ANTIPSICHIATRIA: I MORTI NON SONO TUTTI UGUALI

Puntata del 10 ottobre di ri-Congiunzioni, trasmissione dedicata alla salute di, da, con e tra tutti e tutte.

Partendo da due comunicati pubblicati dalla Rete Assemblee Antipsichiatriche proviamo a riflettere sulla morte della psichiatra Barbara Capovani e sulle violenze che si sono verificate in Stella Maris, Comunità Shalom e Cooperativa Dolce.

 Link alla puntata QUI

Link ai comunicati della rete antipsichiatrica:

– In questo paese i morti non sono tutti uguali QUI

– Residenze psichiatriche: abusi, maltrattamenti, uccisioni QUI

RESIDENZE PSICHIATRICHE: ABUSI, MALTRATTAMENTI E UCCISIONI 

Diffondiamo questo documento prodotto dall’Assemblea della Rete Antipsichiatrica:

“Questo testo affronta la violenza strutturale che regola la vita all’interno di moltissimi centri residenziali per persone con disabilità o fragilità psichica. Si parte dai maltrattamenti avvenuti nella struttura di Montalto di Fauglia gestita dalla Stella Maris, passando per gli abusi all’interno delle strutture della Cooperativa Dolce di Bologna, per arrivare agli orrori della Comunità Shalom, nel bresciano. Una violenza capillare sostenuta quotidianamente dal silenzio di moltissimi “professionisti”, tecnici dei servizi, operatori, assistenti ed educatori.”

Qui il testo: https://assembleareteantipsichiatrica.noblogs.org/post/2023/10/02/residenze-psichiatriche-abusi-maltrattamenti-e-uccisioni/

MOUSTAFÀ FANNANE, ENNESIMA VITTIMA DEL SISTEMA CPR

 

Riceviamo e diffondiamo la vicenda di Moustafà Fannane, ennesima vittima del sistema CPR. Per noi non ci sono né ombre né dubbi, sappiamo chi è stato.

Moustafà Fannane: ennesima vittima del sistema CPR

Ovvero una morte sospetta per abuso di psicofarmaci dopo la detenzione in un Centro Per il Rimpatrio

Il 19 Dicembre 2022 a Roma è venuto a mancare Moustafà Fannane, classe 84, originario della città marocchina di Fqih Ben Salah. Ennesima morte sospetta per abuso di psicofarmaci.

Moustafà era giunto in Italia nel 2007, come molti suoi conterranei alla ricerca di un futuro migliore, e per un periodo di tempo aveva svolto una vita regolare fatta di lavoro al fine di aiutare la famiglia in Marocco in grave difficoltà economica. Descritto dai suoi conoscenti come persona gentile e educata, nel 2014 comincia ad avere delle difficoltà, perde il lavoro e l’alloggio. Come se non bastasse in questa situazione drammatica e precaria nel 2015 viene raggiunto da un decreto di espulsione, circostanza che non sarebbe mai stato in grado di affrontare dal punto di vista legale viste le condizioni in cui versava.

Nel 2019 viene trattenuto per sei mesi presso i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Roma e Torino. Nell’estate 2020 nonostante la sua condizione di disagio psicologico e socio-economico verrà nuovamente condotto nel CPR. Molti residenti, nel quartiere Torpignattara a Roma dove viveva, hanno giudicato tale misura del tutto ingiusta e inappropriata nei confronti di una persona che aveva bisogno di cure e sostegno. Nell’agosto 2022 viene nuovamente arrestato e condotto nuovamente nel CPR. Verrà ritenuto idoneo a rimanere recluso. Durante questo ultimo trattenimento, in contatto con una sua conoscenza lamenterà di essere affetto da un gonfiore a carico del volto di cui non sa spiegare il motivo, circostanza notata poi da molte altre persone una volta uscito le quali sono rimaste molto sorprese dalle sue condizioni definite come qualcosa di simile a un abuso di psicofarmaci, apatia, pallore. Nella documentazione rilasciata dal centro ai legali dei familiari non risultano fogli di dimissioni, pertanto dopo 3 mesi di terapia basata sulle 25 – 50 gocce giornaliere di Diazepam, Moustafà viene rilasciato senza nessuna indicazione terapeutica o prescrizione di visita specialistica. Verrà rinvenuto in strada privo di sensi e troverà la morte nell’ospedale Vannini a sole tre settimane dal rilascio dal CPR.

