MODENA: STREET RAVE PARADE

SMASH REPRESSION/MODENA – 28 OTTOBRE 2023

Ad un anno esatto dal rave di Modena nord e dalla legge anti-rave, un anno di sgomberi, repressione e ostilità, per le strade e nei quartieri, nella città che ha visto la strage al carcere Sant’Anna, contro la società del proibizionismo, delle gabbie e dei CPR, in solidarietà ai rave, alle TAZ, agli spazi sociali e a chi lotta… tuttx a Modena il 28 ottobre! 🏴‍☠️

SOSTENIAMO LA SOLIDARIETÀ PER I CONDANNATI/E DEL BRENNERO

Condividiamo da Oltre il ponte l’appello alla solidarietà per le/i condannati del Brennero:

Una cassa di solidarietà per i condannati/e del Brennero

La sentenza d’appello nel processo per la manifestazione al Brennero del 7 maggio 2016 ha distribuito più di 120 anni di carcere. Se le condanne fossero confermate in Cassazione, una trentina tra compagne e compagni potrebbero finire dietro le sbarre, vari altri avranno bisogno di una casa dove svolgere i domiciliari e in tutti i casi non mancheranno le spese da sostenere.

Collettiva è stata la manifestazione “Abbattere le frontiere” e più collettivo possibile vorremmo che fosse il modo di affrontare la repressione, affinché nessuno/a si ritrovi solo/a.

Per questo abbiamo deciso di creare un’apposita Cassa di solidarietà.

Non solo un numero di conto a cui far arrivare contributi economici, ma anche un contatto per avere materiale informativo, concordare eventuali interventi a concerti o altre iniziative di solidarietà, uno spazio in cui confrontarsi.

Mentre continuano le stragi di immigrati in mare, si allargano i recinti della detenzione amministrativa e aumenta il terrore poliziesco verso chi non ha in tasca i documenti giusti; mentre i lavoratori della logistica e delle campagne si organizzano e resistono contro il razzismo di Stato e lo sfruttamento padronale; mentre s’intensificano i piani di riarmo e di guerra, che sradicano milioni di umani dal loro mondo e colpiscono chi non si allinea; mentre il controllo tecnologico separa sempre di più gli inclusi dagli esclusi, le ragioni per cui siamo andati/e al Brennero quel 7 maggio non hanno fatto che moltiplicarsi. Se è soprattutto nella continuazione della lotta contro guerra e frontiere che si esprime la solidarietà ai condannati/e per quella giornata, una cassa di sostegno è un piccolo – ma necessario – pezzo.

I contributi economici possono essere versati sull’IBAN:

IT04H3608105138216260316268

intestato a Kamilla Bezerra (specificando “solidarietà Brennero”).

Per contatti: cassasolidarietabrennero@riseup.net


Qui alcuni link utili sui motivi, le modalità e le conseguenze della manifestazione del Brennero:

https://abbatterelefrontiere.blogspot.com/p/documenti.html

https://abbatterelefrontiere.blogspot.com/2016/05/7-maggio-una-giornata-di-lotta.html

https://ilrovescio.info/2021/05/16/manifestazione-al-brennero-condanne-per-166-anni/

https://ilrovescio.info/2023/02/03/dichiarazione-al-processo-dappello-per-la-manifestazione-del-brennero/

https://ilrovescio.info/2023/03/19/sentenza-dappello-del-processo-brennero

BOLOGNA: PIANTEDOSI DI NUOVO IN CITTÀ 

Dopo le maxi operazioni securitarie e repressive intraprese nei quartieri Bolognina e Pilastro nei mesi scorsi, inaugurate con la stretta di mano a inizio anno tra Lepore e Piantedosi, e l’ormai tristemente celebre “Lo Stato c’è e si deve vedere”, dopo il bagno di ipocrisia con la presenza del ministro al corteo del 2 agosto per la strage di Bologna del 1980, dai media apprendiamo che ieri Piantedosi è tornato nuovamente in città per un “vertice a tema migranti” in prefettura. Presenti anche Bonaccini e alcuni sindaci fra i quali quelli di Modena e Ravenna, oltre che Matteo Lepore. L’incontro ha istituito un tavolo permanente in prefettura a Bologna, valido per tutta la Regione, con la partecipazione del commissario per l’immigrazione Valenti, per quanto riguarda le recenti indicazioni di governo in tema di migrazioni, ascoltabili qui:

[Attenzione, potrebbe urtare la sensibilità]

Piantedosi parla di “ricognizione” per l’individuazione di “luoghi idonei” per la costruzione di nuovi CPR e “la gestione di questo problema” anche “in riferimento ad alcuni episodi di cronaca” legati a persone  “con un percorso di irregolarità e di pericolosità accertata”. La strumentalizzazione di alcuni episodi di cronaca accompagna l’equazione riduzionista securitaria e razzista di governo della “pericolosità sociale” per cui la costruzione di nuovi CPR lager e la detenzione preventiva della popolazione migrante “irregolare” sarebbe utile alla “prevenzione di reati” e alla “sicurezza nazionale”.

