FRONTIERE, MILITARI, SBIRRI E CPR : UNA NUOVA ACCELERATA DEL RAZZISMO DI STATO IN ITALIA [PARTE 2]

Di seguito la seconda parte di un testo scritto a diverse mani da compagnx che lottano contro cpr e frontiere tra Italia e Francia. Nel testo si prova a fare una sintesi delle tendenze europee degli ultimi mesi e dei recenti decreti varati dal governo.

A questo link la prima parte.

I discorsi sulle ripetute “crisi migratorie” sono un grande classico dei politici e dei giornali nostrani ed europei. Queste narrazioni servono a giustificare la repressione e lo sfruttamento delle persone migranti sul territorio europeo. In termini pratici, sfruttamento e repressione razzista sono sostenuti a livello nazionale da una produzione legislativa fatta di decreti legge, e a livello sovranazionale, dall’incessante definizione di trattati e accordi. La presenza sempre più consistente di confini militarizzati, sbirri e galere per persone senza documenti sono il risvolto concreto di queste politiche.

La “crisi di Lampedusa” degli ultimi mesi, che ha visto migliaia di persone bloccate in una situazione semi-carceraria sull’isola, sembra aver accelerato certe tendenze nella gestione italiana delle migrazioni e delle frontiere. Questo testo vuole provare a soffermarsi su alcuni cambiamenti recenti (soprattutto dal punto di vista legislativo), per dare qualche piccolo elemento di analisi a chi si batte contro il razzismo di stato, le sue galere e le sue frontiere. In particolare, proveremo a tracciare gli ultimi sviluppi rispetto al ruolo di Frontex in Europa; le tendenze di alcuni paesi europei sul tema della detenzione amministrativa e delle deportazioni; e gli ultimi decreti in Italia.

IN ITALIA, LA LEGGE CUTRO: SFRUTTAMENTO O REPRESSIONE/ESPULSIONE

Se a livello europeo c’è una tendenza comune ad andare verso la reclusione e l’espulsione di un numero sempre maggiore di persone, le politiche nazionali seguono e a volte anticipano queste linee. Per quanto riguarda l’Italia in particolare, vorremmo partire analizzando il cosiddetto decreto Cutro, varato dopo il naufragio avvenuto nel febbraio 2023 e convertito in legge il 5 maggio. Questa legge mira alla gestione della migrazione attraverso uno snellimento delle pratiche di controllo per i padroni, un calcolo di quote flussi che di fatto prevede lo sfruttamento esplicito di lavoratorX che non potranno ottenere i documenti, e operando una ironica eliminazione del già perverso distinguo migrante economicX/migrante in esilio. Qualsiasi persona arrivi sul suolo italiano al di fuori delle irrealistiche quote stabilite dai decreti, trova la propria situazione amministrativa schiacciata su quella, ultra punitiva e marginalizzante, dellX migrantX poverX che non sono in misura di giustificare il proprio spostamento secondo i parametri definiti dalle “ragioni umanitarie.”

La legge prevede una programmazione triennale dei flussi, cioè le quote di persone che possono entrare per lavoro. Il provvedimento é stato varato soprattutto in risposta alle pressioni delle organizzazioni dei padroni, associazioni di categoria di comparti produttivi come l’agroindustria per esempio, che lamentano una carenza strutturale di manodopera. Nonostante le quote nettamente superiori previste da questo ultimo decreto rispetto agli anni precedenti (piu di 450.000), il fabbisogno è almeno doppio (833.000 quote, lo dice pure il governo stesso: 1). Questo rende evidente che il governo italiano prevede che si possa ricorrere a persone che non hanno documenti e si guarda bene dal proporre una forma di regolarizzazione reale per chi è già in Italia.

Il governo italiano si è sempre avvalso dello strumento dei flussi, che esiste dagli anni ’90, da prima che esistesse una legge organica sull’immigrazione (il TUI). Il suo impiego è stato altalenante nel corso degli anni secondo gli andamenti del mercato del lavoro e delle politiche migratorie. Con l’apertura della rotta libica (in conseguenza dell’invasione NATO in Libia) nel 2011 di fatto gli sbarchi hanno sopperito alla contrazione delle quote, fino a rendere quasi impossibile l’ingresso regolare in Italia per motivi di lavoro. La successiva contrazione degli sbarchi a seguito delle politiche del governo Renzi (Minniti e tutti quelli venuti dopo di lui), unitamente all’abbandono di alcuni settori (l’agricoltura ad esempio) da parte di lavoratorX dell’est Europa ha creato una carenza di manodopera strutturale in alcuni comparti. Per questo da ormai un paio d’anni le associazioni datoriali chiedono che si alzino i flussi.

Un altro cambiamento previsto, pensato per semplificare le procedure burocratiche, prevede che, anche senza il nulla osta, il lavoratore o la lavoratrice può già venire in Italia a lavorare. Inoltre, il padrone che presenta una richiesta per lavoratorX stagionali tramite il decreto flussi è poi esente da controlli. Con la scusa di semplificare, di fatto si crea una norma che avvalla l’irregolarità.

Di converso, per chi sbarca sulle coste europee del Mediterraneo o per chi è già in Italia, di fatto si conferma che l’unico canale per avere i documenti in Italia resta la domanda di protezione internazionale, della quale vengono ristretti sempre di più i criteri, mentre aumenta anche il controllo e la repressione, e diminuiscono le garanzie, già scarne per chi è richiedente asilo, assenti per chi non ha più alcuna speranza di regolarizzarsi. Infatti, la legge Cutro interviene pesantemente anche sulla disciplina della protezione speciale. Fino ad ora, la protezione speciale costituiva l’unica scarna possibilità di regolarizzazione per chi non rientrava nei criteri dell’asilo e della protezione sussidiaria. Infatti, tra i criteri veniva tenuta in considerazione la violazione della “vita privata e familiare”: la persona richiedente aveva cioè modo di far valere i propri vincoli familiari sul territorio italiano, l’inserimento sociale e lavorativo, la durata della permanenza nel paese. Era anche possibile chiederne il riconoscimento direttamente al questore senza passare dalla procedura dell’asilo(2). La legge Cutro elimina la violazione della vita privata e familiare come ragione legittima per ottenere un permesso di soggiorno, e la persona richiedente non avrà piu il canale della questura per presentare domanda. Il permesso per protezione speciale continuerà ad esistere, ma potrà essere rilasciato solo in caso di rischio di tortura o trattamenti inumani e degradanti nel paese di provenienza. Questo elimina quasi del tutto la possibilità di accedere a forme di regolarizzazione per tutte quelle persone che hanno vissuto e lavorato in Italia irregolarmente per anni. Infatti, i permessi di soggiorno per protezione speciale non potranno più essere trasformati in permessi di soggiorno per lavoro.

La condizione di illegalità in cui le persone saranno lasciate é particolarmente violenta considerato che la legge Cutro prevede anche un allargamento della lista dei paesi sicuri, cioè di quei paesi in cui l’Italia non considera ci sia rischio di persecuzione o trattamenti degradanti. Gambia, Nigeria, e Costa d’Avorio rientrano ora in questa lista. Da notare che si tratta, per queste quattro new entry, dei paesi da cui arrivano gran parte delle persone migranti nelle coste italiane, nonché quelli per i quali risulta più facile l’attuazione di decreti di espulsione, per la facilità data dagli accordi bilaterali presenti.

In parallelo, la legge Cutro subdolamente attacca lo statuto di richiedente asilo, affinando i dispositivi di controllo e repressione previsti per chi ne sta facendo domanda. La legge prevede infatti un aumento degli hotspot (ad oggi sono tre) per le procedure di identificazione e registrazione delle domande d’asilo. Gli hotspot sono strutture in cui la legge Salvini (2018) prevede la possibilità di privazione di libertà fino a 30 giorni, e in cui interviene il garante dei detenuti, a riprova della loro natura carceraria. Negli hotspot o strutture analoghe, la verifica dell’identità potrà ora avvenire anche mediante ricorso a rilievo fotodattiloscopico e accesso a banche dati, in linea (avanguardistica) con le future linee del patto europeo sulle migrazioni, rispetto a come ripartirsi i “pacchi-migranti” tra paesi membri dell’unione.

Sempre nello stesso spirito razzista, gestionale e detentivo la nuova legge prevede che in caso non si riesca a verificare l’identità della persona richiedente, la stessa potrà essere trasferita in un CPR per un massimo di 90 giorni, a cui se ne possono aggiungere 30. Dunque, tra i motivi per cui si può essere detenutX in un CPR, si aggiunge il caso in cui si sia in attesa di responso sulla domanda di protezione internazionale. Per evitare la detenzione, unX richiedente asilo dovrà ora provare di poter disporre di 4538 euro con cui “comprare” allo stato una vita fuori dal CPR.

