CATANIA: APPELLO PER UNA MOBILITAZIONE UNITARIA CONTRO LEGGI REPRESSIVE E STATO DI GUERRA

Assemblea regionale per una mobilitazione unitaria contro leggi repressive e stato di guerra
6 aprile ore 15.30
Palestra Lupo (Catania)


Di seguito il testo dell’appello:

La repressione nel territorio

La repressione in Sicilia si snoda tra una cinquantina di nodi nevralgici sparsi su tutto il territorio: carceri, CPR, CPA e basi militari. L’isola, ospitando 23 carceri sulle 94 presenti nel territorio italiano e 4 istituti penali per minorenni su 17, detiene il triste primato del maggior numero di detenuti per abitante. Solamente nel 2022 in Sicilia, ci sono stati 5 tentativi di suicidio negli istituti penali per minorenni (su un totale nazionale di 12); nelle carceri, nello stesso anno, sono “state suicidate” dallo stato 11 persone (su 85 totali in Italia); 8 i morti nel 2023. Le carceri siciliane si distinguono per la violenza sistematica utilizzata contro i detenuti, oltre che per l’inumano sovraffollamento. Nel 2025 sono stati imposti dei nuovi divieti che proibiscono l’ingresso di alcune tipologie di abiti e di alimenti.(1)

Questo ha provocato una serie di proteste come battiture e scioperi del carrello che hanno visto picchi di partecipazioni altissimi, soprattutto a Siracusa e Palermo (700 al Cavadonna e 400 al Pagliarelli). Il nostro territorio è in prima linea nella guerra ai migranti ospitando 3 CPR su 8(2), 5 Hotspot su 6(3) e 2 CPA su 9(4). A completare il complesso mosaico repressivo sono le strutture militari segno tangibile della natura coloniale dell’isola, in prima linea nella sempre più vicina guerra “guerreggiata”. Sono presenti nel territorio, oltre ai presidi militari dell’Esercito Italiano anche la Stazione aeronavale dell’esercito statunitense a Sigonella; il MUOS presso la Sughereta di Niscemi(5); l’Aeroporto Militare di Trapani Birgi(6); il Porto di Augusta(7); RADAR a Lampedusa, Noto, Marsala(8)

La corsa al riarmo

L’accelerazione della morsa repressiva dello Stato è ancora più tangibile in questi ultimi mesi. La comunità internazionale assiste complice del genocidio in Palestina, lo Stato Italiano e l’Unione Europea continuano ad appoggiare il criminale governo di Israele e si lanciano in una sfrenata corsa agli armamenti a livello globale. Attraverso ReArm Europe sono previsti 800 miliardi di investimenti per l’ampliamento delle spese belliche a discapito delle spese sociali, trasformando il welfare europeo in un warfare. Oggi l’Italia spende per la difesa 33 miliardi di euro (sono evidenti gli aumenti nell’ultima finanziaria); con il piano
europeo il nostro Paese, entro quattro anni dovrebbe spendere circa 70 miliardi, intorno al 3% del Pil che spingerebbe il disavanzo pubblico dal 3,4% registrato nel 2024 al 5%. Queste risorse andranno drenate da altre voci di spesa (pubblica amministrazione, aiuti allo sviluppo, sostegno della cooperazione e delle fragilità, sanità e istruzione) contribuendo a demolire le ultime tracce di welfare.

Il fronte interno

Il conflitto tra Russia e Ucraina dimostra come sia essenziale la capacità di controllo, la manipolazione delle coscienze, la pacificazione di ogni forma di conflitto interno. Lo strumento strategico ideato dal governo per neutralizzare ogni forma di dissenso è il ddl 1236 (ex ddl 1660), ormai di fatto approvato al Senato che a breve sarà legge dello stato. Include una serie di provvedimenti che colpiscono penalmente ogni forma di lotta; segna una nuova fase nel processo di invisibilizzazione dei migranti e peggiora i luoghi di detenzione amministrativa, trasformandoli in lager fuori dal diritto penale; rende ancora più critica la situazione nelle carceri; criminalizza ulteriormente i salvataggi in mare equiparando navi della guardia Costiera a navi da guerra; favorisce l’aumento delle armi possedute dagli agenti di pubblica sicurezza, creando di fatto attorno a loro uno scudo legale e penale. Il disegno di legge contiene la “norma anti-No ponte” integrato nell’art. 19, un emendamento che introduce aggravanti per tutti gli atti finalizzati all’impedimento della realizzazione di infrastrutture ritenute strategiche tra cui il TAV e il Ponte sullo Stretto. Il Ponte, presentato dal governo come un’opera strategica necessaria alla vita dex sicilianx, è una devastante truffa sociale e ambientale. Andrebbe edificato in un’area ad alto rischio sismico costantemente instabile. Costerebbe più di 14 miliardi di euro, fondi che andrebbero destinati a reti ferroviarie, strade e porti. Fino ad ora è già costato centinaia di migliaia di euro, prelevati dai Fondi di Coesione e Sviluppo di Calabria e Sicilia, originariamente pensati per ridurre divari socio-economici che avrebbero dovuto supportare la micro impresa e finanziare la tutela dell’ambiente, la promozione della cultura, dell’istruzione, della formazione e il miglioramento della salute. Di contro, sono stati il salvadanaio del malaffare siciliano. L’opera determinerebbe un irrimediabile impatto ambientale, modificando irreversibilmente l’ecosistema, distruggendo la bellezza paesaggistica. Andrebbero demoliti interi paesi, con relativo spostamento coatto dei residenti e chiusure delle attività economiche esistenti. Nonostante ci siano, ormai da decenni, possibili alternative alla promozione della mobilità (dal potenziamento dei porti all’apertura di nuovi aeroporti), il governo insiste nel progetto eco-mostro, ai danni della popolazione di Sicilia e Calabria.

STUDENTƏ REPRESSƏ

Secondo il nuovo art 31 del ddl, se studentx o docente dovessero partecipare a un movimento politico o fossero attivistx di una associazione, l’Università dovrebbe comunicarlo su richiesta dei Servizi Segreti. Lo stesso avverrà se un professore insegna in aula argomenti ritenuti “pericolosi” o sovversivi. Purtroppo già è stato eclatante il caso del professor Raimo, sanzionato e sospeso, per aver criticato il ministro Valditara. Il governo vuole limitare le possibilità degli studenti di apprendere di più su temi di attualità, di sviluppare un pensiero critico e soprattutto di esprimere il proprio dissenso e ribellarsi. Per gli studenti, come per tutte le altre soggettività, sarà più difficile manifestare visto il rafforzamento dei controlli e l’aumento del potere garantito alle forze di polizia, ormai legittimate a intervenire sempre. Chi partecipa a manifestazioni non autorizzate, rischia multe che possono variare da 2.000 a 10.000 euro; queste sanzioni sono applicabili alle proteste che vengono giudicate “minacciose” per l’ordine pubblico, anche senza episodi di violenza diretta. Se la manifestazione sfocia in episodi di violenza o danneggiamenti a persone o cose, le pene possono essere la reclusione da 1 a 4 anni. L’intento è di intimorire i giovani, che spesso sono protagonistx di proteste su temi come l’ambiente, l’istruzione, i diritti civili o le strutture scolastiche fatiscenti nelle quali quotidianamente si tengono le lezioni senza alcuna sicurezza. Ciò solleva una domanda cruciale: fino a che punto un governo può limitare il diritto di protestare per garantire “l’ordine pubblico”? Il ddl sicurezza propone una serie di modifiche giuridiche liberticide per punire i soggetti che non abbassano la testa di fronte alle ingiustizie e protestano per chiedere giustizia climatica, contro le “grandi opere” o che si oppongono al PCTO. A Catania, ad esempio, all’istituto tecnico aeronautico Arturo Ferrarin è OBBLIGATORIO partecipare alle attività tenute nella base NATO di Sigonella(9). Chi prende posizione contro le ingiustizie sociali e politiche, rischia di essere privato della propria libertà di espressione e penalizzato.

