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Categoria: Solidarietà
CPR MACOMER: TRASFERIMENTI AL CPR IN ALBANIA
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Ieri alle 7 del mattino sono entrati una ventina di agenti in antisommossa dentro il blocco destro e sinistro del CPR di Macomer. Hanno preso con la forza 8 persone, per trasferirle in Albania.
La macchina razzista dello Stato continua il suo sporco lavoro di deportazione. Il nuovo lager sorto in Albania, gestito dalla cooperativa Medihospes, può recludere fino a 144 persone destinate al rimpatrio.
Le deportazioni fanno ingrassare anche le pance di compagnie aeree come Aeroitalia, AirMediterranean, AlbaStar e Smartwings che organizzano appositi voli charter, lucrando sulle espulsioni e sui trasferimenti da un CPR all’altro. Per compiere quest’operazione vengono usati anche aeri di linea. Sappiamo di voli interrotti grazie alla lotta degli stessi detenuti, che sono riusciti a far bloccare la partenza una volta a bordo. Infatti, spesso, le persone oggetto di espulsione o trasferimento vengono sedate. Quindi è nostra responsabilità cercare di inceppare questo tassello della macchina razzista, nel caso dovessimo trovare degli indizi di una deportazione in atto. Di seguito alcune info utili a riguardo:
“Un aereo non può decollare se ogni passeggero non è seduto con le cinture di sicurezza allacciate.
Un modo per ritardare la partenza, chiedendo lo sbarco della persona in stato di trattenimento coatto, è rimanendo in piedi nell’aeromobile, impedendo così la partenza fino all’ottenimento della richiesta di discesa!
Se quando sali su un aereo vedi:
– Pattuglie delle forze dell’ordine fuori (affianco o difronte) dall’aereo;
– Una persona razzializzata, nera o est-europea, seduta nell’aeromobile con affianco 2 brutti ceffi;
Sappi che è altamente probabile che sia in corso una deportazione.”
RESISTERE ALLE DEPORTAZIONI: racconto in messaggistica istantanea di una deportazione bloccata
CONTRO I MILLE VOLTI DEL RAZZISMO DI STATO, BLOCCARE LA MACCHINA DELLE ESPULSIONI È POSSIBILE.
CAGLIARI: NOI LA CHIAMIAMO TORTURA – AGGIORNAMENTI DAI PRIGIONIERI DEL CARCERE DI UTA
Diffondiamo da rifiuti.noblogs:
Poco importa se uno combatte da solo o se combattono in centomila; se uno s’accorge di dover combattere, combatte, e poco importa che abbia o no compagni di lotta. Io dovevo combattere e tornerei a farlo. (H. Fallada)
Il 25 aprile scorso i prigionieri del carcere di Uta hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare per le condizioni di vita nel carcere, vere e proprie forme neppure tanto sottili di tortura. Tra le tante ragioni della protesta saltava subito all’occhio quella per l’acqua dei rubinetti del carcere, tanto piena di colibatteri fecali da rendere rischioso persino utilizzarla per lavarsi.
I solidali hanno subito iniziato una campagna di supporto alla lotta, sia tra i familiari dei detenuti all’esterno della prigione (che l’amministrazione carceraria ha dimostrato con modi “fisici” di non gradire), che nelle piazze di Cagliari, tanto da riuscire a far uscire la notizia dello sciopero nel maggiore quotidiano locale sardo.
Per evitare ulteriori danni all’immagine dell’amministrazione sono intervenuti immediatamente Gianni Loy, garante della città metropolitana, e Irene Testa, garante regionale (chiamati in causa nel documento dei prigionieri per la loro totale assenza), che hanno incontrato alcuni prigionieri, hanno misurato le dimensioni delle celle e hanno dichiarato alla stampa, come sempre, di essere a conoscenza da tempo della grave situazione che promettevano di risolvere nel giro di una settimana. I prigionieri hanno interrotto lo sciopero in attesa dei risultati promessi e mentre Irene Testa è tornata alla sua occupazione abituale (convegni, dichiarazioni alla stampa e totale indifferenza verso le richieste dei prigionieri), Gianni Loy è giunto addirittura (sic!) a chiedere il ripristino del reparto ospedaliero nel carcere aprendovi però finestre (sinora assenti), naturalmente chiuse da sbarre.