L’impianto di questo decreto convertito in legge vacilla già nei primi mesi, con la prima sentenza contraria pronunciata a fine settembre 2023: un giudice del tribunale di Catania infatti non convalida il trattenimento di 4 persone nell’hotspot di Pozzallo (Ragusa) (3). Una seconda sentenza in questo senso arriva l’8 ottobre, sempre da un giudice di Catania, sempre rispetto al trattenimento di 6 persone nello stesso hotspot di Pozzallo, che non viene convalidata. In ogni caso, l’impianto della legge mostra di voler tradurre per iscritto l’evidenza della frontiera come onnipresente su tutto il territorio europeo, sancendo nero su bianco che ogni posto di trattenimento, espulsione e controllo va trattato, nei fatti, come una frontiera. Le decisioni dei tribunali sono ora in fase di ricorso da parte del governo, e si tratta pur sempre di semplice giurisprudenza (4). Il testo di legge del decreto Cutro per ora rimane in piedi e applicato.

LA “CRISI” DI LAMPEDUSA: IL DECRETO SUD E I SUCCESSIVI PROVVEDIMENTI

Sempre sull’onda mediatica generata dopo una serie di sbarchi di diverse migliaia persone a Lampedusa negli ultimi due mesi, il governo ha varato a settembre 2023 altri due decreti legge sulla questione migratoria.

Il primo, che tratta di norme riguardo l’edilizia ed il trattenimento delle persone migranti, è stato infilato in un decreto che si occupa del Mezzogiorno. Due i punti centrali, il prolungamento dei tempi di reclusione in attesa dell’espulsione e la titolarità delle strutture detentive.
1) I/le migranti consideratX irregolari e sottopostX a decreto di espulsione potranno ora essere trattenutX fino a un massimo di 18 mesi, con proroghe di 3 mesi in 3 mesi, convalidate dal giudice su richiesta del questore.
2) Sia CPR che Hotspot e CAS sono convertiti in “opere destinate alla difesa nazionale a fini determinati”. Con il mandato alla Difesa e la riclassificazione delle strutture il governo bypassa la concertazione con regioni e comuni nell’individuazione delle strutture. Il Ministero della difesa è incaricato della progettazione e della realizzazione delle strutture. Per la realizzazione del piano è istituito un fondo di euro 20 milioni per il 2023, mentre e’ autorizzata la spesa di 1 milione di euro annui a decorrere dall’anno 2024 e di 400.000 per l’anno 2023.
La gestione delle strutture sarà affidata ai privati, come già è il caso per i CPR esistenti, mentre la sorveglianza resterà in capo alle forze di polizia. Le procedure per i lavori di costruzione sono dichiarati come “Straordinarie”, quindi il ministero della Difesa potrà disporre l’immediata acquisizione di servizi e forniture in deroga alle procedure, come nei casi di terremoto o inondazione. Il numero di centri dovrà essere ritenuto «idoneo» e potrà aumentare nel tempo. Saranno riconvertiti anche edifici già esistenti, probabilmente ex caserme. Le forze armate saranno quindi soprattutto il braccio operativo che permetterà di tagliare sulle procedure, sui tempi e sui costi.
In pratica, il governo si sta dando gli strumenti per realizzare rapidamente e in maniera diffusa (l’idea é di un CPR per regione) una serie di nuove carceri per persone senza documenti, dove rinchiuderle per un anno e mezzo in attesa di espulsione.

Un ennesimo decreto viene poi approvato a distanza di tre giorni dal primo. L’impianto della nuova stretta in materia di immigrazione e “sicurezza” (inserita in un ennesimo decreto legge di 11 articoli) prevede un’ulteriore categoria di soggetti a rischio espulsione, ovvero persone con permessi di soggiorno di lungo periodo ma considerate pericolose «per gravi motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato». E’ una misura particolarmente grave, perché implica che qualsiasi persona straniera, anche se ha i documenti, sarà a rischio di espulsione se lo stato decide così. Ulteriore stretta anche a quelle strade amministrativo/legali finora possibili per tentare di rallentare i procedimenti di espulsione: la domanda di asilo reiterata (dopo il diniego della prima) non bloccherà l’esecuzione di un provvedimento di allontanamento in corso.

Altro grande tema quello della gestione dellX minori: il decreto prevede la possibilità di svolgere più rapidamente gli accertamenti «antropometrici» (e sanitari, compreso il ricorso a radiografie) per verificare l’età effettiva delle persone che si dichiarano minori non accompagnatiX. Se l’età dichiarata non corrisponde secondo gli accertamenti (nonostante tali misurazioni siano spesso inaccurate e scientificamente controverse [5]), lX stranierX può essere condannato per il reato di false dichiarazioni al pubblico ufficiale, e la condanna può essere sostituita dall’espulsione.

In ultimo, un ulteriore allargamento dei fondi desinati alla gestione migratoria: il provvedimento stanzia 5 milioni di euro per il 2023 e 20 milioni di euro dal 2024 fino al 2030 per interventi a favore della Polizia e dei Vigili del Fuoco. Inoltre, aumenta il personale di polizia presso le ambasciate e i consolati italiani, per potenziare le verifiche del rilascio dei visti d’ingresso.

Tirando le somme di questa disamina legislativa, possiamo dire che riguardo alla gestione migratoria del governo Meloni ha sempre e unicamente operato per decreti, a partire dal cosiddetto Decreto Piantedosi del gennaio 2023 che rende più complicato il soccorso in mare e prevede sanzioni per le ONG che non rispettino le complesse procedure.
In senso giuridico, l’operare per decreti sottolinea una gestione d’urgenza, emergenziale, e razzista, ribadendo una guerra sulla pelle del nemico migrante, cosa che si rinforza nel ricorso al genio militare per le nuove strutture di trattenimento.
Tutti gli interventi legislativi di cui abbiamo scritto operano sempre più in varie misure una sovrapposizione tra accoglienza e detenzione, rendendo sempre più evidente la lettura repressiva rispetto al gesto di migrare.

La necessità mediatica del discorso di destra sui migranti ha fatto sì che i decreti fossero scritti “giuridicamente” male; sono vaghi e confusi nel linguaggio ed hanno vari punti di contraddizione, per questo i giudici della sezione di Catania hanno ritenuto di annullare i trattenimenti. Nonostante ciò, i decreti sono immediatamente esecutivi, ed il periodo di incertezza sull’effettiva applicazione delle norme pesa ancora di più sulle vite di chi è consideratX irregolare come ennesima forma del razzismo istituzionale.

In conclusione, bisognerà comunque vedere come le misure di cui si é parlato qui sopra verranno tradotte nella realtà. Abbiamo qui parlato con termini giuridici e tecnici, ma non sono le sedi di tribunali il luogo in cui riponiamo le nostre energie e attese di lotta. Non sappiamo ancora come andrà a finire : i piani dei governi si scontreranno con le lotte e le resistenze di tuttX quellX che continueranno a attraversare mari e muri, a evadere e a distruggere le gabbie in cui si vuole rinchiurderlX, a lottare per poter decidere sulla propria vita. E vedremo se si riuscirà a costruire delle forme di solidarietà efficaci e non solo simboliche con queste lotte, finché di tutte ‘ste gabbie non restino solo macerie.

 


NOTE

(1) https://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-42/23077

(2) https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/06/1-Scheda-su-riforma-della-protezione-speciale-DEF.pdf

(3) https://www.altalex.com/documents/news/2023/10/05/migranti-tribunale-catania-non-convalida-trattenimento-decreto-cutro-contrasta-con-norme-ue

(4) https://www.ilsole24ore.com/art/migranti-cassazione-ricorsi-palazzo-chigi-contro-tribunale-catania-AFSr4GMB

(5) https://www.asgi.it/minori-stranieri-accertamento-eta/

FRONTIERE, MILITARI, SBIRRI E CPR : UNA NUOVA ACCELERATA DEL RAZZISMO DI STATO IN ITALIA [PARTE 1]

Riceviamo e diffondiamo la prima parte di un testo scritto a diverse mani da compagnx che lottano contro cpr e frontiere tra Italia e Francia. Nel testo si prova a fare una sintesi delle tendenze europee degli ultimi mesi e dei recenti decreti varati dal governo.

A questo link la seconda parte.

I discorsi sulle ripetute “crisi migratorie” sono un grande classico dei politici e dei giornali nostrani ed europei. Queste narrazioni servono a giustificare la repressione e lo sfruttamento delle persone migranti sul territorio europeo. In termini pratici, sfruttamento e repressione razzista sono sostenuti a livello nazionale da una produzione legislativa fatta di decreti legge, e a livello sovranazionale, dall’incessante definizione di trattati e accordi. La presenza sempre più consistente di confini militarizzati, sbirri e galere per persone senza documenti sono il risvolto concreto di queste politiche.