La Rete No DDL Sicurezza Catania

In continuità con i lavori del ddl al Senato, il Ministro degli Interni, quale segno tangibile della nuova politica di governo, ha promosso anche l’istituzione delle “Zone Rosse”, aree sottoposte a controlli intensificati di pubblica sicurezza, in tantissime città italiane, anticipando i dispositivi e le logiche del ddl. La prefetta di Catania ha subito risposto alla sollecitazione decretandone sei. L’opposizione alle Zone Rosse è stata un tratto fondante della neo costituita Rete No DDL Sicurezza Catania, un soggetto politico eterogeneo, autoconvocato, animato da militanti e attivisti di gruppi organizzati e soggettività autonome, nato lo scorso novembre, attraverso una prassi di organizzazione orizzontale ben definita: le assemblee cittadine pubbliche itineranti sono state unico luogo di discussione e decisione politica; settimanalmente sono state costruite iniziative informative, supportate da volantinaggi e affissioni. Ogni evento ha segnato un momento di riappropriazione temporanea di uno spazio pubblico (piazza, strada, giardino, ville). Sono stati numerosi i momenti di lotta, per allargare la partecipazione alla mobilitazione, non solo in modo quantitativo ma anche qualitativo. I cortei e le azioni dirette, unite ad una massiccia opera di contro informazione che ha coinvolto le strade e le piazze oltre che i canali social, hanno permesso alla mobilitazione di crescere e di porsi nuovi obiettivi come il contrasto del modello Caivano che dovrebbe essere applicato nel centrale quartiere di San Cristoforo; la mobilitazione del fronte cittadino in difesa di produzione, distribuzione e uso della Canapa light; il contrasto di logiche di gentrificazione e turistificazione selvaggia, imposte alla popolazione come unico modello di sviluppo economico possibile, difese attraverso misure di controllo poliziesco e retorica del decoro.

L’appello

Il carattere marcatamente repressivo presente nel ddl 1236, ma anche nel dl “Caivano” della direttiva “Zone Rosse” e persino nelle modifiche al codice della strada tende, non solo, a risolvere ogni questione sociale attraverso misure penali(10), ma sposta il soggetto del diritto: dalla tutela della collettività verso la tutela dell’autorità pubblica scivolando in direzione della legge marziale. Legge emergenziale d’eccellenza, che qui, presuppone l’intento specifico di colpire, anche preventivamente, là dove le lotte si intersecano con il disagio e lo organizzano proponendo soluzioni militanti. Perseguendo un’alleanza con le forze di polizia, protagoniste dell’avvitamento repressivo e destinatarie di robuste politiche di sostegno. Crediamo che un aspetto della lotta, fondamentale per sbaragliare i piani del nemico, sia la solidarietà, bersaglio principe del disegno di legge 1236. In quanto ricorrono nel testo veri e propri tentativi di colpire individui e disarticolare reti sociali, sanzionando chi supporta gli occupanti di edifici pubblici a scopo abitativo, cercando di spezzare la solidarietà all’interno delle carceri tra i detenuti (e con chi sta fuori) e attraverso il neonato “reato di parola”, volto a colpire lo scambio e la diffusione d’informazioni. Per rilanciare la complicità e la solidarietà tra sfruttatx/oppressx, pensiamo sia necessario provare a costruire insieme in Sicilia una mobilitazione unitaria, che possa affinare legami e pratiche, utili a combattere la repressione nel nostro specifico territorio. Vogliamo ribaltare la narrazione di una Sicilia disomogeneamente abitata e vissuta, una terra d’emigrazione, talvolta deserta, arretrata, abbandonata, perfetta unicamente per edificare basi militari e strutture detentive, come cattedrali nel deserto, isolate, mute ed occultate alla vista.

Riteniamo necessario che proprio dalla Sicilia si alzi una voce contraria, forte ed unita per contrastare i progetti repressivi e guerrafondai previsti dallo Stato Italiano per quella che considera una debole colonia periferica e silenziosa. Sappiamo quanto sia necessario che la mobilitazione esondi fuori dai circuiti militanti cittadini. Crediamo non si possa più indugiare. Ci appelliamo pubblicamente a organizzazioni, realtà politiche, individualità che condividono le analisi trattate in questo appello a partecipare alla costruzione di una mobilitazione regionale contro leggi repressive e stato di guerra.

Con il nostro cuore rivolto al genocidio palestinese, forma repressiva più estrema ed
espressione massima di brutalità e annichilimento di una intera popolazione. Stop Genocide! Free Palestine!

No ddl Sicurezza Catania.


1 come salumi, pesce, formaggi (solo se stagionati), farina, lievito, vino e birra.
2 Centri di detenzione per le persone senza permesso di soggiorno, quindi deportabili nei paesi detti
“di origine”.
3 Centri di identificazione e confinamento per coloro che sono appena sbarcatx.
4 Centri Governativi di Prima Accoglienza di trattenimento coatto, per coloro che riescono a
presentare una domanda di protezione internazionale.
5 Mobile User Objective System è un sistema di comunicazioni satellitari (SATCOM) militari ad alta
frequenza(UHF).
6 stazione di rifornimento delle Forze di Mobilità Aerea statunitensi che ospita gli aerei-radar AWACS
e i caccia della NATO.
7 stazione di rifornimento della marina militare italiana e statunitense.
8 avamposti dell’aeronautica militare italiana in cui sono installati dispositivi di ultima generazione,
fabbricati dalla Leonardo SPA, presente con varie dislocazioni sul territorio.
9 pensate per indurre a scegliere un percorso di addestramento militare piuttosto che un percorso di
studi civile, svolte e finanziate dalla Leonardo, azienda leader nella produzione di armi.
10 cd. panpenalismo già ampiamente utilizzato nei cd. Pacchetti di sicurezza degli ultimi 25 anni.

LINK PDF

MAPPE DELLA DETENZIONE, MILITARIZZAZIONE E REGIME DI FRONTIERA IN SICILIA

Diffondiamo da Sicilia No Border:

SICILIA: UNA COLONIA PENALE E MILITARE, AVAMPOSTO DELLA FORTEZZA EUROPA

In Sicilia, l’apparato tecno-militare-carcerario è parte centrale di un’espropriazione estrattivista di stampo coloniale che da più di un secolo impoverisce e mette costantemente in pericolo chi vi è natx o abita. Questa terra insulare, resa zona di frontiera anche dalla Fortezza Europa, è sempre più un luogo in cui continuare a impiantare l’industria più tossica (petrolchimici e affini), e la sua versione apparentemente green (distese di pannelli solari e pale eoliche), nonché tanti avamposti militari.
L’apparato tecno-militare-carcerario si legittima in Sicilia da un lato come una rara opportunità di lavoro, venendo fatto entrare tramite stage e interventi “educativi” nelle scuole pubbliche o nascondendosi come intervento umanitario (come nel caso dell’indotto lavorativo prodotto dalle cosiddette emergenze sbarchi) e, dall’altro, come veicolo di modernizzazione, anche attraverso una rappresentazione della “mafia” come presunto tratto culturale del popolo siciliano (e non un prodotto preciso dell’agire sinergico e complice di imprenditori e pubblici ufficiali, ovvero di capitalismo e stato nazionale).
La crescente criminalizzazione e detenzione di coloro che vengono considerati come “pericolosi” e portatori di “degrado” (sex worker, ambulanti, giovani delle periferie, ecc.) favorisce inoltre un’altra grande forma di sfruttamento di quest’isola: la sua turistificazione. Le speculazioni sui centri urbani (Palermo, Catania e Siracusa in primis), sulla costa (si pensi a Marzamemi, Taormina o Cefalù) e nei paesi in montagna e campagna (es. le Madonie, il siracusano), aumentano gli affitti e rendono impossibile continuare a vivere per abitanti sempre più impoveritx, espulsx, sfrattatx, incriminatx. In questo senso, l’eventuale costruzione del ponte sullo stretto si configura come un’ulteriore arma di questo attacco, poiché al di là dello sventramento della terra dato dai lavori, aumenterebbero i turisti, il traffico delle merci e anche l’operatività della NATO, che già sta usando la Sicilia per permettere il genocidio in Palestina e le altre guerre.

E’ per questo che militarizzazione, detenzione e confinamento vanno letti e combattuti assieme. Con questi presupposti, qui potete trovare una mappa sui luoghi della detenzione, del confinamento e della militarizzazione legata alla NATO e alla occupazione statunitense in Sicilia. Aprendola troverete  informazioni più specifiche ma, come indicazioni di base, sappiate che in:

  • nero sono indicate le case circondariali e di reclusione per maggiorenni,
  • arancione le strutture detentive per minori,
  • blu le REMS,
  • verde i CPR e i CPRI,
  • rosso gli hostpot,
  • rosa i Centri di prima accoglienza,
  • giallo la sede della polizia europea di frontiera FRONTEX,
  • viola le basi e gli avamposti logistici della NATO e dell’esercito statunitense.

Alcune di queste strutture (CPR/I, Hotspot, CPA) sono espressione diretta del razzismo coloniale del regime europeo di frontiera, ovvero volte al confinamento di persone perché migranti e povere. La criminalizzazione specifica di cui sono oggetto le persone migranti e non (abbastanza) bianche si rivela anche nelle carceri e negli istituti per minorenni: le persone migranti in prigione sono proporzionalmente molte di più (17% della popolazione detenuta, a fronte di un 10% rispetto a quella abitante in Italia).
Lo stato opera poi una differenza tra i cosiddetti detenuti normali e quelli considerati come più pericolosi, esposti a regimi di detenzione ancora più duri. La maggiore pericolosità sociale viene attribuita a chi si organizza con altrx (reati associativi) o a chi viene rappresentato come un “barbaro” “arretrato” (mafiosi, trafficanti, ecc.) autore di “reati” efferati. Questo nasconde la natura politica della criminalizzazione: non è giustizia, ma una vendetta dello stato la scelta di seppellire in carcere chi si ribella alle oppressioni sistemiche e alla violenza guerrafondaia e razzista in cui siamo immersx; punire chi  lavora per la mafia, rappresentandoli come demoni vuol dire celare che in Italia la mafia è un prodotto del capitalismo di stato; il cosiddetto traffico o favoreggiamento dell’immigrazione “clandestina” non esisterebbero se tuttx fossero liberx di muoversi e sostare.
In tutte queste galere, l’oppressione legata all’appartenenza di classe e di genere, nonché all’orientamento sessuale, si amplifica e impatta in maniera diversificata le condizioni di vita, i vissuti di violenza e abuso a cui si è espostx.
È necessario essere consapevoli di come lo stato, differenziando i trattamenti, tenta di creare divisioni, ma tutto il sistema penale va abbattuto, in qualsiasi forma questo si presenti e in qualsiasi modo tenti di legittimarsi.
Nel 2022, nelle carceri siciliane sono “state suicidate” dallo stato 11 persone (in totale 85 in Italia) e vi sono stati 5 tentativi di suicidio negli istituti penali per minorenni (12 in Italia). Nel 2023 sono state invece 8 le persone “suicidate” nell’isola. In altri termini, le carceri siciliane si distinguono anche per la violenza che vi viene esercitata e le molteplici forme di autodifesa che vengono dispiegate.
Nelle carceri e nei CPR si susseguono rivolte, scioperi della fame, tentativi di evasione, che ne compromettono il funzionamento. A chiunque è detenutx vanno dedicate le azioni e pensieri di chi si trova fuori.

 

NUOVA PUBBLICAZIONE: ALCUNI SCRITTI SU KAMINA LIBRE. IDENTITÀ IRRIDUCIBILI DI UNA LOTTA ANTICARCERARIA

Diffondiamo

È uscito il libro “Alcuni scritti su Kamina Libre, identità irriducibili di una lotta anticarceraria”. Il libro, nato dalla tesi di laurea del compagno prigioniero Francisco Solar e poi ampliato, racconta l’esperienza del collettivo di prigionieri Kamina Libre nato nel 1995 nel carcere di Santiago del Cile, che per anni ha portato avanti uno scontro permanente all’interno del Carcere di Alta Sicurezza (CAS) cileno fino ad ottenere il “ritorno in strada” di tutti i suoi membri. La prima presentazione è avvenuta all’interno della sedicesima Tatoo Circus benefit per prigionier* a El Paso (Torino). Nella discussione di sabato 15 l’esperienza di lotta del Kolektivo Kamina Libre tra gli anni Novanta e i Duemila nelle carceri cilene è stata messa a confronto con altre esperienze di lotta dei/delle detenuti/e, come la COPEL in Spagna negli anni Settanta, per riflettere da differenti prospettive sull’autorganizzazione dei/delle prigionieri/e e sul rapporto dentro-fuori dalle mura del carcere. Perché parlare di Kamina Libre oggi? Come espresso da Francisco nella sua prefazione al testo “l’esperienza di Kamina Libre ci mostra l’importanza di portare avanti un atteggiamento combattivo in carcere, di portare avanti in modo autonomo giornate di lotta al suo interno, così come di generare legami di complicità con ambienti solidali, sostenendo una pratica reale di attacco. Scrivere oggi di Kamina Libre significa parlare di scontro e autonomia”.

Dall’introduzione italiana:

Identità irriducibili. Contributo alla traduzione italiana

Oggi attraversiamo un momento cruciale della situazione giuridica del compagno Marcelo Villarroel Sepúlveda nelle carceri cilene, da qualche mese è iniziato un ricorso per cercare di annullare le condanne inflitte dalla giustizia militare durante il periodo di Pinochet che persistono sul compagno.

Marcelo fu arrestato per la prima volta nel novembre 1987, all’età di 14 anni, accusato di aver svolto attività di propaganda armata contro la dittatura all’interno di un liceo di Santiago e per la sua militanza nel MAPU-LAUTARO, un’organizzazione politico-militare marxista-leninista attiva contro la dittatura di Pinochet e nella successiva transizione democratica. Nel 1992 venne di nuovo arrestato dopo due anni di clandestinità nei quali fu ricercato sempre per la sua militanza nel MAPU-LAUTARO, che intanto, dopo la fine della dittatura di Pinochet nel 1990, aveva deciso di continuare la lotta armata “contro il riposizionamento capitalista mascherato da democrazia”. L’operazione antiterrorismo coinvolse trenta agenti e culminò in uno scontro armato che procurò a Marcelo tre ferite di arma da fuoco. Nel 1994 fu inaugurato in Cile il regime di alta sicurezza nel quale Marcelo fu trasferito insieme ad altri 33 prigionieri. In questo primo periodo di detenzione a partire dal 1995 prese parte al Kolektivo Kamina Libre. Successivamente è stato accusato di aver preso parte alla rapina al Banco Santander del settembre 2007 a Valparaíso e alla rapina al Banco Security dell’ottobre 2007 a Santiago, durante la quale l’agente Luis Moyano è morto in una sparatoria. Dopo un periodo di clandestinità, Marcelo fu arrestato il 15 marzo 2008 insieme a Freddy Fuentevilla a Neuquen, in Argentina. Furono poi estradati in Cile il 15 dicembre 2009. Il 2 luglio 2014 il tribunale cileno lo ha condannato a 14 anni di carcere per le due rapine, successivamente si sono poi aggiunte altre accuse, arrivando a un totale di 46 anni di carcere:

-Associazione terroristica: 10 anni e 1 giorno.
-Danneggiamento di un’auto della polizia con gravi lesioni ai carabinieri: 3 anni + 541 giorni.
-Coautore dell’omicidio qualificato come terrorista: 15 anni e 1 giorno.
-Furto con intimidazione, legge 18.314: 10 anni e 1 giorno.
-Attentato esplosivo contro l’ambasciata spagnola: 8 anni.

Lo Stato, i suoi meccanismi ideologici e il capitale tentano ancora una volta di seppellire le fila del movimento combattente, di fare calare il silenzio sui contenuti politici, le scelte di lotta e i decenni di tradizione rivoluzionaria. Compagni in ogni dove (Cile, Italia, Grecia, Spagna ecc…) hanno dedicato, oggi come ieri, la loro vita alla lotta contro l’oppressione per costruire un mondo di uguaglianza e libertà, assumendosi le responsabilità e compiendo scelte che hanno portato alla prigionia o alla morte, dando anima, corpo e pensiero alla causa rivoluzionaria. Tali scelte sono parte integrante di una continuità storica insurrezionale che mantiene viva nei nostri cuori e nelle menti la visione della rivoluzione sociale.

Esportare l’isolamento

Già da fine Ottocento le polizie europee stavano cercando un coordinamento per reprimere il movimento anarchico (le leggi antianarchiche approvate a partire dal 1890 in vari Stati europei e la sistematizzazione della pratica della schedatura politica prendendo a modello la polizia asburgica ne sono un esempio), oggi siamo davanti a una vera e propria globalizzazione della repressione e della controrivoluzione. In questo contesto di coordinamento repressivo tra Stati, l’Italia si sta ponendo come modello nella differenziazione carceraria e nell’isolamento dei prigionieri. Soltanto nell’ultimo anno le democrazie francese e cilena hanno avviato interlocuzioni con i professionisti dell’antimafia e dell’antiterrorismo italiani per esportare nei loro paesi, entrambi attraversati negli ultimi anni da un forte livello di conflittualità sociale, il modello del 41bis.

“Al mattino il Ministro Darmanin e la delegazione sono stati ricevuti alla casa circondariale di Roma Rebibbia dalla capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria facente funzioni, Lina Di Domenico, e guidati dal Direttore del Gom – Gruppo operativo mobile, hanno visitato la sezione destinata ai detenuti sottoposti al regime del 41bis. […] A seguire, hanno incontrato il Procuratore Nazionale antimafia, Giovanni Melillo, presso Palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia.”[1]

Secondo le dichiarazioni di Darmanin la prima struttura di alta sicurezza ispirata al modello italiano dovrebbe essere completata a fine luglio 2025, con almeno altre due a seguire negli anni successivi. Se in Francia il 41bis è tornato solo oggi un tema della discussione politica nazionale, giustificato anche in questo caso dalla lotta alle mafie e al narcotraffico[2], da oltre un anno nel nuovo Cile democratico di Boric è in corso un dibattito sull’opportunità di implementare il regime del 41-bis, nel contesto più ampio di una riforma della gendarmeria e del regime penitenziario. Per il procuratore nazionale cileno Angél Valencia “È importante guardare all’esperienza italiana, gli italiani hanno ottimizzato i loro sforzi per combattere la criminalità organizzata, hanno creato nuove carceri rispettando gli standard europei sui diritti umani”[3]. Nel settembre 2024 l’ambasciata d’Italia a Santiago ha organizzato un incontro per presentale alla Corte costituzionale cilena il modello del 41-bis e la sua storia[4], tenuto dal Professor Antonello Canzano dell’Università Roma Tre il quale ha sottolineato come la sua genesi si trovi in ben trent’anni di storia repressiva dello Stato italiano.

“Questo quadro non è il risultato di un singolo intervento, ma di una graduale evoluzione normativa nel corso di 30 anni, continuamente adattata in base alla sua efficacia”, ha affermato il professore durante la sua esposizione in Aula, al termine della quale si è generato un interessante dialogo in chiave comparata a cui hanno partecipato anche i ministri Miguel Ángel Fernández, Nancy Yáñez, Héctor Mery e Marcela Peredo. Ampia attenzione è stata dedicata al cosiddetto “modello italiano” di lotta al crimine organizzato, di cui parte integrante rappresenta il regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario italiano, volto a neutralizzare la possibilità che gli autori di reati più gravi, soprattutto legati alla criminalità organizzata, possano condurre attività illecite dal carcere.”[5]

La visita di Canzano in Cile, lungi dall’essere un evento isolato è stata preceduta pochi mesi prima da quella del magistrato Giovanni Tartaglia Polcini, Consigliere del Ministero degli affari Esteri e vicedirettore del programma europeo EL PACCTO 2.0[6], il programma europeo di cooperazione con il Sud America per la lotta alla criminalità organizzata, non a caso con L’Italia come paese coordinatore. Degna di menzione è anche la nuova legge antiterrorismo cilena approvata a inizio febbraio 2025, più “moderna, efficace e democratica” che andrà ad ampliare il reato di associazione terroristica, permettendo la detenzione anche in assenza di reati specifici per chi all’occorrenza ne sarà considerato membro o anche solo “finanziatore” di un’associazione terroristica, andando a colpire in maniera più efficace anche la solidarietà fatta di benefit per i prigionieri.

L’inasprirsi delle tensioni internazionali, sociali e politiche dovute alla tendenza alla guerra e alle contraddizioni insite a questo sistema capitalista richiedono agli Stati un’azione sempre più preventiva, una contro-insurrezione in assenza di insurrezione, per garantire la tenuta del fronte interno in un periodo storico in cui il recupero delle lotte da parte dello Stato portato avanti tramite welfare e piccole concessioni non è ormai più sostenibile. Il carcere distilla “la quintessenza delle pratiche repressive legate alla ristrutturazione sociale e politica, in forme più palesemente autoritarie (quelle più asettiche dell’UE e quelle più becere dei sovranismi nazionali sono equivalenti da questo punto di vista, si vedano le politiche antimmigrazione e la propaganda di guerra in corso) in un occidente che ancora non si capacita di essere in piena crisi e cerca con una mano di arginare con manie securitarie le falle di una nave che affonda e con l’altra di arraffare quanto più possibile per riempirsi le tasche prima del naufragio.”[7] È in questo contesto che la guerra sul fronte interno si allarga e accelera il consolidamento di un diritto penale del nemico, con gli ultimi sviluppi repressivi come il DDL 1660 in Italia il quale prevede l’introduzione del reato di “terrorismo della parola”, fino ad ora non codificato ma comunque utilizzato nelle varie operazioni repressive contro la stampa anarchica come Sibilla e Scripta Scelera. Il DDL 1660 non si risparmia inasprimenti di pena anche sul fronte del carcere, aumentando le pene per rivolte e prevedendo un’aggravante per il reato di “istigazione a disobbedire alle leggi” se il fatto è commesso “all’interno di un istituto penitenziario o a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute”[8].

