OPUSCOLI, LIBRI E LIBRETTI PER L’AUTODIFESA/IGIENE DIGITALE

Criptolibretto

Dal Criptolibretto:

Usiamo il termine: igiene digitale, non perché si voglia sterilizzare l’approccio all’autodifesa digitale, ma per rendere visibile un problema. Ci sembra che esistano elementi di base nell’uso delle reti e dei dispositivi che sono semplici azioni quotidiane, l’equivalente del lavarsi i denti. È fatica. Ma quando viene presentato un problema e al suggerimento di una eventuale soluzione viene risposto: “questa è sbatta”, lo consideriamo il segnale che il problema era un altro. Ok, niente camici bianchi e no RTFM: (Read The Fine Manual), ma almeno la parte di come non prendere la scossa è meglio leggerla. Il problema non è tecnico, ma sociale. La tecnica non è un mezzo né una soluzione ai problemi portati dal capitalismo, oggi apparato tecnico e capitalismo sono una cosa sola. Se il problema è la repressione algoritmica, crittografare da soli non basta a liberarsi, perché si è liber@ solo quando le altre persone attorno a te sono libere. Crediamo nell’alfabetizzazione informatica e che si debba studiare la grammatica della questione tecnica, non perché tutti debbano essere programmatori, ma perché nessun@ sia schiav@.

Il criptolibretto è in continuo divenire, sul git si trova il sorgente e anche il formato PDF: pieghevole croccante stampabile A5 e classico formato A4.

PDF criptolibretto A4


Guida all’autodifesa digitale

Da: Guida all’autodifesa digitale

Scrivere una guida d’autodifesa digitale è un progetto ambizioso. Ci sono un mare di cose da dire, dettagli a cui prestare attenzione, responsabilità a cui non devi sottrarti. A volte corri il rischio di generare troppe paranoie, a volte troppo poche. Hai bisogno di precisione, di un certo grado di intransigenza, eppure anche di molta duttilità e capacità di immedesimazione. Scrivere una guida d’autodifesa è un progetto ambizioso, perché spesso chi ti legge alla fin fine vorrebbe solo faticare il meno possibile. E non esiste ricetta, non esiste guida, non esiste manuale, per chi ha troppa fretta e poca attenzione. La Guide d’Autodefénse Numerique può darsi non sia perfetta, ma sicuramente ha un pregio che ce l’ha fatta stare a cuore: insegna un approccio lento e non pigro alla tecnologia. Il che, forse, è il primo vero buon consiglio. E il più importante.

Questa guida è quindi una lunga lettura, che nella sua traduzione italiana abbiamo deciso di pubblicare un po’ alla volta, per avere noi il tempo di tradurla e per chi la legge quello di digerirla. E’ in un piccolo formato, stampabile a costo zero o quasi, perché si possa moltiplicare e diffondere il più facilmente possibile.

PDF- Guida autodifesa digitale_1_offline

PDF- Guida autodifesa digitale_2_online

Altre pubblicazioni e opuscoli per argomento: https://numerique.noblogs.org/post/category/pubblicazioni/


Facciamo CISTI

Queste slide intendono essere una panoramica concisa di autodifesa digitale. Rappresentano un’insieme di conoscenze e buone pratiche tratte da varie fonti ed esperienze.https://facciamo.cisti.org/

UN BEL TACER NON FU MAI SCRITTO. Manuale di autodifesa politico-legale

A cura del Comitato Promotore della “Campagna contro l’art. 270 del C.p. e contro tutti i reati associativi” – settembre 2005.

“Ora, c’è forse ancora chi pensa che la “Legge” abbia valore di per sé, che sia in qualche modo una “scienza neutra”. Noi crediamo il contrario: pensiamo che le leggi siano null’altro che la cristallizzazione dei rapporti di classe in un dato periodo, rappresentino cioè il reale rapporto di forze nello scontro tra chi sfrutta e chi è sfruttato, tra chi il potere lo detiene e chi il potere lo subisce. Per queste ragioni abbiamo ritenuto importante realizzare questo “manuale” e, più in generale, impegnarci sulle problematiche della repressione. Non solo ci sembra utile fornire degli strumenti concreti da mettere a disposizione di chi prende parte attiva allo scontro sociale, per una maggiore conoscenza dei congegni creati al fine di reprimere la variegate forme di dissenso. Deve essere anche un’occasione di riflessione più generale per rimettere al centro dell’azione politica collettiva di tutti e di tutte noi il valore della solidarietà di classe, un “valore” non inteso in senso morale, ma come elemento concreto attorno a cui sviluppare oggi, in questo contesto sociale, identità e ricomposizione politica.”

Testo pdf: Un bel tacer non fu mai scritto

LA SOCIETÀ INDUSTRIALE E IL SUO FUTURO

Il 10 giugno 2023 è morto in una prigione federale statunitense Ted Kaczinsky. Ci fa rabbia che dopo anni tra i boschi sia stato costretto a finire i suoi giorni in una cella. Al di là delle spettacolarizzazioni da tribuna social e dei feticismi di chi non sa stare senza idoli, vogliamo solo dire che il suo ricordo, i suoi scritti e le sue azioni resteranno vive a lungo nei cuori di chi si rivolta.

Qui il pdf di La società industriale e il suo futuro, T. Kaczynski.

CONTRIBUTI SULL’ALLUVIONE IN EMILIA ROMAGNA

Abbiamo deciso di raccogliere in questa pagina scritti e contributi sull’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna. Voci dai territori, esperienze e riflessioni

Sull’alluvione in Emilia Romagna
Pensieri di un compagno il giorno dopo l’alluvione
Alluvione, la mia solidarietà è selettiva
Con l’acqua alla gola

Qui le traduzioni dei testi in castigliano.
Per inviare testi e contributi: brugo@autistiche.org


SULL’ALLUVIONE IN EMILIA ROMAGNA – Brughiere

20 maggio 2023

È il tempo delle emergenze e delle catastrofi, oltre che delle narrazioni traumatiche per amministrare il disastro, magari con la sottomissione sostenibile delle masse, in particolare quelle povere e sacrificabili. Disastri che assumono sui media l’aspetto di calamità, nonostante siano drammaticamente annunciati e tragicamente frutto di questo modello di sviluppo insensato. Mentre l’Emilia Romagna viene devastata dall’alluvione, sui media si sprecano gli appelli istituzionali alla solidarietà e all’unità da parte degli stessi responsabili del danno. Una solidarietà che dalle poltrone di chi governa questa Regione suona un po’ “pelosa” per non dire sfacciatamente ipocrita. Si tratta infatti degli stessi che hanno sempre avvantaggiato palazzinari e speculatori a scapito di chi non arriva alla fine del mese. Gli stessi che hanno promosso la cementificazione selvaggia dei territori, la costruzione su aree “protette”, zone a pericolo di frana, intorno ad aree alluvionali. Gli stessi che permettono la predazione di ogni angolo di territorio con scellerati progetti di “riqualificazione” , sempre rigorosamente “green”.