La “crisi di Lampedusa” degli ultimi mesi, che ha visto migliaia di persone bloccate in una situazione semi-carceraria sull’isola, sembra aver accelerato certe tendenze nella gestione italiana delle migrazioni e delle frontiere. Questo testo vuole provare a soffermarsi su alcuni cambiamenti recenti (soprattutto dal punto di vista legislativo), per dare qualche piccolo elemento di analisi a chi si batte contro il razzismo di stato, le sue galere e le sue frontiere. In particolare, proveremo a tracciare gli ultimi sviluppi rispetto al ruolo di Frontex in Europa; le tendenze di alcuni paesi europei sul tema della detenzione amministrativa e delle deportazioni; e gli ultimi decreti in Italia.

IL RUOLO DI FRONTEX NEL GOVERNO DELLE FRONTIERE EUROPEE

Prima di vedere cosa si è inventato il governo italiano negli ultimi mesi, partiamo da alcune tendenze generali, dettate dalle linee guida e politiche comunitarie interne alla UE. La gestione delle frontiere interne dei paesi europei è fortemente collegata all’attività di sorveglianza e repressione che viene svolta lungo i confini con i paesi non europei.
Questa attività si manifesta concretamente in due modi. Da un lato si traduce nella militarizzazione dei confini, attraverso il potenziamento delle operazioni condotte dalle agenzie europee incaricate della difesa dei confini nazionali, in primis Frontex. Dall’altro si assiste a un processo sempre più sistematico di esternalizzazione delle frontiere europee, attraverso l’investimento di ingenti somme di denaro destinate a finanziare tecnologie di sorveglianza via via più affilate e con la creazione di centri e campi in paesi non europei e di transito.

Senza voler risalire troppo indietro nel tempo, cerchiamo di tracciare alcune linee sugli investimenti in materia dell’Unione Europa nell’ultimo anno, in particolare a partire dallo scoppio della guerra in Ucraina. Il conflitto ha prodotto un maggiore controllo delle frontiere orientali dell’Europa, attraversate da un flusso significativo di persone in fuga e da un flusso ancora maggiore di armamenti inviati al fronte (1). L’Ucraina riveste storicamente un ruolo di regolazione della frontiera orientale dell’Europa, di conseguenza l’instabilità che ha investito questa zona ha determinato un rafforzamento del ruolo di Frontex nei suoi territori.

L’inizio del 2022 è segnato dalla messa in atto di Joint Operation Terra, un’operazione che vede schierate decine di truppe attraverso dodici stati europei, in particolare nelle regioni est europee (Estonia, Romania, Slovacchia). Inoltre l’agenzia ha dato avvio a diverse operazioni congiunte con gli stati confinanti con tali le regioni, finalizzate alla formazione delle forze armate locali e della polizia di frontiera. Lo scopo dichiarato è quello di aumentare la capacità di questi paesi di tutelare i propri confini combattendo l’immigrazione “illegale” e il “traffico di persone migranti”, difendendo di conseguenza le frontiere dell’Europa. L’intervento di Frontex nel 2023 si è concentrato in Ucraina e in Moldavia, per via della forte pressione esercitata dalle persone in fuga dal conflitto russo-ucraino, e nell’area balcarnica, in particolare in Macedonia e in Romania. (2)

La gestione della frontiera nel Mediterraneo occidentale funziona in modo ben diverso e segue il modello dell’emergenza strutturale. Se in Ucraina si aprono corridoi umanitari preferenziali che vedono il transito di numerose persone migranti (bianche), nel Mediterraneo si registrano, nel 2022, 2367 persone morte in mare. Nei primi sette mesi del 2023 sono morte circa duemila persone, di cui alcune centinaia in due naufragi tra febbraio e giugno. Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio un’imbarcazione sbatte in una secca a largo di Cutro, in Calabria, e si rovescia tra le onde, portando alla morte di 94 persone. A seguito della strage saranno numerose le polemiche sul ruolo di Frontex e della guardia costiera italiana nella previsione del naufragio (3). Il 16 giugno 2023 un peschereccio cola a picco a largo di Pylos, in Grecia, causando la morte di 750 persone, uno dei naufragi di più grossa entità degli ultimi anni, un’ennesima strage provocata dalle mortifere politiche europee di gestione delle frontiere. Anche in questo caso si parla di responsabilità della guardia costiera (4). Nel frattempo, l’attività di monitoraggio da parte di Frontex nel Mediterraneo sottolinea la forte presenza di immigrazione irregolare in questa regione, e giustifica cosi l’intensa attività repressiva che viene condotta dall’agenzia europea nelle acque tra la Sicilia e il nord Africa.

In questo quadro si arriva agli ultimi mesi dell’estate 2023, quando in breve tempo numerose imbarcazioni attraversano il Mediterraneo determinando un aumento degli sbarchi a Lampedusa, in parte determinati dal braccio di ferro tra Saied, il presidente tunisino, e Bruxelles riguardo allo sblocco dei finanziamenti previsti dai memorandum con la Tunisia.
Di fronte alla gestione manu militari invocata dalla premier Meloni e sostenuta dai proclami di Von Der Leyen, che dichiarano il pugno duro contro i “trafficanti responsabili delle migliaia di sbarchi”, Frontex afferma che incrementerà il proprio sostegno alle forze di polizia italiane, duplicando il numero di ore di pattugliamento sul Mediterraneo e stanziando contingenti a Reggio Calabria e Messina, che facilitino e accelerino le procedure di identificazione ed espulsione delle persone migranti irregolari. Inoltre, Frontex ha precisato di essere pronta a organizzare delle missioni di identificazione nei paesi non europei, per facilitare le procedure di rimpatrio sulla base delle esigenze delle autorità italiane (5). Ricordiamo che l’agenzia è presente in Italia attraverso l’operazione Themis, che consiste di 283 unità, cinque imbarcazioni, sette velivoli, 18 uffici mobili e 4 veicoli per il controllo delle migrazioni. In questo scenario, nella logica dell’esternalizzazione, Frontex vorrebbe espandere la propria influenza in Africa. L’agenzia è in trattativa con i governi del Senegal e della Mauritania per un’azione diretta sul territorio tramite l’installazione di un proprio contingente (6).

Possiamo vedere che, per quanto riguarda la gestione delle frontiere esterne dell’Europa, i paesi della UE tendono a delegare sempre di più ai paesi non europei il blocco dei flussi, attraverso operazioni militari condotte da Frontex e finanziando economicamente le forze armate locali. Allo stesso tempo, il discorso dell'”emergenza migratoria” permette di giustificare delle misure sempre più repressive che vengono scontate sulla pelle di chi prova ad attraversare i confini. Questo ha delle conseguenze anche dal punto di vista delle leggi emanate a livello europeo.

TENDENZE EUROPEE : PIÙ CARCERI E PIÙ DEPORTAZIONI

Sia ciò che si muove alle frontiere esterne del continente, che l’ultimo ciclo di decreti in Italia, deve essere letto in parallelo con le tendenze in corso nello spazio europeo nel suo complesso. Due dimensioni ci sembrano particolarmente importanti : il patto europeo sulla migrazione e l’asilo, e i piani nazionali di ristrutturazione dei sistemi di trattenimento e espulsione.

Il patto europeo sulla migrazione e l’asilo é un progetto dell’unione europea che non é ancora stato adottato ma dovrebbe passare nel 2024, prima delle elezioni europee. Anche se é stato presentato come una grande novità (repressiva, ovviamente), questo patto non sembra essersi inventato granché, ma potrebbe accelerare dei meccanismi già in atto. Il patto prevede, tra le varie cose :
– di vincolare in maniera più stretta l’ottenimento da parte dei paesi extra-europei di visti per viaggiare in Europa in cambio di lascia-passare consolari per poter espellere in questi stessi paesi ancora più persone senza documenti. La Francia lo fa da parecchio tempo : o accetti di “rimpatriare” i/le tuX clandestinX, oppure ti taglio i visti.
– di sistematizzare la selezione delle domande di asilo alla frontiera esterna, in continuità con l’approccio hotspot e con gli ultimi decreti italiani
– la riforma del trattato di Schengen : possibilità di ristabilire dei controlli alle frontiere tra paesi europei (come succede in realtà da anni tra Francia e Italia), e di lanciare operazioni poliziesche congiunte contro “i movimenti irregolari”
– di rinforzare ulteriormente i database europei in cui registrare le identità dellX stranierX che arrivano sul continente in maniera “illegale” e/o richiedenti asilo (per esempio, estendendo i tempi in cui conservare le impronte delle persone intercettate alla frontiera, in modo che diventi ancora più complesso chiedere asilo in un paese diverso da quello in cui si arriva)
– di sospendere tutto “in caso di crisi” o di “strumentalizzazione” : procedure d’asilo accelerate un po’ per tuttX, imprigionamento nei CPR se c’é un “rischio di fuga”, etc.