Sappiamo bene che sono gli psicofarmaci lo strumento principale di gestione delle persone recluse nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio dei migranti. Antiepilettici, antipsicotici, antidepressivi e metadone: “servono per stordire donne e uomini in modo che mangino di meno, restino più tranquilli e resistano di più al sovraffollamento, nelle gabbie in cui vengono stipati. All’ente gestore gli psicofarmaci costano meno del cibo e permettono di riempire maggiormente i CPR e allungare il tempo di permanenza di ciascun migrante nella struttura, in modo da aumentare i guadagni”. Presso i CPR “non sono previste attività, le giornate sono tutte uguali; un operatore ci ha raccontato che gli psicofarmaci sono usati per stordire le persone così “mangiano di meno, fanno meno casino, rivendicano di meno i loro diritti”. La spesa per gli psicofarmaci è altissima mentre la tutela della salute all’interno dei CPR non è affidata a figure specialistiche che lavorano per il Ssn bensì da assunti da enti gestori che mirano a risparmiare”. Sui numeri: rispetto all’esterno, su una popolazione di riferimento simile, la spesa in antidepressivi, antipsicotici e antiepilettici nella struttura di via Corelli a Milano è di 160 volte più alta, al CPR di via Brunelleschi a Torino 110, a Roma 127,5, a Caltanissetta 30 e a Macomer 25. Addirittura a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo ‘normale’ ne prevede al massimo 15. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. Anche a Milano il Rivotril rappresenta la metà del totale della spesa in psicofarmaci con 196 scatole acquistate in soli cinque mesi.1

Questa triste vicenda dai molti punti ancora oscuri ci invita a interrogarci come sia stato possibile che una persona in difficoltà come Moustafà sia potuto essere stato soggetto a numerosi arresti e trattenimenti presso dei CPR; se le Istituzioni abbiano mai realmente provato a fare qualcosa per questa persona. Ci domandiamo anche se il rispetto e la tutela della salute dei reclusi dentro i CPR siano garantiti a partire dalle visite mediche.

Per il momento per la morte di Moustafà è stato aperto un procedimento presso la Procura di Roma. Ci auguriamo che venga fatta chiarezza sulle reali cause del decesso di Moustafà che cercava solo una vita migliore.

Da: https://artaudpisa.noblogs.org/post/2023/07/30/moustafa-fannane-ennesima-vittima-del-sistema-cpr/

https://www.osservatoriorepressione.info/ombre-dubbi-sulla-morte-moustafa-fannane/


1https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani/

LA RETORICA DELL’EMERGENZA PSICHIATRICA PER IL CONTROLLO SOCIALE

Da Ricongiunzioni – Radio Blackout: https://radioblackout.org/2023/05/la-retorica-dellemergenza-psichiatrica-per-il-controllo-sociale/

Non è un caso se di psichiatria si parla sempre più spesso. Dagli abusi di psicofarmaci in carcere nei cpr[1][2] alle retoriche neomanicomiali che accompagnano la triste conta degli operatori e delle operatrici (più spesso) uccise dai pazienti, come è successo a Pisa lo scorso 24 Aprile. Una conta ben lontana, comunque, dall’eguagliare le morti di psichiatria nelle carceri, nei reparti ospedalieri, nelle comunità, per strada durante un TSO, per gli effetti collaterali a lungo termine dei farmaci. Eppure, di emergenza psichiatrica si parla sempre solo per dire che ci sono un sacco di matti pericolosi in giro e non per ricordare che la psichiatria può uccidere; e neanche questo è un caso. Non lo è perché la psichiatria è sempre stata, in maniera più o meno attiva a seconda dei periodi storici, schierata in una guerra alla povertà, alla disobbedienza e a tutto ciò che è altro e che eccede la norma. Senza citare i casi di oppositori politici finiti in manicomio, pratica diffusa in tanti paesi del mondo ancora ad oggi, basti pensare che durante il fascismo una donna poteva finire in manicomio perché “libertina, indocile, irosa, smorfiosa o madre snaturata”, oppure che nell’america schiavista la “drapetomania”  diagnosticava il desiderio di scappare dalle piantagioni degli schiavi. Casi storici estremi che tradiscono la più subdola compenetrazione quotidiana del controllo sociale e della psichiatria, una pseudoscienza nata dalla separazione tutta occidentale tra ragione e sragione. Ci sono stati, certo, dei brevi periodi in cui i movimenti sociali sono riusciti ad impadronirsi di un’autonomia nella progettazione della cura delle sofferenze sociali distanziandosi dal paradigma biomedico per dare vita ad un’antropologia pratica o ad una sorta di ecologia umana, che ribaltando il meccanismo di delega medico-paziente restituisse la responsabilità della cura alla comunità e al territorio. Il movimento di deistituzionalizzazione in italia è un esito di queste tensioni, ed è importante riconoscerlo altrimenti succede di leggere che i manicomi sono stati chiusi “grazie allo sviluppo della psicofarmacologia che permetteva di curare i pazienti a casa”[3]. No, non è andata così, la chiusura dei manicomi è il frutto di una lotta con tanti morti dentro ai manicomi e con qualche psichiatra (specie quelli a cui piaceva legare le persone ai termosifoni) gambizzato. E sono stati altri psichiatri a tematizzare la lotta di classe nel loro lavoro, ribadendo che se la guerra che avviene ogni giorno in psichiatria viene invisibilizzata, se non si esercita con consapevolezza politica, ogni atto di cura e contenzione diventa un atto di guerra contro una classe marginalizzata.

