CHI DEVASTA È LO STATO, CHI SACCHEGGIA È IL CAPITALE

Diffondiamo

All’alba di giovedì 20 novembre è scattata l’operazione Ipogeo orchestrata dalla Procura di Catania, con perquisizioni a Catania, Palermo, Messina, Siracusa e Bari. Per tre delle sedici compagnx inquisitx è stata disposta la detenzione in carcere come misura cautelare. I fatti contestati riguardano quanto accaduto durante il corteo di Catania dello scorso 17 maggio contro il Decreto Sicurezza.

Interruzione di pubblico servizio, imbrattamento, lesioni personali, rapina e devastazione e saccheggio, queste le principali accuse che la Procura muove ai sedici compagnx. Il recupero di devastazione e saccheggio, reato introdotto nel ventennio fascista con il Codice Rocco e rispolverato e sdoganato dal G8 di Genova in poi, è del tutto strategico. La sua estrema ambiguità ne permette l’applicazione nei contesti più disparati facendone deterrente perfetto per cortei e manifestazioni che non intendono rientrare nei recinti della concertazione, che non si accontentano di mere passeggiate e anzi esprimono nelle strade un saldo antagonismo politico. Inoltre, la severità delle pene (dagli otto ai quindici anni) che questo reato prevede lo rende strumento ideale per terrorizzare e reprimere la conflittualità.

A rendere il quadro ancora più tetro contribuisce l’uso diffuso del dispositivo del concorso in reato, anch’esso largamente elargito a buona parte delle compagnx inquisitx nell’Operazione Ipogeo. Si tratta di un articolo del Codice penale che colpisce chi si ritiene concorrere materialmente o moralmente al reato contestato, prevedendo la stessa pena di questo.  Per la Questura e la stampa è stata l’ennesima occasione per rivomitare all’opinione pubblica la solita retorica dei buoni e dei cattivi. Ci ripetono che chi mette in campo pratiche che eccedono il recinto della legalità è un infiltratx che inquina le lotte giuste, quelle ben perimetrate dei sinceri democratici, e va quindi isolatx.

Il corteo al centro dell’operazione, che ha attraversato Catania passando sotto il carcere di Piazza Lanza, si opponeva al Decreto Sicurezza, l’ennesimo strumento con cui Stato e padroni si armano nella guerra interna contro oppresse e sfruttati. Il cosiddetto Decreto Sicurezza, divenuto legge a giugno, con il suo nauseabondo insieme di nuovi reati e aggravanti prevede sempre più carcere per gli esclusx e per chi si ribella allo stato di cose presenti. Contro queste misure le compagnx arrestatx e inquisitx si sono oppostx e per questo sono statx colpitx dalla repressione. È fondamentale ora non lasciarlx solx mostrando vicinanza, supporto e solidarietà.

Dove il livello dello scontro si abbassa, la repressione ha campo libero. Di fronte alla stretta repressiva l’unico modo che abbiamo per resistere non è piegarci alle regole della controparte, ma dare forza e nutrire le nostre pratiche reagendo all’isolamento. Anche le recenti piazze in solidarietà alla resistenza del popolo palestinese lo hanno dimostrato: non accettare le limitazioni imposte dal nuovo Decreto Sicurezza rende più difficile allo Stato e ai suoi gendarmi applicarne il contenuto.

L’UNICO INFILTRATO È LO STATO!
ADESSO E SEMPRE SOLIDARIETÀ!

BAK, LUIGI E ALE LIBERX!

Per il supporto ai compagni scrivi a vumsec@canaglie.net

OCCHI INDISCRETI. RELAZIONE SULLE MODALITÀ E GLI STRUMENTI DI REPRESSIONE DIGITALE


Diffondiamo da Arachidi:

La tecnologia digitale pervade ogni ambito delle nostre vite, e di certo la repressione statale delle lotte non sfugge a questa regola.

In quanto amici e compagne informatiche periodicamente siamo sottoposte a sessioni di domande su quello che sbirri e questure varie possono fare; altrettanto spesso, ci capita di essere a tiro di comportamenti che denotano una certa leggerezza, e che poco tengono conto di quanti strumenti i suddetti possano avere, e di quanto negli ultimi anni il budget destinato a strumenti di controllo all’avanguardia sia aumentato.

Per questo motivo, e per molti altri, abbiamo deciso di scrivere questo testo che raccogliesse un po’ di informazioni in modo schematico su ciò che abbiamo visto o letto avvenire in questo ultimo periodo (esteso agli ultimi 3 anni circa).

Questo testo NON è pensato per far nascere paranoie, ma come una forma di collettivizzazione; tuttavia questa raccolta può non essere comprensiva di tutte le tecniche utilizzate dallo stato, anche perchè purtroppo della maggior parte si viene a sapere a posteriori, ossia a indagini concluse.

Qui il sul sito il testo completo.