In realtà, non sono misure nuove, ed é difficile sapere a che punto il patto trasformerà la situazione attuale o si limiterà a legalizzare a livello europeo quello che già succede in vari paesi. Il punto che sembra invece più innovativo é quello che riguarda i meccanismi di ridistribuzione delle persone richiedenti asilo (il famoso regolamento di Dublino), che é sempre stato un elemento importante di tensione tra i governi dei paesi alle frontiere meridionali e orientali dell’Europa e quelli del centro e del nord. Tutto il teatrino che sta facendo il governo italiano in queste settimane é legato anche a questo: che stato deve “occuparsi” dellX nuovX arrivanti, rinchiudendolX in dei centri, giudicando se possono restare sul territorio, e eventualmente rinviandoli·e da dove vengono?
Il patto europeo prevede 3 opzioni per i paesi dell’unione europea :
– o accettano di “ricollocare” (manco fossero dei pacchi) le persone richiedenti asilo intercettate alle frontiere esterne
– oppure devono contribuire finanziariamente alle espulsioni da parte di altri stati europei
– o ancora, devono partecipare (dal punto di vista economico e logistico) ai controlli alle frontiere esterne europee.
Tutta questa roba si chiama “solidarietà europea”: se non vuoi partecipare al controllo e alla selezione deX immigratX poverX, caccia i soldi per espellerlX.

Al di là della cornice legale su cui stanno lavorando a livello europeo, vari paesi dell’UE stanno già mettendo in atto dei meccanismi simili rispetto al sistema di detenzione amministrativa e di espulsione. Diversi stati europei stanno perfezionando la macchina delle espulsioni, come la Spagna, dove due anni fa hanno costruito quello che é probabilmente il più grande CPR d’Europa ad Algeciras, 500 posti (7), o come la Germania, dove il CPR dell’aeroporto berlinese di Brandenburg sta passando da 24 a 108 posti (8), e dove si sta parlando di allungare la detenzione amministrativa da 10 a 28 giorni (9).
Più nello specifico – e non sappiamo se ci siano delle indicazioni da parte dell’UE in tal senso – il progetto che sta portando avanti il governo Meloni (e altri prima di lei) di sistematizzare l’imprigionamento delle persone senza documenti aumentando la durata della detenzione amministrative e costruendo un CPR in ogni regione é esattamente quello che sta succedendo in Francia da qualche tempo. Nel 2019, si passa da 45 a 90 giorni di detenzione. Entro il 2025, secondo i piani del governo Macron, i posti aggiuntivi nei luoghi di detenzione amministrativa saranno di un migliaio : più o meno 75 000 prigionierX in più all’anno. Un nuovo CRA (i CPR francesi) é stato inaugurato a Lione, vari centri sono stati aperti a Mayotte (isola al largo dell’oceano indiano considerata come un dipartimento francese) durante l’operazione neocoloniale detta Wambushu, e nuove costruzioni sono previste a Orléans, a Nantes, a Bordeaux, a Dunkerque, a Parigi (di fianco all’aeroporto Charles de Gaulle, dove già c’é un CRA) (10). Non é finita : a inizio ottobre il ministro degli interni francese Darmanin ha annunciato altri 6 nuovi CRA, per raddoppiare i posti in detenzione amministrativa, e ora si parla anche in Francia di allungare la detenzione amministrative a 18 mesi per le persone “straniere delinquenti”.


NOTE

(1) Ricordiamo che pochi mesi prima dello scoppio del conflitto un’altra “crisi migratoria” è scoppiata al confine tra Polonia e Bielorussia. La pressione di centinaia di persone provenienti da Medio Oriente e Africa in transito in Bielorussia ha portato a massicci attraversamenti della frontiera tra dicembre del 2022 a marzo del 2023, con una conseguente militarizzazione del confine polacco e la costruzione di un muro di filo spinato tra i due stati.

(2) Tutte le operazioni in cui è impegnato Frontex sono pubblicamente reperibili nella sezione news del loro sito.

(3) https://www.repubblica.it/cronaca/2023/09/06/news/cutro_naufragio_dati_frontex_migranti-413503943/

(4) https://www.rainews.it/articoli/2023/06/il-naufragio-di-pylos-per-alcuni-sopravvissuti-sarebbe-stato-provocato-dalla-guardia-costiera-86e1bdb0-3b4e-4bba-8f90-9346cd9e8134.html

(5) https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/frontex-boosts-support-to-italy-IHEK3y

(6) https://www.statewatch.org/news/2023/july/push-back-frontex-campaign-in-senegal-targets-deployment-of-eu-border-agency/

(7) https://www.europasur.es/algeciras/Comienzan-movimientos-construccion-nuevo-CIE_0_1583243154.html

(8) https://www.theleftberlin.com/ber-airports-new-deportation-centre/#:~:text=Not%20many%20people%20know%20that,question%20by%20the%20German%20state.

(9) https://www.infomigrants.net/en/post/50836/german-interior-minister-proposes-making-returns-and-deportations-easier

(10) https://abaslescra.noblogs.org/retours-de-plusieurs-villes-sur-la-journee-de-lutte-du-18-fevrier-2023-contre-la-loi-sur-limmigration-et-les-cra/

 

LA LOTTA CONTRO IL 41-BIS NON È FINITA

CON DOMENICO PORCELLI IN SCIOPERO DELLA FAME

Domenico Porcelli ha 49 anni ed è della provincia di Bari. Dal 2018 si trova in stato di detenzione, condannato a 26 anni e mezzo di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso con una sentenza ancora non definitiva. Da quattro anni si trova recluso in regime di 41-bis nel carcere di Bancali, nei pressi di Sassari, lo stesso regime e lo stesso carcere dove il compagno anarchico Alfredo Cospito ha portato avanti uno sciopero della fame durato oltre sei mesi contro il 41-bis e l’ergastolo ostativo, e dov’è attualmente detenuto.

Dal 28 febbraio scorso anche Domenico Porcelli ha intrapreso uno sciopero della fame contro la tortura del 41-bis, la sua è una protesta contro il decreto di proroga della misura emesso quest’anno dal Ministro della Giustizia, un provvedimento che lo vede ancora recluso in questo duro regime (la legge prevede la reclusione in 41-bis per 4 anni, rinnovabile e prorogabile per altri 2 anni di volta in volta). Nonostante il lungo sciopero della fame non ci sono state passerelle “dem” a Bancali per Domenico Porcelli, la sua situazione, lontana dai riflettori e inutile ai fini di propaganda e strumentalizzazione politica, come molte altre dietro le sbarre, è rimasta sepolta pressochè nel silenzio.

A luglio il magistrato di sorveglianza di Sassari ha respinto la richiesta – presentata d’ufficio – di differimento della pena per motivi di incompatibilità con il regime carcerario a causa della sua situazione di salute aggravata dallo sciopero della fame. La richiesta è stata respinta nonostante l’Asl di Sassari abbia fornito dettagli specifici riguardanti le condizioni critiche in cui versa.

Ad agosto Domenico attraverso i suoi avvocati ha affermato di voler richiedere il suicidio assistito, ovviamente cosa non possibile poiché in Italia è reato. Questo ricorda quanto fatto nel 2007 da un gruppo di ergastolani ostativi, tra cui Carmelo Musumeci, che chiese di convertire l’ergastolo in pena di morte per bucare il silenzio intorno a questa condizione.

I legali di Domenico hanno presentato un reclamo al Tribunale di Sorveglianza di Roma per chiedere l’annullamento del decreto di proroga del 41-bis. La giurisprudenza prevederebbe che ogni provvedimento di questo tipo contenga una motivazione specifica e autonoma sulla persistenza del pericolo per l’ordine e la sicurezza, senza utilizzo di formule stereotipate che giustifichino automatismi o si basino su giudizi presuntivi. Secondo il reclamo presentato dagli avvocati il decreto impugnato non indica invece alcun elemento preciso in tal senso.

L’udienza si è tenuta venerdì 20 ottobre e sembra sia andata molto male. Il relatore, che era anche presidente, non ha dato possibilità all’avvocata di parlare. Il presidente ha asserito che non si tratta di sciopero della fame, dal momento che ingerisce latte, tisane e the. Come già dimostrato nei mesi scorsi, lo Stato non esita ad ignorare totalmente la salute di un detenuto che non sta ingerendo cibo da mesi per soffocare qualsiasi messa in discussione del regime di 41-bis.

