SPAZIO URBANO E PSICHIATRIZZAZIONE DELLA DISSIDENZA

Diffondiamo un contributo del Collettivo antipsichiatrico Strappi, all’iniziativa MOVIMENTI TRANSFEMMINISTI E SOVVERSIONE DELLO SPAZIO URBANO

[Polizia e psichiatria: conosciamo le loro cure e i loro trattamenti]

Il proliferare di pratiche psichiatriche va di pari passo ai processi che vedono le città configurarsi sempre più come industrie di sfruttamento e controllo. Metropoli mediate da aziende private, interconnesse e digitalmente sorvegliate, disciplinate sempre più in senso autoritario e iper-razionale, centri di profitto burocratizzati, scientificamente normati e igienizzati, tra telecamere “intelligenti”, “innovazione” urbana, sofisticate architetture e panchine antidegrado. Speculazione edilizia e militarizzazione dei territori aprono la strada ad affitti impossibili, sfratti e sgomberi, oltre che a progetti di ipocrisia sociale all’insegna del greenwashing, del socialwashing, della menzogna tecnologica [la smart city] e della falsa coscienza. A colpi di riqualificazione, decoro e repressione, si esaspera l’inesorabile processo di espulsione – legittimato da culture securitarie – di tutte quelle soggettività considerate problematiche al discorso del potere e non utili al profitto. Lungo le strade in ogni città rastrellamenti quotidiani si abbattono sulle fasce più marginalizzate della società. Una “sicurezza” sempre più “preventiva” , volta ad asfaltare tutti gli spazi di fiducia, libertà, relazione, intersezione, prossimità e solidarietà dal basso.

In nome delle bandiere del decoro e del degrado, controllo e repressione identificano costantemente nuovi “mostri” su cui scaricare insicurezza e timori per fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso: l’obbiettivo é spezzare qualsiasi possibilità di  solidarietà e impedire qualsivoglia forma di messa in discussione del presente. La retorica del “decoro” e del “degrado”, la gestione violenta e iper-razionale dello spazio urbano, la pulizia di quanto imprevisto e non-normato, non sono altro che l’esito di un potere che si appella in modo sempre maggiore a paradigmi psichiatrici e a dicotomie di stampo binario e patriarcale. Questi paradigmi si consolidano nell’articolazione del potere di pari passo all’irreggimentazione delle strutture che lo regolano, e che regolano le relazioni all’interno dei  territori e tra le persone.

Assistiamo all’uso sempre più frequente e capillare del daspo urbano per allontanare persone “sgradite”, e della manipolabilissima categoria di “pericolosità sociale” di derivazione psichiatrica e fascista per reprimere il conflitto e contenere/sedare diseguaglianze e oppressioni. Vediamo continuamente puntare il dito contro la “malamovida”, neologismo che si vuole contrapposto a “buona movida”, cioè a quella socialità che rientra perfettamente negli spazi e nei tempi del consumo. Anche l’infanzia è nel mirino: attraverso la costruzione mediatica del “bullo” e della “baby gang”, giovani e adolescenti sono continuamente trattati e rappresentati come un problema di ordine pubblico da reprimere mentre rimangono intatti quei modelli che il sistema stesso riproduce ed esalta, pesci grandi che mangiano pesci piccoli all’interno di realtà dove solo chi ha soldi e potere è preso in considerazione, e chi non accetta di essere un cavallino da corsa non è nessuno. Nel frattempo imprese e attività commerciali sono incentivate a tappezzare i marciapiedi di telecamere con la promessa di detrazioni fiscali, gli individui sono incoraggiati a sorvegliare le strade a loro volta, forti di una crescente accessibilità dell’intervento delle forze dell’ordine, cementificandone il ruolo di controllo e repressione anche all’interno dei singoli, costantemente spinti alla delazione piuttosto che alla relazione.

Lo spazio pubblico irrimediabilmente costruito a immagine dell’uomo bianco, eterosessuale e borghese richiede prestazioni sempre più abiliste e performative che seguono norme ideali di neurotipicità o aspettative sociali calate dall’alto piuttosto che concrete e reali esigenze provenienti dalle soggettività oppresse che vivono desideri e bisogni altri.

L’organizzazione algoritmica dello sfruttamento, la mercificazione esasperata di ogni aspetto della vita, sta depoliticizzando l’incontro con noi stessi, con l’altro e con l’ambiente e incoraggiando una sempre più ampia disumanizzazione delle relazioni sociali. La psichiatria è pronta a raccogliere i cortocircuiti di queste oppressioni e a colonizzare con nuovo slancio il quotidiano e l’individuo: la platea di “difetti” e “tare” da “curare” è destinata ad aumentare proporzionalmente allo sfruttamento e all’oggettivazione che attraversano sempre più infanzia ed età adulta. Lo sfruttamento, l’isolamento e il disciplinamento esasperato di ogni aspetto della vita, l’insicurezza legata al presente e al futuro, la vede infatti in prima fila nell’individuazione di nuovi “disturbi” e “terapie” per “contenere” con nuove diagnosi e nomenclature le “ansie”, legate a rabbia, paura e frustrazione in crescente aumento, da addomesticare e spiegare con specializzazioni create ad hoc.

Ma la solitudine a fronte di un contesto comunitario deprivato si riferisce anche ad una vita sociale impossibile nei “loculi” domestici cittadini.

La famiglia nucleare patriarcale come modello dominante continua a svolgere il suo ruolo di piccola istituzione totale, laboratorio quotidiano di abusi, isolamento e oppressioni sistemiche: lo spazio domestico e familiare spesso infatti esaspera dinamiche oppressive con la tendenza mattofobica a isolare una vittima, che diventa tante volte capro espiatorio di situazioni nocive, da punire proprio quando manifesta in maniera eterodossa atti di libertà ed espressione di sè che non vengono capiti o accettati. Non dimentichiamo che, così come le violenze, anche il ricorso alla psichiatria, quando avvengono i TSO,  proviene sovente da persone conviventi e spesso parenti della persona interessata, vuoi per mancanza di conoscenza, vuoi per mancata elaborazione di alternative, che il più delle volte nei nuclei famigliari sono assenti o non ricercate per l’accumularsi e incancrenirsi di processi tendenti  a circoli viziosi che si richiudono al loro interno.

Tutto questo, come soggettività con un posizionamento antiautoritario e antipsichiatrico non solo ci riguarda, ma ci chiama in causa. Le strade che vorremmo percorrere sono in direzione altra rispetto alla famiglia intesa come nucleo ciseteronormativo, nella direzione di legami e parentele inedite dove l’aspetto di interdipendenza e cura reciproca si alimentano in un circolo virtuoso.

E’ evidente quanto la fatica ad organizzare una resistenza derivi in primo luogo dall’inesorabile sottrazione di reali spazi di autodeterminazione, soggettivazione e messa in comune delle esperienze, in favore della competizione fra individualità deprivate, impegnate a sopravvivere e concorrere come monadi per rimanere a galla.

CONOSCIAMO LA FALSA SICUREZZA CHE VENDONO PSICHIATRIA E POLIZIA, CONOSCIAMO LE LORO CURE E I LORO TRATTAMENTI!

A fronte di un’oppressione che vede coinvolte sempre più soggettività, crediamo sia urgente e necessario individuare spazi dove liberare complicità, legami nuovi e solidarietà impreviste!

Collettivo antipsichiatrico STRAPPI

Link: https://antipsi.noblogs.org/post/2022/11/10/spazio-urbano-e-psichiatrizzazione-della-dissidenza/

PDF PSICHIATRIZZAZIONE DISSIDENZA

 

OCCUPARE E RESISTERE

Mentre quartieri storicamente popolari sono oggetto di violente speculazioni per costruire città a misura di ricco fondate sul furto e sulle bugie, sulla pelle dei poveri e di chi i quartieri li vive dal basso…

Mentre speculatori e palazzinari con le retoriche dell’innovazione tecnologica, del social washing e del green washing, attraggono grandi capitali per trasformare le città in bomboniere per turisti espellendo i poveri e chi non arriva alla fine del mese…

Mentre sgomberano e recuperano le controculture facendone un marketing e costruiscono ogni giorno nuovi mostri di cemento, incoraggiando l’aumento degli affitti e lasciando intere fette di popolazione per strada, tra sfratti e militarizzazione…

Mentre installano telecamere per la videosorveglianza e insieme a giornali e stampa esasperano la percezione di insicurezza e degrado per perseguitare e cacciare quotidianamente migranti e senza tetto dai quartieri e chiunque non rientri nel loro business plan, con interventi di polizia e repressione…

Occupare, squattare e resistere, guide pratiche all’occupazione, manuali per hackerare l’abitare e riappropriarsi del presente.

A fronte di una crisi destinata a peggiorare, a dispetto di chi ci vorrebbe estintə, per vita radicalmente diversa.

Lo squat dalla A alla Z (2007)
Manuale di autodifesa dagli sfratti (2022)
Survival Without Rent – How to squat (2020 ed)

IL CAPITALISMO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE: VOCI DAL PRESIDIO DEL 13 OTTOBRE A ROMA

Di seguito la puntata di Mezz’ora d’aria, trasmissione anticarceraria sulle frequenze di Radio Città Fujiko, andata in onda sabato 22 ottobre.

Voci dal presidio del 13 ottobre chiamato dall’Assemblea Antipsichiatrica a Roma per contestare il convegno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sulla salute mentale.

 

PUNKAGGINE: UNA FANZINE DALL’UNIONE DI PUNK E PIANTAGGINE

Dalla passione per le erbe spontanee nasce l’Anarcho Herbane Kollektiv, una collettiva erborista anticapitalista, transfemminista e antispecista.

Un progetto di https://anarchoherbanekollektiv.noblogs.org/

“Le erbacce spontanee hanno un’attitudine punk: sono erbe vagabonde ed erranti: crescono dove gli pare, nei luoghi più inaspettati, non si curano di avere un aspetto ordinato, sono disprezzate, estirpate con fastidio, infestano ciò che gli pare e sono molto resistenti. Per questo a noi invece piacciono tanto le erbacce.
Dalla passione per le erbe spontanee nasce l’Anarcho Herbane Kollektiv, una collettiva erborista anticapitalista, transfemminista e antispecista.
L’anarco erboristeria incoraggia una relazione di comprensione e rispetto reciproco con l’ambiente naturale, vedendo noi stess* come parte di quest’ambiente piuttosto che tentare di controllarlo o dominarlo.
E’ la nostra lotta anti-specista e anti-capitalista, dalla conoscenza delle piante comincia l’emancipazione personale, alimentare, farmaceutica e della cosmesi. Sviluppare l’autoconoscenza e la saggezza erboristica comunitaria ci renderà molto più liber*.
Per noi, Anarcho Herbane, non ci sono gerarchie o sistemi piramidali che detengono il potere della conoscenza. L’erboristeria deve essere condivisa e accessibile a tutt*. Attraverso la condivisione delle nostre competenze mettiamo in comune le nostre informazioni e risorse per imparare, esplorare e migliorare la nostra salute insieme.
Proprio da qui nasce la fanzine Punkaggine, dall’unione di punk e piantaggine, una delle erbe spontanee officinali più punk e più diffuse.”

