbiamo fatto alcune riflessioni sull’andamento del processo che seguiamo da circa un anno. Abbiamo impiegato un po’ di tempo per rimettere a posto le idee, dopo aver assistito all’ennesima udienza (per intenderci, quella dello scorso martedì 12 marzo) del processo sui maltrattamenti ai ragazzi con disabilità ospiti della struttura di Montalto di Fauglia (Pisa) della Stella Maris. Terminato l’interrogatorio di operatori e operatrici è stato il turno delle dottoresse, Paola Salvadori (ascoltata nel corso della precedente udienza) e Patrizia Masoni.

Proprio le parole di Masoni sono quelle che ci hanno fatto più riflettere. Per il loro contenuto, certo. Ma, forse, ancora di più, per la pretesa di neutralità, di naturalità con cui sono state pronunciate.

Ha dichiarato la dottoressa Masoni, psichiatra e responsabile dell’IRM (l’Istituto di riabilitazione, l’altra struttura dipendente dalla Stella Maris, accanto alla struttura residenziale), che a Montalto di Fauglia venivano usati, in caso di crisi degli ospiti, i cosiddetti “tappeti contenitivi”.

Come se fosse una cosa normale, appunto, la dottoressa ha ribadito e meglio specificato uno dei punti più oscuri emerso già anche dalle testimonianze di altri operatori. Quando qualcuno degli ospiti diventava particolarmente irascibile e ingestibile veniva giocata la carta del tappeto contenitivo.

Nella triste logica della contenzione, che ha giustificato e giustifica tuttora metodi, violenti e irrispettosi della dignità umana, di inibizione, di immobilizzazione, di privazione anche assai prolungata dell’uso del corpo (corde, camicie di forza, cinghie, cinture, stanze chiuse a chiave, contenzione farmacologica), la vicenda maltrattamenti alla Stella Maris riesce a conquistarsi un posto di tutto rispetto.

Il tappeto contenitivo funziona in un modo semplice e in un certo senso prevedibile: il paziente viene immobilizzato e arrotolato nel tappeto.

Al presidio di Fauglia, ci ricorda la dottoressa, l’idea del tappeto contenitivo comincia a prendere piede dopo che un non meglio identificato dottore americano ne aveva consigliato l’uso nel corso di un convegno di studi, esaltandone gli innegabili effetti pratici e il fatto che «questo tipo di pazienti non gradisce il contatto fisico» (sempre secondo le parole della dottoressa, qui citate letteralmente).

L’altra tutt’altro che condivisibile motivazione a favore del tappeto contenitivo indicata dal medico americano era che il tappeto avrebbe consentito di avere meno problemi con le famiglie in caso di crisi dei pazienti. Ha affermato testualmente la dottoressa Masoni: «il medico ci aveva detto: ma voi in Italia non avete problemi con le assicurazioni quando i vostri pazienti si fanno male o tornano a casa con i lividi? Da noi il tappeto evita molte di queste problematiche…».

E così, negli anni 2008-2009, ascoltando le parole di questo medico e presumibilmente senza accertarsi della loro veridicità e dell’effettiva possibilità di praticare una simile contenzione in Italia, anche le dottoresse della Stella Maris avrebbero cominciato a utilizzarlo nella struttura, anche se solamente nel 2014 la Regione Toscana lo avrebbe inserito tra gli strumenti contenitivi accreditati.

Questo sempre secondo le parole della dottoressa Masoni: ma, al momento, a noi non risulta che questo metodo sia stato mai accreditato da nessuno, tanto meno dalla Regione Toscana. Tra l’altro gli accreditamenti dovrebbero, in ogni caso, passare dalle Unità sanitarie locali.

Nel frattempo, nella struttura si faceva di necessità virtù. All’inizio operatori e operatrici – secondo il racconto della dottoressa – si arrangiavano con quel che c’era: portavano i tappeti da casa! Solamente dopo qualche tempo sarebbe stato possibile un investimento ulteriore: la dottoressa ha raccontato che, accompagnata da altre operatrici, si sarebbe recata di persona all’Ikea a fare una scorta di tappeti a basso prezzo, come lei ha affermato. E stiamo parlando di un istituto – la Stella Maris – che ogni anno riceve dalla Regione Toscana milioni di euro.

Un’ulteriore questione riguarda il numero delle persone che avrebbero dovuto utilizzare questo tappeto contenitivo formato Ikea. Nelle testimonianze presentate al processo prima del 12 marzo alcuni operatori e la stessa dottoressa Salvadori (direttrice della Residenza Sanitaria per Disabili a Montalto dove sono avvenuti i maltrattamenti) avevano parlato della necessità di cinque persone per poterlo utilizzare: uno per arto più uno per la testa. E proprio questa disposizione avrebbe molte volte impedito l’utilizzo del tappeto a causa della carenza del personale.