Intanto la situazione di salute fisica, e inevitabilmente anche psichica, di Domenico è sempre più compromessa: già a fine agosto accettava un po’ di latte ma gli venivano somministrate delle flebo perché, con pressione molto bassa, battiti cardiaci lentissimi e 55 kg di peso, non si reggeva in piedi.

L’avvocata Pintus riporta che al momento ha smesso di ingerire anche il latte per bere soltanto acqua, the e tisane, e che i valori sono preoccupanti, ha la pelle disidratata e un piede addormentato con formicolio ormai costante.

Recentemente Domenico ha affermato che se l’udienza del 20 ottobre a Roma riguardo la discussione sulla revoca del 41bis, fosse andata male, avrebbe incominciato anche lo sciopero della sete.

DUE PAROLE SU MAFIA E ANTIMAFIA

Tutti i regimi si sono serviti e si servono della costruzione di un nemico comune per manipolare le persone e ottenere consenso. La repressione e la tortura sono sempre state al servizio e a difesa del potere dominante, mai della giustizia sociale.

Quando il potere politico istituzionalizza la repressione e la tortura, il meccanismo per legittimarli agli occhi dell’opinione pubblica è quello di mostrificare chi la subisce, ed esaltare gli aguzzini che la eseguono.

I pronunciamenti marziali dei tanti politici e campioni della legalità che esortano una guerra santa alla mafia, difendono proprio la stessa democratica barbarie che la necessita e la produce.

Mafia e Stato sono indistricabili, gli interessi che li legano sono profondi e molteplici, sin dal principio. La convinzione binaria che l’antimafia rappresenti la legalità e la giutizia suprema, e che il Bene coincida con lo Stato è parte di una propaganda volta a mistificare la realtà e ad alimentare sfruttamento e oppressione. Ad oggi la mafia è colta, inserita, legata a doppio filo al capitale finanziario, agli interessi legati alle grandi opere, alla gestione del sistema degli appalti ecc. L’epitaffio inciso sulla tomba di Peppino Impastato non a caso recita: “Rivoluzionario e militante comunista – Assassinato dalla mafia democristiana.”

ESTENSIONE AI PRIGIONIERI POLITICI

E infatti dal pretesto della “lotta alla mafia” dal 2002 il regime di 41-bis è stato esteso a prigioniere e prigionieri politici e rivoluzionari e alle associazioni cosiddette eversive, perfezionando così l’armamentario della repressione preventiva.

In questo senso ricordiamo la compagna Diana Blefari che si tolse la vita dopo la permanenza in questo duro regime. Ricordiamo Nadia Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, tutti militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente, che vi resistono da oltre 17 anni.

TORTURA E PENA DI MORTE DEMOCRATICA

Concepito come una vera e propria tomba per vivi, il regime di 41-bis mira a recidere i legami e i contatti con il mondo esterno di chi vi è ristretta/o col proposito di costringerla/o a collaborare con la giustizia. L’isolamento totale e l’annichilimento della personalità che subisce chi vi è internata/o si aggiunge ad una quotidianità carceraria fatta di privazioni, umiliazioni e sofferenze. Un mezzo di pressione pari ai metodi dell’inquisizione, costruito per provocare danni fisici e mentali tramite la tecnica della deprivazione sensoriale allo scopo di indurre al pentimento, estorcere confessioni e dichiarazioni.

Attualmente lo Stato non solo detiene oltre 700 persone in questa tomba per vivi ma sta procedendo all’aumento dei posti disponibili, come al carcere di Uta, nella provincia di Cagliari, dove si sta procedendo nella realizzazione di un nuovo padiglione per detenuti in regime di 41 bis.

UNA LETTERA DEI DETENUTI DI BANCALI
“Vi raccontiamo cosa succede davvero”

A fine settembre dopo la morte in cella di un detenuto di soli 26 anni, i detenuti del carcere di Bancali hanno scritto una lettera:

Raccontano come “non è possibile accedere ai benefici penitenziari come le misure alternative e la liberazione anticipata che, nostro malgrado, viene istituita in condizioni talmente minime che non permettono neanche ad un qualsiasi detenuto con pena in scadenza ormai prossima a pochi mesi, di uscire prima per raggiungere i nostri famigliari. Ciò nonostante la buona condotta, perché la liberazione anticipata, che per ogni semestre è di 45 giorni, non viene istruita dalla stessa area trattamentale. Parimenti si verificano le stesse condizioni su tutti i detenuti, che con i requisiti e i termini di legge raggiunti con buona condotta, ed essendo, in possesso altresì di accettazione e destinazione, nonché di lavoro con contratto e tutto il necessario, non vengono messi in condizioni di accedere al beneficio o alla misura alternativa”. Idem per i detenuti vulnerabili, in condizioni di fragilità psichica o tossicodipendenti, i quali si trovano di fronte al “diniego, in quanto l’Area educativa relaziona detenuti compatibili al carcere.”

“Ci sono persone con disabilità anche gravi, con età superiore ai 75 anni e patologie fisiche e psichiatriche”

Tra i tanti reclusi dentro Bancali con residui di pena di pochissimi anni e addirittura mesi c’è un giovane straniero, raccontano, che da diversi mesi attende la liberazione anticipata “E’ stata più volte sollecitata all’area educativa, ma mai inoltrata all’apposito ufficio di sorveglianza, nonostante il fine pena sia previsto poco prima della fine dell’anno. Tutto ciò è vergognoso e ci sono numerose persone in queste condizioni”.

Nella lettera i detenuti hanno anche messo in luce la condizione ancora più difficile degli stranieri extracomunitari “Queste persone, che escono per permessi premio per buona condotta, devono lavorare come degli schiavi per produrre economia, chissà per chi. Altro che permesso premio, questo si chiama caporalato”.

La morte del giovane di 26 anni non è stata l’unica all’interno del carcere di Bancali, nella lettera i detenuti ricordano un detenuto morto nel settembre 2022 per overdose “Nonostante avesse scontato 7 anni ed era oltre la metà della pena, gli è stata negata la possibilità di accedere ai permessi premio e lo stesso, facendo una riflessione e vedendosi privato di ogni speranza, si è tolto la vita. Come Erik Masala, che, considerata l’età poteva essere il figlio o il fratello di ognuno di noi”.

I detenuti di Bancali hanno organizzato una donazione per sostenere i familiari e le spese del funerale “non doveva più nemmeno essere detenuto a Bancali in quelle condizioni”.

Contro ogni carcere e la tortura del 41 bis, continueremo a lottare!

Testo PDF: Con Domenico Porcelli in sciopero della fame


Link:

Carcere di Bancali (Sassari): Domenico Porcelli in sciopero della fame dal 28 febbraio. 70 indagati per il presidio di solidarietà per Cospito

Al 41 bis e in sciopero della fame da 5 mesi, adesso chiede l’eutanasia

 

https://www.infoaut.org/divise-e-potere/la-lettera-dei-detenuti-dal-carcere-di-bancali-sassari-vi-raccontiamo-cosa-succede-davvero

[È “consuetudine”, non solo a Bancali, che i detenuti scontino pene oltre la detenzione o si vedano precluso l’accesso a misure alternative perché i magistrati di sorveglianza sono in ferie o non ci sono, e non rispondono a nessuna richiesta. Anche l’accesso al lavoro, allo studio o a visite specialistiche è spesso complicato se non impossibile. Tanti detenuti inoltre non vedono mai nessuno, non fanno colloqui con nessuno. Chi ha fragilità psichiche o è gravemente malato viene lasciato senza cure o assistenza. Moltissimi non hanno nessuna disponibilità economica per pagarsi la difesa o una rete per difendere le proprie istanze. Chi ha pene pari o inferiori a tre anni inoltre non può accedere a benefici o a misure alternative a causa delle condizioni ostative.]

https://www.sassarioggi.it/cronaca/morto-in-carcere-bancali-erik-masala-verita-20-settembre-2023/

https://www.reportsardegna24.it/cronaca/3-giugno-presidio-al-carcere-di-uta-no-alla-nuova-sezione-41bis/

AGGIORNAMENTI OPERAZIONE SCRIPTA SCELERA

Diffondiamo:

Operazione Scripta Scelera: Gino Vatteroni ritorna agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni, Veronica all’obbligo di dimora con rientro notturno e obbligo di firma (30 ottobre 2023)

Si sono tenute il 30 ottobre presso il tribunale di Genova le udienze d’appello inerenti l’aggravamento delle misure cautelari nei confronti di un compagno e una compagna anarchici indagati nell’operazione Scripta Scelera dell’8 agosto. È stato disposto il trasferimento di Gino Vatteroni agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni (divieto di comunicazioni, di visite, ecc., più il braccialetto elettronico), mentre Veronica passa dagli arresti domiciliari con tutte le restrizioni all’obbligo di dimora nel comune di domicilio, congiunto al rientro notturno dalle ore 19:00 alle 07:00 e all’obbligo di firma tre giorni a settimana.

