OPUSCOLO: NON È FORSE QUESTA GUERRA?

Diffondiamo

“Non è forse questa guerra?!” è stato scritto cercando di portare nella discussione collettiva, o individuale che sia, alcune tematiche riguardanti gli intrecci tra alcuni luoghi della Terra, nella fattispecie le rive dello Stretto, e le dinamiche predatorie del capitalismo.
La domanda che titola queste riflessioni e colletta di informazioni non vuole essere retorica, ma la messa a fuoco di un totale dilagare della forma guerra. La riorganizzazione dell’economia mondo sul modello del conflitto totale porta con se un alito mortale di cambiamenti e rinnovate frenesie; il nuovo capitale espande i suoi confini e necessita di tutta una rete di rinnovate infrastrutture a questo dedicate.

Nel corso di queste pagine si sono voluti mettere in evidenza alcuni processi o progetti che costituiscono parte degli sforzi indirizzati alla riorganizzazione del territorio sulla base delle necessità di un élite sempre più lontana dalle persone sulle quali impone i propri piani di accumulo. Qui la questione non è prendere il loro posto, bensì puntare un faro sul come e il chi ci affligge una tale prospettiva talmente mefitica e comprendere come scardinarne l’esistenza.

Elemento fondamentale di questa riflessione è il sempre più acuto sistema repressivo che il legislatore sta mettendo in atto nei confini del ‘bel paese’. Un sistema, quello paventato dal nuovo decreto sicurezza, sempre più stringente ed improntato sulla restrizione della libertà delle persone e la loro sempre più eventuale localizzazione forzata nelle varie forme detentive previste dalla genetica dell’ordine costituito. L’intento che ha mosso la stesura delle pagine di “Non è forse questa guerra?!” è stato quello di raccogliere tra loro dei tasselli che agli occhi di chi scrive costituiscono un più complessivo piano di appropriazione delle esistenze o, quanto meno, una replica di quanto già messo in atto altrove tanto nel suo complesso quanto in maniera frammentata. Dal progetto ponte, alle “smart cities” sino agli interessi che si cuciono sui corpi reclusi, migranti, arginati, incarcerati si evince l’esistenza di un filo rosso, pesante come mille catene, che svela gli intenti di quelle manacce che si allungano minacciose su queste zone del pianeta.

Con la coscienza che questa è una delle tante interpretazioni possibili di elementi ed avvenimenti, si vuole porre nel dibattito questo modo di intrecciarli tra loro. Condividere saperi e percorsi di significazione e conoscenza vuole essere un passo verso una sempre più fitta condivisioni di pratiche. Le informazioni raccolte nel corso di “Non è forse questa guerra?!” sono intrise delle emozioni di chi le intercettava e queste pagine non vogliono essere un triste nenia di rassegnazione, quanto un punto segnato in una, necessariamente, più vasta costellazione emozionale che sia invito ad un’azione sempre più di massa, ossia sempre meno mediata da strutture di delega e rappresentanza.

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MESSINA: ORGANIZZIAMO INSIEME IL CARNEVALE NO PONTE!

Diffondiamo da Stretto LibertAria

DOMENICA 19 GENNAIO h 11.00 – ex Seaflight (Messina)

organizziamo insieme il CARNEVALE NO PONTE!

🏴‍☠️🏴‍☠️🏴‍☠️

Il ponte è già qua: espropri, opere propedeutiche, sottrazione di risorse e repressione. Un’idea di progresso che se ne infischia delle nostre vite.

Per ribaltare questo scenario e far sì che non si ripresenti mai più, abbiamo bisogno di capovolgere prospettive, ricontattare energie, immaginare mondi nuovi, creare relazioni differenti.

E allora… CARNEVALE!👹

La festa popolare, eretica, liberatrice, che dissacra, rovescia, si fa beffe del potere, la festa del tempo che tutto distrugge e rinnova!

“Il riso è manifestazione di libertà, e sarà anche per questo se la violenza e l’autorità non utilizzano mai il suo linguaggio. La tradizione accomuna il riso alla pazzia. Sarebbe meglio riconoscerne la saggezza”
M. Bachtin

🌱🌱Incontriamoci, organizziamoci, contaminiamoci… creiamo insieme gli spazi che sogniamo!

