A SCUOLA DI SFRUTTAMENTO DIGITALE

Riceviamo e diffondiamo questa testimonianza.

Memorie di un’operaia dell’educazione

Quando chiusi definitivamente come educatrice all’interno degli istituti residenziali – un’altra storia dell’orrore che richiederebbe pagine – rivolsi la mia attenzione al mondo della scuola.

Già da qualche anno portavo avanti una personale ricerca sui media digitali, per comprendere come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sempre più invasive e capillari, stessero condizionando i processi di sviluppo, crescita, relazione e interazione, per considerarne quindi usi e opportunità ma anche e soprattutto effetti sulla salute e criticità.

Mi trovai a partecipare ad un progetto all’interno di una scuola in cui ebbi modo di constatare quanto iniziando a parlare di web, media e social network con le studenti e gli studenti, si arrivasse infine a parlare di vissuti, tutti quei vissuti che evidentemente non trovano spazio oltre le grandi platee digitali.

Il legittimo bisogno di condivisione e di espressione di sé venne messo in relazione ai pericoli legati alle piattaforme commerciali online iper-gamificate (1). Si ebbe modo di inquadrare criticamente la rete, l’uso dei media e tante altre cose (2, 2.1). Fu un’esperienza breve ma intensa, da replicare e moltiplicare, che raccolse molto interesse da parte di studenti e insegnanti. Mi convinsi che era qualcosa su cui poteva avere senso investire energie.

Come educatrice, venendo da altri percorsi, avevo bisogno di avere ‘crediti’ affinché le mie ‘competenze digitali’ fossero anche ‘dimostrabili’ sul mercato del lavoro, per cui cercai possibili percorsi ‘professionalizzanti’.

Mi trovai ad avere l’imbarazzo della scelta, il mercato delle formazioni online infatti si è allargato in modo esponenziale. Scelsi un corso ‘professionalizzante’ da consumare comodamente e inutilmente da casa mia, curato da un’ente accreditato che da anni si occupa di pedagogia, per diventare: “un’educatrice esperta in didattica col digitale” al prezzo di qualche centinaia di euro. Questo genere di mercato delle formazioni da’ accesso a crediti per i concorsi a scuola e/o per l’educazione continua in medicina.

“L’ECM è il processo attraverso il quale il professionista della salute si mantiene aggiornato per rispondere ai bisogni dei pazienti, alle esigenze del Servizio sanitario e al proprio sviluppo professionale. La formazione continua in medicina comprende l’acquisizione di nuove conoscenze, abilità e attitudini utili a una pratica competente ed esperta. I professionisti sanitari hanno l’obbligo deontologico di mettere in pratica le nuove conoscenze e competenze per offrire una assistenza qualitativamente utile. Prendersi, quindi, cura dei propri pazienti con competenze aggiornate, senza conflitti di interesse, in modo da poter essere un buon professionista della sanità.” (3)

Qui c’è da fare una premessa, la mia laurea educativa mi colloca tra i professionisti sanitari.

L’Educatore Professionale socio-sanitario si forma nelle Facoltà di Medicina o in corsi interfacoltà con una Laurea LSNT/02 abilitandosi nel settore delle professioni sanitarie, quindi ambiti che fanno capo alle Ausl (Aziende/unità sanitarie locali).

L’Educatore Professionale socio-pedagogico invece si forma nelle Facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione con una Laurea L19 per operare in vari tipi di progetti e servizi ‘socio-educativi’, ambiti che in linea di massima fanno capo alle Asp (Aziende pubbliche di servizi alla persona).

Questo processo, sottovalutato pressoché da tuttx, ha decretato in molti ambiti la definitiva separazione, frammentazione, medicalizzazione e tecnicizzazione del lavoro educativo, per una “presa in carico” prima di tutto “sanitaria” dell’ ‘utente’, ‘tossicodipendente’, ‘psichiatrico’, ‘disabile’. Come se dipendenza, disagio, sofferenza e abilismo non siano questioni fondamentalmente sociali.

Il nostro educatore ‘sanitario’ si è trovato iscritto niente di meno che all’Albo dei Radiologi, divenuto ora “Federazione nazionale degli Ordini dei Tecnici sanitari di radiologia medica, delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione” (FNO TSRM PSTRP), in rappresentanza di 19 professioni sanitarie iscritte. Guardare per credere. (4)

La Legge Lorenzin (marzo 2018) ha individuato e regolamentato i nuovi ordini professionali e ha imposto agli educatori con titolo sanitario l’obbligo di iscrizione all’albo pena l’esercizio abusivo della professione, escludendo al contempo dall’élite dei “super qualificati” un esercito di lavoratori già in essere. A completare il quadro infatti la ex Legge Iori, inserita in Legge di Bilancio nel 2017, che ha scaricato sui lavoratori inquadrati come “educatore senza titolo” con meno di 50 anni o meno di 20 anni di anzianità, la gabella di doversi pagare un corso da 60 cfu da conseguire presso le università alla modica cifra di 1800 €.

L’epilogo di una deriva fortemente promossa da autoproclamate “associazioni di categoria” che hanno reso il lavoro educativo una professione definitivamente medicalizzata, soggetta a controllo, disciplina e sanzioni, destinata ad alimentare un sistema economico privatistico chiamato “ordine professionale” con il pagamento di quella che di fatto è una tassa sul lavoro.

Associazioni che si riempiono la bocca di paroloni, pubblicazioni, formazioni, studi, accreditamento, core competences, qualità, carta, dove le persone sono all’ultimo posto,  per lo più oggetto di giochi economici, politici e semantici, e le operaie e gli operai dell’educazione, del sanitario e del socio sanitario sono ridottx a pedine usa e getta in contesti al ribasso, o a lavorare come utensili all’interno di grandi realtà spersonalizzanti, sovraccaricati di mansioni e responsabilità ma senza un reale margine di autonomia e libertà operativa.