Gli aggravamenti delle misure cautelari erano stati notificati il 4 ottobre. Gino era stato tradotto inizialmente nel carcere di Massa, per poi essere trasferito il 9 ottobre successivo nella sezione di “Alta Sicurezza 2” interna al carcere “San Michele” di Alessandria, dove si trovano imprigionati (alcuni da oltre quarant’anni) dei militanti di varie formazioni delle Brigate Rosse e militanti comunisti rivoluzionari.

Pertanto la situazione ritorna sostanzialmente quella ordinata l’8 agosto, con piccole differenze (aggiunta delle firme tre volte a settimana per una compagna, rientro notturno dalle 21:00 alle 06:00 per un altro compagno), in una sorta di gioco dell’oca fatto di provocazioni, aggravamenti e ritorno al punto di partenza che impedisce di fatto un miglioramento nelle condizioni dei compagni nonostante l’annullamento delle misure cautelari in riferimento all’accusa di associazione sovversiva con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (mentre le stesse sono state confermate, rimanendo inalterate, per l’istigazione a delinquere con l’aggravante della finalità di terrorismo).

L’attacco alle pubblicazioni anarchiche e rivoluzionarie, i regimi di detenzione speciale come il 41 bis, la più generale offensiva repressiva a carattere preventivo dispiegatasi negli ultimi anni sono espressione delle politiche di guerra intraprese dallo Stato italiano. Alla luce di ciò, oggi come ieri crediamo sia necessario perseverare con tenacia nelle nostre convinzioni rivoluzionarie e internazionaliste, così come solidarizzare con tutti gli anarchici e i rivoluzionari prigionieri nelle carceri dello Stato, agli arresti domiciliari o con altre misure restrittive.

Invitiamo a partecipare al presidio in solidarietà con i rivoluzionari prigionieri, fissato in seguito al trasferimento di Gino da Massa ad Alessandria, che si terrà mercoledì 1º novembre, alle ore 15:00, davanti al carcere “San Michele” di Alessandria.

Riportiamo qui di seguito le coordinate del conto per la cassa di solidarietà con gli inquisiti:

Carta postepay numero: 5333 1711 9250 1035
IBAN: IT12R3608105138290233690253
Intestataria: Ilaria Ferrario


IMPORTANTE: Il 30 ottobre è stato disposto che il compagno Gino Vatteroni fosse trasferito agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni. Tuttavia, a oggi (31 ottobre), Gino si trova ancora nel carcere “San Michele” di Alessandria, in attesa che sia disponibile il braccialetto elettronico o che sulla questione si pronunci il tribunale del riesame di Genova. Ricordiamo che per domani, 1° novembre, alle ore 15:00, è previsto in ogni caso il presidio fuori dal carcere in solidarietà con i rivoluzionari prigionieri rinchiusi in AS2 ad Alessandria come altrove.

SMASH REPRESSION: STREET PARADE MODENA [FOTO + TESTI]

DALLA STREET PARADE DI MODENA DEL 28 OTTOBRE 2023

Il 28 ottobre 2023, nella città della strage al carcere Sant’Anna,  ad un anno dal rave di Modena nord e dalla legge anti-rave, un anno di sgomberi, repressione e ostilità, per le strade e nei quartieri, un fiume di persone si è ripreso le strade al grido di Smash Repression, contro la società del proibizionismo, delle gabbie e dei CPR, in solidarietà ai rave, alle TAZ, agli spazi sociali e a chi lotta.

Riceviamo e diffondiamo alcune riflessioni, volantini e interventi portati quel giorno + qualche foto.

Siamo qui oggi contro il cosiddetto “decreto anti-rave”, ora legge, primo atto dell’attuale governo neofascista, legge che introduce una pena dai 3 ai 6 anni di reclusione per chi invade terreni o edifici per realizzare “raduni musicali” o altro tipo di intrattenimento  e aggregazione. È evidente la volontà dello Stato di reprimere ogni forma di organizzazione dal basso e impedire qualsiasi tipo di socialità fuori dal mercato, che non sia regolata dalla sua disciplina. Ce lo dicono gli sgomberi che avvengono in ogni città. Ce lo dicono i fogli di via che sono arrivati in questi giorni per impedire a compagne e compagni di essere qui con noi, per fare in modo che qui fuori in strada si sia sempre meno.

 Torniamo in strada oggi di nuovo contro la mercificazione dei nostri corpi e dei nostri desideri, contro la repressione che colpisce sempre più duramente chiunque si oppone a questo modello di sviluppo insensato, per rifiutare il divertimento consumistico e la desertificazione sociale imposta dall’alto, e difendere altri modi di stare insieme. Vogliamo che dalle nostre casse risuoni il grido di chi non si arrende nelle carceri, alle frontiere,  contro i CPR e il razzismo che permea sempre più questa società, contro la società del proibizionismo e delle galere, contro le retoriche del decoro, del degrado e della sicurezza portate avanti dai vari partiti di destra, così come della sinistra cosidetta progressista. Con Alfredo, Anna, Juan, Zac, Stecco… e a chiunque non smetta di lottare nonostante le pesanti condanne detentive ricevute!

SMASH REPRESSION!

A MODENA GLI ASSASSINII DI STATO SONO DI CASA!

In occasione della Street Rave Parade di oggi, il sindaco Muzzarelli e la questura starnazzano raccomandazioni di mantenimento del decoro urbano, di rispetto delle ”procedure democratiche” di espressione del dissenso, ricordandoci inoltre che qualsiasi tipo di ”provocazione” e ”atto violento’ verrà accolto a suon di manganellate democratiche con conseguenze legali annesse e connesse.

Che novità! La solfa è sempre quella: manifestare è un’azione ”legittima” e ”democratica” solo se non si mette veramente in questione l’esistente con le parole e con i fatti, solo se ci si comporta educatamente e responsabilmente accettando le leggi dello Stato e dei padroni fatte apposta per mantenere quella pace fatta di sfruttamento, repressione e guerre che dovremmo conoscere bene. Sapessero il sindaco e la questura quanto ce ne fotte della democrazia e delle loro sacre leggi!

A noi questo mondo fa proprio schifo e moriamo dalla voglia di rovesciarlo; vogliamo essere incompatibili con questo sistema e quindi col decoro e l’ordinarietà democratica. Che questa incompatibilità si esprima coi mezzi che meglio creda dunque; e se queste modalità non sono recuperabili e strumentalizzabili dal potere e dei leccaculi di giornalisti tanto meglio, se li attaccano:EVVIVA!

Che il Sindaco e la questura di una città – che l’8 marzo 2020 ha visto consumarsi all’interno del Carcere S.Anna una strage di Stato terminata con 9 detenuti morti – ci vengano a parlare di rifiuto della violenza, di diritti e di rispetto, la dice lunga su di quanto valgano le loro parole e la loro democrazia. Quel giorno il carcere di Modena, assieme a tante altre galere d’Italia, veniva scosso dalle rivolte dei detenuti, dalla loro rabbia e disperazione per le condizioni disumane accumulatesi da decenni, e non solo per la sospensione dei colloqui in carcere coi parenti motivata dall’emergenza Covid. La risposta alle rivolte da parte dello Stato è stata brutale e ha comportato 9 morti.

Ma nella democratica città di Modena la violenza va bene solo se viene esercitata dallo Stato contro gli oppressi, ancor meglio se questi sono emarginati, ricattabili o internati all’interno di lager come carceri e CPR. Quasi un mese fa, sempre all’interno del carcere di Modena, perdeva la vita un altro giovane ragazzo per arresto cardiaco nella sezione Nuovi Giunti. Le condizioni di salute in repentino peggioramento erano state segnalate dalle grida e dalle richieste di aiuto degli altri detenuti, ma sono rimaste inascoltate dalle guardie assassine e dal personale del carcere che ha permesso che il detenuto morisse senza venire prontamente soccorso. La violenza di Stato prende corpo anche nelle strade della città, e anche lì causa morti. Taissir Sakka (31 anni) è morto nella notte tra il 14 e 15 ottobre, il suo corpo è stato trovato in un parcheggio della città pieno di botte e con la testa aperta. In relazione a quanto accaduto quella notte sono indagati sei carabinieri.