Ha completato l’opera l’amministrazione penitenziaria “risolvendo” il problema dell’acqua non potabile mescolandola a tanto cloro da renderla inutilizzabile anche per cucinare. Questa mossa, che ha come conseguenza principale che i detenuti con meno disponibilità economica abbiano difficoltà anche per cucinare. Noi la chiamiamo TORTURA, una tortura moderna di quelle che non lascia segni visibili, quella che alcuni sociologi chiamano “autoinflitta” perché le vittime possono pensare di esserne la causa diretta e non attribuirla a coloro che la praticano.
L’amministrazione penitenziaria supportata dai garanti (che nei giorni scorsi hanno espresso alla stampa “vivo apprezzamento” per la recente nomina di Pietro Borrutto che sostituisce Marco Porcu, di cui non sentiremo la mancanza, come direttore di Uta) ha agito tentando di dividere e scoraggiare i prigionieri in lotta ma, nonostante questo, alcuni di loro hanno ripreso e continuano lo sciopero della fame mettendo a rischio la loro vita.
Da parte nostra, oltre a ribadire la nostra solidarietà ed il nostro impegno a portare la lotta oltre le sbarre, convinti che sino a quando anche un solo prigioniero continua la lotta l’amministrazione non dovrà e non potrà avere pace, ricordiamo ai solerti garanti, corresponsabili con i loro silenzi e mediazioni della situazione attuale, che, se ad un solo prigioniero in sciopero dovesse accadere qualcosa, dovranno assumersene responsabilità ed oneri.
Ai prigionieri in lotta vanno il nostro appoggio, solidarietà e complicità.
TUTTE LIBERE, TUTTI LIBERI
CHIUDERE UTA, CHIUDERE TUTTE LE GALERE
Anarchicx contro carcere e repressione
PIEMONTE: INIZIATIVE PER LE STRADE E SOTTO LE CARCERI. CONTRO IL 41 BIS, L’ERGASTOLO E TUTTE LE FORME DI DETENZIONE
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In un clima di guerra sempre più dispiegata e di repressione che affina i suoi strumenti, il processo per la manifestazione del 4 marzo 2023 a Torino in solidarietà al compagno Alfredo Cospito e contro il 41 bis sta per iniziare.
Durante i mesi di mobilitazione in solidarietà ad Alfredo, il vero volto della democrazia si è mostrato e qualche crepa si è aperta, mostrando il 41 bis come uno strumento repressivo utilizzato per rimettere in riga i recalcitranti, una tortura a norma di legge.
Solidarietà e lotta sono gli strumenti che abbiamo per ribaltare l’esistente e per questo, alle porte dell’inizio del processo, vogliamo continuare a urlare la nostra solidarietà a chi lotta nelle galere e la nostra opposizione al 41 bis.
Contro il 41 bis, contro l’ergastolo e contro tutte le forme di detenzione.
Solidarietà ad Alfredo, Chiudere il 41 bis!
Tutti e tutte libere
24 MAGGIO
Corteo città – carcere – città
Partenza dalla stazione di Cuneo ore 15.00
1 GIUGNO
Presidio solidale al carcere di Quarto d’Asti ore 17.00
7 GIUGNO
Presidio al carcere delle Vallette
Ritrovo al capolinea del tram 3 – Torino
ore 17.00
PER VAKHTANG E TUTTI GLI ALTRI: CHIUDIAMO TUTTI I CPR – PRESIDIO A GORIZIA E GRADISCA
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VENERDÌ 23 MAGGIO
ore 14 – PRESIDIO AL TRIBUNALE DI GORIZIA – Via Nazario Sauro 1
ore 18 – PRESIDIO AL CPR DI GRADISCA D’ISONZO – davanti al CARA
Il prossimo venerdì 23 maggio si terrà al tribunale di Gorizia una nuova udienza del processo per la morte, nel gennaio 2020, di Vakhtang Enukidze, trentasettene di origine georgiana allora prigioniero nel cpr di Gradisca. Come già ricordato, il processo vede giudicati per omicidio colposo Simone Borile, allora capo della cooperativa Ekene (che gestisce tuttora il CPR di Gradisca) e l’allora centralinista del centro, Roberto Maria La Rosa.