Gli educatori, gli insegnanti,  i lavoratori del sociale, del sanitario e del socio-sanitario sono diventati i principali lacchè del marketing aziendale  – lacchè: domestico o valletto in livrea che nei secoli passati precedeva o seguiva per strada il padrone o la padrona – la maggior parte della carta, della ‘progettazione’ e della rendicontazione prodotta dagli operatori sul lavoro serve infatti unicamente alle aziende per vendersi e ottimizzare i profitti sulla pelle di ‘utentx’ e lavortorx.
Si inizia a lavorare, si inizia ad imparare a raccontarsela. Che brutta fine questo ‘educatore’, che pure sembrava muovere da istanze che lo collocavano oltre i saperi unicamente tecnico-oggettivanti. E che sciocca io a credere che a scuola potesse essere ancora diverso…

Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) è il documento di indirizzo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca “per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale.”

Obiettivo del PNSD, di valenza pluriennale, è quello di “indirizzare l’attività di tutta l’Amministrazione, e fungere da “catalizzatore” per l’impiego di più fonti di risorse a favore dell’innovazione digitale, a partire dalle risorse dei Fondi Strutturali Europei e dai fondi de La Buona Scuola.”

Non posso ripercorrere qui tutto il percorso formativo, ma posso di getto riportare le cose che mi hanno decisamente allarmata e poi tirare giù due pensieri sulle implicazioni che vi ho scorto, che scostano di molto da quei progetti/percorsi critici che immaginavo di portare a scuola. E’ stato subito evidente quanto l’intento principale di questi corsi sia addestrare insegnanti ed educatori, e con loro  studentx e famiglie, all’utilizzo acritico e passivo di ciò che viene imposto e calato dall’alto come grande innovazione.

La prima cosa a precipitarmi nel panico è stato vedere proposto con entusiasmo il sito Educazione Digitale alle insegnanti e agli insegnanti in formazione, una piattaforma digitale di “percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” riconosciuta dal ministero dell’istruzione (5). Si tratta di alternanza scuola-lavoro, pillole di capitalismo multimediale di cui gli insegnanti diventano i nuovi infermieri somministratori. La carrellata degli sponsor è agghiacciante. Si parla di ambiente, cittadinanza, salute ed ecosostenibilità con Coca-Cola, Novartis, Federchimica e Confindustria, BPER, Leonardo, Enel, EnelX, Leroy Merlen, Melinda… ma l’elenco è lungo.

Agghiacciante allo stesso modo l’app ClassDojo (6) proposta come grande innovazione didattica, una piattaforma commerciale per “il miglioramento dei comportamenti e la gestione del gruppo classe” dove gli insegnanti possono segnalare i comportamenti negativi degli alunni e premiare quelli positivi informando in tempo reale anche le famiglie grazie ad un codice che permette di entrare sul sito e monitorare la situazione.

“Utilizzando questo sistema, dopo aver condiviso con gli studenti le regole e le finalità educative, si genera una classifica a punti che mostra i progressi degli alunni, rappresentati sullo schermo da simpatici avatar. Con un semplice gesto l’insegnante può segnalare un intervento positivo, un compito eseguito in maniera corretta, oppure un comportamento scorretto, un momento di distrazione, ecc. In questo modo, sotto forma di gioco, si effettua un monitoraggio continuo e costante dell’andamento di ogni singolo alunno e della classe intera.
 L’insegnante può inserire la lista dei comportamenti da premiare o comunque degli items da valutare e può scegliere se visualizzare o meno i punti negativi. Ad esempio si può scegliere in maniera del tutto autonoma di ritenere positivo il fatto di parlare con un tono di voce adeguato o di aiutare i compagni in classe. Esiste anche la possibilità di visionare e condividere delle schermate di sintesi riguardo l’andamento in maniera periodica.”

Questa piattaforma tra i vari optional ha una funzione che rileva il livello del ‘rumore’ in classe.
 Non credo serva aggiungere altro per trarre le proprie conclusioni in merito questa bella applicazione fatta per contenere i ‘comportamenti problema’ in classe inchiodando bambine e bambini ad uno schermo.

Si viene istruiti inoltre su come integrare la didattica a scuola con l’uso dei dispositivi personali degli studenti, con tutto quello che ne può comportare. In tale azione si legge testualmente “La scuola digitale, in collaborazione con le famiglie e gli enti locali, deve aprirsi al cosiddetto BYOD (Bring Your Own Device), ossia a politiche per cui l’utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche sia possibile ed efficientemente integrato”.

BYOD è l’acronimo di Bring Your Own Device, ovvero “porta il tuo strumento a scuola”. Una didattica che incentiva l’utilizzo di dispositivi personali degli studenti, integrati con gli strumenti di base che nel piano scuola ogni istituto già di per sé dovrebbe fornire ad a ogni classe.
Si viene inoltre addestrati al registro digitale, già acquisito da tempo, con tutti gli aspetti di controllo ad esso legati, oltre che all’utilizzo di cloud e piattaforme commerciali per la creazione di contenuti digitali e classi virtuali. Tutta la suite google ma anche molte altre applicazioni nate per favorire i processi aziendali, ed ora riadattate per allestire presentazioni interattive e video accattivanti per ‘apprendimenti ‘coinvolgenti’. Insegnanti ed educatori vengono sollecitati a predisporre materiali di studio ‘smart’, che le studenti e gli studenti possano consumare anche sul bus o durante gli spostamenti.