Quando questa consapevolezza politica si perde, i discorsi e le pratiche della psichiatria diventano sempre più vicini e simili a strumenti e istituzioni più esplicitamente punitivi e repressivi. La “cura” si mischia con la galera. I reparti, le residenze private e le comunità diventano più simili a carceri, e le carceri vengono inondate di farmaci. Quest’ultime si riversano negli ospedali pieni di detenuti ricoverati, che si aggiungono a chi viene internato perché in famiglia o in quartiere da fastidio. Gli psichiatri diventano così dispensatori di farmaci preoccupati della mera gestione dei sintomi e responsabili della custodia dei loro pazienti. I percorsi esistenziali che si incontrano nelle galere e in psichiatria sono gli stessi, in una traspirazione di destini facilitata dalle porte scorrevoli che separano il sistema penale da quello psichiatrico. Questo lo si intuisce per esempio da un dato su tutti: in tutti i paesi industrializzati il numero di persone con problematiche psichiatriche in carcere aumenta vertiginosamente mentre si riduce quello delle persone prese in carico dai servizi territoriali. La psichiatria è tornata oggi ad essere uno strumento di marginalizzazione, in senso diametralmente opposto alla riforma ispirata da Basaglia che non è mai stata implementata se non in qualche sparuta provincia. I manicomi fioriscono sotto mutate spoglie. Nel 78 c’erano 90.000 persone internate e ne contiamo quasi 70.000 oggi tra SPDC comunità, case di cura eccetera, senza contare l’enorme mole di miseria umana psichiatrizzata in carcere. (Questo dovrebbe fungere da monito a tutti coloro che pensano che lo stato possa riformare la psichiatria).

Perché oggi si torna a parlare di riforma della psichiatria e si mette in dubbio la chiusura dei manicomi? Tramite la presunta “emergenza psichiatria” diverse parti sociali (governo, associazioni di categoria, direttori sanitari) convergono nel chiedere in breve: più posti nelle REMS, sezioni di carcere speciali per imputabili in aggiunta alla rete di ATSM (Articolazioni di Tutela della Salute Mentale), TSO più snelli. Qualcuno si avventura a chiedere, cogliendo l’occasione, più operatori nei servizi territoriali. Ma non sembra essere questo l’aspetto che interessa ad un governo che assume solo polizia. Il punto è avere più posti letto per i folli rei e per i rei folli. Come se un letto potesse curare qualcuno.

L’utilizzo per fini repressivi dell’emergenza psichiatria non è nuovo. Già Salvini nel 2018 dichiarava che era in atto una “esplosione di aggressioni” da parte di “pazienti psichiatrici” e che da quando i manicomi sono stati chiusi c’è stato un «abbandono dei malati lasciati in carico alle famiglie». Questo genere di retorica neomanicomiale o panpenalista è interessata all’utilizzo della psichiatria nel governo della popolazione tramite la marginalizzazione di alcuni suoi componenti. Le carceri sono sempre state un avamposto di questa sperimentazione, come è già stato scritto e detto[4][5] e infatti i primi a parlare di emergenza psichiatrica sono stati i sindacati di polizia, le prefetture e il DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria).

In secondo luogo, più contenzione è meno cura è la ricetta perfetta per ingrassare il privato. La spesa pubblica e privata nell’ambito della salute mentale viene assorbita soprattutto dalla residenzialità. I soldi girano intorno ai ricoveri, nei posti letto in case di cura lontane dalla comunità, e nei farmaci, che all’isolamento fisico aggiungono la sedazione farmacologica. Si ripropone in questo modo lo stesso circolo vizioso che porta all’esplosione dei profitti privati nell’ambito sanitario e assistenziale. Più la follia viene contenuta e più la gente sta male, e più la gente sta male più bisogno c’è di contenzione e custodia, contenzione materiale ad ingrassare i portafogli di investimenti delle multinazionali della sanità privata, della infinità di cooperative del terzo settore in buona e cattiva fede che gestiscono comunità ormai diventate colonie penali, e non ultima dell’industria dei farmaci. Le visite degli informatori delle case farmaceutiche sono quotidiane in gran parte dei reparti psichiatrici. Farmaci long-acting sempre più sganciati dalla relazione terapeutica, con un rischio di cronicizzazione altissimo che spesso finiscono per ricacciare ancora più a fondo le persone nella voragine esistenziale da cui provano a uscire: solitudine e miseria.