Per quanto riguarda le condizioni di detenzione Piantedosi arriva a dire che laddove all’interno dei CPR siano emerse situazioni “non pienamente soddisfacenti” in tema di dignità umana, questo sarebbe riconducibile alle azioni delle persone migranti trattenute, alle ribellioni e ai diversi  danneggiamenti posti in essere, non alla natura stessa dei CPR e alle condizioni inumane cui le persone sono costrette al loro interno.

Il sindaco di Bologna chiede più agenti.

NO ALLA COSTRUZIONE DI NUOVI CPR! FUOCO ALLE FRONTIERE!

 

MUSTAFA FANNANE, UCCISO DAI CPR

Affinché il suo nome viva nelle nostre lotte, ritorniamo sulla storia di Mustafa Fannane, ucciso dai CPR.

Da Napoli Monitor, testo a cura di Luna Casarotti – Yairaiha ets.*

Mustafa Fannane non è morto in carcere, ma dopo tre settimane dall’uscita da un Centro di permanenza per rimpatri, uno di quei luoghi dove i migranti vengono  trattenuti e reclusi senza aver commesso alcun reato, per scontare una detenzione amministrativa in quanto privi di permesso di soggiorno.

Un’amica di Mustafa ci ha raccontato la sua storia.

Lo ha conosciuto nell’estate del 2020 nel quartiere Torpignattara, a Roma. Era seduta su una panchina ad ascoltare musica e un ragazzo sconosciuto le si avvicinò con gentilezza chiedendole di poter sentire una canzone marocchina che gli piaceva tanto, intitolata Mamma non piangere. La canzone parla di un ragazzo che ha avuto sfortuna e non è riuscito a realizzare i propri sogni, a differenza dei suoi amici; in seguito alle proprie vicissitudini è rimasto solo, al freddo, senza nessuno che potesse aiutarlo o proteggerlo.

Mustafa aveva trentotto anni, era in Italia dal 2007, arrivato come tanti in cerca di un futuro migliore, con un visto per motivi lavorativi. Era originario di Fquih Ben Salah, comune marocchino a meno di duecento chilometri da Casablanca e Marrakech, dove ancora abita la sua famiglia, che provava ad aiutare. Per anni ha lavorato, soprattutto come ambulante, alzandosi prestissimo al mattino. Nel 2014 ha perso il lavoro, e dopo poco, come conseguenza, la casa. Ha cominciato un percorso di progressiva marginalizzazione, è rimasto solo e si è visto negare il rinnovo del permesso di soggiorno. Nel 2015 è stato raggiunto da un decreto di espulsione. Nel 2019 ha trascorso tutti i sei mesi previsti dalla legge Salvini all’interno del Cpr di Roma. Durante l’estate 2020, nonostante le condizioni di salute precarie, il disagio psicologico ed economico, è stato nuovamente condotto nel Cpr di Torino, per poi uscire dopo novanta giorni. Secondo la ricostruzione di DinamoPress, in quelle settimane Mustafa diviene vittima di una vera e propria campagna di espulsione dal quartiere romano in cui viveva, caldeggiata da partiti e difensori del decoro vari, come il Movimento 5 stelle, Fratelli d’Italia e il giornale Il Tempo.

Il 31 agosto viene nuovamente arrestato: il quotidiano on-line Roma Today racconta di un marocchino classe ’84 accusato di aver minacciato un passante con un coltello per avere il suo cellulare. Mustafa viene portato ancora una volta in Cpr, a Ponte Galeria. Viene ritenuto idoneo al trattenimento nonostante i numerosi segni di autolesionismo che ne evidenziano le condizioni problematiche e la tendenza a cercare pratiche estreme e suicidarie. Chi è fuori non ha sue notizie per un po’, la stessa amica con cui parliamo scoprirà dopo un mese, grazie a una telefonata di Mustafa, della sua detenzione.