Nella parte di un altro modulo si parla di singolarità tecnologica dandone per scontato il processo. Si anticipa il sempre più prossimo superamento della soglia in cui lo sviluppo della civiltà vedrà il processo tecnologico accelerare oltre la capacità di comprendere e prevedere degli essere umani in termini assolutamente passivi. Viene dato per scontato il capitalismo dell’innovazione tecnologica e il progresso predatorio che lo produce. Viene citato Raymond Kurzweil (7) e il suo testo “Come creare una mente, i segreti del pensiero umano”, si ribadisce che non sappiamo realmente dove la tecnologia ci porterà con questa corsa alla ricerca di essere replica delle capacità del nostro cervello. Si ricorda come la conoscenza rispetto come si sviluppano i pensieri, quindi sul funzionamento del cervello umano, aumenta esponenzialmente, al pari degli investimenti in nanotecnologie, biotecnologie e neuroscienze. Si parla di investimenti privati ma anche pubblici, come i miliardi investiti dall’Unione Europea nello “Human Brain Project” (8), un progetto scientifico nel campo dell’informatica e delle neuroscienze che mira a realizzare, entro il 2023, attraverso un supercomputer, una simulazione del funzionamento completo del cervello umano.

Si dice apertamente quanto l’intelligenza artificiale sia la nuova corsa all’oro. Si parla di memorie estese nei cloud e microchip. Fantascienza che nel 2025/2030 potrebbe essere già disponibile sul mercato. Si afferma quanto oggi non sia possibile ‘preparare i ragazzi al futuro poiché il futuro non lo si può immaginare, si dice palesemente quanto a questo processo non ci si possa opporre ma solo adattarsi. Si parla di nuove generazioni sperdute come i loro genitori e si invita a diventare flessibili alla novità.

Tecnologie che si propongono sempre più come connettore mente-conoscenza per una nuova pedagogia basata sulle evidenze, si, ma capitaliste, che dietro ad una retorica dell’inclusività, della cooperazione e della costruzione interattiva del sapere, nascondono dinamiche piu simili alla manipolazione e alla persuasione usata all’interno di certe aziende per promuovere la compliance dei lavoratori con l’ausilio di sistemi gamificati. Un’educazione decisamente comportamentista, che vede gli alunni e i loro comportamenti come qualcosa da correggere e manipolare a proprio piacere e l’individuo come qualcosa di completamente autofondato, separato dal suo contesto relazionale e ambientale.

Si va verso il “brain-based learning” un insegnamento/ apprendimento sempre più affidato alle neuroscienze e alla psicologia cognitiva per una didattica basata sul risultato, che per essere efficace si avvale di conoscenze approfondite dei processi cerebrali e cognitivi che sottostanno all‟apprendimento.

La strumentalizzazione della didattica laboratoriale e delle teorie costruttiviste (9, 9.1) sta consolidando un modello capitalista sempre più decentralizzato e multidirezionale, e una nuova pedagogia persuasiva dove insegnanti e alunni sono sollecitati e attivamente ingaggiati nel vendere se stessi e nel curarsi di sè solo in quanto produttori e oggetti di consumo. L’incrocio tra gaming ed advertising diventa l’approccio migliore in termini di monetizzazione e profitto per le compagnie del mercato digitale: trovare modi per portare le persone a ripetere determinati comportamenti fino a che questi non diventino abitudinari, desiderabili e ricercati.

Chissà perché un intero modulo è stato dedicato alla progettazione e conduzione di campagne di crowdfunding?! Insegnanti imprenditori procacciatori di fondi e studenti apprendisti manager di se stessi inventori/imprenditori di startup?

Importante in questo senso anche il modulo sul coding e sul pensiero computazionale, discipline che stanno entrando prepotentemente a scuola, fortemente promosse e finanziate, insieme tutte le materie STEM (10), per rispondere alla domanda capitalista di forza lavoro in ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico, testimoniando la progressiva e inesorabile penetrazione di interessi commerciali e speculativi a scuola.

Intanto sfruttamento, precarizzazione, atomizzazione e isolamento sono sempre più accettati come fatti naturali mentre passa assolutamente in secondo piano quanto l’esposizione a dispositivi, smartphone, piattaforme social commerciali, chat e schermi stia invadendo sempre più spazi e tempi di vita, alterando il sonno e la veglia e condizionando i processi affettivi e cognitivi – funzioni riflessive, attenzione, memoria – di moltx, indebolendo sempre più legami e relazioni, esasperando frustrazioni e producendo risentimento senza voce il più delle volte scaricato in basso, tra pari.

Mentre i corpi oppressi sono ridotti sempre più ad oggetti e funzioni in relazione a chi detiene i maggiori privilegi sociali ed economici, e gli spazi di libertà si riducono, la rete si fa veicolo di nuove forme di dominio non solo inerenti al divario digitale e al capitalismo della sorveglianza ma anche e soprattutto relativamente a come questi dispositivi vengono implementati nella vita delle persone.

Le città – e con queste, le scuole – stanno diventando industrie di sfruttamento sempre più mediate da aziende private, interconnesse e digitalmente sorvegliate, disciplinate sempre più in senso autoritario e iper-razionale.

L’accelerazione in corso sta infatti consolidando forme sempre più specializzate di esclusione, potere e dominio: si punta sempre più sulla “sicurezza” per fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso.

L’obbiettivo è reprimere il conflitto con l’espulsione di tutte quelle persone  che con la loro presenza ed esistenza svelano i modelli dominanti spersonalizzanti in cui siamo inseritx.