STAMPA, DIFFONDI🗣️

Per file stampa
👉 https://nopassaran.noblogs.org/2025/01/343/ 👈

BASTA VERITÀ, SOLO VENDETTA

Diffondiamo

BASTA VERITÀ, SOLO VENDETTA

È notizia di questi giorni, uscita dai media regionali su diretta nazionale, Ramy è stato assassinato da una volante dei carabinieri. Le immagini della dashboard del veicolo che sperona Ramy e Fares rompono la quarta parete: ci lascia in un silenzio rabbioso che non farà fatica a tramutarsi in vendetta.

Già, perché la morte di Ramy è di matrice meramente razziale, non c’è stato un incidente, c’è stato un omicidio ancora una volta di Stato, ancora una volta contro una minoranza. A perpetrario è il braccio armato del capitale, che in ogni paese come fu per George Floyd, non nasconde la volontà di ripulire le strade in nome di sicurezza e decoro.

Città più sicure, coadiuvate da zone rosse, divieti stradali, daspo, forze dell’ordine e telecamere impegnate ad individuare nemici interni e se necessario ucciderli. Metodologie che si sono intensificate con il Covid19, prassi consolidate per commettere il silente genocidio in Palestina, strumenti applicati con violenza ovunque il potere economico non vuole intoppi.

La discussione sulla presunta veridicità delle accuse di omicidio da parte dei carabinieri non ci interessa, essa può essere solo una sberla in faccia a qualche bianco borghese benpensante dalla coscienza intorpidita. Amicx, compagnx, affetti di Ramy non ne hanno bisogno. Perché chi come lui ha vissuto nei quartieri-ghetti o appartiene a una minoranza è quotidianamente vittima di abusi da parte delle forze dell’ordine.

Non ci accontentiamo nemmeno dell’etichetta giuridica di “omicidio stradale”. Perché quella di Ramy è stata un‘esecuzione sommaria, di quelle che le guardie possono permettersi di fare senza neanche pensare alle conseguenze, coperti dalle sottane di uno stato razzista e oppressivo.

Quello che vorremmo è che le conseguenze non siano decretate dagli stessi scranni che sistematicamente mettono in gabbia Ix ragazzx che vendono il fumo e chi non possiede la carta d’identità o il permesso di soggiorno. Vorremmo quindi uscire dalla etica della legalità secondo cui giustizia è fatta se gli individui che hanno ucciso Ramy vengono condannati in un tribunale: essa è Ia stessa che garantisce I’applicazione di leggi fatte su misura per perseguitare le minoranze in Italia e alle sue frontiere.

Non avremo pace finché il Mediterraneo continuerà ad essere un cimitero per volontà dei potenti, fino a quando anche una sola persona verrà rinchiusa in gabbie come hotspot e CPR. Non avremo pace e resteremo complici e solidali al fianco di ogni scintilla o fiamma che si scaglierà contro I’oppressione sistemica. Possiamo solo augurarci che, dalla periferia di Parigi a quella di Minneapolis, l’urlo di vendetta infuochi le strade e le città e faccia tremare il potere. Sapremo i vostri nomi.

Questo scritto non vuole essere un’incitazione per le persone razializzate alla (re)azione più conflittuale e distruttiva. Riteniamo che ogni soggettività e popolo oppresso debba creare autonomamente la propria strada per la vendetta e la libertà. Noi ci uniremo, praticando la conflittualità in base al nostro posizionamento e ai nostri strumenti, alle forme di resistenza dal basso. Queste sono le uniche che possono portare a una sovversione dell’esistente.

QUEST’ULTIMA GOCCIA NON FA TRABOCCARE IL VASO. RIFLESSIONI SULLA SICCITÀ A MESSINA E IN SICILIA, TRA SVENDITA DELLE INFRASTRUTTURE IDRICHE E “GRANDI OPERE”