Per ultima potremmo ipotizzare una terza ragione meno vincolata ad interessi materiali del diffondersi della preoccupazione per l’emergenza psichiatrica? Questa origina forse dalla contemporanea più generale tendenza ad “alienare” tutto ciò che esula dalla consueta e quieta amministrazione della vita sociale. Una malinconica pulsione a reprimere e mortificare ciò che è vivo, e in quanto vivo intrinsecamente rivolto al nuovo, anche oltre la cultura e le abitudini dominanti. Allora in un mondo in cui la sofferenza psichica diventa sempre più spesso strumento di espressione di una condizione politica, e insieme ricerca di un progetto di vita che scardini l’ordine esistente, ecco che ci si attrezza e reprimerla questa tensione, identificando, emergenza dopo emergenza, l’ennesimo nemico pubblico…Emergenza anarchici, emergenza orsi, emergenza matti. Nel mondo che diventa emergenza nessuno è salvo, le categorie dell’esclusione si avvicinano sempre di più.


[1] https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani/

[2] https://radioblackout.org/2023/01/chimica-e-rivolta-al-casal-del-marmo-di-roma/

[3] https://www.quotidiano.net/cronaca/legge-basaglia-psichiatri-omicidio-barbara-capovani-39ee9864

[4] https://www.osservatoriorepressione.info/carcere-psichiatria-strumenti-controllo/

[5] https://radioblackout.org/podcast/carceri-invisibili-del-20-09-22/

BOLOGNA: PRESENTAZIONE OPUSCOLO “TSO – GUIDA MOLTO PRATICA ALL’AUTODIFESA”

Riceviamo e diffondiamo:

Giovedì 27 aprile in via Agucchi 126 con il collettivo antipsichiatrico Strappi:

Socialità antipsi dalle 19.00
Porta la tua esperienza e lascia a casa la performatività.

Presentazione dell’opuscolo
“TSO – Guida molto pratica all’autodifesa. Cosa può fare chi è dentro, cosa può fare chi è fuori”

Cenetta sociale, o anche non.
Ci si fa da mangiare per autofinanziare la biblioteca di informazione e controinformazione antipsichiatrica, che sarà presto spulciabile.

antipsi.noblogs.org

SALUTE NELLE CARCERI

Ricongiunzioni, trasmissione dedicata alla salute di, da, con e tra tutti e tutte, ogni martedì del mese dalle 18.30 alle 19.30 sulle libere frequenze di Radio Blackout 105.250. https://t.me/ricongiuzioni

Puntata del 7 febbraio

Oggi ci faremo qualche domanda su quelle che sono le condizioni di salute nelle carceri italiane, rileggendo alcuni dati dai report di Antigone. Seguirà un collegamento con il collettivo antipsichiatrico Strappi che ci parlerà delle Articolazioni Tutela Salute Mentale nel carcere della Dozza (Bologna). Infine cercheremo di darvi qualche aggiornamento sui possibili sviluppi del caso di Alfredo, in sciopero della fame da 110 giorni.

https://radioblackout.org/podcast/salute-nelle-carceri-del-07-02-2023/

BOLOGNA: GIORNATA ANTIPSICHIATRICA. MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO

Link: https://antipsi.noblogs.org/post/2023/01/15/morto-un-opg-se-ne-fa-un-altro/

MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO

Siamo una rete di collettivi antipsichiatrici e singole persone da anni impegnate sul territorio a contrastare il ruolo sempre più ingombrante che la psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, e i meccanismi attraverso i quali si espande sempre più capillarmente e trasversalmente al suo interno come strumento di controllo sociale.

Il 28 gennaio alle 10:00 saremo in presidio a Bologna davanti al carcere della Dozza per portare il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə, e per contestare la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione psichiatrica – presente a Bologna unicamente all’interno del femminile. Nonostante infatti gli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) siano ufficialmente chiusi dal 2015, all’interno delle carceri italiane continuano ad essere presenti “repartini psichiatrici” per contenere e sedare quelle recluse e quei reclusi che non si adattano al contesto carcerario, che esprimono disagio, difficoltà emotive o squilibri durante la detenzione.

Perché esistono ancora sezioni psichiatriche in carcere se gli OPG sono stati chiusi?