La retorica del ‘decoro’ e del ‘degrado’, la gestione sempre più violenta e razionale dello spazio urbano, la pulizia di quanto imprevisto e non-normato, sta colpendo sempre più soggettività, anche l’infanzia è nel mirino: giovani e adolescenti diventano sempre più un problema di ordine pubblico da reprimere mentre rimangono intatti quei modelli che il sistema stesso riproduce ed esalta, pesci grandi che mangiano pesci piccoli all’interno di realtà dove solo chi ha soldi e potere è preso in considerazione, e chi non accetta di essere un cavallino da corsa non è nessunx.

Una ‘sicurezza’ sempre più ‘preventiva’ volta ad asfaltare tutti gli spazi di fiducia, libertà, relazione, intersezione, prossimità, solidarietà dal basso.

Big Data e Intelligenza Artificiale sono le pietre angolari di queste trasformazioni.

L’interconnessione massiccia di banche dati permetterà sempre più di stabilire correlazioni, effettuare controlli incrociati, elaborare statistiche, rintracciare individui o amministrare luoghi, permettendo una sorta di ‘meteorologia delle masse’ rispetto abitudini, movimenti, consumi, costumi e comportamenti.

La scuola-azienda sta coadiuvando il Capitale nell’esasperare questo paradigma e questo processo, insistendo sull’ottimizzazione iper-razionale della prestazione in un contesto di alienazione esasperata, rabbia e affettività inespressa.

Neuroscienze e psichiatria sono pronte a raccogliere e i cortocircuiti di queste oppressioni e a colonizzare sempre più il quotidiano e l’individuo: la platea di ‘difetti’ e ’tare’ da curare e riparare è destinata ad aumentare proporzionalmente allo sfruttamento e all’oggettivazione che attraversano infanzia ed età adulta (11).

Non si tratta di assumere posizioni dogmatiche rispetto l’utilizzo o meno di media o tecnologie ma di evidenziare come le retoriche dell’innovazione tecnologica e l’agenda digitale a scuola siano su traiettorie che non hanno nulla a che vedere con i reali bisogni di studentx, famiglie, insegnanti ed operatori. 

Si va verso una “didattica del piccolo imprenditore di sè”, un modello che livella di fatto differenze culturali, economiche e sociali, fino a considerare il soggetto pura materia da manipolare.

 

Una ribaltamento semantico a sfondo organicista, comportamentista e interclassista, volto a dissimulare interessi antagonistici di classe e posizionamenti diversi all’interno dell’odierna società neoliberista.

Con la strumentalizzazione dell’educazione cooperativa ed inclusiva, della didattica laboratoriale e delle teorie costruttiviste il Capitale sta entrando sempre di più a scuola e a livello individuale ed estendendo il suo potere in un modo che non c’entra assolutamente nulla col ‘coinvolgere attivamente la persona nella costruzione del suo sapere’ e che sta sottraendo sempre più campo al rischio di qualsiasi relazione di fiducia, quindi di qualsiasi autonomia, sempre più affidata al dispositivo tecnico e alla sua discrezionalità binaria e iper-razionale al servizio di chi ne detiene il potere.

Il “media” in questo senso smette di “mediare” diventando vincolante per l’identità e determinante per la relazione. Una nuova tecno-ontologia come fondamento di ogni esperienza. Se la scuola e le città si fanno laboratorio, tocca capire chi è la cavia.

 


NOTE

1) Léo Favier, regia (2019)
https://www.arte.tv/it/videos/RC-017841/dopamina/

2) Ippolita (2012) “Nell’acquario di Facebook“ https://brughiere.noblogs.org/biblioteca/#TECNOLOGIEDELDOMINIO

– Ippolita (2019)  “Etica hacker e anarco-capitalismo. Scritti scelti”

– Agnese Trocchi (2019), “Internet, Mon Amour. Cronache prima del crollo di ieri“
https://brughiere.noblogs.org/biblioteca/#INTERNETMONAMOUR

3) https://ape.agenas.it/ecm/ecm.aspx

4) http://www.tsrm.org/

5) https://www.educazionedigitale.it/

6) https://www.classdojo.com/

7) https://it.wikipedia.org/wiki/Raymond_Kurzweil

8) https://it.wikipedia.org/wiki/Human_Brain_Project

9) https://it.wikipedia.org/wiki/Costruzionismo_(teoria_dell’apprendimento)

https://it.wikipedia.org/wiki/Seymour_Papert

10) https://it.wikipedia.org/wiki/STEM

11) STRAPPI. Riflessioni antipsichiatriche
https://brughiere.noblogs.org/post/2022/03/21/strappi-riflessioni-antipsichiatriche/

MILANO: PRESENTAZIONE “OMBRE DIGITALI SUL LAVORO SOCIALE”

OMBRE DIGITALI SUL LAVORO SOCIALE,
SOCIOANALISI NARRATIVA SULLE DERIVE DEL TERZO SETTORE a cura di Renato Curcio.

Mercoledì 29 giugno, COX18, via Conchetta 18 Milano

Sensibili alle foglie, 2022

ASCOLTA LA REGISTRAZIONE

L’utilizzo di piattaforme digitali per la gestione del lavoro in un settore cruciale come quello del sociale ha prodotto e sta producendo cambiamenti significativi sia per chi vi opera sia per chi ne usufruisce. Questo libro, frutto di un cantiere socioanalitico autogestito, mette in evidenza alcuni nodi decisivi per un ripensamento del Terzo settore e per aprire una discussione in merito. Le esperienze raccolte, la documentazione e le riflessioni analitiche qui proposte individuano numerose criticità. La voracità di dati e numeri, propria degli strumenti digitali di cui gli operatori sono ormai obbligati a servirsi, toglie spazio e valore alle relazioni interpersonali, caratteristica costitutiva del settore dei servizi alla persona, modificando perciò la natura stessa di questi ultimi. L’entrata in campo dell’intelligenza artificiale, con la sua arroganza organizzativa, esautora l’intelligenza relazionale e ancor più la sua linfa empatica sia nei processi di organizzazione del lavoro che nelle rendicontazioni dei loro risultati. Il “lavoro sociale a distanza”, ossimoro implementato durante il confinamento da pandemia, ha inoltre comportato per gli utenti e per gli operatori un’invasione dei propri spazi personali, vanificando talvolta l’erogazione stessa dei servizi. La formazione interamente orientata all’uso dei dispositivi tecnologici e la perdita di anonimato per gli utenti di alcuni servizi costituiscono il definitivo superamento del mito della cooperazione sociale.