SULL’OPERAZIONE MAISTRALI A CAGLIARI

Diffondiamo:

Testo in PDF

NON PIEGARE LA TESTA DI FRONTE ALLO STATO E AI SUOI SERVI

CONTRO LA GUERRA DEGLI STATI

CONTRO LA PACE SOCIALE

Ci sono molti modi di uccidere. Si può infilare a qualcuno un coltello nel ventre, togliergli il pane, non guarirlo da una malattia, ficcarlo in una casa inabitabile, massacrarlo di lavoro, spingerlo al suicidio, farlo andare in guerra ecc. Solo pochi di questi modi sono proibiti nel nostro Stato.
B. Brecht “Il libro delle svolte”

Il 21 novembre ancora una volta la Digos di Cagliari e il tribunale lanciano una maxioperazione, denominata “Maistrali”, in cui sono indagatx 36 compagnx per vari reati e 10 di questi anche per associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (il famigerato 270-bis), per le lotte anticarcerarie, antimilitariste e antifasciste, scritte sui muri comprese, condotte dal 2020 sino ad oggi. Fatti che sbirri e tribunale cuciono insieme in maniera bizzarra per poter giustificare le loro interpretazioni e le loro richieste. Nonostante lo Stato accusi di terrorismo chi lotta, l’unica motivazione di questa operazione è ancora una volta diffondere paura per combattere il conflitto sociale emergente in gran parte del pianeta.

Mentre l’opinione pubblica è stordita dai social e dai bombardamenti mediatici sulla sicurezza, gli stati e i loro eserciti continuano ad armarsi, con enormi investimenti senza precedenti, impoverendo lavoratorx e sfruttatx. Per giustificare questa politica hanno bisogno di creare un nemico. Infatti, la soluzione più facile è classificare la popolazione in amici e nemici, individuando come nemici coloro che non vogliono o non possono ottemperare alle prescrizioni di un sistema capitalistico diretto, con sempre più determinazione, verso l’annientamento dell’essere umano. I nuovi reati, le misure di prevenzione, il carcere, la tortura sono un utile monito verso chi non sia ancora convinto di schierarsi dalla parte dello Stato.

Ogni volta che il conflitto sociale prende forza, lo Stato emana leggi che rilanciano norme per controllare ogni dissenso in qualunque forma si manifesti. Norme scritte in maniera da dare la possibilità ai giudici di interpretarle, variando arbitrariamente la fattispecie di reato e colpire più pesantemente tuttx coloro che si oppongono e tuttx coloro che sono solidali.

L’irrogazione sfrenata di misure preventive per chi tenti di lottare nei luoghi, siano piazze, carceri o cpr, in cui lo Stato esercita la sua violenza razzista contro poverx e migrantx, ha il solo fine di proteggere quei luoghi che servono per separare il proletariato dai potenti e dai padroni. La continua collaborazione tra forze di polizia ed esercito è utile allo Stato per proteggere gli sfruttatori e i loro servi, picchiatori fascisti e i militari, tutti criminali assassini appena capita l’occasione, tanto in tempi di guerra come in tempi di pace.

Siamo convinti che l’unico modo per protestare contro le regole sia infrangerle; quanto più il sistema ha paura più cerca di incuterne a chi si oppone, anche normalizzando l’uso della violenza verso chi non si adegua. La voglia di libertà non può essere fermata dalle concessioni del potere, la libertà ce la si prende. Non facciamo e non faremo nessun passo indietro rispetto alle nostre scelte e alle nostre lotte ribadendo che non saranno i loro processi, con le sentenze che vorrebbero già scritte, le loro minacce e le loro torture ad impedirci di stare sempre dalla parte dei deboli e degli sfruttatx che lottano.

TUTTX LIBERX

SEMPRE DALLA PARTE DI CHI LOTTA

FUOCO ALLO STATO E ALLE GALERE

Anarchicx contro carcere e repressione

FIORI, POMPELMI E GRANATE. Note sulla logistica di guerra a partire dal Mercato AgroAlimentare di Padova


Diffondiamo questa zine sul Mercato AgroAlimentare di Padova, uno studio della logistica del cibo legata a Israele e alcune necessarie riflessioni.

Troppo spesso sembra che la macchina bellica risieda in zone ben precise delle nostre città, spesso ben delimitate e controllate. Ma sappiamo bene che non è così. La macchina bellica è la nostra stessa città, i rapporti che essa ci costringe ad intrattenere, la repressione che disegna indisturbata il tracciato che le nostre vite devono seguire.
La guerra è un assetto che informa tutti i rapporti sociali, economici e relazionali, che ci colonizza ogni giorno: è nelle nostre vite che si gioca la guerra sociale, perché è nelle vite di tutti i giorni che viene intessuta la trama della guerra, delle alienazioni, delle dipendenze, delle piccole e grandi sconfitte.
Ci siamo direttx, con questa consapevolezza, al cuore di ciò che è sottratto alla vista, di quei luoghi (fisici, sociali o personali) che sono stati spersonalizzati, resi astratti, smaterializzati e dislocati in mille punti. Con la volontà di ridare consistenza alle cose a cui hanno tolto ogni concretezza abbiamo ritrovato quei potenziali punti d’attrito che erano stati strategicamente spezzettati a tal punto che le loro mille parti, prese per singole, non sembravano nemmeno tanto male. Seguendo queste intuizioni, calandole nella nostra geografia urbana, siamo arrivatx al cibo. Al Mercato AgroAlimentare di Padova.
E’ più facile che le persone si mobilitino contro Israele parlando di armi. Le armi rendono tutto più comprensibile, anche solo perché sollecitano empatia, ispirazioni umanitario, o qualche straccio di principio. Le armi sono brutte, uccidono i civili, mutilano i bambini, distruggono gli ospedali. Ma questo nesso non basta.
Appena perdiamo il contatto con i container pieni di componentistica o ci allontaniamo da una fabbrica della Leonardo, ecco che quelle persone che si erano mobilitate tornano alle loro vite, con quel velo di soddisfazione di aver fatto la loro parte in una sceneggiatura in cui facevano parte dellx buonx della storia.
Dobbiamo svincolarci dal solo distacco e dalla semplice disapprovazione emotiva degli orrori della guerra, per afferrare che quella guerra passa nella nostra quotidianità, nel cibo che mangiamo, nelle risorse che consumiamo, nei luoghi che attraversiamo. La guerra è qui, e se le persone afferrassero quanto sia ingombrante nei nostri giorni e nelle nostre città non sarebbero così tranquille e placide al ritorno da un corteo.
Un drone, una mina, è il frutto ultimo del complesso bellico, che si sostanzia del nutrimento delle radici di un sistema che è il nostro sistema, che è la nostra società. La costruzione di una granata non parte dalla fabbrica di granate, né dall’ufficio di un progettista o dal ministero che trova i fondi per le spese, ma inizia quando compriamo un fottuto pompelmo, quando accettiamo gli sbirri nei nostri quartieri, quando tolleriamo una molestia.
Il cibo sporco di sangue palestinese, coltivato su terreni espropriati dagli israeliani, è un veicolo immediato e spendibile per agganciare una consapevolizzazione diffusa più profonda e diretta sulla macchina bellica, che lega la guerra non a un post instagram, ma a un cibo che si ha in casa, che si mangia quotidianamente. La guerra è arrivata fin dentro i nostri frigoriferi, e nessunx se ne è accortx.

PDF:  FIORI, POMPELMI E GRANATE. Note sulla logistica di guerra a partire dal Mercato AgroAlimentare di Padova

TRE FROCIX ENTRANO IN QUESTURA… SMASH. SULLE RECENTI PERQUISIZIONI AI DANNI DI TRE COMPAGNX PADOVANX

Riceviamo e diffondiamo:

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11 settembre 2025.
Padova, città dalla forte vocazione universitaria ma ancor prima borghese e benestante, ha attraversato un recente periodo esemplare nel panorama nazionale: un’estrema militarizzazione del suo perimetro urbano ha portato ad una profonda pacificazione sociale. La sua tradizione lottarmatista è stata in parte dimenticata e in parte istituzionalizzata, lasciando nel tracciato cittadino solo uno sbiadito ricordo della prima cellula di Ordine Nuovo nata proprio qui, o delle prime azioni delle Brigate Rosse e dei natali dati a Toni Negri.

Assistiamo da anni a uno spettacolo politico insopportabile, con le poche forme di antagonismo attive e partecipate schiacciate sui soli social media, private di ogni incisività sul reale: il potenziale dissidente della lotta si esaurisce costantemente nel puro simbolismo. Le espressioni di dissenso di maggior intensità sono figlie di un patto non detto con le appendici dell’apparato repressivo (sbirri, magistratura, istituzioni politiche), esaurendosi in momenti di aperto scontro scenici e circoscritti nel tempo, nelle modalità e nella diffusione.

Ogni soggetto dissidente che rifiuta il dialogo con il potere costituito (istituzionale e non) viene sistematicamente e selettivamente escluso dal contesto politico cittadino e ogni azione che esce da tale tracciato va incontro alla mano più pesante della repressione: fogli di via, perquisizioni e denunce sono molto più frequenti che in altri contesti.

Che farci, gli sbirri di Padova sono zelanti come pochi, e con pochi!

 Così, l’11 settembre (data così cara a tantx) tre compagnx padovanx hanno visto rovinarsi la festività. Svegliatx alle 5.30 del mattino agenti della digos, della polizia di stato e dell’antiterrorismo hanno loro notificato ed eseguito un mandato di perquisizione. Sono statx informatx di un indagine a loro carico per i reati di ricettazione, istigazione a delinquere e concorso. Il pubblico ministero Orlandi, recentemente trasferito a Padova, contesta questi capi d’accusa in riferimento a tre striscioni ritrovati mesi prima dagli sbirri che riportavano frasi in solidarietà ad Alfredo Cospito, allx compagnx accusatx a Milano e a Torino per i cortei relativi alla mobilitazione contro il 41-bis e a Awad Mohamed Attia, che rischia l’ergastolo per strage politica a seguito di attacchi incendiari contro le volanti di polizia e carabinieri.