A metà novembre il volto di Mustafa inizia a gonfiarsi e il suo spirito a divenire apatico. Le cartelle cliniche del Cpr evidenziano un peggioramento delle condizioni fisiche e dei parametri vitali (frequenza cardiaca e pressione arteriosa). Alla sua amica dice: «Non sono ingrassato, sono ancora uguale a prima. Eppure quando mi vedrai non mi riconoscerai!». Il 28 novembre viene rilasciato. Il 2 dicembre quattro testimoni dichiareranno che era molto gonfio, probabilmente imbottito di psicofarmaci, in particolare una delle caviglie era gonfissima. A distanza di tre settimane dall’uscita dal Cpr Mustafa viene rinvenuto privo di conoscenza per strada e troverà poco dopo la morte, in ospedale, per arresto cardiocircolatorio. La polizia lo manda in obitorio come “paziente ignoto” cosa che complica anche il riconoscimento della salma, effettuato successivamente dai parenti contattati dall’amica del giovane. Un procedimento viene aperto dal procuratore aggiuntivo e un’autopsia viene disposta.

Tuttavia, molti aspetti di questa vicenda non sono stati ancora chiariti, neppure nella documentazione consegnata ai legali. Persino le dimissioni dalla struttura non sono state registrate, né viene indicata con sufficiente chiarezza la gestione del piano terapeutico a base di Diazepam, uno psicofarmaco il cui uso è praticamente di routine, ormai, all’interno dei Cpr (lo testimonia bene l’inchiesta Rinchiusi e sedati. L’abuso di psicofarmaci nei Cpr italiani, di Luca Rondi e Lorenzo Figoni).

L’avvocatessa nominata dal fratello di Moustafà, e naturalmente tutta la sua famiglia, e le persone che gli volevano bene, chiedono ora che siano accertati i fatti e le responsabilità per il mancato intervento a soccorso di una persona che non era in alcun modo nelle condizioni di poter affrontare quell’assurda detenzione che chiamano Cpr.

Il 7 settembre, il governo Meloni ha allungato, nell’ambito del decreto legge cosiddetto “per il Sud”, fino a diciotto mesi il periodo in cui è possibile trattenere persone all’interno dei Cpr, e ha aumentato i posti disponibili per il loro trattenimento in questo tipo di strutture.

 


* Il Gruppo di supporto psicologico per i familiari dei detenuti che si sono tolti la vita o che sono deceduti per altre cause in carcere nasce nel mese di luglio, dopo un contatto tra alcuni attivisti e attiviste e i familiari di un ragazzo che si sarebbe suicidato inalando il gas del suo fornelletto, nel carcere di Modena.

È possibile seguire le riunioni del gruppo ogni venerdì, dalle 17:45 alle 20:00. Le riunioni avvengono tramite una piattaforma on-line, con il supporto del dottor Vito Totire, psichiatra, attivista e portavoce del circolo “Chico Mendez” di Bologna. Durante gli incontri ognuno può raccontare la propria storia, parlare del proprio dolore e confrontarsi con altre persone che hanno vissuto la tragica esperienza di familiari morti all’interno delle carceri. Il link per accedere alla riunione settimanale viene pubblicato qualche giorno prima dell’incontro sul gruppo Telegram “Morti in carcere” e su quello Whatsapp “Sportello di supporto psicologico per i familiari dei morti in carcere” .

È possibile ricevere informazioni, ma anche raccontare in forma scritta la storia propria e del proprio familiare, anche scrivendo all’indirizzo e-mail dell’associazione Yairahia Ets (yairaiha@gmail.com).

TRIESTE: CHE SI RIVOLTINO TUTTE LE FRONTIERE!

Riceviamo e diffondiamo da La Burjana, canale Telegram Sulla Breccia:

È morta un’altra vita, Moussa, un giovane guineano, mentre la speranza gli muoveva le gambe tra gli ultimi ostacoli del tritacarne, sulla frontiera del Monginevro, lunedì.

Sta morendo un’altra vita, un giovane pakistano caduto in un cantiere, trasportato come macerie da nascondere mentre lavorava sfruttato a Trieste, martedì.

All’atrofia della conta asettica delle morti, alla catatonia dell’impotenza e della paura, rispondiamo con la passione, le lacrime e la rabbia: rifacciamo scorrere l’esigenza di giustizia nelle vene, il coraggio per cui anche sotto regime si può rispondere, la generosità che il privilegio ci concede di usare.

Rispondiamo unite e determinate sull’origine di tutto ciò: la frontiera. Rispondiamo per noi stesse, per la nostra umanità. Rispondiamo perché è intollerabile che esista questo tritacarne fatto per fornire vita esauste e sfruttabili al capitalismo occidentale.

Che tutte sentano il momento, perché il numero determina la portata: per la prima volta ci troviamo a disturbare la frontiera orientale.