Il racconto della dottoressa Masoni continua, invece, con altri particolari che descrivono una realtà (se possibile) ancora peggiore, completando un quadro allucinante. La dottoressa ha, infatti, sostenuto che in realtà un solo operatore sarebbe bastato per l’utilizzo del tappeto, e proprio per facilitare un intervento di questo tipo avevano pensato di aggiungere al tappeto delle “maniglie”, in modo da prendere come con una rete da pesca la persona recalcitrante per procedere successivamente alla procedura dell’arrotolamento.

Dulcis in fundo: in mancanza del personale previsto per svolgere la manovra di contenimento tramite tappeto più volte gli addetti avrebbero impedito un possibile “srotolamento” del malcapitato apponendo una sedia come “fermo” sopra il tappeto arrotolato su cui poi, per completare l’opera, si sarebbero posti a sedere. Cosa che è stata raccontata da altri operatori nel corso del processo.

Dal nostro punto di vista, tutto ciò è veramente troppo. Abbiamo ancora gli occhi offesi dalle immagini scorse ormai due anni fa sullo schermo del tribunale, che testimoniavano in maniera inconfutabile le – altroché presunte… – percosse rivolte agli ospiti della struttura. Abbiamo sentito le ingiurie – pesantissime – ripetute alle stesse persone solamente per il gusto di schiacciare, sottomettere, annichilire le personalità.

Questo ulteriore retroscena ci inorridisce e allo stesso tempo ci spinge a formulare alcune – dovute – considerazioni.

L’uso dei tappeti contenitivi pone a nostro avviso alcune problematiche su due ordini di riflessione. Da una parte il piano giuridico-legale: come è possibile che un crudele quanto rozzo marchingegno di questo tipo possa essere considerato regolare?

Non ci risulta che i tappeti siano presidi sanitari accreditati al pari di altri, pur crudeli, annichilenti e ugualmente inaccettabili strumenti di contenzione usati in lungo e in largo nella quasi totalità delle strutture psichiatriche di “accoglienza e cura”, come ad esempio le cinghie.

E se anche in qualche modo fossero stati legittimati da qualche protocollo interno, dubitiamo che si possano considerare regolari e accreditati i tappeti portati da casa o comprati all’Ikea. Sotto questo aspetto, giudice e/o avvocati di parte civile forse dovrebbero approfondire la questione per rilevare eventuali ulteriori profili di reato.

Ma quello che ci colpisce di più, al di là delle parole accomodanti della dottoressa, è un secondo aspetto della questione, le cui implicazioni vorremmo fossero ben inquadrate.

Non si possono arrotolare esseri umani in un tappeto. Le persone non si legano. Mai.

Non ci sono ragioni che possano giustificare una violenza del genere: tanto più in una istituzione di (presunta) eccellenza deputata all’”accoglienza” e alla “cura”; tanto più verso persone, ragazzi indifesi e bisognosi di altro che di trattamenti disumani e degradanti.

L’oltraggio ai corpi costretti da corde e tappeti di contenzione, annichiliti dagli psicofarmaci, segregati e deumanizzati in quelle strutture sanitarie che continuano a essere istituzioni totali, costituiscono la «negazione agita» (per dirla con le parole del professor Alfredo Verde, estensore della relazione tecnica per la componente di parte civile del processo di Pisa) di quanto asserito dalla stessa Carta dei servizi del presidio di Montalto di Fauglia, dove si afferma che il modello adottato ≪mette prima di tutto al centro il paziente come persona, nella sua individualità, nei suoi bisogni relazionali e personali […].

La nostra filosofia di intervento è ‘prenderci cura’ oltre che curare […]. La nostra organizzazione è centrata sul modello del piccolo gruppo di pazienti condotto da educatori professionali e da assistenti con funzioni educative, che fungono da ‘io’ ausiliario o ‘compagni adulti’ dei pazienti, che li supportano concretamente e psicologicamente in ogni atto della vita quotidiana. […] ogni ragazzo […] è visto come portatore di affetti, bisogni emotivi, aspirazioni, competenze≫.

La presunta eccellenza della Stella Maris è un grande bluff. A Fauglia non si mettevano in atto cure o trattamenti terapeutici ma violenze e trattamenti degradanti e umilianti ai danni degli ospiti. Al di là di procedure, protocolli e linee guida, che possono offrire un imprimatur giuridico e professionale alla necessità, costi quel che costi, di ridurre all’impotenza una persona, tutte le pratiche di contenzione, tra cui anche i tappeti di contenzione rappresentano, oltre che una inaccettabile violenza, uno dei tanti simboli del fallimento dell’utopia psichiatrica.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669