Indipendentemente dai suoi esiti, nessun processo in nessun aula di tribunale potrà fare alcuna “giustizia” né stabilire alcuna altra verità o “versione dei fatti”, come piace scrivere a chi è pagato per fare da megafono alla voce degli amministratori dell’ordine.
La vicenda di Vakhtang è paradigmatica del normale funzionamento dei lager di stato, come anche di tutte le carceri del circuito penale.
Il 14 gennaio del 2020 Vakhtang litiga con un suo compagno di cella, una decina di agenti in tenuta antisommosa entra e si accanisce su di lui. Vakthang verrà violentamente pestato, includendo almeno un colpo sulla nuca e una ginocchiata sulla schiena. Subito dopo viene trascinato dai piedi e portato in prigione da dove, due giorni dopo, viene riportato nel CPR e, come racconteranno più tardi i suoi compagni di prigionia, il suo stato in quel momento è critico, riuscendo a malapena a tenersi in piedi. Disperato, grida dalla cella chiedendo un medico, rimanendo completamente inascoltato, come dal resto avviene quotidianamente nei CPR – ed esaurisce man mano le sue energie. A un certo punto smette di lamentarsi. Durante la notte, cade dal letto, senza alzarsi più. La mattina dopo, i suoi compagni di cella lo trovano incosciente. Viene allora portato in ospedale – per la prima volta dal pestaggio – dove morirà poche ore dopo.
Dal primo momento, nonostante i tentativi di depistaggio e insabbiamento, le testimonianze uscite dal CPR sono state chiare: Vakhtang è morto di stato, per mano dello stato. Così è stato rinaugurato il CPR di Gradisca d’Isonzo e ha continuato a produrre morte e tortura.
I campi per le deportazioni, come le carceri, costituiscono l’apice della piramide del sistema di oppressione e monito nei confronti dei cosiddetti liberi. Ma guardare alle singole prigioni come strutture a sé stanti, come più evidenti manifestazioni della brutalità dell’impianto razzista statale, restituirebbe solo un orizzonte parziale rispetto alla complessità dell’intero sistema di dominio in cui esse stesse si inscrivono. I sopracitati Borile e La Rosa, le cosiddette “mele marce”, sono in realtà due dei tanti ingranaggi della macchina di sfruttamento, oppressione, ricatto e controllo che sulla vita degli ultimi e dei marginali – ma anche di fasce man mano più ampie di popolazione – genera lauti profitti, consenso elettorale e merce di scambio per accordi politici, economici e sindacali.
La macchina che ogni giorno spezza le vite migranti attraverso il sequestro di persona istituzionalizzato (ufficialmente “detenzione amministrativa”) e il trasferimento coatto in Paesi dove, molto spesso, le persone deportate devono riaffrontare la miseria da cui erano scappati, è anche un grande business che frutta milioni pubblici alle cooperative della “accoglienza”, alle compagnie aeree e a tutta la molteplicità di attori complici del suo funzionamento (ognuno col suo ruolo e funzione) e che contribuisce a convogliare sempre più risorse all’apparato poliziesco-militare.
A questo proposito, in questi giorni alcuni partiti locali, risvegliati dalla necessità di fare campagna elettorale sulla pelle (e sulla morte) dei prigionieri nei CPR – e nelle carceri – chiedono ipocritamente la chiusura del CPR di Gradisca (non di tutti gli altri). E lo fanno sedendosi a convegno e marciando a fianco di chi i CPR li ha aperti con la Legge Turco-Napolitano del 1998 e dei rappresentanti di chi al loro interno manganella e gasa a piacimento i reclusi, contribuendo nel tempo – gli uni e gli altri – a tutte le svolte repressive degli ultimi anni.