Tutta la nostra solidarietà a chi, magari già in difficoltà prima, sta vivendo in queste ore ulteriore solitudine e disperazione. Non dimentichiamo chi sono i responsabili. Sosteniamoci e sosteniamo la solidarietà dal basso che si sta muovendo.


PENSIERI DI UN COMPAGNO IL GIORNO DOPO L’ALLUVIONE:

Mentre ancora i fiumi in Emilia e in Romagna sono in piena, molti paesi e città della pianura alluvionati e il fango continua a muoversi verso valle, sento l’esigenza di esprimere qualche riflessione a caldo su quello che sta succedendo nei territori in cui da qualche anno vivo. La quantità di acqua piovuta in questi giorni è senza dubbio eccezionale, eppure sappiamo da tempo, e con sempre maggiore certezza, che gli eventi atmosferici estremi sono e saranno sempre più frequenti. Ciò nonostante, toccare con mano le conseguenze di una pioggia così forte e concentrata in poche ore, è qualcosa che mi coglie impreparato, emotivamente e materialmente. Mi sono trovato a scambiare messaggi e chiamate continue per avere aggiornamenti sulla situazione che varie persone intorno a me stanno vivendo, guardando con preoccupazione verso il cielo, i versanti di colline e montagne che rilasciano detriti ad ogni acquazzone, i letti di torrenti di solito amichevoli, sempre più gonfi e minacciosi. L’estate scorsa ci si diceva questa frase, un po’ come scherzo,per sdrammatizzare, un po’ no: “è l’estate più calda che ho mai vissuto. Ma è anche la più fresca tra quelle che vivrò”. Se traspongo questo discorso pensando alla pluviometria, mi vengono i brividi. Brividi di paura, perché in gioco c’è l’incolumità e la sicurezza di persone care. E brividi di rabbia, perché so che c’è già chi si sfrega le mani pensando ai soldi che si farà con la ricostruzione. E sono gli stessi che ingrassano in un sistema in cui io e chi mi circonda ci arrabattiamo per la mera sopravvivenza materiale, quando va bene. Il simulacro della sicurezza e dell’invulnerabilità è qualcosa che voglio distruggere e lasciarmi alle spalle, ma per fare spazio ad un diverso modo di vivere, di intessere legami e fare compromessi con l’imprevedibilità dell’ambiente in cui sono immerso. Non per garantire a chi riproduce un mondo basato sul dominio di ingrassare tranquillo. E allora impedire quel cantiere, quell’allargamento dell’autostrada, quell’impianto di risalita, quella diga, diventa qualcosa di molto più urgente, perché in ballo non c’è qualcosa di futuro, di immaginario, di simbolico, di ideale. È nel presente che quei progetti agiscono la loro furia omicida. E in gioco ci sono già le nostre vite. Ora che questo mi è più chiaro, forse mi serve meno coraggio per buttare il cuore oltre l’ostacolo.


ALLUVIONE, LA MIA SOLIDARIETÀ È SELETTIVA
Articolo uscito su “Betzmotivny”, anno III, numero 10

A partire più o meno da martedì 16 maggio e sulla scia dell’emergenza alluvione che ha colpito parte della Regione Emilia-Romagna, i vertici di alcune organizzazioni politiche sedicenti antagoniste del territorio bolognese e alcuni gruppi di persone riunitesi spontaneamente hanno deciso di dar vita a delle Brigate di solidarietà aventi lo scopo di “autogestire” interventi di aiuto alle popolazioni emiliano-romagnole colpite dall’alluvione di cui si continua a parlare molto. Di come se ne parli di questa alluvione che non costituisce certo un’eccezione, una calamità inaspettata, ma che si inserisce nella catena di catastrofi prodotte dal modo di produzione che devasta le vite ed i luoghi di vita di miliardi di sfruttati e altri esseri, nonché dagli uomini e dalle donne aventi specifiche responsabilità politiche, tecniche e decisionali a livello comunale, regionale e nazionale; sulle modalità mediante le quali le maggiori testate giornalistiche ed i media di regime affrontano l’alluvione, con quali toni (piuttosto pacati) e mediante quali contenuti (volti a non mettere seriamente in discussione la società che produce queste catastrofi ed a salvare la faccia ai responsabili in carne ed ossa delle stesse), non è forse il caso di soffermarsi in questa sede.
Lungi dal giudicare negativamente le svariate persone (non importa se compagne o meno) che spontaneamente hanno deciso di darsi da fare per tentare di aiutare coi propri mezzi, anche e soprattutto individualmente piuttosto che organizzandosi informalmente con propri amici, cioè senza dar vita ad organismi di carattere parapolitico (perché effettivamente legati ad organizzazioni politiche e/o sindacali – più o meno istituzionali – preesistenti), voglio invece riflettere polemicamente su quelle organizzazioni (senza perdere tempo a riportare le loro sigle) che hanno cavalcato da subito la disponibilità di non poche persone effettivamente non colpite direttamente dall’alluvione, ad attivarsi nell’organizzazione di iniziative di solidarietà generica, se così la vogliamo chiamare.
Ed è così che su un gruppo telegram di coordinamento ed organizzazione degli aiuti legato ad una di queste organizzazioni ”antagoniste” veniva manifestata – nei giorni immediatamente successivi agli eventi più critici – l’entusiasmo dato dal fatto che svariate testate giornalistiche avevano riportato la sigla di questa stessa organizzazione facendone le lodi, che più volte erano state ripostate sui social le foto degli attivisti dell’organizzazione, assieme ad altri ”volontari”- presumo ingenuamente ignari di queste pagliacciate politiche – intenti a spalar fango nelle località colpite del comune di Castel Bolognese.
Uno schifo, insomma e, intendiamoci bene, non perché personalmente sia un apologeta delle pratiche di aiuto “disinteressato” e religiosamente rivolto a tutti gli esseri umani (ad esempio tanti alluvionati, per me non è prioritario aiutare dei borghesi a salvare i beni racchiusi nella propria villa di tre piani); uno schifo perché chi si riempie la bocca di solidarietà e mutuo aiuto non si fa scrupoli a tentare di ricavare consenso, visibilità e riconoscimento politico dalla strumentalizzazione di certe tensioni e di certe pratiche egemonizzandole e spacciandole poi per “autogestite dal basso”.
La solidarietà per me non è qualcosa di universale, insomma non è qualcosa che voglia rivolgere a chiunque, a qualsiasi essere umano in quanto tale, per lavarmi la coscienza e dimenticarmi del fatto che ogni giorno non mettendo veramente in discussione la società industriale, il capitalismo vorace di risorse, energie e metalli rari, lo sfruttamento, la gentrificazione, il consumo di suolo sfrenato a profitto di grandi e piccole imprese capitalistiche (per quanto riguarda la logistica ad esempio, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, certifica un primato assoluto per la Regione Emilia-Romagna, che nel periodo tra il 2006 e il 2021 ha occupato quasi 400 ettari nella costruzione di magazzini e poli logistici), sto alimentando e legittimando questo ciclo di catastrofi. Se la solidarietà in queste contingenze è prestare aiuti a chicchessia allora non sono solidale, allora non me ne fotte uno stracazzo di niente di attivarmi nell’aiuto, di partecipare alla costruzione di brigate ad uso e consumo di piccoli politicanti leninisti da strapazzo.
La solidarietà, l’aiuto e la vicinanza decido io a chi portarla, sulla base delle mie conoscenze, delle mie affinità, di miei legami di fiducia e amicizia, ma anche di una consapevolezza di classe. La solidarietà a cui penso è una solidarietà selettiva, non mi vergogno di sostenerlo.
Non voglio fare da manovale per le progettualità politiche di organismi politici che disprezzo e che mi fanno venire il vomito, non voglio ricavare nessun consenso dalle pratiche di aiuto e vicinanza, non voglio sfruttare la dialettica soccorritore-soccorso per “radicarmi” politicamente, per far vedere alla gente che sono capace di tappare i buchi prodotti dalla società dello Stato e Capitale. Forse sarebbe il caso di tenere a mente questo aspetto di selettività nella pratica della solidarietà, onde evitare di farsi strumentalizzare, per avere la sicurezza di autogestirsi veramente quelle pratiche di cura e aiuto evitando di trasformarle in strumento di ricatto, di spettacolarizzazione politica e umanamente, mi viene da aggiungere, in rito di redenzione.