Nel 2014 chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) il Ministero della Giustizia con una circolare del D.A.P. (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) ha istituito le A.T.S.M. (Articolazioni Tutela Salute Mentale).
Bisogna sapere che la legge 81/2014 riserva agli autori di reato dichiarati “incapaci di intendere e di volere per infermità mentale” – definiti “folli rei” – un iter giudiziario diverso da quello destinato ai comuni, che prevede le Residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), istituite, appunto, dopo la chiusura degli OPG. In questo iter giudiziario la pericolosità sociale di derivazione manicomiale la fa ancora da padrona, ma non tutti però finiscono nelle Rems. Nello specifico le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono sezioni istituite nelle carceri per quelle detenute e quei detenuti con una valutazione psichiatrica sopravvenuta alla detenzione, quindi successiva al giudizio – definiti “rei folli” – e che non possono perciò accedere alle Rems, che prevedono inoltre già di per sé lunghe lista di attesa.  

Cambiano le parole ma non la sostanza, morto un OPG se ne fa un altro

Le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono luoghi di annichilimento della personalità che esasperano la sofferenza della detenzione con l’isolamento prolungato, la contenzione psicologica, fisica e farmacologica. Si tratta di strutture che non solo non hanno nulla di “terapeutico” ma che nascono proprio per la necessità dell’istituzione penitenziaria di contenere e sedare le intemperanze dei ristretti in relazione al contesto detentivo. Voragini su cui non vogliamo siano spenti i riflettori.
Direzione e medici all’interno delle ATSM possono mettere in atto proroghe in modo estremamente violento e discrezionale (30 giorni prorogabili che possono tradursi in mesi di isolamento), questo nonostante sulla carta, a seguito della sentenza 99/2019 della Consulta, sia prevista la possibilità che il giudice possa disporre che, la persona che durante la detenzione manifesti una “grave malattia di tipo psichico”, venga curata fuori dal carcere e quindi concederle, anche quando la pena residua sia superiore a 4 anni, la misura alternativa della detenzione “umanitaria” o in “deroga”, come già previsto per le persone detenute con gravi malattie fisiche.


Il carcere-manicomio

L’ambiente carcerario può essere terribilmente nocivo per coloro che sono sfornitə di strumenti adeguati. Le difficoltà evidenti di una vita “libera” fatta di precarietà, impoverimento di beni materiali, reti sociali e di conseguenza di qualità del vivere, depauperano anche quelle risorse soggettive utili ad affrontare l’impatto con una quotidianità come quella carceraria. Gli addetti ai lavori denominano con “sindrome da prigionizzazione” le profonde difficoltà, l’alienazione e la sofferenza che la detenzione può comportare. La solitudine, la fatiscenza strutturale degli ambienti, gli spazi freddi e ristretti, l’alto numero di reclusə, l’insalubrità del cibo, l’assenza di acqua e docce adeguate, gli psicofarmaci a profusione e, se va bene, la tachipirina per ogni esigenza, l’impossibilità ad accedere a prevenzione, visite specialistiche, nonché a seguire i propri percorsi terapeutici, esasperano la reclusione causando fragilità, menomazioni e patologie che spesso dal carcere si protraggono anche dopo la scarcerazione. Condizioni dove l’eccezione non è tanto la ‘malasanità’ ma trovare medici non conniventi con le guardie. Il non rispetto del principio di territorialità inoltre rende ancora più dura l’esperienza della detenzione.
 Una quotidianità carceraria che oltre ad essere priva di dignità umana è, post pandemia e post rivolte, sempre più soggetta a soprusi di ogni tipo: dalla potenziata discrezionalità di ogni singola Direzione carceraria e Sanitaria, all’abuso di potere delle guardie penitenziarie. Senza considerare che il timore dei contagi e delle conseguenti politiche di gestione da parte delle Direzioni continua a rappresentare una fonte di ansia per chi è reclusə, oltre che uno strumento di vessazione e ricatto. Non adattarsi può tradursi in chiusura in sé stessi nel tentativo estremo di individuare una via di fuga. Come “fughe”, in fondo, sono spesso i numerosi suicidi e i moltissimi gesti autolesivi che ogni giorno si susseguono nelle patrie galere. Nel 2022 sono state 84 le persone detenute che hanno scelto il suicidio e chissà quante l’hanno tentato. E questi sono i numeri ufficiali, spesso in difetto. Numeri che si uniscono ai segni indelebili lasciati dalle torture fisiche e psichiche, nonchè dai processi, seguiti alle rivolte del marzo 2020, rivolte soppresse con la morte di almeno 14 detenuti (quelli di cui si hanno riscontri ufficiali) e con le violentissime mattanze che non possiamo nè vogliamo dimenticare, un grido rimasto inascoltato. Le disposizioni decise dall’amministrazione penitenziaria per “arginare” il pericolo dei contagi si tradussero nel 2020 nel totale isolamento delle persone detenute dal resto del mondo. Una quotidianità rinchiusa nelle celle, sempre però sovraffollate, poiché tutte le attività furono sospese. Niente colloqui con i familiari, impediti gli ingressi a qualsiasi operatore esterno. I criteri che caratterizzano il regime del 41bis furono estesi, di fatto, a tutte le sezioni presenti nelle carceri, così come la stessa norma prevede qualora lo Stato lo ritenga opportuno. In piena emergenza sanitaria, infatti, si decise di sottoporre interi reparti a molte delle rigide regole previste per questo regime piuttosto che adottare soluzioni volte alla riduzione del sovraffollamento e quindi ai rischi di contagio, sull’onda del più bieco e cinico giustizialismo che da anni caratterizza le politiche dei governanti di questo paese. In questi mesi il 41bis, regime di totale isolamento e di deprivazione sensoriale, da sempre presentato dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA) e dai maggiori organi di informazione come lo “strumento più efficace nella lotta alla mafia”, ha rivelato la sua vera essenza: una tortura normata. E ciò è stato possibile grazie alla drammatica scelta del compagno Alfredo Cospito che ha definito la quotidianità all’interno di quelle sezioni “una tomba per vivi” ed ha intrapreso, dal 20 ottobre 2022, uno sciopero della fame ad oltranza contro il 41bis e l’ergastolo ostativo, due “abomini del sistema penitenziario”. 