Da Torino a Brindisi, da Macomer a a Trapani, i CPR vengono percorsi dalle continue rivolte autonome dei prigionieri nel tentativo di riguadagnare la libertà, opporsi alle deportazioni, ribellarsi alla brutalità delle guardie e al trattamento loro imposto dagli enti gestori, rivolte che spesso portano alla devastazione e chiusura di intere aree.
Solo guardando alle rovine di questi lager – e di tutti coloro che ne permettono l’esistenza – si potrà pensare che giustizia è stata fatta, per Vakhtang Enukidze e per tutte le altre centinaia di persone torturate e ammazzate là dentro.
I CPR li hanno chiusi i fuochi e le rivolte dei prigionieri, li hanno chiusi in passato e li chiuderanno ancora. A noi il compito della solidarietà attiva e complice a chi si rivolta.
Per un mondo senza frontiere e galere!
Tutti liberi, tutte libere
Assemblea NO CPR fvg
FRANCIA: 3 MESI DI CARCERE PER AVER GRIDATO “ACAB”
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Repressione giudiziaria in Francia
Lunedì 5 maggio si è svolto il processo a uno studente tedesco, arrestato durante un’azione di blocco in solidarietà a Georges Ibrahim Abdallah e del popolo palestinese presso l’Università Lumière Lyon il 2 dicembre 2024.
Arrivata sul posto, la polizia ha rapidamente e violentemente caricato e posto in stato di fermo diversi studenti. Durante questo scontro, Rima ha gridato ACAB. L’intero processo ruota attorno alle sue idee politiche, che il procuratore considera “di ultra-sinistra”, accusando Rima di “essere venuto in Francia per provocare disordini”, quando forse trova semplicemente i gattini troppo carini.
Per aver insultato la polizia e per essersi rifiutato di fornire le sue impronte digitali durante il fermo, è stato condannato a 3 mesi di prigione con la condizionale, a una multa di 2.000 euro e al divieto di recarsi a Lione per 5 anni.
DA BOLOGNA A MESSINA: L’UNICO PONTE CHE VOGLIAMO È LA SOLIDARIETÀ TRA INSORTX
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Colate di cemento, cantieri, speculazione edilizia, disboscamento, grandi opere, repressione… da nord a sud, continuano spietati i piani di dominio e distruzione del vivente, che intendono sacrificare corpi, comunità e territori sull’altare del “progresso”. A questo ricatto del progresso noi non ci stiamo: la lotta contro il ponte sullo stretto riguarda tuttx noi, perché significa lottare contro un modello di sviluppo che non è altro che devastazione delle nostre città e delle nostre vite.
Da Bologna a Messina e alla Sicilia tutta, intrecciamo le lotte e rilanciamo la solidarietà!
«Se invece fossimo il vento e la sabbia che si incontrano e si fanno bufera? Se fossimo le onde che stanno per rompersi? Siamo la forza delle nostre montagne e i nostri sogni sono radici di ginestra che cresce nel fuoco. Siamo pazienze stanche pronte a vendicarsi. […] Nelle vene ci scorre il sangue brigante delle lotte passate. La nostra vita non è in vendita!»
BOLOGNA: SENTENZA PRIMO GRADO OPERAZIONE RITROVO
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Nel maggio del 2020, con l’Op. Ritrovo, sono statx arrestatx 7 compagnx di Bologna e ad altrx 5 sono state date misure minori (obbligo di dimora e firme). Con l’udienza di riesame è caduto l’impianto accusatorio del 270 bis e sono rimaste in vigore quelle più lievi di danneggiamento mezzo incendio, danneggiamento, imbrattamento e istigazione a delinquere, tutte legate a differenti episodi solidali verso detenuti e compagnx sottopostx a misure repressive. Questo esito ha portato all’annullamento delle misure cautelari per qualcuno e all’obbligo di dimora con rientro notturno per qualcun altro, misure poi protratte per 6 mesi. È stata successivamente chiesta la sorveglianza speciale per 8 compagnx coinvolti nell’Op. Ritrovo, poi affibbiata ad un solo compagno per la durata di 2 anni.