Riceviamo e diffondiamo

Quest’ultima goccia non fa traboccare il vaso di acqua ma, per l’ennesima volta, rende piena d’incertezze e lascia a sé stessa una cittadinanza sempre più delusa.
Non vi sono zone della città che non siano in qualche modo colpite dalla mancanza di erogazione idrica nelle abitazioni. Intere palazzine a secco da giorni, alcune superano la settimana. Segnalazioni arrivano da ogni angolo, da Punta Faro sino a Larderia, ove si possono constatare variegate situazioni di disagio. Probabilmente la suddivisione in aree di gestione dell’emergenza voleva suggerire una localizzazione del problema, facendo trapelare il totale essere sotto controllo della mancanza d’acqua. Ma la realtà suggerisce un quadro molto più ampio e fosco. Il piano d’emergenza emesso dall’AMAM fa “acqua” da tutte le parti, triste metafora in questo momento. In fin dei conti sembra solo aver riempito le strade di autobotti che invadono la città, affannandosi, nel travasare qualche metro cubo di acqua nei vari serbatoi dei condomini in giro per l’area urbana di Messina. Ad essere messa in discussione non è qui la buona volontà di operatori ed operatrici che cercano di districarsi, anche loro come vittime, in questa massa piena di disagio e sentimento di abbandono; piuttosto, la riflessione dovrebbe superare la mera ricerca delle inefficienze quotidiane nella c.d. gestione della crisi e non incagliarsi nei tecnicismi infrastrutturali di condutture, inclinazioni e vari livelli di pressione.

Se la frammentazione in aree della città afflitte dalla crisi idrica può dare un’idea di localizzazione del problema, seguendo le segnalazioni dei cittadini e delle cittadine ci rende presto conto che la mappa dell’emergenza attraversa, se non tutto, un’ingente parte dell’urbanizzato messinese. La gente ha potuto fare affidamento su qualche autobotte o sul proprio ingegno e possibilità organizzativa (in termini soprattutto economici). Ed in questo quadro di essiccamento colposo le beffe non sono affatto poche:

In primo luogo, la privatizzazione dell’infrastruttura idrica, ossia laddove non è possibile impossessarsi dell’acqua, si sono svenduti i rubinetti. Qui subentra ATI, ossia Assemblea Territoriale Idrica, ente pubblico cui compito è la gestione delle varie infrastrutture idriche territoriali, subentrata ad EAS (Ente Acquedotti Siciliani) commissariato da ormai parecchio tempo. Per quanto riguarda la conduttura del messinese, ATI sembrava intenzionata, in un primo momento, a determinare una gestione a carattere totalmente pubblico. Nel giro però di pochi mesi da questo tipo di delibere (nn. 10,16,28 del 22), cambia tutto, e dall’ente si decide di cercare invece un partner privato che co-gestirà l’infrastruttura idrica detenendone il 49% della proprietà. Nel frattempo, alcuni “commissari ad acta” della Regione Sicilia determinano il compimento dell’iter burocratico per dare vita alla Messinacque S.p.a., società cui destino, aiutato dalle continue proroghe di ATI sul bando di ricerca del partner privato per la gestione dell’apparato idrico messinese, sembra voler riservare quel 49 % menzionato sopra. L’ultima proroga portava la scadenza al 10 luglio 2024, data oltre la quale non sembrerebbe esserci stata alcun’altra proroga per il bando; si può presupporre che Messinacque S.p.a. si sia adesso presentata ad accaparrarsi la “conduttura promessa”.

Le conseguenze di questo passaggio di questa grande fetta di proprietà dell’infrastruttura idrica avranno ripercussioni già immaginabili, prima fra tutte il levitare del costo dell’acqua stessa; beffa oltre il danno in tempi di crisi totale ed assenza di acqua corrente. -Ci chiediamo quale ruolo abbiano Comune ed AMAM in questo furto bello e buono. Ci chiediamo se il ricorso al TAR dei Comuni, rigettato recentemente, sia bastevole nel garantire a noi tutti e tutte un dignitoso accesso a questo bene primario.

Già solo questo basterebbe a farci accapponare la pelle, ma le controversie non finiscono qui; prime fra tutte l’incombere della cantierizzazione della città tutta per far spazio al mostro ponte.

Che con la stessa prepotenza di chi ce lo impone farà breccia nelle nostre esistenze, determinando uno scossone senza precedenti nelle nostre quotidianità. La domanda sorge spontanea: “ma forse sarà che l’acqua la vogliono portare con il ponte?!” Mentre Webuild, (la stessa azienda incaricata di costruire il ponte sullo Stretto) tiene sotto scacco l’intera area dei villaggi della zona sud fino a Fiumefreddo, Messina resta a secco. Allo stesso tempo, interi pozzi d’acqua sembrerebbero essere dati in totale monopolio ai cantieri. Le loro talpe, scavatrici di tunnel della devastazione, l’acqua per funzionare la trovano sempre; quella per impastare il cemento, sigillo sulla natura, la trovano sempre. Il loro impianto di betonaggio, a Savoca, è sempre in funzione. Assumendo furbamente le sembianze di progresso, il raddoppiamento ferroviario che interessa il messinese ha assunto tutte le caratteristiche che si prospettano per i futuri cantieri del ponte, mentre i mezzi pesanti transitano ormai da mesi nelle aree abitate di Roccalumera, Nizza, Savoca, Sant’Alessio, rendendole invivibili per gli abitanti stessi.

La prepotenza dei portatori d’interesse che, in barba ai dubbi sollevati dalle varie giunte comunali, sembrano procedere a spron battuto, senza troppo badare alle preoccupazioni di chi quei luoghi li abita.

Reputiamo non più sopportabile accettare questa svendita a trecentosessanta gradi delle nostre esistenze. Siamo continuamente sotto il ricatto di chi questi luoghi li vede solo come cave di denaro, continuamente sottoposti e sottoposte ad uno stato emergenziale che riduce sempre più le nostre esistenze ad una mera gestione tecnico-amministrativa. La Provincia assiste già alle prime frane; a sempre più persone manca l’acqua in casa; ancora e sempre più su tutti noi pende la spada di Damocle della cementificazione totale, della svendita delle nostre vite tutte ai signori del cemento e della digitalizzazione. Diventerà il loro hub logistico, per le loro merci, per i loro capitali, ma la Vita, in questi luoghi, sembra essere sempre meno benvenuta.

Riappropriamoci della nostra storia, del nostro territorio, delle nostre vite.
Creiamo insieme gli spazi che sogniamo.

PDF VOLANTINO: Quest’ultima_goccia_non_fa_traboccare_il_vaso

SPAGNA: A 6 MESI DI RECLUSIONE DEL COMPAGNO ANARCHICO ABEL. PER AMORE DELL’ANARCHIA, PER ODIO DELLA REPRESSIONE.

Traduciamo e diffondiamo

Questo 30 novembre sono 6 mesi che il nostro compagno anarchico Abel è stato sequestrato dallo Stato ed incarcerato nel centro penitenziario di Brians 2, con una condanna di 3 anni e 9 mesi per l’aggressione, nel 2018, a un manifestante della JUSAPOL[1] che portava simbologia fascista. Tutte le istanze giudiziali dello Stato hanno ratificato l’accusa di reato di lesioni con aggravante di odio, con l’obiettivo di proteggere gli sbirri e criminalizzare ancor di più la militanza del compagno. Un castigo che la reclusione ha fatto diventare doppio, dato che in tutto questo tempo, in ben due occasioni è stata respinta la classificazione in terzo grado, facendo riferimento all’ideologia del compagno e alla sua mancanza di empatia con la “vittima”. Così il Potere giustifica i programmi di reinserimento (condizione indispensabile per ottenere permessi penitenziari) ai quali deve sottomettersi il prigioniero, con l’obiettivo di annichilire la sua coscienza rivoluzionaria: come un falegname che martella i chiodi storti dell’asse. Così si converte la condanna in tortura e ricatto.

Per noi non rappresenta nessuna novità la loro politica penitenziaria basata sull’esercizio di violenze strutturali in base alla posizione sociale delle persone recluse: lo sfruttamento della manodopera, le umiliazioni e aggressioni delle guardie e il maltrattamento sistematico delle famiglie sono solo la punta dell’iceberg.
Mai abbiamo sperato che le loro leggi potessero essere uno strumento a nostro favore, né abbiamo mai aspirato a riformarle per indorare la pillola di abusi e sofferenze. Perché sappiamo bene che il carcere, come qualsiasi altra istituzione repressiva, è uno strumento al servizio del Potere e della classe dominante, il cui obiettivo è annichilire qualsiasi accenno di dissenso nella società. Un’istituzione che merita solo di essere distrutta e abolita.

La prigione, quel buco dove il tempo sembra essersi fermato e a volte passa senza che ce ne si renda conto, è il luogo che la Democrazia riserva a coloro che osano mettere in discussione l’ordine stabilito, imprigionando quanti sono costretti a vivere in un angolo e chi lotta senza sosta: anche per tuttx loro scendiamo in strada. Perché non ci dimentichiamo del resto dei prigionieri e delle prigioniere in lotta, che resistono dentro e fuori lo Stato. Perché non ci accontentiamo di far tremare a forza di pugni il vetro che ci separa, di far sentire le nostre voci in una chiamata contro il tempo, di inviare il nostro affetto per posta. Vogliamo vedere cadere quei muri.