Hanno partecipato attivamente al cantiere: Massimo Angelilli, Diego Baldini, Paolo Bellati, Susanna Bontempi, Francesco Mainieri, Sara Manzoli, Natalia Mendez, Luca Lusiardi, Lucia, Enrico Riboni, Lorena Rondena, Giulia Spada, Valentina Trabucchi

RENATO CURCIO, su questi temi e nell’ambito del suo lavoro di socioanalista, ha pubblicato in questa collana: La trappola etica, 2006; Respinti sulla strada, 2009; La rivolta del riso, 2014; L’egemonia digitale, 2016.

TORINO: MOBILITAZIONE CONTRO GUERRE E FRONTIERE

Segnaliamo questa tre giorni a Torino!

24/25/26 GIUGNO: CHIAMATA PER UN WEEK-END DI MOBILITAZIONE CONTRO GUERRE E FRONTIERE!

Dal 24 al 26 di giugno, Torino ospiterà un weekend di mobilitazione internazionale contro tutte le guerre e tutte le frontiere, in città e altrove.
Desideriamo portare l’attenzione al legame stretto e diretto tra le guerre e quanto accade sulle frontiere.
La ricorrente necessità capitalista della guerra imperialista schierata alla difesa del proprio ordine e al controllo costante di mercato e risorse, costringe milioni di persone a sfuggire e attraversare le frontiere.
Inoltre, gli Stati definiscono attraverso repressione e controllo l’entità del loro territorio integrando o rigettando le persone, secondo le proprie esigenze economiche, inquadrate all’interno di un discorso classificatorio razzista.
Il business tecno–militare privato sfrutta costantemente le conseguenze della spartizione dei territori saccheggiati e colonializzati, sperimentando le sue macabre innovazioni di controllo e sorveglianza, sui corpi di chi attraversa quelle frontiere.

Durante i tre giorni si alterneranno momenti di scambio di pratiche, approfondimenti e mobilitazione.
Sarà possibile essere ospitat* in città per la durata dell’evento.

Porta la tua attrezzatura da campeggio! E se puoi lascia a casa il tuo amico a quattro zampe.
Segui gli aggiornamenti su passamontagna.info e nocprtorino.noblogs.org

Aggiornamento sulle sorveglianze speciali richieste e date a Bologna

AGGIORNAMENTO SULLE SORVEGLIANZE SPECIALI RICHIESTE E DATE A BOLOGNA

A circa due mesi dall’udienza del 12 luglio il tribunale si è espresso sulla proposta di applicazione della sorveglianza speciale per 7 compagne/i di Bologna: 6 i rigetti e un accoglimento.
Al nostro compagno Guido verrà applicata la sorveglianza per due anni con obbligo di dimora.

A pochi giorni dall’udienza il PM Dambruoso aveva presentato un’integrazione affinché il tribunale si esprimesse non solo, come da richiesta iniziale, sulla “pericolosità qualificata” per reati di terrorismo, ma anche sulla pericolosità generica. Ed è infatti sulla base di quest’ultima che la richiesta è stata accolta.

Stando alle motivazioni, sono le accuse mosse dallo stesso Dambruoso con l’Operazione Ritrovo ad avere “spiccata rilevanza”, “prova della propensione ad atti di pericolo accentuato per la sicurezza e la tranquillità pubblica”.  Ci si spinge addirittura nel merito di quell’inchiesta da cui, secondo i giudici, “emerge chiaramente” che il nostro compagno “è stato autore dell’incendio al ponte ripetitore, in località Monte Donato, nel dicembre 2018”.

Ad oggi, l’instancabile PM ha già presentato ricorso contro due dei sei rigetti e non escludiamo se ne possano aggiungere altri.

Tutta la nostra solidarietà va alle compagne e i compagni sottoposte/i a questa infame misura e a tutte/i quelle/i colpiti dallo Stato per aver attaccato questo mondo.

link: https://ilrovescio.info/2021/10/13/aggiornamento-sulle-sorveglianze-speciali-richieste-e-date-a-bologna/

Brucia il telefono

“L’idea di studiare le tematiche di questo opuscolo è nata in un momento femminista tra donne, lesbiche, froci e trans+ di scambio e condivisione sulla lotta contro le frontiere ed i dispositivi repressivi costruiti attorno ed a partire da esse. Nel cercare approfondimenti su cellulari e telefonia ci siamo imbattutx in questo lavoro che per i suoi anni era fatto molto bene. Qualche tempo dopo abbiamo deciso di tradurlo ed aggiornarlo, già che ci stavamo lavorando sopra abbiamo tolto le parti che non ci convincevano del testo. Quindi quanto leggerete non è la traduzione del testo, ma quello che ci sembrava interessante estrapolare con varie parti ampliate o eliminate.”