La società dello Stato e dei padroni si fonda sul monopolio della violenza e sul suo utilizzo sui corpi e le menti di chi si ribella o di chi risulta scomodo. Accettare le narrazioni di chi ci vuole divisi in buoni (decorosi) e cattivi (indisciplinati, ribelli e teppisti violenti) significa fare il gioco di questa società, difendere la violenza di Stato collaborando con esso. I nostri nemici sono lo Stato e i padroni colpevoli di stragi quotidiane sul lavoro, in mare, nelle galere e nei CPR, nei territori occupati militarmente e coinvolti nel conflitto globale che giorno dopo giorno va internazionalizzandosi sempre di più.

Anarchiche e anarchici

Siamo entrati in SMASH REPRESSION urlando con convinzione NO 41-BIS contro la repressione e la violenza di Stato e ci siamo ritrovati a chiedere scusa di esistere su media e stampa. Nella stessa città che ha dato il La al decreto anti-rave e che sta archiviando la strage al carcere Sant’Anna non ci stiamo a rassicurare lo Stato “che la violenza non sarà tollerata in nessun caso, per nessun motivo” come fatto per questa street, assecondando proprio le stesse retoriche che da sempre usano per dividerci in buone e cattive, e reprimerci. Nella stessa città candidata ad ospitare un CPR, dove le morti in carcere continuano, e non solo in carcere, anche per le strade, non ci stiamo a prendere lezioni da chi della violenza ne ha fatto istituto.
Non abbiamo nulla da dimostrare a Stato e pennivendoli. Non ci preoccupa cosa diranno giornali, benpensanti e forcaioli. Non abbiamo nessuna immagine da difendere, non ci interessa se qualcuno ci dipingerà come vandali. Lo hanno sempre fatto e lo faranno sempre.
Post paternalistici legati all’iniziativa dove si invita a “lasciare la città quanto più possibile pulita”, a “non fare la pipì per strada”, dove ci si descrive come “4 scappat* di casa” che devono dimostrare di essere “bravi” e “civili” (solidarietà e rispetto invece a chi è scappat* di casa). Ci chiediamo cosa succederà se la città domani non sarà “pulita” come promesso, cosa succederà se qualcuno scriverà qualcosa sui muri, cosa succederà se i bagni chimici non basteranno, cosa succederà se i giornali ci dipingeranno come sempre, come più gli piace? Si prenderanno le distanze dai barbari incivili? Questo è esattamente ciò che combattiamo, i principi grazie alla quale la repressione ci divide, si riproduce e impera. Nel nome del decoro e di una versione pervertita della sicurezza, ci sono fioriere che valgono più delle vite umane. Capiamo bene che una manifestazione così grossa, in particolare una street, può avere bisogno di attenzioni specifiche, ma che queste attenzioni e questa cura siano per noi, per nostra scelta, non per dimostrare qualcosa a chi ci opprime.

Come individualità in lotta contro carcere, sfruttamento e repressione, rifiutiamo questo genere di messaggi e di discorso.

NON CHIEDIAMO SCUSA DI ESISTERE, LOTTIAMO PER ESISTERE!

SE È LEGALE NON CI PIACE – Ad un anno dal decreto anti-rave

È passato ormai un anno dal cosiddetto “decreto anti-rave”, un anno da quando sull’onda dell’indignazione generale causata dal Witchtek di Modena, è stato introdotto un nuovo reato: invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica (art. 633-bis). Tale reato è punito con la reclusione da 3 a 6 anni e con la multa da 1.000 a 10.000 euro, oltre che con la confisca del sound e delle attrezzature.
La repressione delle feste è la parte folkloristica del decreto da dare in pasto all’elettorato. Per capirne le vere intenzioni, cioè quelle di togliere ogni margine al dissenso non fine a sé stesso, dobbiamo ricordarci che introduce nuove disposizioni riguardanti l’ergastolo ostativo, rendendo particolarmente difficile la concessione di benefici penitenziari per i detenuti che non collaborano con la giustizia.
In Italia abbiamo visto in questi mesi un’escalation repressiva che ha portato ad una vera e propria caccia alle streghe nei confronti di chi, di volta in volta, è stato additato come il nemico pubblico di turno – i ravers, i migranti, gli ecologisti, gli anarchici – con leggi create ad hoc per colpire queste individualità e le loro azioni.
Lo Stato che fa la guerra ai free party è lo stesso Stato che quotidianamente lascia morire persone dentro la cella di un carcere o in mare, lo stesso Stato che quotidianamente tortura e abusa dentro galere e CPR o alle frontiere. È lo stesso Stato che schiera la polizia a difesa delle fabbriche, picchiando chi decide di scioperare. È lo stesso Stato che vorrebbe seppellire vivi i nostri compagni e le nostre compagne a colpi di sentenze di tribunale e anni di galera.
Ogni volta che si manifesta una forma di conflitto, la repressione colpisce con forza. Per questo crediamo che la lotta contro il decreto anti-rave non possa essere una lotta isolata, ma vada inserita in una cornice più ampia che renda evidente, da una parte, il tentativo di disciplinamento da parte dello Stato – che vorrebbe annichilire qualsiasi forma di azione diretta – dall’altra, l’intersecarsi di tutte le lotte – da quella contro il carcere e il 41 bis, a quella contro il TAV, le basi militari e le grandi opere.
Per questo crediamo sia importante non delegittimare il potenziale sovversivo dei free party, non cercare il dialogo con gli sbirri, non giustificarsi dicendo che “non stiamo facendo niente di male” o “non siamo criminali”: quando balliamo stiamo commettendo un reato. Il nostro posizionamento non è neutro: anche la festa è un momento conflittuale!
Il rave è un atto illegale e come tale implica il conflitto con l’autorità. Non vogliamo e non dobbiamo giustificarci agli occhi dello Stato, non vogliamo ottenere alcuna legittimità o riconoscimento. Rivendichiamo la nostra illegalità perché non vogliamo un posto nel loro sistema marcio, né tantomeno vogliamo essere accettati! Rivendichiamo la nostra illegalità perché sono loro ad imporre regole e leggi: non pensiamo che la creazione di TAZ sia un “diritto” da “liberi cittadini”, bensì un’azione concreta che ogni individuo può intraprendere per gettare le basi di un’esistenza autogestita, per gettare il cuore oltre l’ostacolo rappresentato da una realtà opprimente, di repressione, guerre e sfruttamento. Ed è nei confronti di questa realtà e delle loro leggi che ribadiamo tutto il nostro odio…

Perché una società che abolisce tutte le avventure, rende la distruzione di questa società l’unica avventura possibile.

Nemiche dello Stato

FREE PALESTINE

Siamo qui ma il nostro cuore e le nostre menti sono al fianco della Palestina, per lo stop immediato del massacro in corso e contro tutti i governi che lo stanno avallando.

In aggiornamento…

FIRENZE: NUOVA OCCUPAZIONE!

Sabato 28 ottobre è nata una nuova occupazione a Firenze, in via Incontri 2!

In un periodo storico in cui l’affitto pesa la metà del salario, occupare non è solo giusto, ma anche doveroso. Negli ultimi anni la governance cittadina non è stata mai capace di fornire risposte all’emergenza abitativa e alla carenza endemica di spazi sociali. Noi, dal canto nostro, sprovvisti dei grandi capitali che soli permettono di intraprendere iniziative in questa città, ci arrangiamo con l’unica pratica che ci risulta percorribile: l’apertura e la cura degli spazi abbandonati, per restituirli all’uso sociale e alla collettività. Passate a trovarci per proporre iniziative o informarvi sui progetti!

 

ALESSANDRIA: PRESIDIO SOLIDALE SOTTO AL CARCERE

PRESIDIO SOLIDALE AL CARCERE DI ALESSANDRIA – SAN MICHELE
Mercoledì 1 novembre dalle ore 15

L’estensione dei regimi detentivi speciali ai reati contro la libera espressione di pensieri sovversivi, conferma la natura politica della differenziazione penitenziaria. Una prigionia politica che per alcuni rivoluzionari dura da più di 40 anni.

Da qualche settimana il compagno anarchico Gino Vatteroni – accusato di avere violato le prescrizioni della detenzione domiciliare a cui era sottoposto – è rinchiuso nella sezione AS2 del carcere di Alessandria – San Michele. Gino si trovava ai domiciliari perché accusato di aver collaborato alla pubblicazione del giornale anarchico internazionalista Bezmotivny.