Questo 30 novembre scendiamo in strada a difendere ciò che è nostro e che vogliono rubarci. Per amore dell’anarchia e per odio della repressione. Perché siamo noi che, amando gli spazi che abitiamo, resistiamo in essi con i nostri corpi, per il banale e semplice fatto che i nostri corpi sono le nostre trincee. Preferiamo le ceneri della metropoli al giogo del Capitale. Per l’odio verso le loro patrie, frontiere, guerre e disastri, dove di fronte ci siamo noi, amanti del conflitto e della rivolta, che seminiamo mutuo aiuto e solidarietà contro l’intero sistema di dominio. Senza inginocchiarci dinnanzi ai morti, ai feriti e ai caduti, senza offrirgli un minuto di silenzio, ma solo una vita intera di lotta e di vendetta. Per l’odio verso capi, borghesi, partiti, fascisti e tiranni che, con le loro maschere democratiche, vorrebbero costringerci con la forza ad essere comparse nello spettacolo della miseria. Nonostante questo, abbiamo deciso di essere protagonisti delle nostre vite, per la nostra passione per la libertà ed il nostro odio per l’autorità, per l’affetto verso i nostri pari e per amore verso lx nostrx compagnx che vogliono portarci via.

Per tutto questo, scendiamo in strada il 30 novembre. Perché la solidarietà è l’arma che colma la distanza che ci separa. Per amore dell’anarchia, per odio della repressione.

Gruppo di supporto per Abel
Novembre 2024

[1] Associazione spagnola formata da agenti del Corpo Nazionale di Polizia e della Guardia Civile, affine a VOX ed altre organizzazioni di estrema destra.


Manifestazione a Barcellona
30 novembre ore 19.30
Plaça d’Orfila


Manifestazione a Siviglia
30 novembre

MACOMER: BELLO COME UN CPR CHE BRUCIA

Diffondiamo questo resoconto di un saluto al CPR di Macomer, ostacolato dalle guardie e conclusosi con le notifiche di denunce e fogli di via allx compagnx:

Domenica 17 novembre ci siamo recati ancora una volta al CPR di Macomer per portare solidarietà ai prigionieri e per tentare di comunicare con loro. Il sentiero carrabile che si affaccia sulla struttura e che normalmente utilizziamo per fare i saluti, contrariamente ad altre volte era presidiato da una jeep dei carabinieri. Tuttavia, senza fatica siamo riusciti ad eludere la sorveglianza sino a giungere nel punto stabilito dove abbiamo montato casse e microfono mettendo musica, facendo interventi e urlando cori. Per la prima volta dopo due anni di visite costanti, non c’è stata nessuna risposta, né un urlo, né un fischio, niente di niente. Un silenzio tombale che stride moltissimo con le rumorosissime e talora “focose” risposte che abbiamo avuto altre volte. Come consuetudine passati una ventina di minuti arrivano quattro pattuglie di sbirri (polizia e carabinieri) che ci intimano di andarcene. Dopo i controlli di rito e dei momenti di tensione, per gli atteggiamenti provocatori degli sbirri, prima di lasciarci andare ci hanno notificato altri fogli di via da Macomer e denunce per un’altra iniziativa, effettuata il 2 giugno, fuori dal carcere di Badu ‘e Carros. Ci siamo allontanati rimandando ai prigionieri tutta la nostra solidarietà e vicinanza, ricordando agli sbirri che non ci fermeranno quattro notifiche, denunce e fogli di via e che torneremo molto presto e in molti di più fuori da quel lager di merda. A tal proposito, la sera dello stesso giorno siamo stati a Nuoro, dove c’è la questura che ha emesso i fogli di via e gli avvisi orali. Nuoro è una piccola città fortemente militarizzata e repressa, solitamente la sera si contano più pattuglie che persone per strada. Però quel giorno la città era animata in occasione della manifestazione “Autunno in Barbagia”. Ne abbiamo approfittato facendo un volantinaggio, per ribadire che nonostante le minacce del questore Polverino non lasceremo nel silenzio la rivolta dentro il CPR (lasciamo il volantino a fine testo).