CON L’ACQUA ALLA GOLA
Uno sguardo anarchico sull’alluvione in Romagna

PDF: Con l’acqua alla gola

La testimonianza che sto per riportare, è sicuramente limitata. Sono stata per pochi giorni in contesti paesani e ad oggi, a parte qualche racconto di alcuni solidali, non so come sia andata nelle città più grandi colpite dall’alluvione. Alcuni dei fatti che riporto mi sono stati raccontati dalla popolazione locale e non vi ho preso parte in prima persona. Non ho avuto modo di verificarli in fonti scritte che, a tal proposito, scarseggiano. Inoltre, non conoscendo la morfologia del territorio, molte delle informazioni che mi hanno dato sulla gestione delle acque in eccesso purtroppo le ho perse. Del resto, prendere appunti durante chiacchierate informali mi sembrava decisamente fuori luogo.

Sant’Agata sul Santerno, Conselice, Lugo (26 – 30 Maggio 2023)

Una decina di giorni dopo la fine della cosiddetta seconda fase dell’alluvione, sono partita per la Romagna. Ciò che mi ha spinto a raggiungere questi luoghi, sono sincera, è stato uno spontaneo spirito di solidarietà nei confronti di umani e animali. Solidarietà di classe o “selettiva1”. Certo, lo do per scontato, ma lo specifico per non creare fraintendimenti. Non sto parlando di una solidarietà genericamente intesa, rivolta a tutto il genere umano. Non posso amare chi mi sfrutta. La solidarietà la provo nei confronti dei miei simili: gli/le oppressi/e, gli/le sfruttati/e, gli/le esclusi/e. È con questi ultimi che provo ad instaurare dinamiche di mutuo-aiuto. Nel testo la parola ‘solidarietà’ va sempre intesa in questo senso.

Consapevole che in situazioni di emergenza lo Stato mette in campo i suoi dispositivi, ho scelto di recarmi presso un rifugio che ospitava in quel momento animali alluvionati, che si trova poco distante dalle zone maggiormente colpite. Ciò mi sollevava dal timore di una eventuale compromissione/collaborazione con le autorità, con la quali in quanto anarchica non volevo avere a che fare, ma che sapevo invece avrei sicuramente incontrato nelle “zone rosse”. Il mio tentativo di stare alla larga da queste zone è però fallito. Una volta giunta sul campo, ho constatato che l’emergenza animali era rientrata e non vi era grossa necessità di braccia al rifugio. Mi sono così recata nei paesi fortemente colpiti dall’alluvione, alcuni dei quali in quel momento si trovavano ad affrontare la “seconda emergenza2”.

Quell’istintivo spirito di solidarietà che mi aveva spinto a partire, ha avuto la meglio sui miei timori di compromissione. Non solo mi ha dato l’opportunità di vedere da vicino un dispositivo emergenziale operativo, ma ha anche regolato il mio agire. Questa consapevolezza l’ho raggiunta solo in un secondo momento. Inizialmente sono quindi entrata nei paesi in punta di piedi.

Cittadini senza Stato

La mia paura di compromissione con le autorità è svanita immediatamente. Entrando nei paesi ho scoperto che la Protezione Civile non era impegnata nelle case, ma aveva un ruolo meramente “di presenza”. Le forze messe in campo erano esigue se non nulle. A Sant’Agata sul Santerno, per esempio, vi erano mezzi e personale in divisa concentrati nei pressi del Comune. Questi mezzi però erano pressoché fermi ed estremamente puliti, anche a fine giornata. Per smantellare le montagne di detriti che palesemente ingombravano le strade, gli abitanti dovevano recarsi in Comune dove, tramite un modulo cartaceo, chiedevano la rimozione del materiale. Anche i mezzi dei Vigili del Fuoco erano esigui e impegnati in situazioni circoscritte. Il mondo delle associazioni umanitarie era assente, ad eccezione di qualche gruppetto (per esempio gli scout, Greenpeace). A detta di alcuni abitanti i mezzi di soccorso, nel pieno dell’alluvione, erano irreperibili o comunque incapaci di far fronte ai bisogni della maggior parte della popolazione. Questi paesi si sono trovati e si trovano tutt’ora in uno stato di completo abbandono. Riporto queste informazioni non per alzare un coro di indignazione nei confronti dello Stato o per “chiedere” un qualche intervento. La finalità dello scritto, oltre quella descrittiva della situazione che ho osservato, è quella di provare a comprendere le finalità insite al modello gestionale adottato in questa emergenza.

A Ravenna i Vigili del fuoco passavano per le strade con l’altoparlante ordinando l’evacuazione. Le persone, una volta uscite, hanno trovato le strade chiuse e dunque sono state costrette a rientrare nelle case. A Conselice le autorità hanno dato ordine di evacuare il paese, ma buona parte della popolazione si è rifiutata. Le persone sono così rimaste chiuse in casa per 12 giorni senza acqua, gas ed elettricità, a causa dell’acqua alta. Gli unici a portare cibo e beni di prima necessità sono stati i contadini che si sono organizzati con i trattori, assieme a qualche solidale con il gommone. Ciò avveniva nonostante i Vigili del Fuoco intimassero ai solidali di andarsene immediatamente per rischio biologico.