Per noi non si tratta di costruire altre sezioni o “repartini”, ma di svuotare quelli già esistenti

Quelli che parlano solo di sovraffollamento nelle prigioni sono gli stessi che le hanno riempite con le loro leggi razziste e liberticide: oltre il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, circa il 30% della popolazione carceraria fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia del tanto declamato “recupero sociale”). Questo grazie a leggi come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini. Politiche repressive il cui bersaglio non è certo il grande narcotraffico – un giro miliardario che allo Stato e alle sue mafie fa evidentemente comodo così –  ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di sostentamento, reti sociali o non è spendibile in termini di profitto. Una caccia alle streghe che conferma la funzione primaria del carcere come strumento di governo e gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, volto al mantenimento dell’ordine attuale, fatto di sfruttati e sfruttatori. Una guerra a bassa intensità affinché il processo di accumulazione capitalista proceda senza soluzioni di continuità, che mira a spostare il limite di tolleranza delle sfruttate e degli sfruttati, sempre un po’ più in là. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale viene duramente repressə, come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020.

Bologna: il repartino psichiatrico femminile con la sezione “nido” accanto

A Bologna l’Articolazione Tutela Salute Mentale prevede cinque posti e coinvolge unicamente il femminile. La collocazione isolata degli ambienti e il numero esiguo delle recluse previste conferma gli aspetti di segregazione che caratterizzano la sezione. Ad oggi nonostante diverse pressioni per la chiusura dell’articolazione non solo questa è ancora aperta ma addirittura millantata sui giornali come esempio “pragmatico” da seguire ed estendere.
Nel 2020/2021 lavori di ristrutturazione ne avevano comportato la chiusura provvisoria, quindi il trasferimento delle detenute presenti in quel momento in “articolazioni analoghe fuori regione”. Tra queste vogliamo ricordare Isabella P., 37 anni, accusata di furto, estorsione e minaccia a pubblico ufficiale, morta il 15 febbraio 2021 nel carcere femminile di Pozzuoli a causa delle massicce dosi di psicofarmaci somministratele e dei trattamenti ricevuti. Sarebbe dovuta uscire nel 2026, era alla sua settima carcerazione. Era considerata una detenuta difficile. A 18 anni aveva subito il suo primo Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Gli stessi lavori di ristrutturazione che hanno visto trasferire Isabella hanno portato all’inaugurazione, a luglio 2021, della nuova “sezione nido”, tre celle adiacenti all’articolazione salute mentale per detenute madri con bambini fino a tre anni. Il Garante dei detenuti ha dichiarato di sentirsi “preoccupato” per l’apertura di questa sezione accanto ai locali dell’articolazione psichiatrica, dai quali, giorno e notte, uscirebbero “grida e lamenti”. Purtroppo nonostante la legge 62 del 2011 indichi in questi casi di favorire gli arresti domiciliari e /o la creazione di case famiglia protette, ad oggi rimane assente un concreto interessamento per il superamento anche di questi istituti.

Per questo invitiamo tuttə sabato 28 gennaio a Bologna e a Imola, per una giornata di lotta antipsichiatrica, approfondimento e scambio.

Assemblea antipsichiatrica

SABATO 28 GENNAIO GIORNATA ANTIPSICHIATRICA

Bologna

Alle 10:00 presidio a Bologna davanti al carcere della Dozza per portare il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə, e per contestare la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione psichiatrica presente a Bologna unicamente all’interno del femminile – oltre che la recente sezione “nido”, istituita accanto.