Siamo rammaricati per non avere ricevuto risposta da dentro e non capire il perché questo sia accaduto. Ci chiediamo se si sia innalzato il livello di repressione all’interno della struttura con il cambio di gestione e/o come conseguenza delle ultime proteste o se si sia verificato qualcos’altro che non riusciamo ancora a spiegarci. Intanto tentiamo di muoverci nelle strade e nei centri della Sardegna per cercare di evitare che altri migranti, sfruttati nelle campagne e nell’industria turistica, ma privi di documenti, vengano prelevati da qualche pattuglia per essere ingoiati nel nulla del lager di Macomer.

Cerchiamo di mettere un po’ di sabbia nella macchina razzista e coloniale dello Stato, a fuoco le galere.

Qui il volantino diffuso a Nuoro:

BELLO-COME-UN-CPR-CHE-BRUCIA-1

 

PERCHÈ CI SCUSIAMO CONTINUAMENTE PARLANDO DI AZIONI E PRATICHE “NONVIOLENTE”, QUANDO È LO STATO CHE ESERCITA LA VIOLENZA IN FORMA SISTEMATICA SU DI NOI?

Traduciamo e diffondiamo (da Bella Praxis)

Perché ci scusiamo continuamente parlando di azioni e pratiche “non-violente”, quando è lo Stato che esercita la violenza in forma sistematica su di noi?

Da qualche tempo a questa parte, la ripetizione da parte dei mass-media di termini come “terrorismo” o “violenti” è riuscita a farci mettere al centro del dibattito l’uso della (non)violenza. Come se dovessimo dissociarci da qualcosa che praticamente non esiste, e quando si manifesta, lo fa a livelli bassissimi e in forma quasi aneddotica.

In questo modo, contribuiamo a generare un discorso contro l’autodifesa, dando per scontata l’idea secondo cui tutte le violenze sono uguali e cadendo in semplicismi del tipo “se rispondi, sei come loro” o “se rispondi, passi dalla parte del torto”, senza analizzare da dove viene quella violenza né verso dove è diretta.

Perché, cos’è la violenza? Senza dubbio, è un concetto difficile da definire. Potremmo dire che è ciò che non rientra dentro il socialmente accettato o dentro il “senso comune” (il quale cambia secondo i luoghi e i tempi). Gettare vernice lavabile su un vetro è violenza? Che il diritto alla casa sia una mera illusione per la maggior parte della popolazione è violenza?

Il controllo e la pacificazione della società crescono ogni giorno di più. Ci trasforma in persone incapaci di agire da sole di fronte a qualsiasi tipo di conflitto, lasciando in mani altrui le nostre vite.

Per questo, crediamo che quando la violenza viene esercitata sistematicamente dall’alto verso il basso, l’autodifesa non solo è legittima, ma è anche una responsabilità collettiva, perché non rispondere alle loro violenze significa permetterle, ignorarle e perpetuare l’oppressione sui più deboli.

Così, potremmo dire che, molte volte, decidere di rispondere o meno è una questione legata al privilegio che dipende dal livello di violenza che si subisce. Siamo consapevoli, d’altra parte, che il livello di coinvolgimento e di risposta, così come la situazione e le condizioni di ogni persona, sono diversi e non devono essere sottovalutati.

Un’altra questione sarebbe il dibattito su quando l’autodifesa può esserci utile o meno a livello strategico, tenendo conto di tutte le sue conseguenze. Ma quello che qui vogliamo affrontare è l’opzione di poter proporre l’autodifesa come strumento legittimo, nonostante non sia una cosa bella o facile da fare per nessuno e comporti giocare d’azzardo con la repressione, o possa non essere vista di buon occhio dalla maggior parte della società.

Sembra che il mantra del “non serve a niente” vada di moda. Sarebbe assurdo ignorare come la risposta attiva sia stata decisiva nel corso della storia in termini di cambiamenti e conquiste sociali. I potenti cedono solo quando vedono vacillare i loro privilegi; senza una vera pressione, il potere rimane statico. Perlomeno, forse è giunto il momento di essere solidali con coloro che “stanno al gioco” e di smettere di puntare il dito e criminalizzare lx nostrx compagnx.

Yesenia Zamudio ha riassunto bene queste idee: “Chi vuole rompere, che rompa, chi vuole bruciare, che bruci, e chi non vuole, deve stare fuori dai piedi”. In un mondo ingiusto e diseguale, dove la pace non esiste, saranno sempre le stesse persone a subire questa violenza?