La mancata mobilitazione di forze da parte dello Stato ha creato un forte senso di sfiducia e una gran rabbia nei confronti della Protezione Civile, delle amministrazioni comunali e regionali, delle forze dell’ordine, dei soccorsi, dei giornalisti e dei politici in visita. A Sant’Agata sul Santerno, il Prefetto di Ravenna è stato rincorso dagli abitanti con i badili in mano. A Conselice (e in qualche altro paese che non ricordo) i sindaci girano per il paese scortati dai Carabinieri. A Lavezzola è accaduto che un padrone di un’importante azienda agroalimentare, si è scontrato con la Sindaca (del PD), la Protezione Civile, il Consorzio di bonifica e i Carabinieri. Il Destra Reno stava per esondare e la chiusa per far defluire l’acqua nel canale di bonifica che sfociava nel Reno – il quale aveva il livello dell’acqua molto più basso – non si apriva a causa della scarsa manutenzione. Le autorità erano accorse sul luogo, ma stavano semplicemente prendendo atto della situazione. Nel frattempo l’imprenditore si era organizzato con mezzi propri per bypassare l’acqua, sostenuto dagli abitanti del paese. La Sindaca però non era d’accordo con questo intervento, in quanto non autorizzato. Di fronte alla rabbia degli abitanti (accorsi sul luogo) e alla minaccia del padrone – che le intimava di spostarsi altrimenti l’avrebbe presa sotto – la prima cittadina non ha potuto far altro che andarsene, scortata dai Carabinieri. L’acqua così è stata bypassata.

Questo esempio, chiaramente, non è riportato per dimostrare la filantropia di un padrone. Quest’ultimo, è chiaro, aveva il suo profitto da salvaguardare. Era sicuramente l’unico ad avere la possibilità di “salvare il paese” appunto perché, in quanto padrone, proprietario di mezzi e con grandi disponibilità di denaro. Ho visto in questo episodio una contraddizione dello Stato che, nelle vesti della Sindaca, non è stato in grado – o non ha voluto – tutelare quella parte di popolazione, la borghesia, che è solito rappresentare.

Narrazione VS realtà

Prima della partenza mi sono informata per capire quali strade erano percorribili. La percezione che ho avuto leggendo vari avvertimenti era quella di una situazione simile al primo lockdown. Strade chiuse, posti di blocco, controllo dei movimenti della popolazione. Anche lungo la E45 ho visto vari cartelli che suggerivano di lasciare libere le strade per permettere ai mezzi pesanti di Protezione Civile, Vigili del Fuoco ed Esercito di circolare più liberamente. Ciò che veniva narrato, ovvero un grande traffico di mezzi pesanti delle autorità nei luoghi colpiti, si è rivelato falso. Le strade, sia quelle principali che le secondarie all’interno delle campagne, erano libere. Il traffico regolare e i mezzi pesanti in circolazione pochi. L’accesso ai paesi alluvionati era libero. Mi è capitato di trovare dei posti di blocco in entrata a Sant’Agata sul Santerno, che vietavano ai non residenti l’ingresso in paese. I Carabinieri e la Polizia Locale avevano però una certa difficoltà a fermare le persone che, con determinazione, sostenevano che dovevano circolare liberamente. Qualche solidale si faceva intimidire, oppure credeva ai Carabinieri che affermavano che in quel paese “tutto era a posto e non c’era bisogno di volontari”, così tornava indietro. La maggior parte delle persone però passava lo stesso. O a piedi, o cambiando strada, oppure inventandosi qualche scusa. Visto il gran numero di solidali accorsi, era molto difficile per le forze di polizia poter controllare tutti, nonostante in alcuni casi ci fossero due filtri per l’ingresso ai paesi.

Due parole anche sull’applicazione VolontariSOS… A quanto detto dalle autorità, solo chi era registrato a questa applicazione poteva recarsi ad aiutare la popolazione ed entrare nelle zone rosse. Questo per motivi di assicurazione in caso di incidenti, di controllo e organizzativi. In questa applicazione il volontario doveva inserire i suoi dati e prenotarsi un “turno”. Nella realtà, la maggior parte delle persone che ho incontrato non si erano affatto registrate. Alcuni erano contrari alla registrazione in sé e vedevano in questa applicazione un tentativo di controllo e tracciamento. Chi invece si era registrato, raccontava di come questa applicazione fosse totalmente fallimentare, dal momento che i “turni” risultavano tutti occupati. Nonostante ciò, queste persone si sono recate sul posto lo stesso, pensando fosse più semplice passare casa per casa a chiedere se c’era bisogno, piuttosto che affidarsi ad una piattaforma digitale.

 Si può affermare quindi che in questi paesi la circolazione dei solidali fosse abbastanza fuori controllo per le autorità. Lo stesso si può dire anche in merito alla gestione di alcuni hub di smistamento merci. A Conselice, su ordine del Comune, vi era un grande hub dedicato solo alla ricezione degli aiuti. La merce smistata doveva poi essere portata ai singoli punti di distribuzione, dove la popolazione si recava a prendere ciò di cui aveva bisogno. Nella realtà in questo hub venivano direttamente le persone a prendersi la merce che serviva e da lì partivano macchine cariche che, strada per strada, distribuivano merce a chi chiedeva. Ciò grazie al buon senso delle persone che attraversavano quel luogo e che, di comune accordo, avevano convenuto che aveva più senso distribuire direttamente, piuttosto che accumulare merce nell’hub centrale e lasciare le persone a secco, come il Comune aveva ordinato di fare.

A tal proposito va segnalato come, ad un certo punto, il Prefetto di Ravenna ha fatto pubblicamente degli appelli affinché i volontari abbandonassero le zone alluvionate, perché di intralcio alle operazioni delle autorità.

A proposito di Angeli del fango

La composizione delle persone accorse ad aiutare si è rivelata un mix interessante. Complottisti, no vax, animalisti di tutte le età, no green pass… Persone che, per un motivo o un altro, avevano da tempo maturato una coscienza critica e una pratica, non necessariamente sotto la bandiera di qualche gruppo o organizzazione. Molti infatti sono accorsi individualmente, diffidando di grandi organizzazioni accentratrici, caricandosi la macchina di quanto poteva essere utile (idropulitrice, cibo per animali, vestiti, coperte) e girando nei paesi offrendo la propria disponibilità, anziché presentarsi ai coordinamenti gestiti dalle autorità.

La retorica degli angeli del fango proposta dai media, veniva derisa dalla maggior parte delle persone e sentirne parlare non era una bandiera di vanto, piuttosto faceva innervosire. Tanti volontari erano persone alluvionate che, una volta sistemata la loro abitazione dove “l’acqua era arrivata alla gola”, si sono recati da chi aveva ancora bisogno, mettendo in pausa le proprie attività quotidiane tra cui il lavoro. Ho respirato un clima di collaborazione e amicizia, privo di pregiudizi (per esempio legati al genere) e ho incontrato persone con una sensibilità particolare. Un pomeriggio, ero con altre persone ad aiutare una famiglia che stava vivendo un forte disagio psicologico a causa dell’alluvione. Ad un certo punto qualcuno dal Comune ha ben pensato di mandare due guardie della Polizia Locale. Sono corsa fuori per vedere cosa volessero ma, prima di me, una donna era uscita e stava dicendo alle guardie di andarsene immediatamente, perché la situazione era tranquilla e loro avrebbero solo creato problemi.

Durante la giornata si alternavano momenti di lavoro duro a momenti di discussione a 360°. Un’esigenza condivisa era proprio quella di parlare insieme: del Covid, della guerra, di queste continue emergenze che sembrano non finire mai, dei responsabili di tutto questo.

Un altro aspetto importante è stata la condivisione del dolore e della sofferenza. Condivisione fortemente “richiesta” dalle persone alluvionate che, spesso, ti fermavano per la strada per scambiare due chiacchiere, per piangere, per sfogarsi. Dietro questi sfoghi, la consapevolezza che l’alluvione non è stata semplicemente una catastrofe naturale improvvisa. Ma una catastrofe provocata e non annunciata, o annunciata con grande ritardo, con dei responsabili precisi: Protezione Civile, Consorzi di bonifica, amministrazioni comunali e regionali.

Insomma questa esperienza è stata, nonostante il dramma, in termini umani un vento d’aria fresca. Forse l’umanità è ancora un rischio da correre.

Quale protocollo?

Troppo facile sarebbe sostenere che lo Stato era impreparato a questa alluvione, come anche dire che non è stato in grado di gestire la situazione a causa della mancanza di mezzi, della troppa burocrazia o dell’incompetenza. Il suo operato è frutto di un insieme di circostanze e di scelte. Sicuramente la popolazione locale e i solidali hanno dato del filo da torcere alle autorità. Il tentativo di controllare i movimenti (tramite app e posti di blocco), di evacuare intere zone, di centralizzare la distribuzione di beni, di vaccinare la maggior parte della popolazione… da come ho visto non è riuscito molto. D’altra parte, però, lo stato di abbandono di questi paesi mi ha dato da pensare. Evidentemente si tratta di una scelta voluta e ragionata. Sinceramente non riesco ad oggi a darmi delle risposte definitive. Mi vengono in mente delle ipotesi, ma ritengo sia necessario avviare un dibattito sulle modalità con le quali lo Stato affronta queste emergenze locali. Visto l’ormai prossimo collasso a cui la società industriale ci sta conducendo, queste catastrofi saranno sempre più frequenti. Forse lo Stato vuole abituare le persone al fatto che possa mancare per giorni l’acqua, l’elettricità, il gas e i beni di prima necessità? Oppure trascura completamente la popolazione di modo che quest’ultima reclami “più Stato”? O ci sono degli interessi, che non conosciamo, a sgomberare nello specifico questi territori colpiti dall’alluvione?

Credo sia urgente riflettere insieme, soprattutto con chi ha vissuto più da vicino l’alluvione. Avendo l’esperienza della pandemia, mi sono recata in questi luoghi aspettandomi di trovare un determinato dispositivo (militarizzazione, controllo degli spostamenti, impossibilità di accedere alle zone rosse), nella realtà ho trovato tutt’altro e ciò, devo dire, mi ha spiazzato. Allora, forse, diventa importante continuare a ragionare sugli stati di emergenza che ci vengono continuamente imposti, al fine di orientare il nostro agire. Per trasformare una piccola crepa nel sistema in una voragine.

un’anarchica

1 Alluvione, la mia solidarietà è selettiva, “Betzmotivny”, anno III, numero 10

2 Con questo termine intendo quella fase in cui, defluita l’acqua, arriva il momento di reperire il materiale, spalare il fango, gettare tutto ciò che è stato danneggiato ed eseguire i lavori di pulizia.

SECONDA USCITA DELLE EDIZIONI ANARCOQUEER: GUERRIGLIA FROCIA

Riceviamo e diffondiamo:

È disponibile la seconda uscita delle edizioni Anarcoqueer, Guerriglia Frocia.

Testi di Ed Mead e Rita “Bo” Brown sulla George Jackson Brigade e il collettivo gay anticarcerario Men Against Sexism (1975-1978) (allegata copertina).

Dal retrocopertina:
Racconti di vita e di lotta di Ed Mead e Rita “Bo” Brown, due membri della George Jackson Brigade (GJB), fuori e dentro dall’inferno carcerario. Una lesbica e un gay di estrazione proletaria che impugnano le armi e decidono di lanciarsi in una lotta rivoluzionaria, senza respiro, contro il sistema capitalista, le istituzioni carcerarie, il sessismo, il razzismo e l’omofobia. Dopo una serie di azioni spettacolari (undici attentati, altrettante rapine in banca e la
liberazione di un prigioniero) si apre per loro una nuova fase, che non significa affatto una resa ma semplicemente un nuovo scenario di battaglia: quello della lotta dall’interno delle mura.

112 pagine, 10 euro a singola copia, 7 euro da cinque copie in su

Parte del ricavato del libro sarà benefit per prigionierx e progetti queer/transfemministi

INDICE
Introduzione
Una breve storia della George Jackson Brigade
Una breve autobiografia di Bo Brown
Dichiarazione alla corte di Rita Bo Brown
Dichiarazione in tribunale alla sentenza di condanna di Bo Brown
Una breve autobiografia di Ed Mead
Imprigionato e segregato di Ed Mead
Men Against Sexism di Ed Mead
Queerizzando l’underground. Un’intervista con Bo Brown & Ed Mead
Cronologia delle azioni della GJB raccontate dal gruppo stesso
Fonti e bibliografia

Per info e ordini: anarcoqueer@riseup.net
http://anarcoqueer.noblogs.org

In strada al fianco di Alfredo, contro carcere e 41 bis

Un intervento letto durante la Street Rave Parade di Bologna del 22.04.2023

Oggi attraversiamo le strade di Bologna partecipando alla Street Rave Parade, ma oggi vogliamo parlare anche di quello che succede dentro le carceri:

3 giorni fa il compagno anarchico Alfredo Cospito ha interrotto lo sciopero della fame che aveva iniziato il 20 ottobre 2022 per protestare contro il regime detentivo del 41 bis e contro l’ergastolo ostativo.
Uno sciopero della fame durato 181 giorni, durante i quali Alfredo ha perso 50 kg e la sensibilità ad un piede a causa di danni irreversibili al sistema nervoso periferico.

Ma che cos’è il 41 bis?