PDF BRUCIA IL TELEFONO

Da: https://www.autistici.org/distrozione/brucia-il-telefono/

Green pass: l’unica “sicurezza” è di essere sfruttatx

pdf

Il codice QR fu sviluppato nel 1994 dalla compagnia giapponese Denso Wave, per tracciare i pezzi di automobili nelle fabbriche di Toyota. Vista la capacità del codice di contenere più dati di un codice a barre, fu in seguito utilizzato da diverse industrie per la gestione delle scorte. […]

Stato e Confindustria hanno individuato nel green pass lo strumento per scaricare le proprie responsabilità su milioni di individux, lavoratrici e lavoratori.

Dove la ‘salute’ è ipocrisia la “sicurezza” diventa “decoro” che libera i padroni consegnandogli ulteriori strumenti di controllo e vessazione: il lasciapassare verde è un documento discriminatorio e classista che nulla c’entra con la tutela della salute e con qualsiasi concetto di prevenzione.

Il covid per qualcuno può essere peggio che per qualcun’altrx e vaccinarsi per qualcunx può essere la scelta migliore, ciò non toglie che la protezione relativa legata alla vaccinazione dura pochi mesi – alcuni Stati sono già al terzo richiamo – e non esclude dalla possibilità di contagiarsi e contagiare: prevenzione vorrebbe che ‘vaccinati’ e ‘non vaccinati’ siano trattatx in modo uguale dal momento che i vaccinatx dopo pochi mesi non sono più protetti da infezioni, e neppure da forme sintomatiche.

Resta inoltre vero che ogni situazione rimane a sé, che si richiede un consenso informato, e che imporre una cura farmacologica in modo indiscriminato – sperimentale o meno – con ricatto, obbligo e coercizione, dovrebbe porre importanti dubbi etici da non liquidare in modo tanto superficiale come sta avvenendo.

Le statistiche da sole non bastano a leggere la realtà e i diversi contesti di oppressione.

Un religioso scientismo torna a contrapporsi ad un antiscientismo di stampo autoritario livellando ogni contraddizione: mentre Stato e padroni strumentalizzano dati e statistiche presentando la scienza come un monolite neutro e perfetto, l’abdicare dei movimenti a qualsiasi confronto circa le possibilità di autodeterminazione e critica dal basso rispetto le misure messe in campo sta lasciando campo libero a contro-letture di derivazione reazionaria e fascista.

Si parla di “senso di comunità” ma tre quarti del mondo subisce le conseguenze del neoliberismo senza nè scelta nè accesso a livelli di benessere minimi: i profitti sulla pelle di chi è sfruttatx non sono mai stati messi in discussione, ‘restare a casa’ in caso di contatto con positivo resta un privilegio per pochx e tamponi e test diagnostici rimangono a carico delle persone.

Il green pass tutela soltanto gli interessi dei soliti noti: liberi si, ma di tornare a sfruttare, mentre le disuguaglianze che hanno segnato la pandemia sin dall’inizio continueranno a farlo.

Stato e padroni per evitare qualsiasi tipo di redistribuzione e cambiamento strutturale stanno cavalcando in ogni ambito un soluzionismo tecnoscientifico che avrà solo l’effetto di rendere invisibili le contraddizioni strutturali dell’organizzazione capitalista all’interno delle città e nei luoghi dello sfruttamento di massa.

La retorica militare della “guerra” al virus, trasversale a tutte le forze politiche ed economiche destre e sinistre, sta trasformando il confronto in censura, il discorso sulla salute in ipocrisia e decoro e il green pass in una sorta di daspo sociale: chi per qualunque motivo non ha le carte in regola, chi non è conforme, chi si ribella ad un ulteriore strumento classista e discriminatorio diventa automaticamente un nemico interno.

Puntare sulla “sicurezza” è utile a fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso, le norme messe in campo appaiono infatti più legate ad una ‘decenza’ formale che libera i padroni da ogni responsabilità scaricandole sui lavoratorx, che alla reale salute delle persone che le subiscono.

Ciò che è grave è la legittimazione di un ulteriore estensione del potere datoriale sul corpo dei lavoratorx (di fatto, già consegnato a stato e padroni) sulle condizioni di salute e le scelte di natura sanitaria, sfere che fino a prima di questa emergenza trovavano dei limiti quanto meno formali. Si tratta di un’ulteriore stretta autoritaria nel mondo del lavoro e più in generale nella società, un pericoloso precedente, che non riguarda esclusivamente la minoranza relativa di chi non vuole/non può vaccinarsi.

Salute oggi non è ascolto dei corpi, non è stare bene ed essere felici. Non è vivere in un ambiente, naturale e sociale, sano. Non è realizzare i propri desideri, avere ciò di cui si ha bisogno, buon cibo, buona vita, buone relazioni. Non è invecchiare e morire con serenità e dignità.

Mentre lo spostamento di risorse dal pubblico al privato procede spedito, tagliando sulla sanità pubblica a scapito dell’assistenza primaria, l’indifferenza dilaga e la solidarietà viene strumentalizzata alimentando una guerra tra poverx e creando sempre nuovi ‘mostri’ su cui scaricare insicurezza e timori: la tensione viene scaricata tra oppressx, sospetto e delazione diventano i nuovi paradigmi su cui fondare relazioni e legami in una sempre piu ampia disumanizzazione delle relazioni sociali.

La gestione securitaria della pandemia sta creando una nuova dottrina perbenista della “tolleranza zero”: mentre le relazioni di prossimità e la solidarietà collassano, neoliberismo e salute si stringono la mano procedendo per ricatti economici e sociali sempre più esasperati.

Normare in senso discriminatorio e punitivo è utile a garantire la necessità capitalista di manodopera salariata sottopagata e obbediente, ma la sicurezza sul lavoro oggi è sicurezza di essere sfruttatx!