MESSINA: CORTEO CONTRO IL DDL 1660

Condividiamo il testo di un volantino diffuso in occasione dei cortei contro il DDL Sicurezza che nell’ultimo mese hanno attraversato diverse città della Sicilia:

Con l’aumentare dei conflitti bellici nel mondo, lo stato italiano si appresta a blindare la pace sociale con un decreto sicurezza firmato dal ministro della giustizia Nordio, da quello dell’interno Piantedosi e, significativamente, anche dal ministro della difesa Crosetto. Ancora una volta si mostra il legame indissolubile fra la violenza portata avanti dagli stati contro il nemico esterno e quella contro chi vive all’interno dei confini; in un periodo di mobilitazione totale, ad ogni atto di insubordinazione deve corrispondere una punizione esemplare, come già visto durante la “guerra” al covid. Il ddl 1660 in discussione in parlamento, fra le tante altre cose, istituisce il reato di “terrorismo della parola” contro ogni voce fuori dal coro, colpisce sia gli scioperi e i picchetti, che le proteste contro le grandi opere come il ponte sullo stretto, aumenta le pene per chi occupa immobili e introduce il reato di “rivolta in istituto penitenziario”. Quando la gabbia si stringe le ipocrisie e le finzioni democratiche vengono meno. Abbiamo visto come nella storia le lotte per la liberazione dai soprusi e dallo sfruttamento si sono sempre scontrate con la legge. Cosa dovrebbero fare i detenuti e le detenute che giornalmente affrontano la barbarie del carcere e del CPR? Cosa dovrebbe fare chi non ha una casa o chi è sfruttato? Cosa dovrebbe fare chi non vuole essere carne da cannone nei prossimi conflitti per gli interessi dei padroni? Cosa dovrebbe fare chi non vuole sottomettersi ed accettare questo mondo così come è? Ogni spiraglio di libertà fin qui conquistato è arrivato grazie al mettersi in gioco degli oppressi e delle oppresse in lotta. Accettare il restringimento del campo delle possibilità oggi significa preparare il terreno a un’ulteriore stretta domani. Rinunciamo alla nostra dignità ritornando ordinatamente nei ranghi della legge e dell’ordine, o ritroviamo in noi stessi e negli altri il coraggio di ribellarci? Lottiamo contro il tentativo di confinare le nostre vite in uno spazio sempre più angusto e ridiamo forza ai nostri sogni di un mondo radicalmente altro!

I FASCI IN QUARTIERE CI STANNO GIÀ: SONO QUELLI IN DIVISA

Condividiamo il testo di un volantino diffuso a Bologna il 26 settembre in  occasione del raduno “stop degrado”, promosso da un’accozzaglia fascio-leghista.

L’appuntamento che oggi, giovedì 26 settembre, la destra si è data in Piazza dell’Unità non nasce dal nulla. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento continuo delle politiche di repressione e di controllo anche e soprattutto in questa parte della città, in stretta connessione con i processi di gentrificazione e turistificazione che hanno attraversato anche questo quartiere.
A farne le spese più degli altri sono come sempre le persone che non hanno la pelle bianca, chi non ha soldi, chi non vuole farsi cacciare da ‘sto quartiere sempre più in mano a ricchi e guardie. Identificazioni, fermi, intimidazioni, retate, perquisizioni, presidi fissi di polizia e carabinieri, arresti (e tutto quello di cui non veniamo a conoscenza) sono ormai pane quotidiano in Bolognina.
A questo si sono aggiunte le ronde patriottiche dei fasci, app che permettono di comunicare direttamente alla questura atteggiamenti sospetti, scritte anti degrado e quant’altro. Questo clima di tensione e di razzismo, a suon di manganelli e di prime pagine del resto del carlino, ha dato agibilità politica a questa accozzaglia di gente che si ritroverà oggi in quella piazza. Già in passato Bologna ha vissuto chiamate fatte dai fascisti. Solitamente si trovavano in piazza Galvani, forse per visibilità, forse per essere più protetti dalle via del centro. Altre volte si spingevano nei quartieri popolari per campagna elettorale e propaganda.
Oggi invece, uniti a commercianti e speculatori sotto lo slogan di stop al degrado, si permettono di lanciare un presidio in Piazza dell’Unità, ma soltanto dopo aver fatto fare il lavoro sporco di gestione al PD. Combattere le sfilate della destra in quartiere significa anche, soprattutto, organizzarsi e lottare contro l’occupazione quotidiana della Bolognina, quella dei fascisti in divisa.

Gli unici stranieri: fasci e sbirri nei quartieri!