I regimi di alta sorveglianza e di isolamento diffusi nel mondo, con apice nel 41bis, puntano a rompere la solidarietà tra il dentro e il fuori del carcere e tra gli stessi prigionieri attraverso la differenziazione carceraria, anche per questo riteniamo che sia importante tornare a riflettere sulle esperienze di chi, come il Kolektivo Kamina Libre, sia sotto la dittatura, sia nel periodo di transizione alla democrazia, ha continuato a lottare sia all’esterno che all’interno del carcere contro l’oppressione e per una società radicalmente diversa, rompendo la divisione dentro/fuori per ottenere il ritorno in strada dei suoi membri, ma anche inserendosi, con le riflessioni sui prigionieri sociali, in un dibattito che in quegli anni sembrava schiacciato dall’opposizione prigionieri comuni versus prigionieri politici.

Marcelo Villarroel in strada!

Tuttx liberx!


Indice:

-Identità irriducibili
-Intervento di Claudio Lavazza per l’edizione in italiano
-Nota delle Ediciones Abandijas
-Come prologo
-Prologo II
-Introduzione
-Antecedenti generali
-Organizzazione ed espressione nel carcere di alta sicurezza
-L’uso del corpo come simbolo di espressione
-Conclusioni
-Allegati
La gabbia d’oro
Gli echi delle eliche
Pensando, pensando
La lotta dentro e al di fuori
Intervista a Kamina Libre
Detenuti sociali
-Alcuni poster e immagini
-Bibliografia
-Qualche domanda a Marcelo Villarroel
-Poche parole su Edizioni El Buen Trato
-Contributo di Marcelo Villarroel alle Edizioni El Buen Trato

Totale 210 pagine

Per contatti: presospolitico@anche.no

[1] https://ambparigi.esteri.it/it/news/dall_ambasciata/2025/02/italia-francia-nordio-incontra-lomologo-darmanin-3-febbraio/

[2] https://www.lefigaro.fr/actualite-france/gerald-darmanin-justifie-les-prisons-haute-securite-pour-les-narcotrafiquants-pour-affirmer-l-autorite-de-l-etat-20250203

[3] https://www.emol.com/noticias/Nacional/2024/04/22/1128642/carcel-italianas-modelo-chile-crimen.html

[4] https://ansabrasil.com.br/english/news/news_from_embassies/2024/09/06/italy-and-chile-united-in-the-fight-against-organised-crime_3ef7f9a4-9206-42ac-9a7b-3d89dad8b577.html

[5] https://ambsantiago.esteri.it/it/news/dall_ambasciata/2024/09/lambasciatrice-valeria-biagiotti-e-il-professor-antonello-canzano-in-visita-protocollare-al-tribunale-costituzionale/

[6] https://iila.org/it/al-via-la-seconda-fase-del-programma-el-paccto-di-lotta-alla-criminalita-organizzata-transnazionale-panama-11-13-marzo-2024/

[7] https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/02/03/anna-beniamino-fisiopatologia-del-mostro-carcerario-veleni-e-antidoti-ottobre-2024/

[8] Opuscolo “Lo Stato è guerra. Il Fronte interno della guerra. Diritto penale del nemico”

CREMONA: MANIFESTO CONTRO LA SICUREZZA


Diffondiamo:

L’OMBRA DEL SABBA NELLA ZONA ROSSA

«Così gli uccelli nella loro venuta fanno a pezzi il mondo perché odiano così tanto quel mondo che non li accetta che loro, a loro volta, non accettano altro che la distruzione di quel mondo».
Lee Edelman

Ebbene sì, anche la “pacificatissima” Cremona si tinge di rosso e non si tratta più solo del rosso che già ne intossica i cieli ad ogni colata dell’acciaieria Arvedi, ma della nuova proposta liberticida introdotta con la scusante dello “stop al degrado”. Ma d’altronde queste operazioni da parte di uno Stato sempre di polizia, che hanno già incontrato un’ottima palestra di rodaggio nel periodo della pandemia, in una città vetrina e provinciale come questa non sorprendono, anzi il più delle volte passano inosservate, come se l’addomesticamento fosse la bandiera di una “psicosi collettiva”, che si alimenta nella distrazione di massa.
Eppure qui nella nebbia ci sono teste ancora capaci di sollevarsi, guardare al di là delle sbarre di una prigione a cielo aperto; sono le teste dei reietti, delle pazze, delle escluse, dei recidivi, delle senza casa e dei senza patria, con i loro corpi scomodi per l’ingranaggio sociale e i loro lancinanti stridii
degni di un cupo stormo di corvi e cornacchie, pronte a cagare sulle loro volanti e beccargli dita e pupille.
Sotto la minaccia del daspo urbano si cerca di blindare intere città, appellandosi alla necessità di difesa da un nemico interno purtroppo immaginario e creato su misura dalla propaganda, che di volta in volta prende l’aspetto degli stranieri d’ogni nazione, così come delle sex workers o dei vandali imbrattatori.
Una manovra che pone un altro tassello nel mosaico di merda che chiamano Stato e che ogni giorno amplia la categoria dei deviati e delle degenerate, una categoria che permette immediatamente di identificare i possibili intralciatori del suo progetto, di modo da spazzarli via o inglobarli nella sua logica. Che le indesiderabili si oppongano, ad un mondo a cui si obbedisce senza neanche lo sforzo di dire si, disertare ogni ordine è già pensare un mondo altro e a agire di conseguenza.

Il manifesto in pdf: qui

COME PROVANO A RIEMPIRE UN CPR. AGGIORNAMENTI SU PRIGIONI, RAZZISMO DI STATO E RIVOLTE IN SICILIA

Diffondiamo da Sicilia No Border:

In questi ultimi giorni il Cpr di Trapani Milo ribolle.

Sono i giorni in cui i famigliari di Moussa Balde e Ousmane Sylla si trovano in Italia per ribadire con forza che i loro cari sono stati uccisi dai Cpr e dal regime di frontiera dello stato italiano.

Ousmane, prima di doversi togliere la vita nel Cpr di Ponte Galeria a Roma, dove “i militari italiani non conoscono altro che il denaro”, è stato detenuto 4 mesi a Trapani Milo. Da qui, a fine gennaio 2024, era stato spostato come molti altri, perché le rivolte che si susseguivano avevano infine reso inagibile la struttura.

Nell’Ottobre 2024, Milo ha riaperto. A novembre una prima nuova rivolta al suo interno, a mostrare che la situazione lì dentro è irrevocabilmente insostenibile: da un lato 5 celerini di Palermo che si certificavano feriti, dall’altro due fratelli tunisini portati prima nella camera di sicurezza della questura di Trapani, e poi in carcere. In questi giorni si vedono tanti furgoni di celerini entrare, almeno un’ambulanza con una persona dentro uscire.

Le storie di chi si trova intrappolato in questa prigione per migranti continuano a dare un’immagine chiara delle diverse funzioni a cui assolvono questi luoghi, oltre che delle tremende condizioni di vita all’interno e della costante violenza poliziesca.

Già conosciamo il ruolo minimo che il CPR di Trapani svolge all’interno del regime di frontiera: il collegamento logistico con l’hotspot di Pantelleria, i ripetuti trasferimenti delle persone identificate nell’hotspot di Pozzallo, Lampedusa o Porto Empedocle. Ma nelle ultime settimane si sta cercando di far tornare a funzionare il Cpr a capienza piena. Alla riapertura in Ottobre si parlava di circa 80 posti, circa un terzo di quanti ce ne fossero prima delle rivolte di Gennaio 2024, ma in questi mesi i detenuti sono aumentati e i posti previsti da bando della prefettura sono i 200 di prima. Mentre dall’alto dello scranno ministeriale si mandano ordini a prefetti e questori di tutta Italia per aumentare gli arresti e le detenzioni di persone immigrate, il Cpr di Trapani si va riempiendo rapidamente di umanità eccedente, in arrivo da ogni parte: dalla Sicilia, dal resto d’Italia, da altri Cpr, dalle carceri, dalle città e dalle campagne. Tutto a grosso profitto degli enti gestori: le cooperative sociali “Vivere Con” e “Consorzio Hera” prima e “Officine sociali” ora.

Ora i reclusi sono circa 130 e la situazione all’interno è totalmente militarizzata e invivibile.

Ma andiamo con ordine.

A inizio Gennaio, al carcere Cavadonna di Siracusa, più di seicento detenuti iniziano una protesta contro la circolare del provveditorato siciliano del DAP in cui si vieta l’ingresso in carcere di molti cibi, tra cui la farina, e vestiti invernali. Viene negato calore. Materiale, perché come ci si scalda senza vestiti in strutture che son senza riscaldamento e acqua calda? E simbolico, quello delle relazioni, del poter ricevere cose da fuori e, dentro, poter cucinare e condividere momenti di socialità. E’ una questione di sicurezza, dicono i carcerieri, declinandola in una retorica paradossale. Si tratterebbe, infatti, di evitare che nei pacchi entrino beni pericolosi non solo perché infiammabili, ma perché “voluttuari”, perché mostrano posizioni “di privilegio” tra detenuti. Secondo il provveditore sarebbe infatti questo a non permettere “una gestione penitenziaria equilibrata ed equa”.

Molto equa ed equilibrata sarebbe allora invece la detenzione al CPR di Milo, dove l’unico cibo fa per tutti schifo e i pacchi sono ritenuti ancora più “voluttuari”. Possono contenere cibo e vestiti senza zip e cappucci, no ai libri. Possono essere depositati in teoria ogni giorno, tranne la domenica, fino alle 20, ma poi chissà quanto ci mettono ad arrivare tra le mani dei reclusi. Nei CPR siciliani il cellulare non lo puoi tenere e a Milo le telefonate costano care e se non hai contanti non chiami proprio nessuno. E sparisci. Anche per il tuo avvocato. E ti isolano. E ti fanno sentire ancora di più che potresti sparire da un momento all’altro.

A Siracusa lo sciopero del carrello, della cucina e le battiture, hanno consentito ai detenuti di negoziare sulla circolare, riducendo il numero di beni vietati all’ingresso. Nelle settimane successive sappiamo di un aumento di detenuti, soprattutto egiziani, al Cpr di Trapani in arrivo dal Cavadonna di Siracusa. Non è chiaro se si tratti di trasferimenti espressamente punitivi o (più probabilmente) per fine pena e mancanti rinnovi del permesso di soggiorno dentro il carcere, fatto sta che i trasferimenti sono coincisi con la mobilitazione che ha messo in seria difficoltà le autorità carcerarie e che ha visto la protesta allargarsi da Siracusa al Pagliarelli di Palermo, dove più di quattrocento detenuti sono stati per due settimane in sciopero del carrello. Chissà cosa succederà quando il ddl sicurezza entrerà in vigore: tutte queste minime pratiche di autodifesa costeranno un’incriminazione per rivolta e da 2 a 8 anni di carcere.

Sappiamo che da tempo ogni mese da Roma parte un charter di deportazione verso l’Egitto che fa scalo anche a Palermo. Aeroitalia è l’ultima compagnia che sta facendo i voli in questi mesi. E’ plausibile che i trasferimenti dal carcere di Siracusa a Milo facciano parte della macchina della deportazione: che preparino l’imbarco o un rilascio con un ordine di espulsione.

Ma al Cpr di Milo non ci arriva soltanto chi è già recluso in Sicilia. A metà febbraio un volo charter ha portato al Cpr di Trapani una decina di detenuti del Cpr di via Corelli a Milano. Lì era sovraffollato, mentre a Trapani c’era posto e il Cpr andava riempito, c’è da arricchire il nuovo ente gestore. Cosa di meglio se non trasferire un po’ di eccedenza umana, magari provando a liberarsi di chi disturba la “quiete” del Corelli.

Continuano anche i trasferimenti dall’hotspot di Pantelleria, dove ci sono stati sbarchi nelle scorse settimane: si parla di decine di persone che stanno così ingrossando il numero dei prigionieri e le tasche dell’ente gestore.

Nel frattempo, mentre a Catania il prefetto ha istituito le zone rosse in gran parte del centro cittadino, utilizzando argomentazioni esplicitamente razziste che prendono di mira lavoratrici sessuali straniere e negozianti gambiani e senegalesi, a Palermo (ma anche a Messina), fermi e raid polizieschi delle ultime settimane hanno portato diverse persone a finire ingabbiate a Milo. Persone che spariscono nelle caserme e solo giorni dopo vengono ritrovate rinchiuse in Cpr.

Per non parlare di quanto successo a Ribera. Il 10 febbraio, nel pieno centro del paese dell’agrigentino, in questo periodo pieno di lavoratori stagionali per la raccolta dell’arancia dichiarata DOP in Europa, un ragazzo tunisino, Mahjoub Aymen, è stato freddato da tre colpi di pistola. Una settimana dopo, polizia e altra gendarmeria ha portato in commissariato decine di persone come parte delle indagini. Sono andati a prendere gente allo stesso bar dell’omicidio, ma anche negli insediamenti informali dove lavoratori stagionali stanno in questo periodo di raccolta. Molti di loro non sono più usciti liberi dalla caserma, ma rinchiusi anch’essi al Cpr di Milo.

Ci sono due elementi che meritano attenzione in questo rinnovato protagonismo del Cpr di Milo.

Il primo è legato al ruolo che continuano ad assumere le cooperative sociali che si susseguono nella gestione del CPR di Trapani: “eccellenze” siciliane che tenendo insieme accoglienza e detenzione hanno fatto fortuna e vincono bandi in tutta Italia.

La società cooperativa sociale onlus “Consorzio Hera” con sede a Castelvetrano (TP), ha gestito il CPR di Trapani per anni, fino a novembre 2024. Nasce nel cuore del più grosso distretto di olive da tavola di Italia, è un attore ben posizionato nel mercato della detenzione, gestendo anche l’hotspot di Pozzallo, il Ctra di Modica-Ragusa e il Cpr di Brindisi, dove gestisce anche il CARA e non dimentichiamo che ha provato a guadagnarsi anche la gestione dei centri Albania, poi vinta da Medihospes. Ma, soprattutto, è molto presente con centri di accoglienza, CAS e centri per minori nelle campagne tra la provincia di Trapani e quella di Agrigento. La sappiamo gestire diversi centri d’accoglienza a Campobello di Mazara, dove ogni anno da Settembre centinaia di lavoratori soprattutto West Africani si ritrovano per la raccolta delle olive e si organizzano contro la macchina dello sfruttamento e del razzismo. È lì che nel 2021 ha perso la vita Omar Balde, lavoratore morto bruciato nell’incendio del ghetto, ed è da lì che quando il ghetto è stato sgomberato, nell’estate del 2023, alcune persone sono state portate al Cpr di Milo. Cosa non strana, perché ogni anno, fuori dalla stagione di raccolta, raid polizieschi portano persone da Campobello al Cpr di Milo.

Il Consorzio Hera, che prova a ripulirsi la faccia pubblicamente parlando di diritti e progetti di inclusione, con tanto di servizio civile e progetti di etnopsicologia, è in realtà attore cruciale della macchina dello sfruttamento e della detenzione degli immigrati in Italia (e ne trae pure un bel profitto!).

Lo stesso si può dire per l’ente che da qualche mese lo sta ora gestendo: Officine Cooperative sociali, con sede a Siracusa. E’ anch’essa molto abile nel tenere insieme business detentivo e accoglienza: ora gestisce il CPR di Palazzo San Gervasio (PZ), di Macomer (NU) e di Bari, nonché il CARA di Borgo Mezzanone, l’hotspot di Taranto, il CPA di Pian del Lago (CL). Il suo bilancio è passato dai 559.106 euro del 2021 ai 5 milioni del 2023, fino a raggiungere più di 14 milioni di euro nell’ultimo anno, proprio in coincidenza con l’ottenimento della gestione delle due strutture di Caltanissetta prima e Trapani poi. Bel risultato per una cooperativa che è nata nel 2016 con l’obiettivo di “promuovere inclusione sociale e lavorativa”.

Da questa prospettiva, è chiara la necessità di continuare a prendere consapevolezza che non ci si può troppo perdere in distinzioni e distinguo tra detenzione e accoglienza, come non si stancano di ripetere da anni i richiedenti asilo costretti a vivere al CPA di Pian del Lago, a Caltanissetta, che è contiguo al CPR e condivide con questo parte delle stesse recinzioni. Ancora nell’estate del 2022 hanno più volte occupato le strade del centro città, denunciando le condizioni di detenzione di fatto prodotte dall’effetto combinato di sorveglianza costante, minacce da parte del personale, sottrazione del pocket money, assenza di cure mediche, limitazioni delle possibilità di uscita e 7 chilometri di distanza dal centro cittadino in assenza di alcun tipo di collegamento.

Chiara risulta anche la necessità di ribadire che il CPR è una struttura detentiva, espressione del razzismo di stato, che si articola e riproduce insieme agli interessi del capitale privato, quello dell’agroindustria in primis.

Il secondo elemento è che la rinnovata centralità di Trapani Milo è dovuta anche allo svuotamento del Cpr di Caltanissetta (sappiamo anche di trasferimenti da Pian del Lago a Milo) in previsione dei lavori di ristrutturazione. Infatti è cosa nota che le continue rivolte di questi anni hanno ridotto grandemente la capacità di recludere del centro. E così, gli 11 milioni messi a bando l’anno scorso per l’ampliamento del Cpr stanno trovando concretezza nei lavori che dovrebbero iniziare in queste settimane. Come è possibile ricostruire dal bando della Prefettura di Caltanissetta, l’ampliamento porterà a un incremento di ulteriori 56 posti che si aggiungono ai 92 posti attualmente disponibili. A occuparsi dell’ampliamento e a costruire gli immancabili nuovi uffici per il nuovo personale delle forze dell’ordine che verrà mobilitato all’interno, saranno la Sicil Techno Plus s.r.l, la M.E.GAS. s.r.l. e la Conpat scarl, le prime due con sedi legali rispettivamente a Belpasso e Bronte (CT), la terza proveniente da Roma. A dicembre 2024, secondo quanto è stato possibile ricostruire, i reclusi effettivamente presenti dentro il CPR erano circa una trentina.

L’ampliamento del CPR rafforzerà la capacità di cattura di questa macchina della deportazione, che si salda direttamente con la macchina dello sfruttamento delle persone razzializzate in Sicilia, con un elevato numero di reclusi catturati direttamente dalle campagne siciliane, come nel caso dei lavoratori stagionali della fascia trasformata ragusana. Qui i padroni ne sfruttano la condizione di deportabilità attraverso la messa a lavoro in condizioni disumane per poi denunciarne la condizione di “irregolarità” per evitare di pagarli. Una macchina di sorveglianza e cattura che sembra estendersi a macchia d’olio anche in città, in una Caltanissetta sempre più “smart”, con il moltiplicarsi di videocamere di sorveglianza a seguito dei “nuovi patti per la sicurezza urbana” che il Prefetto Armenia ha siglato con i sindaci di Caltanissetta e Gela a ottobre 2024. Che si aggiungono agli occhi sempre presenti delle guardie in pattuglia, che soprattutto in Piazza si possono vedere passare decine di volte in poche ore. A questo si aggiunge la recente “svolta per la sicurezza urbana”, ossia l’assegnazione da parte del Comune di Caltanissetta dei lavori per la “riqualificazione” del chiosco tra due delle principali vie del centro storico all’associazione “Formazione Sicurezza” che dovrà ristrutturarlo perché sia utilizzabile per le “associazioni di volontariato” delle forze dell’ordine. Così, a quanto annuncia la Prefettura, questa ex edicola diventerà ulteriore spazio di vigilanza sul centro storico.

È probabile che il Cpr di Pian del Lago chiuderà per un periodo per garantire la sicurezza dei lavori, e che Milo diventerà ancora più centrale in tutti i meccanismi detentivi sull’isola (e non).

Pian del Lago poi riaprirà, pieno di speranze repressive e telecamere di ultima generazione.

E poi entrambi verranno distrutti, ancora una volta.

Finché non ce ne libereremo, di questi come di tutti i Cpr, grazie al fuoco dei reclusi e a quello della solidarietà.

 

NUOVO OPUSCOLO: SULLA LOTTA CONTRO GLI SFRATTI TRA PORTA PALAZZO, AURORA E BARRIERA DI MILANO [TORINO]

Riceviamo e diffondiamo:

Questo opuscolo nasce dall’idea di un’iniziativa svoltasi a Firenze
nel 2022 per parlare della lotta agli sfratti portata avanti tra il 2011
e il 2014 a Torino. L’iniziativa, al tempo, era composta da pezzi di
audio, interviste, articoli, fanzine e interventi radiofonici rilasciati
da chi ha partecipato a quella lotta in quegli anni. Oltre a delle
valutazioni personali a posteriori sul percorso, i suoi limiti e quelle
che erano le prospettive sperate. Per completezza si aggiungeva
una (se pur parziale) cronologia dei fatti e degli eventi di maggior
importanza di quel periodo e in quel ambito specifico. Questo
opuscolo parte da quelle considerazioni e cerca di sviscerare alcuni
degli aspetti che hanno caratterizzato la lotta agli sfratti a Torino nei
quartieri di Porta Palazzo, Aurora e Barriera di Milano.

Ho deciso di scrivere questo opuscolo perché penso che se pur
quell’esperienza è andata concludendosi e se pur il periodo di
lotta preso in considerazione in questo scritto non copra tutto il
percorso (dopo il 2014 la lotta è proseguita ancora per diversi anni)
quell’esperienza è stata rilevante sia per chi vi ha direttamente
partecipato sia per chi viveva quelle strade al tempo. Oltre che per
la necessità di non lasciar cadere nell’oblio quelle che sono state
esperienze di lotta poiché se pur limitate nel tempo e nello spazio o
piene di contraddizioni e problematicità lasciano comunque spunti di
riflessione e possibilità di ragionamenti futuri. […]

OPUSCOLO IN PDF: torino lotte contro gli sfratti

USO DI SOSTANZE E CULTURA DELLO STUPRO

Riceviamo e diffondiamo:

Questo scritto è il frutto di alcune riflessioni che ho fatto, da solo o con compagnx, nel corso degli ultimi anni. Chi scrive è una persona socializzata maschio, cis, bianco, europeo, che vive in un ambiente piccolo borghese (perlopiù ex studentx universitarix), utilizzatore di sostanze e frequntatore di rave party e serate di musica elettoronica. Mi rivolgo, principalmente ma non solo, ai maschi cis etero, sperando di stimolare riflessioni personali e dibattiti, in una prospettiva di distruzione di privilegi e per essere alleati migliori delle lotte transfemministe.

SCARICA, STAMPA, DIFFONDI!

Testo in PDF

NUOVO OPUSCOLO: PRIMI PASSI… ATTRAVERSO IL DDL SICUREZZA VERSO UNO STATO DI GUERRA

A cura di Materiale Piroclastico

«È la preparazione della guerra in altri ambiti – politici e sociali – che da lungo si preparano ad essere qui arrivati ad un punto di svolta. Dopo i passi che la legislazione emergenziale ha approntato in questi anni, con il ddl 1660-1236 è la volta di scoprire le carte, con un bel salto in avanti. Il terreno è finalmente fertile per l’accrescersi del sentimento patriottico, il pozzo è avvelenato, la costruzione del nemico è ultimata, le forche sono distribuite ai passanti.»