L’Op Ritrovo ha preso il via nel periodo del lockdown, anche a seguito della forte solidarietà espressa dallx compagnx allx detenutx del carcere bolognese della Dozza. Il PM Dambruoso in conferenza stampa aveva ammesso senza pudore la natura preventiva degli arresti nel quadro delle strette adottate con il lockdown e a seguito delle rivolte nelle carceri, durante le quali erano state uccise 14 persone.
Dopo 5 anni dall’inizio di quella vicenda siamo arrivatx alla sentenza di primo grado con una sola condanna ad 1 mese (pena sospesa) per imbrattamento, per una scritta. Per il resto è stata una sentenza di assoluzione piena per tuttx.
Proviamo rabbia per la libertà che ci è stata strappata, per le menzogne del tritacarne della giustizia italiana, per la violazione delle nostre vite avvenuta con anni di intercettazioni e pedinamenti. Ma soprattutto proviamo rabbia perché i responsabili delle morti avvenute nelle carceri in quei mesi del 2020, a partire dalla strage di Modena fino al massacro di Santamaria Capua Vetere, non hanno mai pagato.
Le carceri sono luoghi di privazione e morte e non ci stancheremo mai di ripeterlo.
Contro tutte le galere!
CPR MACOMER: TRASFERIMENTI IN ALBANIA, SCIOPERO DELLA FAME, PRIGIONIERI ISOLATI E ABBANDONATI A LORO STESSI
Diffondiamo da rifiuti.noblogs.org
La macchina razzista dello Stato continua il suo vile lavoro, adesso ancora più forte grazie all’apertura del lager in Albania: i due ragazzi algerini che hanno iniziato la protesta del cibo a Macomer, innescando una potenziale rivolta, sono stati immediatamente trasferiti, prima a Roma, poi a Bari e sabato scorso in Albania. Chi non abbassa la testa dentro i cpr, viene subito portato via, per evitare possibili rivolte.
Questo non ha fermato i reclusi dentro Macomer, alcuni di loro (l’intero blocco c) rifiuta il cibo da sei giorni. Il blocco sinistro ha riiniziato a mangiare domenica, perché la gestione li ha convinti che il cibo sarebbe migliorato, invece ieri è arrivato di nuovo marcio e puzzolente, quindi l’hanno rifiutato. Questo è uno dei tanti motivi della loro protesta, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ci sono anche altri problemi con cui devono lottare ogni giorno: tre ragazzi hanno delle fratture, due alla gamba e uno allo schiena, non hanno neanche le stampelle. L’acqua è poca, l’assistenza medica è praticamente assente. Chi è stato in altri cpr e carceri dice che un posto del genere non l’ ha mai visto. Alcuni dovrebbero essere posti in libertà perché la loro compagna è italiana, in altri cpr per questo fatto sono stati liberati; a Macomer, invece, esiste una prassi di udienze ritardate (di competenza dei giudici di pace del tribunale di Oristano), la macchina burocratica, complice del razzismo di Stato, allunga la loro tortura. Ieri due ragazzi che hanno ricevuto la notizia dell’ennesimo rinvio dell’udienza, si sono lesionati con un taglierino, uno di loro si è cucito la bocca con del filo di ferro. Non è il cibo, non è l’acqua, non è l’assistenza quello che vogliono più di ogni altra cosa, ma essere liberi: “non c’è possibilità di libertà, condanna senza motivo”.
Elizabeth Rijo, la direttrice del centro, per conto di Officine Sociali, aveva fatto la sua bella comparsa in televisione, dicendo che voleva cambiare questo posto, organizzando attività coinvolgenti come dei balli di gruppo (Leggi qui). I prigionieri dicono che non si presenta neanche ai colloqui che loro chiedono di avere con lei, con la speranza che possa aiutarli in qualche modo. La cosa peggiore forse è questa: cercano di illuderli che la loro situazione potrà migliorare, ma in realtà sono abbandonati a loro stessi. Li hanno privati della loro libertà, gli danno cibo avariato, li fanno stare coattamente assieme dentro una gabbia, alcuni di loro hanno problemi di dipendenza e fisici, e poi gli promettono dei miglioramenti, senza mantenere alcuna promessa. La garante dei detenuti, Irene Testa, avrebbe detto di essere informata di questa situazione ma non fa un bel niente, oltre a partecipare a convegni e assemblee. Forse anche lei legge i post del nostro blog perché altrove non se ne parla.