Due ore di perquisizioni hanno visto le loro case rivoltate, gli spazi propri, condivisi e altrui violati dalle sporche mani (almeno ricoperte da guanti) degli sbirri. Sono statx soggettx alle solite tattiche manipolatorie: costanti tentativi di allontanare le persone cui erano stati contestati i fatti dai loro affetti, cercando in questi ultimi complicità, sforzi manipolatori e intimidazioni. Puntando sulla poca conoscenza delle dinamiche investigative, hanno ostacolato il contatto con i legali, intimidito chi aveva atteggiamenti più refrattari e rassicurato chi risultava più disponibile a collaborare, specie tra gli affetti e lx familiarx.

A riprova della natura schifosa e deprecabile dell’operato degli sbirri, tra una violenza fisica e una psicologica, notiamo che non si fanno di certo mancare anche una buona dose di violenza di genere a ogni livello: allx compagnx di unx dellx perquisitx sono state fatte pressioni per tradirlx, cercando di persuaderlx di quanto fosse “un mezzo uomo”, di che vita “lx stesse facendo vivere”. Ad unx altrx perquisitx poi, immancabilmente, sono state fatte pressioni a parlare, tentando di ottenere complicità, perchè “io ho una figlia della tua età, anche tu un giorno sarai madre”. Insomma, bella merda, e belle merde.

Postx in stato di fermo e portatx in questura, sono statx trattenutx per 9 ore, con la ridicola scusa di ritardi nei sistemi informatici, e hanno visto loro sequestrati dispositivi elettronici, supporti di memoria e vestiti. Ha destato particolare disappunto il furto sbirresco delle calzature ai danni dellx sventuratx compagnx. Sbirri state per certo sicuri che non erano scarpe ortopediche, infami piedipiatti.

È stata impiegata, inoltre, la procedura della pre-view: i telefoni dellx compagnx sono stati scansionati meticolosamente sotto i loro occhi, registrandone schermo e audio. Tutto ciò senza lesinare battute di merda, pressioni psicologiche e minacce. Lo zelo sbirresco non è stato fermato nemmeno dai primi nudes: di certo non sarà il pubblico pudore a fermare l’ardore della giustizia, alla ricerca anche solo di una bomboletta nel culo!

Interessante notare, per coloro che leggono complici, il fatto che in sede di pre-view la semplice e reiterata contestazione dell’operato degli sbirri limiti in maniera importante la loro disinvoltura nell’eccedere ben oltre le prescrizioni della procura.

Dalla prima mattina abbiamo notato come l’apparato repressivo tutto si sia prodigato nel creare un’atmosfera paranoica: dalle istituzioni politiche (locali, regionali e nazionali) alla magistratura, passando per sbirri e contro-sbirri e giornali, per tre striscioni si è arrivatx persino a citare il passato brigatista della città! È stata esemplare, a tal riguardo, la conferenza stampa del questore Marco Odorisio a seguito delle perquisizioni e dei fermi. L’allarmismo più totale ha rimbalzato sui quotidiani della penisola e delle isole, ricalcando la stessa sceneggiata a cui avevamo assistito al ritrovamento nei mesi precedenti dei teli incriminati: scritte con una A cerchiata come firma avevano, infatti, giustificato la scorta al tribunale, ai comandi di polizia, guardia di finanza e sbirraglia varia, maggiori controlli in stazione e al comune.

È facile mettere in fila i fatti cui ci stiamo abituando: manifestazioni e espressioni di dissenso ricondotte alla lotta armata senza distinzione alcuna, con buona pace della grande confusione mentale del questore che parla di BR commentando fatti ricondotti da loro a esponenti della cosiddetta “compagine anarchica”. Tutte le pratiche, che questo spiacevole evento ci ha fatto sperimentare ancora una volta, si inseriscono nella più ampia strategia dello stato volta ad abituare le persone ad un controllo sempre maggiore del libero corpo sociale e a un dispiegamento quotidiano sempre più massiccio e smisurato di forze e tattiche.

Vorremmo chiudere con un’ultima riflessione sull’accurata scelta dei reati contestati. L’aggiunta di reati da compro oro, come ricettazione, evidenzia un utilizzo strumentale del diritto penale (come se ne esistesse uno non strumentale) funzionale ad avere più potere in sede di indagine per accedere a misure legalmente concepite come straordinarie e urgenti ( entrare in casa per tre striscioni).

Le procure si dimostrano infami non solo da Milano a Torino, ma fino a Padova, e ben oltre.

 Solidarietà alle persone perquisite a Padova come nel resto d’Italia.