NON È LA DITTATURA SANITARIA, È LO STATO NEOLIBERISTA! LA SALUTE SI CONQUISTA INSIEME CON LA SOLIDARIETÀ E CON LA LOTTA NON CON UN DISPOSITIVO CHE RICATTA, CONTROLLA, ESCLUDE E DISCRIMINA

Bologna, ottobre 2021


PS. Qual’ora ci fosse bisogno di dirlo, e a scanso di equivoci: strumentalizzare olocausto e camere a gas in funzione anti green pass è una merda.

Vignola: arriva il daspo urbano

Dal 1° settembre in tutta l’area dell’Unione Terre di Castelli (Castelnuovo Rangone, Castelvetro di Modena, Guiglia, Marano sul Panaro, Savignano sul Panaro, Spilamberto, Vignola, Zocca) sarà possibile per le forze dell’ordine utilizzare il daspo urbano per allontanare soggetti indesiderabili,  individualità dissidenti e marginalità sgradite.

La misura, voluta dalla sindaca di Vignola Emilia Muratori (PD) in qualità di assessore dell’Unione con delega alla Sicurezza, potrà essere applicata a luoghi pubblici come le autostazioni, le stazioni dei treni, i centri storici, i servizi sanitari, le scuole,  le fiere, oltre che ai mercati e agli spettacoli, ai parchi, ai centri sportivi e ai luoghi della cultura.

Link: https://www.comune.vignola.mo.it/comune/sindaco/vignola_informa/entra_in_vigore_dal_1settembreil_daspo_urbano.htm


Arriverà quella soglia di saturazione in cui l’insieme delle oppressioni e delle discriminazioni sistemiche diventerà inaccettabile?

Il tema del “decoro” continua ad alimentare una macchina della sicurezza sempre più infame e affamata: ad ogni provvedimento restrittivo ne consegue un altro più duro.

Il disciplinamento esasperato di ogni aspetto della vita sta individuando sempre nuovi bersagli su cui scaricare insicurezza e timori: sicurezza, controllo, disciplinamento e sanzionamento preventivo,  diventano i nuovi paradigmi su cui fondare relazioni e legami in una sempre piu ampia disumanizzazione delle relazioni sociali.

Mentre nei programmi scolastici le istanze femministe e transfemministe vengono depoliticizzate, strumentalizzate e spogliate della loro intrinsceca conflittualità (chi propone il daspo urbano è lo stesso che vuole “cambiare una mentalità patriarcale e retriva”), l’asse portante del controllo patriarcale attraverso cui si perpetra la riduzione strumentale e svilente delle persone a oggetti diventa sempre più forte.

La dottrina della “tolleranza zero”,  la retorica militare della “guerra” al “crimine”, al “nemico”, all'”invasore”, all'”alieno”, la “difesa” e “riconquista” (fortificazione/colonizzazione) dello spazio (riqualificazione e messa a profitto) si accompagnano alla morale “disinfettante” della “pulizia” e del “decoro”.

Neoliberismo e iper-regolazione penale vanno di pari passo: naturalizzare le ingiustizie sociali e puntare sulla “sicurezza” è utile a fomentare tutte quelle paure che possono essere usate in funzione di consenso.

Normare in senso punitivo si presta alla necessità neoliberista di  manodopera salariata sottopagata: l’essere inseritx/piegatx o meno nella catena dello sfruttamento diventa condizione/presupposto minimo per esistere. Chi è contro, fuori, sotto, o ai margini di questa condizione deve essere neutralizzato poichè mette in discussione l’ordine costituito.

Gli spazi pubblici, inibiti all’incontro libero e generativo, diventano il bersaglio di una macchina repressiva  sempre più specializzata nel rendere invisibili le contraddizioni sociali prodotte dal capitalismo:  identificare, preventivamente allontanare, rinchiudere e castigare tutte quelle soggettività che queste contraddizioni subiscono ed esprimono serve ad impedire qualsiasi possibilità di liberazione,  autodeterminazione e messa in discussione dei rapporti di potere ed oppressione che attraversano le città e le nostre esistenze.

Resistere a tutto questo è una responsabilità di tutte e tutti.

Sulle richieste di sorveglianza speciale a Bologna

AGGIORNAMENTO AL TESTO “CHI NON MUORE SI RITROVA”

Considerazioni in merito all’Operazione “Ritrovo” sulle richieste di sorveglianza speciale

A un anno di distanza dall’Operazione Ritrovo è arrivata la richiesta di 5 anni di sorveglianza speciale con obbligo di dimora per 7 compagni e compagne indagati in quell’inchiesta. L’ udienza è stata fissata per il 12 luglio.

La mossa ci sembra del tutto in linea con quanto avvenuto tanto nel passato recente (vedi Cagliari e Genova) che in quello più remoto. A fronte del fallimento o del drastico ridimensionamento della portata di un’inchiesta, si tenta di colpire le stesse persone con altri mezzi. L’intento è chiaramente quello di non mollare la presa, indebolire quei contesti in cui pensare e organizzare la critica e l’opposizione a questo stato di cose è una prassi che rimane costante, anche col solo far sentire compagni e compagne costantemente sorvegliati, col fiato sul collo, cercando di metterli sotto pressione.

La sorveglianza speciale e, in modo differente, le misure cautelari “minori” come gli obblighi e i divieti di dimora sono misure tanto subdole quanto infami. Chi ne è colpito è isolato in modo apparentemente molto meno impattante rispetto a provvedimenti più pesanti, come gli arresti. Tuttavia, seppur con mezzi diversi, l’obiettivo dello Stato rimane lo stesso: restringere il campo di chi si muove, togliere di mezzo chi si espone e fungere da monito per chiunque avesse intenzione di farlo. E ci può riuscire tanto con il carcere che con altre, seppur più lievi misure. Quando compagni e compagne spariscono dai contesti in cui lottavano fino al giorno prima, proprio a causa di queste misure, ce ne accorgiamo. E se non ci sorprende che di fronte a esse la risposta solidale non si esprima con lo stesso impeto che di fronte a un arresto, ci preme comunque sottolineare che l’obiettivo a cui mirano è spesso il medesimo: arrestare dei percorsi di lotta. E questo non possiamo permetterglielo.

Ci sembra quindi essenziale innanzitutto collettivizzare il contenuto di tali richieste e auspicare che il dibattito e la resistenza a queste misure si allarghino, data anche la mole di sorveglianze richieste sul territorio nazionale negli ultimi mesi: 4 a Cagliari, 2 a Genova (di cui una attualmente attiva), 1 a Torino, 7 a Bologna (precedute da altre 2 nella provincia, di cui una rigettata e una data).

Per quanto riguarda la struttura di queste richieste ci sembra di poter dire che, in linea con l’inchiesta da cui prendono le mosse, sono decisamente raffazzonate.

Innanzitutto sono misure di sorveglianza richieste non per una pericolosità “generica”, ma per una cosiddetta “qualificata”, ossia destinata a persone indiziate di particolari tipi di reati; nello specifico reati di terrorismo (capo “d” del paragrafo del codice penale sui soggetti destinatari). Ciononostante, il solo reato di terrorismo che emerge dalle carte è quello legato all’Operazione Ritrovo – per cui compagne e compagni sono tutt’ora indagati – che un anno fa ha portato a sette carcerazioni e cinque obblighi di dimora. Quindi, tautologia già vista: il PM prima lancia l’accusa di terrorismo – respinta sia dal Tribunale del riesame che dalla Cassazione seguita all’appello fatto dal PM – e poi usa l’accusa stessa per dimostrare una pericolosità fondata proprio sul terrorismo.

Entrando nel merito del contenuto, le 7 richieste sono piuttosto individualizzate. Tutte quante condividono però un’introduzione comune, che richiama l’ottica preventiva decantata dal PM Dambruoso all’alba dell’Operazione Ritrovo e la concezione repressivo-pandemica secondo cui nel corso dell’ultimo anno si sarebbe verificata un’ «infiltrazione delle anime anarchiche locali all’interno del tessuto sociale al fine di “cavalcare la rabbia”, derivante dalle stringenti limitazioni imposte dal Governo italiano per il contenimento della pandemia Covid-19, ed incanalarla contro le libere istituzioni democratiche»*.

Per qualcuno si cita precipuamente l’essere intestatario dello spazio di documentazione “Il Tribolo” (al cui interno sono stati sequestrati addirittura striscioni e bandiere, da ritenersi dunque a sua personale disposizione), o la partecipazione attiva alla redazione del bollettino anticarcerario OLGa. Per altri l’aver partecipato a livello nazionale o internazionale a cortei e presidi, in particolare nella lotta contro la repressione e in solidarietà a compagni e compagne in carcere.

Non mancano ovviamente passaggi contraddittori. Per qualcuno la pericolosità personale si evincerebbe dal possesso di strumenti informatici di tutela della privacy. Per qualcun’altra dai contenuti (trascrizione di lettere, volantini, resoconti di assemblee) estrapolati da comunicazioni trasparenti, rinvenute su supporti informatici non criptati.

In alcune richieste ci si sofferma più sul “curriculum” militante, a partire dalle prime denunce (superficialmente riportate con inesattezze e refusi); in altre su fatti accaduti nell’ultimo anno, tra cui le manifestazioni di solidarietà ai detenuti in seguito alle rivolte di marzo 2020 e la partecipazione attiva all’Assemblea in solidarietà ai/alle prigionieri/e, oltre che ai contatti epistolari tenuti con questi ultimi, da cui viene tratteggiato per qualcuno un ruolo di “raccordo” a livello nazionale con compagni/e dentro e fuori le galere.

E poi, questo passaggio: «La condivisione delle dinamiche di lotta rivoluzionaria nel campo dell’anti-carcerario e in solidarietà ai detenuti anarchici insurrezionalisti appartenenti alla FAI/FRI» si sposa ideologicamente con «una progettualità eversiva volta a condurre una insurrezione violenta, anche sfruttando e fomentando le rivolte carcerarie»*. L’adesione ideologica sarebbe una condizione per procedere con richieste di misure preventive. Dambruoso lo dice apertamente dall’anno scorso e oggi continua a battere questa strada senza ripensamenti. Il PM, la cui esecrabile carriera nella procura milanese è stata costruita sulla repressione al cosiddetto terrorismo islamico, tenta di seguire oggi le stesse orme contro gli anarchici. E ciò farebbe ridere visti gli scarsi successi, se non fosse che proprio con simili inchieste per terrorismo, il cui fulcro è proprio l’adesione ideologica, lui come altri PM comminano anni di carcere o di misure preventive a destra e a manca.

La controparte attacca, e lo fa con costanza, mantenendo una sorta di “standard punitivo”, come a dire che sotto un certo livello di repressione lo Stato non scende, tanto in termini di anni comminati, che di tipologia di misure dispensate (preventive e non). Se il livello del conflitto si abbassa la repressione avanza o quantomeno non arretra. Proprio perché, lo dicono loro stessi, l’obiettivo è “prevenire”, evitare che tornino gli anni caldi.

E proprio da qui si è pensato di partire. A fronte della loro prevenzione, vogliamo opporre la nostra, organizzando e rilanciando, di fronte a questa ennesima mossa repressiva, lotte e discorsi che essa avrebbe la pretesa di spezzare.

*citazioni dalle richieste di sorveglianza speciale


link: Chi non muore si ritrova