Il primo numero qui! Il resto puoi trovarlo su: https://anarchoherbanekollektiv.noblogs.org/

SCALMANATX: RIVISTA DI CRITICA RADICALE ALLE SCUOLE E ALLE PEDAGOGIE

È uscito il numero 1 di Scalmanat*: rivista di critica radicale alle scuole e alle pedagogie

Riceviamo e diffondiamo:

«Siamo fermamente convinti che la questione degli studenti non possa rimanere confinata dentro le mura scolastiche, ma debba affacciarsi all’esterno, alla ricerca di complici e rivoltosi di ogni tipo. Come farlo spetta a noi oppressi deciderlo: incontrandoci fisicamente, cospirando uno al fianco dell’altra contro i nostri nemici comuni (Stato e padroni), facendo nascere complicità, amicizie, relazioni basate sulla reciproca cura, sulla solidarietà e sullo stare insieme nella realtà vera; rifiutandoci di barattare le relazioni sociali con quelle virtuali fatte apposta per dividerci e controllarci meglio, per renderci mansuete, isolati, ognuno nel suo involucro fatto di illusioni e false promesse di benessere e felicità. Alla nostra porta bussano le guerre, la scarsità di risorse sempre più care, un pianeta devastato dal capitalismo, un futuro precario in cui saremo impossibilitati a fare qualsiasi tipo di scelta che per noi sia veramente importante e determinante. Passa il tempo, i mesi e gli eventi catastrofici corrono.  A noi la scelta: rimanere in difesa e subire passivamente le ingiustizie dei potenti, oppure unirci e attaccare chi ci vuole in catene nelle scuole, dentro e fuori i posti di lavoro e di studio».

Indice

Editoriale
Chi ha bisogno della scuola per imparare?
Un giorno come un altro: riflessioni sulla miseria del vissuto
scolastico quotidiano
Parole pericolose
Memorie di un’operaia dell’educazione
Tabula rasa, o della scuola digitale

Prezzo copia singola: 4 euro
Dalle 5 copie: 3 euro

[Purtroppo abbiamo dovuto aumentare il costo della pubblicazione a causa del numero delle pagine (il doppio rispetto al numero scorso) e al formato della rivista che – di conseguenza- abbiamo dovuto modificare]

Per info e ordini: scalmanatx@riseup.net

 

ROMA: IL CAPITALISMO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE

“Una buona salute mentale consente alle persone di lavorare in modo produttivo e di realizzare appieno il proprio potenziale. Al contrario, una cattiva salute mentale interferisce con la capacità di lavorare, studiare e apprendere nuove competenze. Essa ostacola i risultati scolastici dei bambini e può avere un impatto sulle prospettive occupazionali future. I ricercatori stimano che solo a causa della depressione e dell’ansia si perdono ogni anno 12 miliardi di giorni lavorativi produttivi, per un costo di quasi 1.000 miliardi di dollari. Questo dato comprende i giorni persi per assenteismo, presenzialismo (quando si va al lavoro ma non si lavora) e turnover del personale.”

(World mental Health report. Tranforming mental health for all; Cap. 4.3.2 Economic Benefits; OMS 2022).

Il 13 e 14 ottobre 2022 si terrà a Roma l’incontro internazionale promosso dall’OMS (Organizzazone Mondiale della Sanità) in cui si presenterà il World Mental Health Report. È in questa occasione che nasce la chiamata a scendere in piazza a Roma Giovedì 13 Ottobre.

OCCUPARSI DELLE CAUSE NON GENERA PROFITTO

La gestione sanitaria dell’emergenza pandemica ha evidenziato una totale assenza di interventi diretti ad approfondire le cause che l’hanno determinata, occupandosi esclusivamente dei sintomi. Focalizzare l’attenzione sulla ricerca delle cause avrebbe significato inevitabilmente attuare una radicale trasformazione delle politiche sociali, economiche, ambientali, sanitarie, relazionali. Troppo costoso e quindi, poco produttivo. La psichiatria funziona con le stesse modalità: al presentarsi di una crisi non vengono prese in considerazione le cause che l’hanno determinata, la persona viene espropriata della possibilità di esprimere i propri significati e di autodeterminarsi attraverso un potere del tutto arbitrario il cui interesse non é affatto quello dichiarato della cura, ma piuttosto la progressiva medicalizzazione e cronicizzazione della crisi. Lo Stato in questi due anni si è comportato allo stesso modo: in nome di una presunta irresponsabilità collettiva ha imposto le sue direttive dall’alto imponendosi come ‘organo iper-razionale’, una mente che decide e sovradetermina il ‘corpo sociale’, che in quanto ‘corpo’ è ad esso subordinato secondo un dualismo riduzionista para-psichiatrico appunto. Lo Stato e i suoi tecnici hanno valutato lo ‘stato di necessità’ secondo le leggi dell’economia, e gestito l’emergenza/crisi con la contenzione – l’esproprio della salute – esattamente come avviene in psichiatria. Allo stesso modo si è imposto un trattamento farmacologico col ricatto, impedendo alle persone di esprimere il proprio consenso, assicurando l’immediato introito per Big Pharma e lasciando solo chi ha subito le conseguenze sulla propria salute degli effetti collaterali del vaccino.