Complici con le loro lotte.

OPUSCOLO: DALL’INTERNAZIONALISMO ALLA SOLIDARIETÀ UMANITARIA

 

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DALL’INTERNAZIONALISMO ALLA SOLIDARIETÀ UMANITARIA
o di come la solidarietà si è trasformata in un investimento economico neoliberista e in uno strumento di ricatto in Palestina e non solo

Questo testo nasce da un’iniziativa che si è svolta a Genova nell’aprile 2024 e di cui porta il titolo. La discussione voleva abbozzare una breve riflessione critica sulla funzione della cooperazione allo sviluppo (ma anche degli enti caritatevoli, ONG, ecc.) come strategia ufficiale (o latente) della politica estera degli Stati imperialisti, senza la pretesa di esaustività, vista l’ampiezza della tematica.
Attraverso i contributi di un compagno del collettivo Hurriya! di Pisa e di una compagna di GPI, il testo prova a fornire alcuni spunti di riflessione e di approfondimento sulla solidarietà “umanitaria” quale fenomeno ampio, collaterale (e il più delle volte in combutta) alle politiche di predazione economica e di controllo del territorio.

Dalla quarta di copertina

Con l’indebolimento della militanza internazionalista, il grosso della solidarietà praticata in Occidente si è progressivamente piegato ai progetti di cooperazione allo sviluppo capitalista. Si sono affermate nuove figure ibride (operatori umanitari, cooperanti “dal basso”, ecc) per cui carriera professionale e bisogno di reddito si fondono spesso con l’attivismo politico e che accettano le condizioni dei finanziatori e degli Stati (occupanti o meno) in qualsiasi tipo di intervento.
La lotta contro il nemico comune per una trasformazione collettiva è stata sostituita con progetti di cooperazione economica completamente compatibile (e talvolta in sinergia) con le politiche di colonizzazione e predazione economica di Stati e Capitale.
Se in Palestina la rinuncia al diritto al ritorno è una condizione necessaria per accedere agli aiuti internazionali, in Italia chi lavora nel sistema di accoglienza è costretto a collaborare al disciplinamento degli immigrati, alla società dello sfruttamento e dell’alienazione.
Avere ceduto tanto terreno comporta, per chi sceglie di agire al di fuori della logica dei diritti umani che relega gli oppressi al ruolo di vittime, l’essere criminalizzato come nemico della democrazia.

Per info e contatti: irregolari@autistici.org

BLOCCARE TUTTO, PURE LA RABBIA (PENSIERI SULLE MOBILITAZIONI DELLA GLOBAL SUMUD FLOTILLA)

Riceviamo e diffondiamo

Testo in PDF

A distanza di 77 anni dall’inizio dell’occupazione sionista in Palestina e del genocidio del popolo palestinese il periodo storico corrente è caratterizzato da una consapevolezza dell’oppressione dello stato fascista di israele globale e senza precedenti. Mobilitazioni di ogni genere hanno interessato il globo palesando l’ inequivocabile condizione di apartheid vissuta dal popolo autoctono palestinese. L’utilizzo dei social da parte delle stesse persone di Gaza e Cisgiordania protagoniste del massacro, ha permesso una massiccia raccolta di materiale multimediale, foto, video e racconti che rendono imbarazzanti e ridicoli i tentativi dei complici di israele di insabbiare la realtà.

Eppure, in questo clima di apparente presa di coscienza popolare, le varie narrative portate avanti da chi ha cominciato a schierarsi hanno un ampio spettro di interpretazioni che vanno dal condannare Hamas in quanto carnefice del popolo palestinese all’allontanare la radicalità nelle piazze avvolgendosi nella bandiera della “pace” come vessillo per una giusta soluzione, suggerendo di fatto che quello che sta accadendo è un conflitto e non uno sterminio.
Il 7 ottobre 2023, l’ ennesimo disperato tentativo del popolo palestinese di autodeterminarsi attraverso la lotta armata, per moltx è stato l’ inizio dell’ incubo che sta vivendo Gaza, costruendo in questo modo l’ immagine che il problema sia la sproporzionata risposta del governo sionista e non l’esistenza stessa di uno stato occupante e fascista.

Intanto la storia degli incalcolabili massacri compiuti da israele dal ’48 ad oggi rimane ignota e silente, vive soltanto nelle memorie dellx palestinesi che diventano protagonistx delle testate giornalistiche del democratico occidente soltanto quando la disperazione evolve in rabbia e la consapevolezza di essere abbandonatx anche dai vicini governi arabi si trasforma in riscatto attraverso la lotta.
Questa retorica che vede Israele come stato aggressore rischia spesso di giustificarne l’ esistenza ma di condannarne i modi coi quali reprime lx palestinesx, che diventeranno quindi vittime ma soltanto finché non imbracciano le armi per riscattarsi.
Chissà se quest’immagine nel pensiero di questa gente funziona bene anche quando viene paragonata al movimento partigiano che ha agito contro il nazifascismo adottando la lotta armata come unico strumento per delegittimarne l’ esistenza.