Si tratta di un regime di annientamento e tortura studiato per provocare danni fisici e mentali tramite la tecnica della deprivazione sensoriale e per indurre sofferenza, allo scopo di estorcere confessioni e dichiarazioni. Censura della posta. Colloqui di massimo un’ora con i familiari dietro un vetro divisorio, una volta al mese. Incontri video-registrati. La socialità, nelle due ore d’aria al giorno concesse, è limitata ad un gruppo di 4 persone. Un ambiente in cui si è costantemente osservati ed ascoltati da telecamere e microfoni, sotto il vigile occhio dei GOM, reparto speciale polizia penitenziaria noto per la sua brutalità.

Nato con il pretesto di combattere la mafia, il 41 bis punta a recidere i legami e i contatti dei reclusi con il mondo esterno. L’unico modo per uscirne è quello di pentirsi e collaborare con la giustizia: un mezzo di pressione, di tortura, per estorcere il pentimento. L’isolamento totale, l’annichilimento della personalità del recluso, si accompagna ad una realtà quotidiana fatta di abusi, torture, umiliazioni e sofferenze.

Ad oggi sono 728 le persone recluse nel regime di tortura del 41 bis: fra di loro, 3 detenuti politici, militanti delle nuove brigate rosse, vi sono rinchiusi da oltre 17 anni.

Alfredo si trova in 41 bis perché ritenuto il fondatore di un’organizzazione che non esiste (la FAI – federazione anarchica informale, che per sua stessa definizione, se è informale non può essere un’organizzazione!). Secondo politici e media, Alfredo sarebbe il “leader degli anarchici”, una sorta di boss che dall’interno del carcere impartisce ordini ai suoi seguaci tramite i suoi scritti e le sue parole.

Ci strappa un’amara risata il fatto che per lo Stato sia inconcepibile agire senza una gerarchia, un’organizzazione, un’autorità, un partito.
Noi non lottiamo né per l’egemonia né per il potere: lottiamo contro il potere, contro chi opprime, sfrutta e devasta. Contro galere e CPR, strumenti che Stato e padroni usano per mantenere l’ordine attuale fatto di oppressione e sfruttamento. Non vogliamo conquistare il potere, vogliamo distruggerlo. Non vogliamo prendere i palazzi, vogliamo demolirli. Non vogliamo la trasformazione di questa società ma la sua abolizione. Non vogliamo né obbedire né comandare.

Rispediamo al mittente l’accusa di strage per cui vorrebbero tombare Alfredo nelle patrie galere.
Oggi siamo qui per dire stragista è lo Stato non chi lo combatte! Stragista è lo stato che lascia morire le persone in mezzo al mare, nelle carceri, alle frontiere. Nonostante le sentenze che possono emettere i tribunali, nonostante gli anni di galera con cui provate a seppellire vivi i nostri compagni e le nostre compagne, noi siamo e saremo sempre

Al fianco di Alfredo
Al fianco di Anna, Juan, Ivan
Al fianco di chi lotta dentro e fuori le galere

CONTRO 41 BIS ED ERGASTOLO OSTATIVO
LIBERX TUTTX

OPUSCOLO: “FUORILEGGE. Uscire dal recinto della repressione”

A cura della cassa di solidarietà La Lima

“Questo lavoro è il frutto di un incontro di approfondimento che la cassa di solidarietà La Lima ha avuto con due avvocati (che ringraziamo) ai quali abbiamo posto delle domande. Il lavoro non è naturalmente esaustivo, la materia è ostica e magari anche un po’ noiosa. Ciò che ci ha spinti a volere quell’incontro (e quindi a trascriverne i contenuti e decidere di pubblicarli) non è stato l’interesse per i tecnicismi giuridici, bensì la convinzione che
conoscere quel che accade e come accade possa aiutarci a comprendere anche perché accade e verso quale direzione sta andando la società che vorrebbero plasmare con la repressione.
Questo opuscolo è rivolto non solo a coloro che già hanno avuto modo di conoscere o vivere sulla propria pelle queste esperienze, ma soprattutto a chi comincia a lottare e ad affrontare i nuovi dispositivi con cui lo Stato si aggiorna a maggior tutela dei propri affari. Chi lotta di solito lo fa al di là delle conseguenze cui va incontro, lo fa semplicemente perché non può farne a meno, e questo testo può dare più consapevolezza delle possibili conseguenze del proprio agire.
Chi si ritrova a lottare per condizioni di vita o di lavoro incontra prima o poi la repressione e questo opuscolo può essere uno strumento in più per pararne i colpi e per proseguire a lottare consapevoli che la distinzione tra buoni e cattivi (a seconda delle modalità di lotta più o meno radicali) fa gioco solo al potere che da sempre divide per meglio comandare. I decreti sicurezza e la versatilità delle misure preventive ci dimostrano che basta poco per spazzare via anche le residue forme di opposizione “democratica”.
Non possiamo certo combattere il potere con le sue stesse armi, cioè le leggi, ma conoscerle aiuta a riconoscere l’ingiustizia di fondo del cosiddetto Diritto e della società che lo esercita.”

PDF: Fuorilegge

“STREGHE ISTERICHE UNTRICI. Il ruolo della medicina nella repressione delle donne”

Diffondiamo:

E’ disponibile il primo libro delle Edizioni Anarcoqueer: “STREGHE
ISTERICHE UNTRICI. Il ruolo della medicina nella repressione delle donne” (collana Furore). A seguire il testo di retrocopertina e l’indice, in allegato la copertina del libro.172 pagine, 10 euro a singola copia, 7 euro da cinque copie in su. Parte del ricavato del libro sarà benefit per Marius Mason, prigioniero trans ecologista negli Usa.

Per info e ordini: anarcoqueer@riseup.net

Prossima uscita: “Guerriglia frocia. Testi di Ed Mead e Rita “Bo” Brown sulla George Jackson Brigade e il collettivo gay anticarcerario Men
Against Sexism (1975-1978)”.

“STREGHE ISTERICHE UNTRICI. Il ruolo della medicina nella repressione delle donne”

La riedizione dei due seminali testi degli anni ‘70 di Barbara Ehrenreich e Deirdre English, “Streghe, levatrici e infermiere. Una storia di guaritrici” e “Malesseri e disturbi. La politica sessuale della malattia”, in una nuova traduzione accompagnata da una lunga prefazione e da un ricco apparato di note. Un’analisi storica e sociologica che ripercorre come l’ascesa della professione medica in Occidente sia avvenuta sulla pelle delle donne, attraverso la loro persecuzione, l’annientamento dei saperi ancestrali di cui erano depositarie e la loro patologizzazione sotto varie forme. Dalla caccia alle streghe all’invenzione dell’isteria, passando per la criminalizzazione delle donne povere in quanto “portatrici di germi”, i fatti narrati in questi testi mettono in luce le connessioni storiche tra scienza e potere, tra autorità medica e capitalismo, razzismo e patriarcato.