PER LA LIBERTÀ DI SCELTA CONTRO L’OBBLIGO DI CURA

L’attuale prassi nelle istituzioni psichiatriche prevede l’assunzione obbligatoria di psicofarmaci che a lungo termine risultano il più delle volte essere dannosi e invalidanti. La progressiva cronicizzazione della sofferenza è funzionale da un lato alla presa in carico a vita dall’altro al profitto delle multinazionali del farmaco. La parola della persona non viene presa in considerazione o addirittura giudicata come sintomo della malattia, mentre vivere in una società fondata sulla prestazione e l’individualismo, la solitudine e l’assenza di una dimensione comunitaria sembra cosa del tutto normale. Si interviene sui sintomi categorizzandoli come espressione di “malattia mentale” ricorrendo ai TSO, alla contenzione fisica, meccanica e farmacologica. Nei CIM i colloqui sono troppo brevi e non c’è nessuna possibilità di essere ascoltatз o di esprimere dubbi e difficoltà. Crediamo che rivendicare il diritto ad avere parola e ad autodeterminarsi significhi anche riappropriarsi delle proprie esperienze, delle difficoltà, della sofferenza e della molteplicità di modi per affrontarla. Siamo convintз che ci siano persone, tra coloro che operano all’interno delle strutture sanitarie, che si rifiutano di essere complici di questo sistema di oppressione e che preferiscono slegare piuttosto che contenere, ascoltare piuttosto che mettere a tacere con i farmaci, essere solidali con chi si sottrae alle logiche di competizione. Sono loro che vorremmo al nostro fianco.

TECNOLOGIE E DIGITALIZZAZIONE: LA RELAZIONE NEGATA

Si parla di “salute mentale digitale”, un processo che strumentalizza le retoriche dell’innovazione, dell’accessibilità e dell’inclusione, introducendo invece forme sempre più specializzate di controllo, disciplinamento ed esclusione. Una “salute” sempre più delegata al dispositivo tecnico, costruita intorno alle esigenze del mercato dell’industria tecnologica e all’inesorabile sottrazione di reali spazi di soggettivazione, autodeterminazione e solidarietà dal basso.

CONTRO IL PROIBIZIONISMO PER LA RIDUZIONE DEL DANNO

C’è un’evidente contraddizione nei proclami dell’OMS, da un lato si promuove il consumo di sostanze “psicotrope” legali con effetti disastrosi, dall’altro si criminalizza l’autoconsumo di sostanze psicoattive. Al mondo un detenuto su cinque è in carcere per violazioni delle leggi sulle droghe. In Italia circa un terzo della popolazione detenuta è in carcere per questo motivo. Il proibizionismo non solo ha fallito, ma è esclusivamente funzionale al controllo sociale e a finanziare narco-mafie e narco-stati utili al riciclo e alla riproduzione del Capitale. E’ fondamentale dare voce allз consumatorз, attivando politiche dal basso improntate alla riduzione del danno e al consumo consapevole.

PER L’ABOLIZIONE DELLA CONTENZIONE E DELL’ELETTROSHOCK

Nonostante le belle parole dell’OMS nei reparti psichiatrici si continua a morire legati nei letti di contenzione. Continuano ad essere praticati dispositivi manicomiali e coercitivi come l’uso dell’elettroshock, l’obbligo di cura, la contenzione farmacologica, le porte chiuse, le grate alle finestre, le limitazioni e il controllo della libertà personale. Non c’è salute nei CPR, nelle carceri, negli SPDC, luoghi di tortura e annientamento delle persone. Non c’è salute dove c’è violenza e discriminazione di genere, senza diritto effettivo all’aborto e supporto alla genitorialità. Non c’è salute nelle politiche economiche che finanziano armamenti e guerre, sottraendo risorse alla collettività e ai bisogni delle persone. La salute che vogliamo si basa su percorsi di solidarietà, autogestione e mutualismo dal basso. E’ il frutto dell’interdipendenza tra corpi, condizioni sociali e ambientali. Non si può garantire salute per tuttз, senza lavoro, scuola e università, spazi comuni e di socialità liberati dalle logiche del profitto neoliberista. Crediamo che non ci sia bisogno di uno Stato né di un’organizzazione Mondiale che si proponga di riorganizzare e che sovradetermini la nostra salute e le nostre vite. Siamo convintз che ritrovarsi, ricostruire delle relazioni e delle comunità, riprendersi strade e spazi, possa essere un primo passo per aprire un orizzonte nel quale dar vita a luoghi liberi dalle dinamiche individualistiche, di sfruttamento e mercificazione.

PRESIDIO COMUNICATIVO GIOVEDÌ 13 OTTOBRE ALLE ORE 11.00
PIAZZA DEL RISORGIMENTO – ROMA

INVITIAMO TUTT3 A PARTECIPARE!

Assemblea Antipsichiatrica
(STRAPPI – Riflessioni antipsichiatriche)

 

A SCUOLA DI SFRUTTAMENTO DIGITALE

Riceviamo e diffondiamo questa testimonianza.

Memorie di un’operaia dell’educazione

Quando chiusi definitivamente come educatrice all’interno degli istituti residenziali – un’altra storia dell’orrore che richiederebbe pagine – rivolsi la mia attenzione al mondo della scuola.

Già da qualche anno portavo avanti una personale ricerca sui media digitali, per comprendere come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sempre più invasive e capillari, stessero condizionando i processi di sviluppo, crescita, relazione e interazione, per considerarne quindi usi e opportunità ma anche e soprattutto effetti sulla salute e criticità.

Mi trovai a partecipare ad un progetto all’interno di una scuola in cui ebbi modo di constatare quanto iniziando a parlare di web, media e social network con le studenti e gli studenti, si arrivasse infine a parlare di vissuti, tutti quei vissuti che evidentemente non trovano spazio oltre le grandi platee digitali.

Il legittimo bisogno di condivisione e di espressione di sé venne messo in relazione ai pericoli legati alle piattaforme commerciali online iper-gamificate (1). Si ebbe modo di inquadrare criticamente la rete, l’uso dei media e tante altre cose (2, 2.1). Fu un’esperienza breve ma intensa, da replicare e moltiplicare, che raccolse molto interesse da parte di studenti e insegnanti. Mi convinsi che era qualcosa su cui poteva avere senso investire energie.

Come educatrice, venendo da altri percorsi, avevo bisogno di avere ‘crediti’ affinché le mie ‘competenze digitali’ fossero anche ‘dimostrabili’ sul mercato del lavoro, per cui cercai possibili percorsi ‘professionalizzanti’.

Mi trovai ad avere l’imbarazzo della scelta, il mercato delle formazioni online infatti si è allargato in modo esponenziale. Scelsi un corso ‘professionalizzante’ da consumare comodamente e inutilmente da casa mia, curato da un’ente accreditato che da anni si occupa di pedagogia, per diventare: “un’educatrice esperta in didattica col digitale” al prezzo di qualche centinaia di euro. Questo genere di mercato delle formazioni da’ accesso a crediti per i concorsi a scuola e/o per l’educazione continua in medicina.

“L’ECM è il processo attraverso il quale il professionista della salute si mantiene aggiornato per rispondere ai bisogni dei pazienti, alle esigenze del Servizio sanitario e al proprio sviluppo professionale. La formazione continua in medicina comprende l’acquisizione di nuove conoscenze, abilità e attitudini utili a una pratica competente ed esperta. I professionisti sanitari hanno l’obbligo deontologico di mettere in pratica le nuove conoscenze e competenze per offrire una assistenza qualitativamente utile. Prendersi, quindi, cura dei propri pazienti con competenze aggiornate, senza conflitti di interesse, in modo da poter essere un buon professionista della sanità.” (3)

Qui c’è da fare una premessa, la mia laurea educativa mi colloca tra i professionisti sanitari.

L’Educatore Professionale socio-sanitario si forma nelle Facoltà di Medicina o in corsi interfacoltà con una Laurea LSNT/02 abilitandosi nel settore delle professioni sanitarie, quindi ambiti che fanno capo alle Ausl (Aziende/unità sanitarie locali).

L’Educatore Professionale socio-pedagogico invece si forma nelle Facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione con una Laurea L19 per operare in vari tipi di progetti e servizi ‘socio-educativi’, ambiti che in linea di massima fanno capo alle Asp (Aziende pubbliche di servizi alla persona).

Questo processo, sottovalutato pressoché da tuttx, ha decretato in molti ambiti la definitiva separazione, frammentazione, medicalizzazione e tecnicizzazione del lavoro educativo, per una “presa in carico” prima di tutto “sanitaria” dell’ ‘utente’, ‘tossicodipendente’, ‘psichiatrico’, ‘disabile’. Come se dipendenza, disagio, sofferenza e abilismo non siano questioni fondamentalmente sociali.

Il nostro educatore ‘sanitario’ si è trovato iscritto niente di meno che all’Albo dei Radiologi, divenuto ora “Federazione nazionale degli Ordini dei Tecnici sanitari di radiologia medica, delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione” (FNO TSRM PSTRP), in rappresentanza di 19 professioni sanitarie iscritte. Guardare per credere. (4)

La Legge Lorenzin (marzo 2018) ha individuato e regolamentato i nuovi ordini professionali e ha imposto agli educatori con titolo sanitario l’obbligo di iscrizione all’albo pena l’esercizio abusivo della professione, escludendo al contempo dall’élite dei “super qualificati” un esercito di lavoratori già in essere. A completare il quadro infatti la ex Legge Iori, inserita in Legge di Bilancio nel 2017, che ha scaricato sui lavoratori inquadrati come “educatore senza titolo” con meno di 50 anni o meno di 20 anni di anzianità, la gabella di doversi pagare un corso da 60 cfu da conseguire presso le università alla modica cifra di 1800 €.

L’epilogo di una deriva fortemente promossa da autoproclamate “associazioni di categoria” che hanno reso il lavoro educativo una professione definitivamente medicalizzata, soggetta a controllo, disciplina e sanzioni, destinata ad alimentare un sistema economico privatistico chiamato “ordine professionale” con il pagamento di quella che di fatto è una tassa sul lavoro.

Associazioni che si riempiono la bocca di paroloni, pubblicazioni, formazioni, studi, accreditamento, core competences, qualità, carta, dove le persone sono all’ultimo posto,  per lo più oggetto di giochi economici, politici e semantici, e le operaie e gli operai dell’educazione, del sanitario e del socio sanitario sono ridottx a pedine usa e getta in contesti al ribasso, o a lavorare come utensili all’interno di grandi realtà spersonalizzanti, sovraccaricati di mansioni e responsabilità ma senza un reale margine di autonomia e libertà operativa.

Gli educatori, gli insegnanti,  i lavoratori del sociale, del sanitario e del socio-sanitario sono diventati i principali lacchè del marketing aziendale  – lacchè: domestico o valletto in livrea che nei secoli passati precedeva o seguiva per strada il padrone o la padrona – la maggior parte della carta, della ‘progettazione’ e della rendicontazione prodotta dagli operatori sul lavoro serve infatti unicamente alle aziende per vendersi e ottimizzare i profitti sulla pelle di ‘utentx’ e lavortorx.
Si inizia a lavorare, si inizia ad imparare a raccontarsela. Che brutta fine questo ‘educatore’, che pure sembrava muovere da istanze che lo collocavano oltre i saperi unicamente tecnico-oggettivanti. E che sciocca io a credere che a scuola potesse essere ancora diverso…

Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) è il documento di indirizzo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca “per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale.”

Obiettivo del PNSD, di valenza pluriennale, è quello di “indirizzare l’attività di tutta l’Amministrazione, e fungere da “catalizzatore” per l’impiego di più fonti di risorse a favore dell’innovazione digitale, a partire dalle risorse dei Fondi Strutturali Europei e dai fondi de La Buona Scuola.”

Non posso ripercorrere qui tutto il percorso formativo, ma posso di getto riportare le cose che mi hanno decisamente allarmata e poi tirare giù due pensieri sulle implicazioni che vi ho scorto, che scostano di molto da quei progetti/percorsi critici che immaginavo di portare a scuola. E’ stato subito evidente quanto l’intento principale di questi corsi sia addestrare insegnanti ed educatori, e con loro  studentx e famiglie, all’utilizzo acritico e passivo di ciò che viene imposto e calato dall’alto come grande innovazione.

La prima cosa a precipitarmi nel panico è stato vedere proposto con entusiasmo il sito Educazione Digitale alle insegnanti e agli insegnanti in formazione, una piattaforma digitale di “percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” riconosciuta dal ministero dell’istruzione (5). Si tratta di alternanza scuola-lavoro, pillole di capitalismo multimediale di cui gli insegnanti diventano i nuovi infermieri somministratori. La carrellata degli sponsor è agghiacciante. Si parla di ambiente, cittadinanza, salute ed ecosostenibilità con Coca-Cola, Novartis, Federchimica e Confindustria, BPER, Leonardo, Enel, EnelX, Leroy Merlen, Melinda… ma l’elenco è lungo.

Agghiacciante allo stesso modo l’app ClassDojo (6) proposta come grande innovazione didattica, una piattaforma commerciale per “il miglioramento dei comportamenti e la gestione del gruppo classe” dove gli insegnanti possono segnalare i comportamenti negativi degli alunni e premiare quelli positivi informando in tempo reale anche le famiglie grazie ad un codice che permette di entrare sul sito e monitorare la situazione.

“Utilizzando questo sistema, dopo aver condiviso con gli studenti le regole e le finalità educative, si genera una classifica a punti che mostra i progressi degli alunni, rappresentati sullo schermo da simpatici avatar. Con un semplice gesto l’insegnante può segnalare un intervento positivo, un compito eseguito in maniera corretta, oppure un comportamento scorretto, un momento di distrazione, ecc. In questo modo, sotto forma di gioco, si effettua un monitoraggio continuo e costante dell’andamento di ogni singolo alunno e della classe intera.
 L’insegnante può inserire la lista dei comportamenti da premiare o comunque degli items da valutare e può scegliere se visualizzare o meno i punti negativi. Ad esempio si può scegliere in maniera del tutto autonoma di ritenere positivo il fatto di parlare con un tono di voce adeguato o di aiutare i compagni in classe. Esiste anche la possibilità di visionare e condividere delle schermate di sintesi riguardo l’andamento in maniera periodica.”

Questa piattaforma tra i vari optional ha una funzione che rileva il livello del ‘rumore’ in classe.
 Non credo serva aggiungere altro per trarre le proprie conclusioni in merito questa bella applicazione fatta per contenere i ‘comportamenti problema’ in classe inchiodando bambine e bambini ad uno schermo.

Si viene istruiti inoltre su come integrare la didattica a scuola con l’uso dei dispositivi personali degli studenti, con tutto quello che ne può comportare. In tale azione si legge testualmente “La scuola digitale, in collaborazione con le famiglie e gli enti locali, deve aprirsi al cosiddetto BYOD (Bring Your Own Device), ossia a politiche per cui l’utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche sia possibile ed efficientemente integrato”.

BYOD è l’acronimo di Bring Your Own Device, ovvero “porta il tuo strumento a scuola”. Una didattica che incentiva l’utilizzo di dispositivi personali degli studenti, integrati con gli strumenti di base che nel piano scuola ogni istituto già di per sé dovrebbe fornire ad a ogni classe.
Si viene inoltre addestrati al registro digitale, già acquisito da tempo, con tutti gli aspetti di controllo ad esso legati, oltre che all’utilizzo di cloud e piattaforme commerciali per la creazione di contenuti digitali e classi virtuali. Tutta la suite google ma anche molte altre applicazioni nate per favorire i processi aziendali, ed ora riadattate per allestire presentazioni interattive e video accattivanti per ‘apprendimenti ‘coinvolgenti’. Insegnanti ed educatori vengono sollecitati a predisporre materiali di studio ‘smart’, che le studenti e gli studenti possano consumare anche sul bus o durante gli spostamenti.

Nella parte di un altro modulo si parla di singolarità tecnologica dandone per scontato il processo. Si anticipa il sempre più prossimo superamento della soglia in cui lo sviluppo della civiltà vedrà il processo tecnologico accelerare oltre la capacità di comprendere e prevedere degli essere umani in termini assolutamente passivi. Viene dato per scontato il capitalismo dell’innovazione tecnologica e il progresso predatorio che lo produce. Viene citato Raymond Kurzweil (7) e il suo testo “Come creare una mente, i segreti del pensiero umano”, si ribadisce che non sappiamo realmente dove la tecnologia ci porterà con questa corsa alla ricerca di essere replica delle capacità del nostro cervello. Si ricorda come la conoscenza rispetto come si sviluppano i pensieri, quindi sul funzionamento del cervello umano, aumenta esponenzialmente, al pari degli investimenti in nanotecnologie, biotecnologie e neuroscienze. Si parla di investimenti privati ma anche pubblici, come i miliardi investiti dall’Unione Europea nello “Human Brain Project” (8), un progetto scientifico nel campo dell’informatica e delle neuroscienze che mira a realizzare, entro il 2023, attraverso un supercomputer, una simulazione del funzionamento completo del cervello umano.

Si dice apertamente quanto l’intelligenza artificiale sia la nuova corsa all’oro. Si parla di memorie estese nei cloud e microchip. Fantascienza che nel 2025/2030 potrebbe essere già disponibile sul mercato. Si afferma quanto oggi non sia possibile ‘preparare i ragazzi al futuro poiché il futuro non lo si può immaginare, si dice palesemente quanto a questo processo non ci si possa opporre ma solo adattarsi. Si parla di nuove generazioni sperdute come i loro genitori e si invita a diventare flessibili alla novità.

Tecnologie che si propongono sempre più come connettore mente-conoscenza per una nuova pedagogia basata sulle evidenze, si, ma capitaliste, che dietro ad una retorica dell’inclusività, della cooperazione e della costruzione interattiva del sapere, nascondono dinamiche piu simili alla manipolazione e alla persuasione usata all’interno di certe aziende per promuovere la compliance dei lavoratori con l’ausilio di sistemi gamificati. Un’educazione decisamente comportamentista, che vede gli alunni e i loro comportamenti come qualcosa da correggere e manipolare a proprio piacere e l’individuo come qualcosa di completamente autofondato, separato dal suo contesto relazionale e ambientale.

Si va verso il “brain-based learning” un insegnamento/ apprendimento sempre più affidato alle neuroscienze e alla psicologia cognitiva per una didattica basata sul risultato, che per essere efficace si avvale di conoscenze approfondite dei processi cerebrali e cognitivi che sottostanno all‟apprendimento.

La strumentalizzazione della didattica laboratoriale e delle teorie costruttiviste (9, 9.1) sta consolidando un modello capitalista sempre più decentralizzato e multidirezionale, e una nuova pedagogia persuasiva dove insegnanti e alunni sono sollecitati e attivamente ingaggiati nel vendere se stessi e nel curarsi di sè solo in quanto produttori e oggetti di consumo. L’incrocio tra gaming ed advertising diventa l’approccio migliore in termini di monetizzazione e profitto per le compagnie del mercato digitale: trovare modi per portare le persone a ripetere determinati comportamenti fino a che questi non diventino abitudinari, desiderabili e ricercati.

Chissà perché un intero modulo è stato dedicato alla progettazione e conduzione di campagne di crowdfunding?! Insegnanti imprenditori procacciatori di fondi e studenti apprendisti manager di se stessi inventori/imprenditori di startup?

Importante in questo senso anche il modulo sul coding e sul pensiero computazionale, discipline che stanno entrando prepotentemente a scuola, fortemente promosse e finanziate, insieme tutte le materie STEM (10), per rispondere alla domanda capitalista di forza lavoro in ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico, testimoniando la progressiva e inesorabile penetrazione di interessi commerciali e speculativi a scuola.

Intanto sfruttamento, precarizzazione, atomizzazione e isolamento sono sempre più accettati come fatti naturali mentre passa assolutamente in secondo piano quanto l’esposizione a dispositivi, smartphone, piattaforme social commerciali, chat e schermi stia invadendo sempre più spazi e tempi di vita, alterando il sonno e la veglia e condizionando i processi affettivi e cognitivi – funzioni riflessive, attenzione, memoria – di moltx, indebolendo sempre più legami e relazioni, esasperando frustrazioni e producendo risentimento senza voce il più delle volte scaricato in basso, tra pari.

Mentre i corpi oppressi sono ridotti sempre più ad oggetti e funzioni in relazione a chi detiene i maggiori privilegi sociali ed economici, e gli spazi di libertà si riducono, la rete si fa veicolo di nuove forme di dominio non solo inerenti al divario digitale e al capitalismo della sorveglianza ma anche e soprattutto relativamente a come questi dispositivi vengono implementati nella vita delle persone.

Le città – e con queste, le scuole – stanno diventando industrie di sfruttamento sempre più mediate da aziende private, interconnesse e digitalmente sorvegliate, disciplinate sempre più in senso autoritario e iper-razionale.

L’accelerazione in corso sta infatti consolidando forme sempre più specializzate di esclusione, potere e dominio: si punta sempre più sulla “sicurezza” per fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso.

L’obbiettivo è reprimere il conflitto con l’espulsione di tutte quelle persone  che con la loro presenza ed esistenza svelano i modelli dominanti spersonalizzanti in cui siamo inseritx.

La retorica del ‘decoro’ e del ‘degrado’, la gestione sempre più violenta e razionale dello spazio urbano, la pulizia di quanto imprevisto e non-normato, sta colpendo sempre più soggettività, anche l’infanzia è nel mirino: giovani e adolescenti diventano sempre più un problema di ordine pubblico da reprimere mentre rimangono intatti quei modelli che il sistema stesso riproduce ed esalta, pesci grandi che mangiano pesci piccoli all’interno di realtà dove solo chi ha soldi e potere è preso in considerazione, e chi non accetta di essere un cavallino da corsa non è nessunx.

Una ‘sicurezza’ sempre più ‘preventiva’ volta ad asfaltare tutti gli spazi di fiducia, libertà, relazione, intersezione, prossimità, solidarietà dal basso.

Big Data e Intelligenza Artificiale sono le pietre angolari di queste trasformazioni.

L’interconnessione massiccia di banche dati permetterà sempre più di stabilire correlazioni, effettuare controlli incrociati, elaborare statistiche, rintracciare individui o amministrare luoghi, permettendo una sorta di ‘meteorologia delle masse’ rispetto abitudini, movimenti, consumi, costumi e comportamenti.

La scuola-azienda sta coadiuvando il Capitale nell’esasperare questo paradigma e questo processo, insistendo sull’ottimizzazione iper-razionale della prestazione in un contesto di alienazione esasperata, rabbia e affettività inespressa.

Neuroscienze e psichiatria sono pronte a raccogliere e i cortocircuiti di queste oppressioni e a colonizzare sempre più il quotidiano e l’individuo: la platea di ‘difetti’ e ’tare’ da curare e riparare è destinata ad aumentare proporzionalmente allo sfruttamento e all’oggettivazione che attraversano infanzia ed età adulta (11).

Non si tratta di assumere posizioni dogmatiche rispetto l’utilizzo o meno di media o tecnologie ma di evidenziare come le retoriche dell’innovazione tecnologica e l’agenda digitale a scuola siano su traiettorie che non hanno nulla a che vedere con i reali bisogni di studentx, famiglie, insegnanti ed operatori. 

Si va verso una “didattica del piccolo imprenditore di sè”, un modello che livella di fatto differenze culturali, economiche e sociali, fino a considerare il soggetto pura materia da manipolare.

 

Una ribaltamento semantico a sfondo organicista, comportamentista e interclassista, volto a dissimulare interessi antagonistici di classe e posizionamenti diversi all’interno dell’odierna società neoliberista.

Con la strumentalizzazione dell’educazione cooperativa ed inclusiva, della didattica laboratoriale e delle teorie costruttiviste il Capitale sta entrando sempre di più a scuola e a livello individuale ed estendendo il suo potere in un modo che non c’entra assolutamente nulla col ‘coinvolgere attivamente la persona nella costruzione del suo sapere’ e che sta sottraendo sempre più campo al rischio di qualsiasi relazione di fiducia, quindi di qualsiasi autonomia, sempre più affidata al dispositivo tecnico e alla sua discrezionalità binaria e iper-razionale al servizio di chi ne detiene il potere.

Il “media” in questo senso smette di “mediare” diventando vincolante per l’identità e determinante per la relazione. Una nuova tecno-ontologia come fondamento di ogni esperienza. Se la scuola e le città si fanno laboratorio, tocca capire chi è la cavia.

 


NOTE

1) Léo Favier, regia (2019)
https://www.arte.tv/it/videos/RC-017841/dopamina/

2) Ippolita (2012) “Nell’acquario di Facebook“ https://brughiere.noblogs.org/biblioteca/#TECNOLOGIEDELDOMINIO

– Ippolita (2019)  “Etica hacker e anarco-capitalismo. Scritti scelti”

– Agnese Trocchi (2019), “Internet, Mon Amour. Cronache prima del crollo di ieri“
https://brughiere.noblogs.org/biblioteca/#INTERNETMONAMOUR

3) https://ape.agenas.it/ecm/ecm.aspx

4) http://www.tsrm.org/

5) https://www.educazionedigitale.it/

6) https://www.classdojo.com/

7) https://it.wikipedia.org/wiki/Raymond_Kurzweil

8) https://it.wikipedia.org/wiki/Human_Brain_Project

9) https://it.wikipedia.org/wiki/Costruzionismo_(teoria_dell’apprendimento)

https://it.wikipedia.org/wiki/Seymour_Papert

10) https://it.wikipedia.org/wiki/STEM

11) STRAPPI. Riflessioni antipsichiatriche
https://brughiere.noblogs.org/post/2022/03/21/strappi-riflessioni-antipsichiatriche/