La recente spedizione della Global Flottilla non è stata la prima a cercare di sbarcare in Palestina forzando il blocco navale sionista, già nel 2008 riuscirono a toccare le spiagge di Gaza le imbarcazioni della Freedom Flottilla con a bordo diversx attivistx tra cui Arrigoni, spedizione che non ha avuto la stessa attenzione mediatica nonostante il periodo storico fosse altrettanto teso essendo il loro arrivo alla vigilia dell’operazione “piombo fuso” che ha messo a ferro e fuoco Gaza per diversi mesi contando diverse centinaia di palestinesi uccisx.
Questo suggerisce svariate chiavi di lettura, una più raccapricciante dell’altra, che orbitano attorno alla riflessione su quanto la sensibilità attiva dell’opinione pubblica (anche quella militant/ politicamente attiva) sia direttamente proporzionale a quanto è di tendenza la questione stessa in quel preciso momento storico. A quanto sia facile schierarsi di fronte a un genocidio senza poi però avere troppa necessità di un contesto politico o di una panoramica storica sui fatti, rendendo macchinosa la possibilità di avere un pensiero critico sensato.
Addirittura alla quantità di vite umane necessarie a svegliare le coscienze, come se superata una certa cifra di vittime si accenda la spia dell’indignazione, disumanizzando le persone che vivono da decenni quei massacri di una o di mille persone, come se si trattasse di numeri, come se il loro dolore sia quantificabile da chi dall’altra parte osserva.

Le mobilitazioni che sono seguite in supporto all’iniziativa della Global Flottilla trascinano con se l’ inquietante dato che schierarsi con una tale forza di partecipazione è possibile ma quando bisogna solidarizzare con attivistx che hanno il privilegio di un passaporto made in west che ha dunque il potere di riportare tuttx a casa nel giro di qualche telefonata tra ambasciate, con qualche brutta storia da raccontare e qualche livido da mostrare.
Salvo poi addormentare quella rabbia una volta che tutte le persone coinvolte nell’iniziativa sono riuscite serenamente a rimpatriare con l’aiuto dei loro rispettivi governi complici di israele, credendo all’ennesima favola
del cessate il fuoco mai iniziato dal’48 e lasciandosi piacevolmente anestetizzare dai racconti dei carnefici, con la sola possibilità di nascondersi dietro agli slogan del”blocchiamo tutto” e a qualche post sui social in solidarietà a chi è statx colpitx dalla repressione.

Piazze confuse, impiallacciate da emozioni e intenti differenti.
La rabbia, quell’emozione genuina sprigionata dalle disarmanti e quotidiane immagini che generano abitudine e vengono perciò normalizziate e categorizziate in distinti livelli di gravità a seconda di quanto crude possano essere.
La rabbia che dà i contorni a un dolore figlio della consapevolezza che questo genocidio è solo una delle espressioni del sistema del capitale, una che in qualche modo le racchiude tutte.
La rabbia, quel sentimento che sempre di più viene demonizzato in quanto sintomo di instabilità emotiva piuttosto che di sana canalizzazione della frustrante indifferenza che dilaga.

Quella stessa rabbia viene spesso bloccata dal perbenismo pacifista di piazza, soffocata dal terrore di essere consideratx violentx da sbirri e borghesi, domata da collettivi politici che organizzando le piazze vogliono avere il controllo su quello che accade, da individualità che isolano chi si copre il volto e lx addita come infiltratx, aggressivx, in piazza solo per spaccare ogni cosa (che anche se così fosse tanta roba..).
La definizione stessa di “infiltratx” suggerisce estraneità a chi non si conforma alle direttive delle realtà che chiamano le piazze, presupponendo che la mobilitazione debba necessariamente rientrare nei limiti dettati, diversamente si diventa automaticamente nemicx internx, avere il volto coperto anche solo per tutelarsi dalle infinite fotocamere di digos/giornalistx/militonti poser che vogliono il ricordino per le stories instagram è rischioso in cortei dove c’è una consapevolezza sempre più bassa.

E mentre le bombe su Gaza continuano a cadere il distacco delle masse che hanno riempito le piazze qualche settimana fa sale, inebriate dalla convinzione che la speranza di un cessate il fuoco sia reale, stupendosi ancora una volta che le promesse non sono state mantenute, nelle piazze ormai silenziose le attivistx della Global Flottilla al sicuro nei loro rispettivi stati partecipano a iniziative per raccontare l’ esperienza della detenzione in israele.
E Gaza continua a bruciare, il capitalismo continua a corrodere ogni piano dell’esistenza con l’ ambizione di collezionare premi Nobel, il dissenso è taciuto da una morsa repressiva sempre più stretta e l’ ombra dell’oppressione si allarga sempre più.

I cortei non sono sfilate che servono a raccontare quanta rabbia c’è
La rabbia non ha bisogno di essere rappresentata, va coltivata ogni giorno e scatenata nella lotta
La pace non esiste se non scardina i meccanismi del sistema
La pace è dellx oppressx, la guerra agli oppressori

CATANIA: GIÙ LE MANI DALLA LUPO

 

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 “Nessuno dice: abbiamo gonfiato e arricchito le mafie perché Stato e Mafia devono vivere in simbiosi mutualistica, devono presupporsi ed alimentarsi a vicenda, rappresentarsi come Società, la Seconda Natura, per la maggiore gloria del Dio-Capitale, della sua Merce, del suo Spettacolo. Liberarsi dalle Mafie è liberarsi dallo Stato”.
Riccardo d’Este

Infine il comune di Catania ha deliberato un progetto esecutivo per la piazza Pietro Lupo. Lo ha fatto nonostante non sia stata fatta alcuna concertazione territoriale, perché in questi anni l’unica espressione dellx abitanti sono state proteste e critiche verso l’idea di realizzare il famoso e fumoso parcheggio.

Quasi 4 milioni di euro sono stati invece ora stanziati per diminuire i posti auto già esistenti, piantare qualche essenza arborea e fare un’ennesima postazione per turisti e telecamere. Se il problema era migliorare la pedonabilità dello spazio urbano e la qualità della vita in questo pezzo di centro storico non serviva di certo uno spreco così ampio di risorse pubbliche, o meglio un tale indebitamento (ricordiamoci che i soldi del PNRR sono un debito che l’Italia ha contratto con l’Europa). Questo mentre arriva la notizia che Catania ha perso 19 istituti scolastici negli ultimi 2 anni.

3 milioni 900mila euro verranno dati alle imprese edili risultate vincitrici dell’appalto, in primis il “Consorzio stabile progettisti costruttori”, del gruppo Capizzi. L’imprenditore, fratello del sindaco  di Maletto appartenente a FdI, è tutt’ora coinvolto in diverse inchieste per corruzione e ha dichiarato di aver pagato tangenti per ottenere un cospicuo appalto pubblico a Messina. Nonostante il patteggiamento, resta chiara la lettura politica dei modi in cui queste imprese edili operano.

Così come è chiara la comprensione di cosa sia stato il progetto precedente del parcheggio, quello per cui Virlinzi e Ciancio avevano aperto la società “Parcheggio Lupo srl” con il quale l’amministrazione comunale, sempre della stessa destra fascista,si è ritrovata esposta in un ulteriore contenzioso per non avere portato avanti i lavori.

Sono decenni che esiste un apparato di governo a Catania che è colluso con famiglie imprenditoriali che usano metodi mafiosi e che drena risorse pubbliche per svendere pezzi di città e terreni naturali all’economia immobiliare e turistica. Lo si vede ovunque. A Ognina, alla Pescheria, alla Civita e anche nella contigua San Berillo, dove l’amministrazione comunale ha lasciato i proprietari liberi di speculare e interviene solo aggiungendo videocamere di sorveglianza e supportando i raid della questura.

Come nello sgombero in via di Prima di poche settimane fa quando più di una decina di forze di polizia sono state mandate a difendere una proprietà della famiglia Virlinzi per sgomberare donne e uomini che stavano pagando un affitto e nei confronti dellx quali non è stata proposta alcuna soluzione abitativa alternativa.

Nella delibera si sproloquia sulla “scarsa fruizione di Piazza Pietro Lupo” attuale e si dice che il progetto permetterebbe invece di “accogliere la collettività”. La collettività è accolta ogni giorno in uno spazio autogestito in cui si continuano a proporre laboratori, attività culturali e ricreative, libere e gratuite. E in cui trovano posto anche quelle persone razzializzate che il governo locale e nazionale, e la prefettura, vorrebbero solo rinchiuse in un CPR.

Ma che al comune di Catania di chi abita davvero nel territorio non importi nulla lo si è visto anche con lo sgombero della Consultoria autogestita, dove ci si organizzava per fornire accesso gratuito alla salute in una provincia in cui, per legge, dovrebbero esserci almeno altri 19 consultori. D’altronde, cosa aspettarci da un sindaco che scrive che Catania non è “puttana che si mette in mostra per essere violata”?

Nel progetto di piazza Pietro Lupo si chiama in causa direttamente anche il turismo. È la stessa scusa con cui hanno sgomberato anche lo storico centro sociale Auro, il cui edificio sarebbe dovuto diventare un hub turistico e invece continua ad essere abbandonato e murato. E intanto le navi da crociera continuano a susseguirsi al porto, con la loro scia di inquinamento e predazione dei luoghi. Sappiamo bene l’idea di città che ha in testa chi governa: turismo di massa sempre più invasivo, nessuna politica abitativa e criminalizzazione di chi non ha soldi, si organizza senza profitto e/o prova a difendersi da espropri e sgomberi.