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NUOVA PUBBLICAZIONE (PRIMA VOLTA IN ITA): PREPARARSI ALLA TORMENTA. RIFLESSIONI ANARCHICHE SULL’ORGANIZZAZIONE

Diffondiamo:

Prepararsi alla tormenta. Riflessioni anarchiche sull’organizzazione.
Di Grupo Tensión (Madrid). Titolo originale “Prepararse para la tormenta. Reflexiones anárquicas en torno a la organización” pubblicato originariamente da Afilando Nuestras Vidas, febbraio 2024.
Traduzione a cura di La Riada, editato da Robin Book, dicembre 2024.

«Quali contribuiti, quali esperienze troviamo nel nutrito arsenale delle idee anarchiche, rispetto a strumenti così comuni come l’organizzazione, l’assemblea, la conflittualità, la progettualità, l’azione diretta o le relazioni tra individui e collettivo?

Come affermiamo la negazione del principio di autorità in forma di lotta permanente contro la stagnazione, la burocrazia, il culto del feticcio organizzativo, l’identità corporativa, il consenso, la democrazia, l’assemblea, lo schiacciamento dell’individuo, la rinuncia ai principi e all’essere inghiottiti dai meccanismi dell’integrazione, riproduzione e assimilazione al sistema capitalista e allo stato?

Cosa intendiamo per conflitto, attacco, azione diretta, sabotaggio, agitazione? Qui troverete un punto di partenza per porci queste domande a partire dall’esperienza pratica dei gruppi d’affinità anarchici, cellula primordiale di un invariabile numero di possibilità orientate al conflitto permanente come unica via per evitare la pacificazione e l’integrazione nelle logiche del sistema.

La cospirazione anarchica assume molte forme.»

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NUOVA PUBBLICAZIONE TREMENDE EDIZIONI, COLLANA LE FURIE: RISTAMPA DI MARIA NIKIFOROVA, LA RIVOLUZIONE SENZA ATTESA.

Riceviamo e diffondiamo

NUOVA PUBBLICAZIONE TREMENDE EDIZIONI COLLANA LE FURIE: RISTAMPA DI MARIA NIKIFOROVA, LA RIVOLUZIONE SENZA ATTESA. L’epopea di un’anarchica attraverso l’Ucraina 1902-1919.

“Il nostro compito è di preparare le masse ad una sollevazione ampia e popolare, e di fare la rivoluzione non al posto del popolo, ma con il popolo. È necessario attaccare con violenza la borghesia per distruggere i fondamenti della rivoluzione borghese, oltre che combattere il nazionalismo ucraino. È necessario trovare fondi per la stampa, come è necessario confiscare armi”.

Fino a dove spingere il processo rivoluzionario quando questo non porta che ad un cambiamento al vertice dello Stato? Quando gli operai si stanno impossessando delle fabbriche e i contadini delle terre, come fare affinché la sedia del potere resti vuota e soprattutto le sue gambe vengano frantumate? Che fare quando la contro-rivoluzione arriva da ogni parte? Come evitare di cadere nella trappola di “fare la guerra” a scapito di “approfondire la rivoluzione”? Come riconoscere i falsi amici tra i rivoluzionari dalle intenzioni tuttavia sincere? Quali sono le conseguenze del coordinarsi con gruppi autoritari in un “fronte comune”? Quest’ultimo tipo di strategia sembra in questo caso impossibile senza rinunciare a parte delle proprie idee, ed è d’altronde questa la conclusione che trarrà Maria Nikiforova dopo aver sperimentato un’alleanza con i bolscevichi. Seguiamo il suo percorso non per rallegrarci delle sue alte gesta militari, ma come un’esperienza di situazioni piene di sconvolgimenti rivoluzionari e di difficoltà, come una finestra per affrontare una storia fatta da una successione di possibilità non necessariamente accadute.
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DALL’INTRODUZIONE:

Ristampare Maria Nikiforova. La rivoluzione senza attesa è per noi una convergenza di intenti dei due progetti a cui stiamo lavorando: la collana “Le Furie” che si occupa di monografie di donne anarchiche e la collana, di prossima uscita, “La Vita Non Attende” che si concentra prevalentemente ma non esclusivamente sulle figure femminili rivoluzionarie e anarchiche dal 1860 agli inizi del Novecento in Russia partendo dalle nichiliste russe, passando per Narodnaja Volja e arrivando alle cernoznamentsy e beznach’alsty. Sarà nel terzo volume di questa serie, infatti, che incontreremo stralci dei diari della Nikiforova. […] Non esiste il culto di Maria Nikiforova, fortunatamente. Non è una Kollontai né una Kutuzova. Nessuna storiografia della sua vita. In parte ciò è dovuto al fatto che trascorse gran parte della sua vita in clandestinità: si unì ad un gruppo terroristico anarchico che metteva in atto azioni bezmotivny all’età di 16 anni e rimase “allo scoperto” solo per due anni (1917-1919). Quindi ci sono pochissimi documenti per risalire alla sua attività e solo foto segnaletiche. Il riconoscimento le poteva essere fatale.

[…] Marusya rappresenta il lato distruttivo dell’anarchismo ma, come scriveva Bakunin, la passione di distruggere è anche una passione creativa. Lei la rivolta non solo l’ha agita ma ha trovato prima di tutto uno spazio per pensare la rivoluzione come parte integrante della Storia. Le condizioni materiali presenti da sole non bastavano, Maryusa ha pensato, osato e voluto quella rivoluzione. Per questo quella di Marusya è stata azione cosciente nella coscienza dell’azione. Questa ristampa, inoltre, ci sembra un’occasione non solo per coinvolgere un compagno prigioniero in un progetto editoriale ma un modo per proseguire il suo.

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SOMMARIO

PACE ALLE CAPANNE GUERRA AI PALAZZI!
INTRODUZIONE ALL’EDIZIONE FRANCESE
EPOPEA DI UN’ANARCHICA ATTRAVERSO L’UCRAINA.
UNA GIOVINEZZA Di BEZMOTIVNIKI
IL GRANDE VIAGGIO
GIORNATE RIVOLUZIONARIE A PIETROGRADO
ALEKSANDROVSK E HULJAJ-POLE
IL COLPO DI STATO DI OTTOBRE IN UCRAINA
LA MINACCIA COSACCA
LA DRUZHINA DEL LIBERO COMBATTIMENTO
LE BATTAGLIE DI ELISAVETGRAD
LA LUNGA RITIRATA
PROCESSO A TAGANROG
UN INVERNO ODIOSO
RITORNO A HULJAJ-POLE
LA ROTTURA
ANARCHICI UNDERGROUND
NON PENSARE MALE DI ME
GLI ANARCHICI UNDERGROUND IN UCRAINA 1920-1930
LA STORIA DI UN VOLANTINO E IL DESTINO DELL’ANARCHICO VARSHAVSKIY
POSTFAZIONE
RIFERIMENTI CRONOLOGICI
PICCOLA BIBLIOGRAFIA


MARIA NIKIFOROVA, LA RIVOLUZIONE SENZA ATTESA. L’epopea di un’anarchica attraverso l’Ucraina 1902-1919.
198 pagine, formato A5.
7 euro copia singola
6 euro dalle 5 copie
1,50 euro piego di libri o 5 euro posta tracciabile
per info e ordini: tremendedizioni@canaglie.org


“E sarà terribile la Federazione del Dolore”