Imola (Spazio autogestito Brigata Prociona)*

Alle 13:30 pranzo a cura del Vascello Vegano a sostegno della biblioteca antipsichiatrica del Collettivo Strappi 

Alle 18:00 presentazione del libro “Divieto di Infanzia. Psichiatria, controllo e profitto”.“Attualmente a scuola sono sempre di più i bambini che hanno diagnosi psichiatriche. L’attuale tendenza dell’insegnamento e della pedagogia è quella di farsi coadiuvare dalla neuropsichiatria ogni qualvolta una bambina o bambino disturba o contrasta i programmi formativi.” Ne parliamo con gli autori Chiara Gazzola e Sebastiano Ortu.

Alle 20:00 cena benefit per la nuova Cassa di solidarietà e mutuo soccorso antipsichiatrica

Alle 21:30 “The Jackson Pollock” live, duo Garage Punk dal sound esplosivo!

* Per raggiungere il Brigata in via Riccione 4 a Imola : dalla stazione uscire sul retro (lato via Serraglio) svoltare alla prima a sinistra (via Cesena) dopodichè la prima a destra è via Riccione.

CHIMICA E RIVOLTA AL CASAL DEL MARMO DI ROMA

Riceviamo e diffondiamo:

Chimica e rivolta al Casal del Marmo di Roma

I sentieri per la Francia sono pieni di scarti di buste di gaviscon. Chi esce in qualche modo da un CPR, dal carcere, o scappa da una delle tante comunità o appartamenti delle cooperative, spesso ha bruciori di stomaco lancinanti provocati dalle dosi massicce di antidepressivi che si porta dietro. Alle volte capita che a qualcuno venga un attacco epilettico mentre attraversa la frontiera. Sono gli effetti collaterali di una brusca interruzione del rivotril, ansiolitico antiepilettico anche detto “eroina dei poveri”1, somministrato in dosi massicce in tutti i luoghi di reclusione, e spacciato fuori vicino alle stazioni. Ieri 11 Gennaio 2023 al carcere minorile Casal del Marmo di Roma è scoppiata una rivolta e sono andati a fuoco alcuni materassi perché non arrivavano gli ansiolitici della sera2. Non ce la facevano più e sono scoppiati, dei ragazzini di 15 anni. Come si dice quando una persona spacca tutto perché non trova una sostanza? Dipendenza, tossicità. Ma tossico è soprattutto lo Stato che sceglie di creare decine di migliaia di ragazzi e ragazze dipendenti, che crea marginalità come aveva fatto con l’eroina di stato negli anni 70. Le carceri statali sono una “fabbrica di tossicodipendenza”3. Gli stessi medici che lavorano in carcere testimoniano la “responsabilità epidemiologica e la problematica restituzione alla società, a fine pena, di centinaia di soggetti in difficoltà nella gestione di forme di dipendenza problematiche”4. Allargando lo sguardo, negli ultimi anni in gran parte degli stati industrializzati, la percentuale delle persone con una diagnosi psichiatrica in cura a carico dei sistemi sanitari è sempre più risicata, mentre sale invece la percentuale di problematiche psichiatriche in persone rinchiuse in carcere. Questo può voler dire più cose: l’inefficacia dei sistemi di cura pubblici e privati da una parte, la rinnovata tensione a custodire e reprimere la follia e la sragione, il cambiamento della popolazione carceraria e delle storie personali che attraversano il carcere, l’utilizzo di diagnosi e contenzione chimica sempre più frequente e massiccio nelle galere.

Il 43% dei detenuti assume sedativi o ipnotici, mentre il 20% risulta assumere regolarmente stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi. Le percentuali schizzano nei cpr5 dove per contenere il rischio suicidario dei tranquillanti minori si prescrivono insieme gli antidepressivi. Poi c’è il metadone e il subutex per chi una dipendenza già ce l’aveva quando è entrato/a. I farmaci a volte possono salvarti la pelle ma sono sempre e solo l’inizio di un percorso, nelle carceri davanti non hai niente verso cui andare, nel tempo e nello spazio. Nessun futuro in un non-luogo di una soggettività negata. La farmacologia diventa in questo contesto culturale e di rapporti di forza camicia di forza chimica e i manicomi si ricreano in carcere, un po’ come una volta le carceri si ricreavano in manicomio con gli ergastoli bianchi e le sbarre. Non è un caso dunque se i movimenti antipsichiatrici si occupano sempre più spesso di carcere6-7, che comunque è un esperienza che accomuna gran parte della popolazione psichiatrica in carico ad altri istituti non penali: SPDC, SERT e carcere hanno le porte scorrevoli tra loro. È importante che lo facciano, che le compagnə parlino di psichiatria in carcere, perché altrimenti la retorica “neomanicomiale” e la cosiddetta “emergenza psichiatrica” vengono utilizzate dai sindacati di polizia e dal DAP per ottenere trasferimenti dei detenuti, più potere nel governo delle carceri e nuove risorse per la repressione della vita privata della libertà.