Qua si tratta di difendere la LUPO, ovvero impedire che si tolga uno dei pochi spazi liberi rimasti in città dove poter sperimentare relazioni umane senza gerarchie e profitto e organizzarsi contro chi uccide, imprigiona e sfrutta la vita. Ma qua si tratta anche di difendere lx abitanti di Catania dai progetti di un’amministrazione collusa che ha in testa solo stato, dio, patria, famiglia, repressione e tanto profitto. In una città dove i sodalizi tra ex questurini, imprese immobiliari e turistiche ed eletti sono strutturali. Insomma, dove governa la mafia, intesa come “il modello di tutte le imprese commerciali avanzate”, parte e partner (non deviata) dello stato.

Dalla Lupo occupata e per la Palestina liberata.
Giù le mani dalla LUPO!

Assemblea cittadina mercoledì ore 19.00 in Piazza G. Falcone. 

 

“HANNO DETTO CHE PIOVE” – BENEFIT PER LA CASSA ANTIREPRESSIONE DEL CAPITANO ACAB

Diffondiamo

“Questo è un libro improvvisato, acerbo, con una trama debole e sfilacciata. Un libro scritto di getto tanti anni fa, stampato male e impaginato peggio. È un libro parlato, più che scritto. Era destinato al macero ma è stato ripescato da un trasloco e rimesso in circolo, con i suoi errori e i suoi difetti. Con Equal Right Forlì gli abbiamo ridato un’opportunità, scegliendo di distribuirlo a offerta libera benefit per la Cassa Antirepressione del Capitano ACAB“.

per riceverlo contattaci: equalrights@inventati.org

La Cassa Antirepressione Capitano ACAB funziona come un contenitore, un pretesto, una sigla: non c’è collettivo che la gestisce ma di volta in volta si usa il nome del Capitano per intendere che una determinata iniziativa o progetto o autoproduzione, se monetizzata, andrà a sostenere prigionierx, imputatx, spese processuali etc. Questo può voler dire che si avranno anche iniziative e obiettivi molto diversi tra loro Alle volte si specifica che i soldi saranno destinati a un processo specifico o dex compagnx specificx, ma quando invece si dice genericamente “cassa ACAB”, si intende che questi soldi andranno a creare una sorta di “fondo cassa” per le spese presenti (sempre presenti!) e future che verranno. Tendenzialmente anarchico, il capitano ACAB è attivo anche in contesti più “di movimento” e nei (pochi rimasti) spazi sociali della Romagna.

capitanoacab@insiberia.net

TRANSFOBIA E CAMPAGNE ANTIGENDER: QUALE ORIGINE?

Pubblichiamo il testo dell’intervento “Transfobia e campagne
anti-gender: quale origine?” presentato alla Fiera dell’editoria e della
propaganda anarchica di Roma del 4-6 aprile 2025. Essendo pensato come
intervento a voce, si è deciso di mantenere nella trascrizione il tono
colloquiale dato dal contesto.

Stiamo assistendo negli ultimi anni a una situazione globale che scivola sempre più verso nuove forme di fascismo: in molti paesi sta prendendo potere l’estrema destra, il controllo dello Stato si fa sempre più stringente sulle nostre vite, vi è un ulteriore incremento della militarizzazione, della repressione, di legislazioni che restringono sempre più i nostri già risicati spazi di libertà, per cui ci troviamo a lottare costantemente per non perdere ulteriormente terreno, oltre a mantenere l’orizzonte sul sovvertimento di questo sistema di dominio nella sua totalità. E’ sempre più evidente il risorgere di forme di nazionalismo, con il loro corollario securitario, che cerchiamo di contrastare con i mezzi in nostro possesso, lottando per esempio contro l’apertura di nuovi carceri e CPR, sostenendo le lotte al loro interno, denunciando le politiche migratorie, i nuovi pacchetti sicurezza, le politiche che aumentano il divario economico e sociale tra la popolazione, e così via.

Quello che però mi stupisce, e che mi pare manchi spesso dall’analisi anarchica sullo stato di cose attuali è come quest’incremento della repressione e della morsa dello Stato vada anche a colpire in altri ambiti rispetto a quelli appena citati. Vada a colpire non solo le persone migranti,
ad esempio, o le persone che si ribellano a questo stato di cose, o le persone povere, aumentando il divario economico tra ricchi e poveri, ma anche, come nei fascismi del passato, tutte quelle persone considerate feccia della società: persone improduttive (tossicodipendenti, persone senza fissa dimora, psichiatrizzate, disoccupati cronici, andando a tagliare tutta una serie di fondi sociali per il sostegno alle persone in difficoltà) o persone il cui genere od orientamento sessuale non è funzionale all’ideale della famiglia bianca borghese che è alla base del nazionalismo (quindi persone frocie e trans, escluse quelle perfettamente integrate negli ideali bianchi borghesi, ma anche donne che reclamano un po’ troppa libertà). […]

Continua qui (PDF): Transfobia e campagne anti-gender