PREFAZIONE

Perché ristampare questi saggi?
Il movimento per la salute delle donne degli anni ’70
Note critiche alla visione scientista
Altre criticità
Alcune parole rispetto alle scelte di traduzione

STREGHE, LEVATRICI E INFERMIERE.

Una storia di guaritrici
Introduzione
Stregoneria e medicina nel Medioevo
La caccia alle streghe
I delitti delle streghe
Le streghe come guaritrici
L’emergere della professione medica in Europa
La soppressione delle guaritrici
Le conseguenze
Le donne e la nascita della professione medica in America
Entra in scena il medico
Il Popular Health Movement
I medici all’offensiva
La vittoria della “professione”
Le levatrici sono messe fuorilegge
La signora con il lume
Il medico ha bisogno dell’infermiera
Conclusioni
Bibliografia commentata

MALESSERI E DISTURBI. La politica sessuale della malattia

Introduzione. Una prospettiva sul ruolo sociale della medicina
Le donne e la medicina alla fine dell’Ottocento e all’inizio del
Novecento
Il contesto storico
Le donne “malate” delle classi agiate
Il culto dell’invalidità femminile
Gli interessi dei medici nella malattia della donna
La spiegazione “scientifica” della fragilità femminile
La psicologia delle ovaie
Terapie mediche
Sovvertire il ruolo di malata
Le donne “portatrici” di malattia delle classi lavoratrici
La guerra biologica di classe
Le donne delle classi lavoratrici, un pericolo speciale
Prostitute e malattie veneree
L’offensiva delle classi medie: la salute pubblica
L’offensiva delle classi medie: il controllo delle nascite
Donne che “elevano” altre donne
Alcune osservazioni sulla situazione attuale

Da qui in avanti: riflessioni conclusive
Bibliografia commentata

POSTFAZIONE

BESANÇON: AGGIORNAMENTI SU BORIS

UNA CARROZZINA DI CLASSE PER BORIS

Aprile 2020
Due ripetitori illuminano la notte in pieno lockdown.

Mentre la metà della popolazione del globo si rinchiudeva nelle proprie abitazioni per propria volontà o per costrizione, un anarchico di Besançon inforcava la sua bici per andare sul monte Poupet, nella regione del Jura. Dalle cime di questi ripidi pendii, la notte del 10 aprile 2020 Boris ha illuminato con le fiamme della sovversione due grandi ripetitori: quelli di quattro compagnie telefoniche, ma anche della polizia e della gendarmerie, causando danni per circa centomila euro.
Identificato tramite una traccia di DNA ritrovata sul luogo, il compagno verrà rinchiuso nel carcere di Nancy e condannato, nell’aprile 2021, a quattro anni di reclusione, di cui due in prigione.
In una lettera pubblica scritta dal carcere, ha difeso il suo gesto come espressione della sua feroce volontà di opporsi tramite l’azione diretta alla crescente digitalizzazione delle nostre vite, con tutto il controllo, le distruzioni ambientali e sociali che questa comporta.
Disgraziatamente, mentre aspettava la fissazione del processo in appello, in agosto il compagno è stato gravemente ferito dall’incendio della cella dove si trovava. Le indagini sull’origine dell’incendio e sulla prontezza dei secondini a lasciarlo soffocare sono ancora in corso. E’ quindi con il potere medico che Boris si confronta ormai da più di un anno e mezzo.

Agosto 2021- Luglio 2022
Il potere medico in azione

Passato dal reparto Ustioni Gravi dell’ospedale di Metz a quello di rianimazione e poi alle Cure Palliative dell’ospedale di Besançon, Boris è stato regolarmente sottoposto all’ostilità dei camici bianchi, per cui era evidente che un anarchico e un avanzo di galera, ormai tetraplegico, non potesse manifestare la minima volontà di autonomia rispetto a come volesse essere curato.
Solo protestando e facendo scrivere delle lettere Boris ha potuto esprimere la sua tenace volontà di sopravvivere e di ricevere delle cure attive. Ha dovuto battersi a lungo anche contro il perdurante rifiuto dell’ospedale di fornirgli la sua cartella clinica o perché delle persone a lui vicine ma non facenti parti della sua famiglia biologica potessero discutere coi medici della sua situazione.
Come reazione, Elisabeth Batit, dottoressa dell’ospedale di Besançon e responsabile della situazione di Boris all’interno del reparto di cure palliative, ha deciso nel giugno 2022 di fare un ulteriore passo nel tentativo di demolire il compagno come individuo: ha tramesso una segnalazione presso il tribunale di Besançon (lo stesso che aveva gestito le indagini preliminari sulle antenne…) per avviare una procedura di “messa sotto tutela giuridica” del compagno, con la pretesa di “proteggerlo” dalle sue stesse decisioni! Una giudice ha quindi deciso di seguire le sue raccomandazioni nominando un’organismo istituzionale, l’UDAF, come Responsabile giudiziaria di protezione dei maggiorenni , incaricata di prendere in mano e gestire la posta, i conti correnti e le future risorse economiche (come i sussidi di disabilità) del compagno.