Dentro il CPR i prigionieri sono isolati e buttati come spazzatura, ma i veri rifiuti sono quelli che sostengono e collaborano, e sono tanti, con questo sistema di merda. Chi è privato della libertà e sta dentro quel lager, lo sa.
PERQUISIZIONI A COMO
Riceviamo a diffondiamo da Como con tutta la nostra solidarietà per lx compagnx colpitx. No, la repressione non romperà i nostri legami di solidarietà, amicizia, complicità e amore 🔥
Alle 7:45 del mattino di giovedì 8 maggio DIGOS e agenti della polizia hanno fatto irruzione nell’abitazione di una compagnx a Como, con un mandato di perquisizione per un presunto imbrattamento commesso a Como il 7 gennaio scorso, finalizzato alla ricerca di materiale utilizzato per imbrattare. L’abitazione è stata completamente ribaltata, dunque, per cercare delle bombolette spray. Assieme a tutti gli ambienti della casa, anche lx compagnx ha subito una perquisizione personale; si è dovuta spogliare nudx e fare tre squat davanti ad un agente donna -alle sette del mattino!!!!-. Gli sbirri, seppur alla ricerca di materiale utile all’imbrattamento, hanno perquisito tutta l’abitazione, anche il frigorifero e gli scaffali della cucina, buttando per terra il cibo nelle mensole. Inoltre, con il loro mandato avrebbero dovuto limitarsi ad entrare soltanto alla stanza della compagna e negli ambienti comuni della casa; nonostante ciò hanno fatto finta di niente, perquisendo tutta l’abitazione, persuadendo il coinquilino ad essere collaborativo con chiacchiere e discorsi da “sbirri buoni”. Lx compagnx si è fatta la colazione mentre gli infami cercavano prove del grande delitto, gettando a terra il cibo, ribaltando i divani, svuotando tutte le mensole e buttando le cose talmente senza cura che alla fine nessuno riusciva più a muoversi negli spazi dell’abitazione.
Come siano arrivati a sapere l’indirizzo dell’abitazione dellx compagnx, rimane un mistero. Probabilmente appostandosi nei giorni precedenti al di fuori dell’abitazione, controllando chi entrava e usciva.
Dopo aver ribaltato la casa, alle 10 il convoglio di polizia digos e compagnx si è spostato alla seconda location, la casa dei genitori della compagnx, dove aveva ancora la residenza. Qui ha trovato poco o nulla: solo vestiti da bambinx e peluche. Inoltre, la polizia ha più volte ritirato il telefono, dicendo che non c’era bisogno di comunicare con l’avvocato ogni tre minuti (diritto invece legittissimo), e lo ha riconsegnato solo alla fine di tutto il teatrino.
Una volta arrivatx in questura, la persona è stata identificata dalla p. scientifica e portata negli uffici ad attendere dalle 10:30 circa alle 15:30 del pomeriggio per il verbale della perquisizione. Le ore sono passate lentamente, con lx compagnx in balia della voglia di scherzare, provocare, estorcere informazioni e minacciare di ogni digossino. Dato che non si sedeva compostx sulla sedia, è statx fatto alzare e stare in piedi per alcune ore. La digos ha offerto acqua e cibo, dicendosi gentile e pronta a soddisfare ogni bisogno; si è però offesa quando non ha ricevuto neanche un “grazie”.
Atteggiamenti di aggressiva prepotenza come questi, che il sistema e i suoi organi repressivi vorrebbero normalizzare, sono di per sè violenti ed inaccettabili. La rabbia e il senso di sopraffazione sono sentimenti comuni quando si vivono queste situazioni; è importante rimanere lucidx, mantenere la calma e ricordarci di chi ci aspetta fuori dalle mura nemiche della Questura, per un abbraccio o un aiuto a rimettere a posto tutta la casa distrutta dalla polizia.
La repressione non romperà i nostri legami di solidarietà, amicizia, complicità e amore.