PER UN MONDO SENZA GALERE
PER LA LIBERTA’

TORINO: CORTEO CONTRO IL CARCERE

CORTEO SABATO 11 NOVEMBRE
DALLE ORE 15
Angolo via Val della Torre/corso Cincinnato (Torino)


GOVERNARE (DA)I MARGINI:
CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ’ CHE NE HA BISOGNO

Mentre non si riesce più a contare il numero di gente massacrata e la cui vita è in scacco per via di necessità e imperativi di guerra che bussano alle porte di questa Europa apparentemente prossima al collasso sia economico che ecologico; mentre i giornali imperversano in una retorica schiacciante in cui terrorista è nominato colui che lotta, si organizza e risponde – colpo su colpo – alla violenza degli Stati, alla violenza delle colonie e all’ingiustizia strutturale dei sistemi differenziati del capitalismo neo-liberale (ossia la produzione, da parte del capitalismo, di categorie di persone sfruttabili, ricattabili e reprimibili a seconda delle sue necessità); mentre tutto questo succede, il carcere – essenza materiale e simbolica, della dirompenza del sistema di controllo, punizione e messa a valore delle classi oppresse – diventa un nodo centrale contro cui lottare. Non solo per ribadire come il potere si materializzi sulle vite di sfruttati e sfruttabili, ma anche per sottolineare quali alleanze vogliamo ribadire, scoprire e valorizzare nel nostro bisogno di organizzarci contro un’esistenza invivibile e inaccettabile.

Il momento storico in cui ci troviamo a vivere ci impone la necessità di ampliare lo sguardo sul fenomeno carcerario, legandolo non solo a un dispositivo fisico repressivo, ma capendo come la diluizione del sistema carcere al di fuoridelle patrie galere coinvolga inevitabilmente i diversi strati sociali e informi il tessuto sociale tutto. Il governo Meloni e le sue politiche, marcatamente classiste, razziste e securitarie, mostra una continuità a ritmo sostenuto, in rapporto con gli esecutivi precedenti nel creare supposti “soggetti criminali” e nemici da cui difenderci. La tendenza è quella giustizialista che continua a materializzarsi nell’uso della decretazione d’urgenza, sia riguardo al fenomeno della cosiddetta “devianza giovanile” sia a quello della migrazione. Decreti che hanno il medesimo obiettivo politico: privazione della libertà personale e di movimento. Un vero e proprio strapotere penale, e carcerario, quello che si sta sviluppando oltre il perimetro dell’istituzione totale per eccellenza, dove a farne le spese sarà la parte più sfruttabile e ricattabile del tessuto sociale.

Il mito collettivo, secondo cui la prigione protegge (da cosa esattamente?) e quindi sia un male necessario, non è altro che un mito utilizzato per giustificare, quando ancora ce ne sia bisogno, l’istituzione carcere in sé, luogo ove confinare la miseria e soffocare la protesta contro l’ordine stabilito e creare cittadini obbedienti. E questo mito è di sovente ancorato all’idea, quasi religiosa, del “chi ha peccato deve pagare”. Ma invece è ovvio che le carceri, essendo per essenza strutture coercitive, non possono che avere come unico scopo la disciplina e la sicurezza. Questo controllo sociale totalizzante viene esercitato al di là delle mura del carcere, attraverso la paura che esso incute, ma anche per mezzo delle cosiddette pene alternative, ovvero ulteriori strumenti per aumentare la carcerazione diffusa. La prigione è il luogo di punizione per eccellenza, in cui la società capitalista neoliberale rinchiude coloro che dichiara dannosi, per contenere qualsiasi slancio di rivolta sociale e mantenere così al suo interno valori morali basati sulla disuguaglianza, sullo sfruttamento, sul rispetto dell’autorità e sulla sottomissione alla violenza dello Stato.

Le rivolte, gli scioperi della fame, le lotte dei reclusi che caratterizzano la quotidianità delle carceri, sono l’evidenza di una rabbia irriformabile. Una rabbia relegata, dagli organi governamentali, a una totale silenziazione delle sue rivendicazioni, in cui si vuole privare di significato qualsiasi atto di protesta con la conseguente invisibillazione delle condizioni detentive.

Le parole del ministro della Giustizia Nordio, in visita al carcere Lorusso e Cotugno, lo scorso mese in risposta alla morte di due detenute, non fanno altro che speculare sull’accaduto e portare avanti i calcoli politici di governo, di fronte all’evidenza strutturale che il carcere uccide. Lo scopo delle istituzioni penitenziarie è dunque chiaro: controllare, monitorare, punire, uccidere, poiché la necropolitica è parte integrante della logica carceraria.

Essa si basa sul fare della violenza-tortura-morte uno strumento di controllo e deterrenza per gli internati, verso il mondo dei liberi e in particolare verso quegli strati del tessuto sociale che, in diverse forme, escono dagli schemi costruiti attorno ad essi. Grazie allo sciopero della fame di 181 giorni portato avanti da Alfredo Cospito e alla mobilitazione contro il 41bis e l’ergastolo ostativo al suo fianco, è oggi forse maggiormente noto come lo stato utilizzi la tortura, annientando psico-fisicamente le persone detenute nelle carceri per estorcere informazioni, richiedere il pentimento o la dissociazione. Questi sono i meccanismi brutali di cui si avvalgono le istituzioni per il re-inquadramento di massa della società tutta.

Quando il sistema carcerario esplica la sua funzione violenta e mortifera, l’opinione pubblica tende a polarizzarsi in due correnti non dualistiche tra di loro: da una parte si consolida l’approccio giustizialista, dove si criminalizza e si condanna alla responsabilità individuale dell’espiazione della colpa, discorso accettato da un ampia fetta della società. Dall’altra, invece, il paradigma garantista, abbandonate le proprie velleità di assicurazione dello stato di diritto – come il principio di proporzionalità e funzione rieducativa della pena – si riduce alla mera richiesta di più controllo e sorveglianza negli istituti penitenziari, tramite l’assunzione massiccia di guardie, militari e personale sanitario. Nello specifico i sindacati di polizia avanzano rivendicazioni bastate sulla richiesta di più organico con l’obbiettivo di aumentare la loro capacità di coercizione e violenza nei confronti dex detenutx,soprattutto dex rivoltosx.

Entrambi gli approcci danno voce quindi ad un unicum securitario. Un discorso che nel suo complesso va smascherato. La violenza statale si perpetua nell’ordine carcerario anche attraverso il sovraffollamento, la mancanza di cure sanitarie e i pestaggi della polizia. Pensare di riformare le carceri non è un’orizzonte politico desiderabile perché non può esserci una vera emancipazione senza la distruzione totale dei luoghi di reclusione e della società che li necessita.

CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ CHE NE HA BISOGNO
Rendiamo tangibile la solidarietà a chi resiste e lotta contro la violenza quotidiana della detenzione, attraversando le strade di Vallette per arrivare fino alle mura del carcere Lorusso Cotugno.

ARRESTATO STECCO

 

Il 20 ottobre è stato arrestato a Bordighera il compagno anarchico Luca Dolce, detto Stecco, nel contesto di un’operazione del Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza (NOCS) della polizia derivata da un’indagine della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, che ha coordinato le DIGOS di Trento, Trieste, Treviso, Genova e Brescia. Il compagno è stato tradotto prima nel carcere di Imperia, poi in quello di Sanremo. Contestualmente, sono state perquisite le case di alcuni compagni a Rovereto. La perquisizione era stata disposta il 16 ottobre a carico di Stecco, per i processi “No name” e “Diana”: gli sbirri hanno sequestrato dispositivi informatici e telefoni ed inoltre si sono presentati a casa della madre e della sorella di Stecco, a Trieste.

Il compagno – irreperibile alle forze dell’ordine dal 2021 – era ricercato per via di un cumulo di condanne definitive a 3 anni e 6 mesi e per un mandato di cattura derivato dalla cosiddetta “operazione senza nome” del 25 febbraio 2022 (per cui sono già stati condannati due compagni e una compagna, tra cui Juan Sorroche, attualmente recluso a Terni). In quest’ultimo procedimento Stecco è accusato di avere favorito la latitanza di Juan con l’uso di documenti falsi. Il compagno, arrestato nel 2019 per l’operazione Renata, aveva già avuto nel successivo processo una condanna a 2 anni sempre per fabbricazione di documenti falsi. Inoltre, ha ricevuto in appello una condanna a 3 anni e 8 mesi nell’ambito del processo sulla manifestazione “Abbattere le frontiere”, tenutasi al valico del Brennero il 7 maggio 2016, e per cui non vi è ancora un pronunciamento definitivo sulla sessantina di compagni e compagne imputati.

Da parte nostra, non possiamo che solidarizzare con chi si rende irreperibile o si sottrae all’infame giustizia borghese.

Con rabbia e con amore
Stecco libero


Per scrivere a Stecco:

Luca Dolce
c/o Casa circondariale Sanremo
Strada Armea 144
18038 Sanremo