Visibilizziamo quel simbolo di morte, aperto solo a merci e documenti accettabili, chiuso alla speranza di un’esistenza migliore. Per la vita, per l’umanità, perché unite si deve e si può reagire.

Venerdì 11/08 ore 19:00 // piazza Libertà, assemblea pubblica

Domenica 13/08 ore 18:00 // parcheggio della frontiera di Fernetti, presidio

LA FRONTIERA HA UCCISO ANCORA!

Diffondiamo da Passamontagna:

È morta un’altra persona sul confine italo-francese del Monginevro. Un altro morto, un altro corpo senza vita è stato trovato sulla strada militare, che da Claviere (Valsusa, IT) arriva a Briancon (FR).

Lunedi 7 agosto l’ennesimo cadavere è stato trovato tra queste montagne, ucciso da una frontiera razzista dove strade carrabili sono attraversate quotidianamente da auto, bus e treni trasportano turisti, merci e militari mentre le persone migranti sono obbligate a passare a piedi tra i sentieri della montagna, scappando dai controlli della polizia francese che cerca di bloccare il loro viaggio anche tra i boschi a 1800 mt d’altezza.

Pare che sia stato trovato da un ciclista, da uno dei tanti turisti che si riversano tra queste montagne per le vacanze estive. Si divertono sulle stesse strade che di notte e giorno sono attraversate da persone costrette a nascondersi perché non in possesso del giusto documento. Dal 2018, almeno 10 persone hanno perso la vita provando ad attraversare il confine alto-valusino. Mentre i turisti si divertono a giocare su un prato impeccabile a firma della Lavazza e del comune di Monginevro, decine di persone in movimento muoiono o rischiano la vita a poca distanza sui sentieri che attraversano il confine.

Non abbiamo molte informazioni su quello che è accaduto, ma sappiamo con certezza che chi ha ucciso ancora è stato il braccio armato dello stato: la polizia, la gendarmeria, la polizia di frontiera (PAF). Braccio armato che munito di jeep, droni e visori notturni cerca di proteggere gli interessi nazionali di uno stato neocoloniale e razzista, allargando e restringendo la maglia di questa frontiera interna all’Europa che continua a separare, reprimere e uccidere. Come il deserto del Niger, come le carceri in Libia e Tunisia, come il mar Mediterraneo, il canale della Manica, come tutte le frontiere esterne all’Europa dalla Turchia alla Polonia al Marocco, come i centri di detenzione amministrativa sparsi in numerose città, anche le montagne valsusine sono da anni una frontiera dove le persone continuano a morire.

E a uccidere ancora una volta non è la montagna, la neve, il freddo o la fatica. A uccidere è lo stato, la fortezza europa, è il sistema frontiera che si incarna in uomini e donne in divisa che battono i sentieri facendo una caccia all’uomo, a uccidere sono tutte quelle persone indifferenti che si girano dall’altra parte per non mettere in discussione i propri privilegi da bianchi borghesi, mentre affianco a loro chi è nato dalla parte di mondo “sbagliato”, soffre e muore nell’omertoso silenzio generale.

Questo week end c’è stato un campeggio chiamato contro le frontiere, con l’idea di attraversare collettivamente quel confine assassino, con l’idea che l’unione fa la forza e che per una volta le persone non avrebbero dovuto essere esposte alla violenza poliziesca; la polizia ha impedito il passaggio, schierandosi con tutti i loro armamenti tra i boschi e sentieri della montagna, muniti di lacrimogeni, scudi, bombe al tritolo, flashball. Non siamo riuscitx a passare. Due giorni dopo quella camminata finita male, viene ritrovato un cadavere.

Se non esistessero le frontiere, non ci sarebbero persone che continuano a morire per attraversarle.
Seguiranno aggiornamenti, seguiranno appuntamenti. Non rimaniamo indifferenti, facciamo qualcosa per impedire altri omicidi su queste montagne!

Polizia assassina! All Cops Are Borders. Smash the borders!

CONTRO OGNI FRONTIERA, GLI STATI CHE LE CREANO, E LE DIVISE CHE LE PROTEGGONO

MOUSTAFÀ FANNANE, ENNESIMA VITTIMA DEL SISTEMA CPR

 

Riceviamo e diffondiamo la vicenda di Moustafà Fannane, ennesima vittima del sistema CPR. Per noi non ci sono né ombre né dubbi, sappiamo chi è stato.

Moustafà Fannane: ennesima vittima del sistema CPR

Ovvero una morte sospetta per abuso di psicofarmaci dopo la detenzione in un Centro Per il Rimpatrio

Il 19 Dicembre 2022 a Roma è venuto a mancare Moustafà Fannane, classe 84, originario della città marocchina di Fqih Ben Salah. Ennesima morte sospetta per abuso di psicofarmaci.