Da ieri, dopo questo fortuito sabotaggio dovuto a un ritardo nella consegna dei farmaci, è palese ed autoevidente a cosa serve la psichiatria in carcere: a sedare le rivolte, perchè senza pasticche o gocce le gabbie non sarebbero sostenibili per una popolazione carceraria che è cambiata, che “il carcere non lo sa fare”, che fuori non ha nessuno che aspetta, che chiede con disperazione e insistenza talvolta violenta di chiudere gli occhi almeno di notte, che senza non si dorme, di morire almeno per un attimo, il tempo che dura l’effetto dello xanax. Il dolore vivo che celano le carceri nelle loro varie forme va anestetizzato, legato, ucciso. Nessuna cura è possibile in un luogo nato per provocare dolore. Sedare, reprimere, addormentare e fare in modo che i prigionieri e le prigioniere non si suicidino. Quest’ultimo è il mandato che riesce meno e che ha sulla coscienza ha 83 suicidi nel 2022, a cui andrebbero aggiunti tutti quei decessi causati dagli effetti collaterali degli psicofarmaci, come è successo a Isabella, morta a Pozzuoli in seguito alle crisi respiratorie causate dagli psicofarmaci8. In breve la psichiatria serve a gestire, con gravi danni di salute, tutte quelle situazioni che sfuggono al auto-controllo e all’amministrazione della premialità e della pena individualizzata9. Chi non accetta il bastone e la carota non può che essere matto infondo.

p.u.c.k@anche.no


NOTE:

1 https://www.psicoattivo.com/rivotril-nuova-sostanza-dabuso-vecchio-ansiolitico-e-antiepilettico/

2 https://ilmanifesto.it/carceri-minorili-la-rivolta-dei-farmaci

3 http://www.ristretti.it/areestudio/salute/mentale/bartolini/capitolo8.htm

4 https://www.rapportoantigone.it/diciassettesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/la-manica-stretta-ipotesi-di-regolazione-della-somministrazione-di-psicofarmaci-in-carcere/

5 https://radioblackout.org/podcast/nessuna-cura-del-18-01-22/

6 https://radioblackout.org/podcast/carceri-invisibili-del-20-09-22/

7 https://www.osservatoriorepressione.info/carcere-psichiatria-strumenti-controllo/

8 https://internapoli.it/isabella-morta-carcere-pozzuoli/

9 https://tamulibri.com/negozio/il-carcere-invisibile-etnografia-dei-saperi-medici-e-psichiatrici-nell-arcipelago-carcerario

T.S.O. GUIDA MOLTO PRATICA ALL’AUTODIFESA

Diffondiamo quest’utile guida da: antipsi.noblogs.org

Trattamento Sanitario Obbligatorio. Guida molto pratica all’autodifesa. Cosa può fare chi è dentro. Cosa può fare chi è fuori.

“Pur non riconoscendo nessuna validità né alla psichiatria, né alle istituzioni che la praticano, né alle leggi che la regolano, dobbiamo riconoscere che il più delle volte l’unico modo per liberarsi da un ricovero coatto è ricorrere alle procedure di autotutela che la legge prevede. Con questo non vogliamo negare il diritto di ognunx all’affermazione di se stessx, né tantomeno la libertà di ribellarci a chi cerca di recluderci o modificare la nostra volontà. Ma in ogni caso consigliamo, per tutti indistintamente, di adoperarsi per conoscere le leggi che, pur conferendo alla psichiatria il potere di rinchiuderci, possono, per la loro stupidità, aprirci anche spazi di possibile liberazione dalla psichiatria stessa.
Molti T.S.O. presentano grossolani errori sia nella forma che nel contenuto, cioè vengono eseguiti con delle irregolarità a cui ci si può appellare sia per evitare il ricovero che per chiederne eventuale revoca o impedirne il rinnovo.”

PDF: T.S.O. GUIDA MOLTO PRATICA ALL’AUTODIFESA

BOLOGNA: HACKERIAMO LA GABBIA! SOCIALITÀ ANTIPSI

Da Collettivo Antipsichiatrico Strappi

Questo lunedì 21 dalle 17:30 ci uniremo all’iniziativa prevista in Piazza Verdi contro il 41-bis e in solidarietà ad Alfredo Cospito in sciopero della fame.

Dalle 20:00 saremo al nuovo spazio occupato (Via Stalingrado 31) con un piccolo rinfresco e un po’ di musica, a cospirare per un mondo senza psichiatria, senza carcere e senza frontiere!