Agosto 2022
Solidarietà e sospensione delle visite

All’esterno dell’ospedale, rapidamente viene lanciato un appello contro l’accanimento dei poteri giudiziario e medico contro Boris, cui seguono, dal mese di agosto, diverse azioni di solidarietà a lui dedicate: visite colorate sui muri dell’UDAF di Poitiers e Caen; attacchi incendiari di colonnine di ricarica per auto elettriche e di un veicolo di Scopelec a Tolosa; rottura dei vetri di una banca e della sede di una ditta che costruisce carceri, Eiffage, nella stessa città; incendio di un’antenna 5g a Barcellona e di una macchina della polizia a Cochabamba (Bolivia)…
A Besançon, mentre alcuni volantini incazzati iniziavano ad essere distribuiti nel parcheggio dell’ospedale, il direttore decise come rappresaglia di applicare una misura drastica verso il compagno: il divieto di visite per Boris all’infuori della sua famiglia dal 19 agosto 2022 per una durata indeterminata, finché la polizia non avesse individuato gli autori del volantino che invitava alla solidarietà con il compagno. Questo divieto quasi totale di visite è stato pronunciato anche in virtù dei poteri di polizia interni alla struttura, come conseguenza del fatto che “(Boris) era regolarmente visitato da amici presumibilmente legati all’ambiente all’origine dei volantini”. Una misura che l’ospedale ha fatto applicare fermamente arrivando a cacciare con la forza, tramite gli agenti di sicurezza dell’ospedale stesso, i visitatori che protestavano davanti alle porte chiuse a chiave del reparto di cure palliative dove si trovava il compagno. Nel pieno di quella torrida estate, Boris, oltre alle sue difficoltà fisiche, si trovava a dover affrontare quattro processi: l’appello a Nancy per i due ripetitori (sospeso a data da destinarsi visto il suo stato di salute), l’indagine aperta a Nancy in seguito all’incendio della sua cella (ancora in corso), l’appello a Besançon contro la sua “messa sotto tutela” par l’UDAF…e un ricorso al tribunale amministrativo per annullare il divieto di visite!
Questa situazione si è infine conclusa due settimane dopo con grande scorno dell’ospedale di Besançon, che aveva persino tentato un colpo altro di mano con il tribunale il 5 settembre… avanzando l’indecente proposta che le persone con divieto di visita potessero effettuarle a distanza tramite telefono (malgrado la tetraplegia e tracheotomia del compagno). Quel giorno, abbiamo appreso non solo che la celebre Elisabeth Batit – la primaria che aveva infamato Boris al procuratore e ostacolato le sue richieste – s’era messa in malattia per un mese perché si sentiva “minacciata” dalla prosa anarchica, ma anche che un nuovo volantino dello stesso stampo era stato distribuito prima che fosse resa nota la decisione del tribunale, decisione che si rivelo’ favorevole al compagno. “La decisione del direttore dell’ospedale di Besançon di permettere le visite ai soli famigliari deve essere vista, nelle circostanze, come portatrice di una minaccia grave e manifestamente illegittima per i diritti, la dignità e la vita privata del signor X il cui isolamento dovuto alla sua patologia si trova fortemente accentuato”…
Quanto al capitolo poliziesco rispetto ai volantini contro cui l’ospedale ha sporto denuncia per “diffamazione”, precisiamo che la situazione di Boris è stata all’ordine del giorno di una riunione del “Comitato di igiene e sicurezza” dell’ospedale tre giorni dopo la ripresa della visite con lo scopo di “considerare il trasferimento del paziente”; che due sbirri sindacalisti assunti all’ospedale (uno del sindacato sud-santé, l’altro CGT/NPA) hanno portato avanti un’indagine parallela negli ambienti anarchici di Besançon chiedendo un po’ ovunque chi avesse potuto scrivere e distribuire i testi, col pretesto che erano “traumatizzati” dalle critiche portate contro la loro nobile istituzione; che il reparto comunicazione dell’ospedale si è meschinamente vendicato della sentenza del tribunale rilasciando tre settimane dopo una versione edulcorata agli scribacchini de L’est républicain, che è valsa una mezza pagina intitolata “Gli amici di un ex detenuto di Nancy in guerra contro l’ospedale di Besançon”, in cui si apprendeva, tra le altre cose, che “il caso è nelle mani della prefettura di Doubs e dell’agenzia regionale della sanità”. Infine, a inizio gennaio 2023, un compagno e una compagna anarchiche sono state convocate al commissariato di Besançon per fatti di “diffamazione a mezzo stampa”: ci sono andate dichiarando di non avere nulla da dichiarare, e a questo ennesimo tentativo di pressione da parte delle autorità non è seguito nient’altro per il momento.

Gennaio 2023
Al centro riabilitativo

In seguito alla calorosa solidarietà che è stata generosamente espressa in giro per il mondo e a Besançon e soprattutto grazie alla determinazione di Boris a non abbassare la testa di fronte al potere medico, la situazione si è finalmente sbloccata dall’autunno. A ottobre, il compagno ha finalmente ricevuto (dopo più di 8 mesi) la sua cartella clinica su carta e in camera sua. A metà dicembre, ha infine ottenuto il suo trasferimento in un’altra struttura sanitaria, lontano dal reparto di cure palliative di Besançon dove avevano cercato di sotterrarlo e dove non sarebbe mai dovuto arrivare. È in un’altra provincia della regione, nel reparto di riabilitazione per tetraplegie neurologiche che ha finalmente potuto fare una doccia, dopo un anno e mezzo, che ha seguito delle cure intensive di fisioterapia respiratoria o di verticalizzazione per allettati, che uno specialista lavora per adattare una carrozzina al suo corpo… e che una fine della sua ospedalizzazione si inizia a prospettare. Inoltre, in gennaio 2023 in seguito a un’udienza sulle modalità della “messa sotto tutela giuridica” di Boris, i suoi conti correnti e le sue lettere sono state sbloccate, levando per ora di torno UDAF, in attesa di un’udienza più specifica a marzo.
Attualmente, Boris può concretamente cominciare a progettare un ritorno in strada e al sole, lontano dal letto a dalle apparecchiature che lo inchiodano da ben troppo tempo sotto i neon di una stanza di ospedale, e si pone la questione del supporto finanziario. Il bisogno immediato, che è stato discusso con lui e con l’équipe medica del centro di riabilitazione, è l’acquisto di una carrozzina elettrica verticalizzante, costruita su misura e adattata alle sue condizioni, che potrà essere comandata con una sfera posta sotto il suo mento, oltre ad una serie di altri comandi integrati alla sua struttura (come l’apertura delle porte).
Aldilà della volontà del reparto di riabilitazione che si augura una dimissione del compagno entro sei mesi, aldilà delle battaglie tecnico-amministrative con la burocrazia di stato per provare a racimolare dei finanziamenti, è chiaro che bisognerà trovare una discreta somma. L’obiettivo è che Boris ritrovi dell’autonomia con la maggior mobilità possibile grazie a questo tipo di carrozzina elettrica su misura.

“Una carrozzina di classe per Boris”

A Besançon o a Parigi, diverse iniziative sono in preparazione per raccogliere dei fondi e partecipare alla campagna “una carrozzina di classe per Boris”. Ogni individualità o collettivo anti-autoritario che desiderasse a sua volta organizzare in modo decentralizzato un concerto, una mangiata benefit, un torneo di briscola, una discussione o altri momenti di svago per dare il suo contributo a questa operazione, è ovviamente il benvenuto!

Il compagno si è coordinato con due luoghi per raccogliere il vil denaro. Può essere spedito tramite assegno o bonifico (scrivere a retourausoleil at riseup.net), o essere depositato a: Bibliothèque Libertad – 19 rue Burnouf – 75019 Parigi Librairie Autodidacte – 5 rue Marulaz – 25000 Besançon

Durante tutte queste prove, Boris non ha cessato di battersi con i mezzi a sua disposizione, continuando a difendere le sue idee anarchiche. Dopo 11 mesi di prigione, 18 mesi di ospedalizzazione dura e ancora 3 processi sul groppone (per i ripetitori, l’incendio in prigione, e la messa sotto “tutela”), si intravede la luce in fondo ad un primo tunnel: perché possa di nuovo ruggire tra noi, aiutiamo il compagno comprarsi questa carrozzina di classe…

delle anarchiche solidali e complici con Boris
marzo 2023

tradotto da https://lille.indymedia.org/spip.php?article35545&lang=fr