Moustafà era giunto in Italia nel 2007, come molti suoi conterranei alla ricerca di un futuro migliore, e per un periodo di tempo aveva svolto una vita regolare fatta di lavoro al fine di aiutare la famiglia in Marocco in grave difficoltà economica. Descritto dai suoi conoscenti come persona gentile e educata, nel 2014 comincia ad avere delle difficoltà, perde il lavoro e l’alloggio. Come se non bastasse in questa situazione drammatica e precaria nel 2015 viene raggiunto da un decreto di espulsione, circostanza che non sarebbe mai stato in grado di affrontare dal punto di vista legale viste le condizioni in cui versava.

Nel 2019 viene trattenuto per sei mesi presso i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Roma e Torino. Nell’estate 2020 nonostante la sua condizione di disagio psicologico e socio-economico verrà nuovamente condotto nel CPR. Molti residenti, nel quartiere Torpignattara a Roma dove viveva, hanno giudicato tale misura del tutto ingiusta e inappropriata nei confronti di una persona che aveva bisogno di cure e sostegno. Nell’agosto 2022 viene nuovamente arrestato e condotto nuovamente nel CPR. Verrà ritenuto idoneo a rimanere recluso. Durante questo ultimo trattenimento, in contatto con una sua conoscenza lamenterà di essere affetto da un gonfiore a carico del volto di cui non sa spiegare il motivo, circostanza notata poi da molte altre persone una volta uscito le quali sono rimaste molto sorprese dalle sue condizioni definite come qualcosa di simile a un abuso di psicofarmaci, apatia, pallore. Nella documentazione rilasciata dal centro ai legali dei familiari non risultano fogli di dimissioni, pertanto dopo 3 mesi di terapia basata sulle 25 – 50 gocce giornaliere di Diazepam, Moustafà viene rilasciato senza nessuna indicazione terapeutica o prescrizione di visita specialistica. Verrà rinvenuto in strada privo di sensi e troverà la morte nell’ospedale Vannini a sole tre settimane dal rilascio dal CPR.

Sappiamo bene che sono gli psicofarmaci lo strumento principale di gestione delle persone recluse nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio dei migranti. Antiepilettici, antipsicotici, antidepressivi e metadone: “servono per stordire donne e uomini in modo che mangino di meno, restino più tranquilli e resistano di più al sovraffollamento, nelle gabbie in cui vengono stipati. All’ente gestore gli psicofarmaci costano meno del cibo e permettono di riempire maggiormente i CPR e allungare il tempo di permanenza di ciascun migrante nella struttura, in modo da aumentare i guadagni”. Presso i CPR “non sono previste attività, le giornate sono tutte uguali; un operatore ci ha raccontato che gli psicofarmaci sono usati per stordire le persone così “mangiano di meno, fanno meno casino, rivendicano di meno i loro diritti”. La spesa per gli psicofarmaci è altissima mentre la tutela della salute all’interno dei CPR non è affidata a figure specialistiche che lavorano per il Ssn bensì da assunti da enti gestori che mirano a risparmiare”. Sui numeri: rispetto all’esterno, su una popolazione di riferimento simile, la spesa in antidepressivi, antipsicotici e antiepilettici nella struttura di via Corelli a Milano è di 160 volte più alta, al CPR di via Brunelleschi a Torino 110, a Roma 127,5, a Caltanissetta 30 e a Macomer 25. Addirittura a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo ‘normale’ ne prevede al massimo 15. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. Anche a Milano il Rivotril rappresenta la metà del totale della spesa in psicofarmaci con 196 scatole acquistate in soli cinque mesi.1

Questa triste vicenda dai molti punti ancora oscuri ci invita a interrogarci come sia stato possibile che una persona in difficoltà come Moustafà sia potuto essere stato soggetto a numerosi arresti e trattenimenti presso dei CPR; se le Istituzioni abbiano mai realmente provato a fare qualcosa per questa persona. Ci domandiamo anche se il rispetto e la tutela della salute dei reclusi dentro i CPR siano garantiti a partire dalle visite mediche.

Per il momento per la morte di Moustafà è stato aperto un procedimento presso la Procura di Roma. Ci auguriamo che venga fatta chiarezza sulle reali cause del decesso di Moustafà che cercava solo una vita migliore.

Da: https://artaudpisa.noblogs.org/post/2023/07/30/moustafa-fannane-ennesima-vittima-del-sistema-cpr/

https://www.osservatoriorepressione.info/ombre-dubbi-sulla-morte-moustafa-fannane/


1https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani/