Inizia il processo contro i detenuti accusati per la rivolta a Rebibbia del marzo 2020

Di seguito il volantino distribuito nel quartiere adiacente al carcere di Rebibbia e la locandina dell’appuntamento previsto per il 30 giugno pomeriggio.

Il 17 giugno un giudice di Modena ha deciso di archiviare il fascicolo delle indagini aperte sui responsabili della strage avvenuta durante la rivolta dell’8 marzo 2020: 9 i morti tra i detenuti rinchiusi in quel carcere. 14 in totale in Italia.
Lo Stato non processa chi gli è fedele.
Nel frattempo, tanti i processi iniziati contro i detenuti ritenuti responsabili dei seri danneggiamenti all’interno delle galere. Per questi processi nessuna richiesta di archiviazione è stata mai avanzata dalle procure.

Come dimenticare quel marzo 2020? Quel costante susseguirsi di notizie di contagi, ammalati e morti da Covid. Chi è detenuto/a, conosceva bene le gravi mancanze già esistenti del sistema sanitario penitenziario e sapeva che nessun governante avrebbe mosso un dito per mettere in salvo dal contagio chi è rinchiuso dentro le galere. In quei giorni, l’unica decisione presa dal Ministero di Giustizia e dal DAP è stata quella di chiudere l’ingresso del carcere a tutti coloro che non lavorano all’interno. Decisione che come si è visto, e come era ovvio, non ha certo fermato i contagi.
Alla notizia della chiusura dei colloqui con i familiari, la miccia si è accesa.
Chi ha deciso di ribellarsi ha avanzato richieste a difesa della propria e altrui salute, all’interno di un luogo già di per sé malsano e sovraffollato. Ha deciso di agire per far sì che qualcuno si accorgesse della drammatica situazione degli istituti carcerari di questo Paese. E, infatti, qualcosa seppur minima è stata ottenuta. C’è chi è riuscito ad ottenere delle misure alternative, di detenzione domiciliare e prolungamento di permessi e licenze. Nulla di risolutivo, certo. Ma chi rinuncia a lottare ha già perso.

Il 30 giugno nell’aula bunker a pochi passi da qui si aprirà il processo di primo grado contro i 46 detenuti di Rebibbia accusati di devastazione e saccheggio, violenza, sequestro e altro. Tutti reati che prevedono pene molto pesanti.
È la necessità di scongiurare nuove proteste a scatenare questa pesante vendetta dello Stato. Le giuste rivendicazioni vengono messe a tacere con la violenza più feroce. E le morti durante le rivolte parlano chiaro. Raccontano quello che lo Stato è disposto a farci: governare con la paura, ribadire la sua arroganza se alziamo la testa, impedire la solidarietà e vicinanza.
Sì, lo Stato non rinuncia alle sue galere, a quelle mura e a quelle sbarre così alte che hanno un effetto su milioni di esistenze, anche quelle “libere”. Le condizioni di vita di ognuno di noi, se non reagiremo, peggioreranno di giorno in giorno, fatta eccezione per quella strettissima minoranza che continua a far profitto speculando e passando sopra i corpi di tantissime persone. Questo, ad oggi, dovrebbe essere chiaro a tutte e tutti.
E quelle galere sono lì apposta, perché servono da avvertimento: “Abbassa la testa e tira avanti”.
Lo dicono a noi qui fuori, utilizzando come monito migliaia di vite isolate dal resto del quartiere.
Per questo il carcere non può restare un qualcosa di distante dalle nostre vite, una bolla separata da chi abita la città.
Per questo non possiamo permetterci di girare le spalle a chi è imprigionato/a.
Per noi le accuse per cui saranno a processo i 46 detenuti non sono reati ma atti di dignitosa rabbia.

Sempre il 30 giugno, alle 18:30, nel Parco di Aguzzano (entrata alla fine di via Bartolo Longo) davanti il carcere, ci sarà la presentazione del fumetto di Zerocalcare “Lontano dagli occhi – Lontano dal cuore”, sulle rivolte dei prigionieri di Rebibbia lo scorso marzo, con la presenza dell’autore. Sarà un altro momento per incontrarci, conoscerci e parlare di carcere.

L’UNICA SICUREZZA E’ LA LIBERTA’!

Per restare in contatto, potete scrivere a dulceri211@gmail.com

Link: Rete Evasioni

Psichiatria: basta morti in contenzione

Il collettivo Artaud invita ad un volantinaggio antipsichiatrico
Sabato 29 maggio a LIVORNO in PIAZZA DAMIANO CHIESA
dalle ore 10:30 alle ore 12:30.

BASTA MORTI IN CONTENZIONE NEL REPARTO PSICHIATRIA!!
ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!

Non si sa ancora niente del paziente originario della Val di Cornia ricoverato nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno e morto a inizio aprile di questo anno dopo essere stato legato al letto per una settimana. Ciò che sappiamo è che nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.

Il 13 agosto del 2019, nel reparto psichiatrico dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è  morta durante un incendio Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. A oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale.
Un episodio simile era accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli nel 1974, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l’incendio che l’aveva avvolta nel letto di contenzione al quale era stata legata ininterrottamente per 43 giorni.
Il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Era stato ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, senza rispettare le procedure previste dalla legge; sedato e legato con fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza nessuno che si preoccupasse di lui fino alla morte.

Nel caso Mastrogiovanni la Corte di Cassazione ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica.

Purtroppo contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento.

Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini.
Sappiamo inoltre, di numerose esperienze in Italia e all’estero dove viene evitata la contenzione. In solo 15 reparti italiani su 320 viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.

Ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali e penitenziarie italiane.
Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.orgartaudpisa.noblogs.org

Bologna: 25 aprile con Sante

Domenica 25 aprile 2021, a partire dalle h. 15.00 ricorderemo Sante in P.zza San Rocco.

Sobillatore, sovversivo, nappista, brigatista, irrecuperabile, irriducibile: sono state tante le etichette attribuite dai giudici a Sante Notarnicola. Per Bologna e per il Pratello, invece, Sante è sempre stato il compagno, l’oste, il poeta e lo scrittore combattente, punto di riferimento per chiunque volesse conservare memoria del passato e ricevere sostegno alle lotte di oggi. Soprattutto al Pratello la sua presenza è viva nelle decine di progetti sociali, solidali, culturali che ha promosso e realizzato con il coinvolgimento delle nuove generazioni di compagni e compagne, senza mai smettere di occuparsi di carcere e di repressione dei movimenti di lotta.

La data del 25 aprile gli era particolarmente cara, come gli era cara
la memoria della Resistenza e di quei partigiani che avevano
contribuito in maniera fondamentale alla sua formazione politica.

Per questo il prossimo 25 aprile lo vogliamo ancora accanto a noi,
attraverso i ricordi e i racconti di chi lo ha conosciuto, nel luogo
di Bologna che più lo ha visto presente.

Le compagne e i compagni di Bologna


Bologna: presidio sotto il carcere della Dozza


Presidio sotto il carcere della Dozza (Bologna)
Domenica 18 aprile ore 17:00

A un anno dall’inizio della pandemia, secondini e personale carcerario sono i principali vettori – se non gli unici – del contagio dentro le carceri.
Eppure la risposta dello Stato rimane l’adozione di misure sempre più restrittive  e puntive verso i/le dtenuti/e, come la riduzione delle ore d’aria, degli spazi di socialità, dei colloqui in presenza; nonchè i massacri perpetrati dai secondini, la dispersione e l’isolamento di chi un anno fa si è rivoltato e ora si trova sotto processo.

Continuare a lottare, o ricominciare a farlo, è l’unico modo che abbiamo per non farci strappare tutto ciò che è stato ottenuto da chi ha lottato prima di noi dentro e fuori le galere.

Cominciammo con la possibilità di avere il fornelletto; cosa che ci costò sangue, 3 morti, e anni e anni di carcere: qualunque cosa, anche banale, di cui oggi qualunque prigioniero può usufruire – persino il tagliaunghie, o un chilo di pasta, o un dolce – è costata tanto di quel carcere, botte e morti a tutta la generazione precedente di detenuti, quella che non aveva niente e che ha conquistato tutto”

Liberi dal silenzio, Sante Notarnicola

Carcere: Rompiamo il silenzio

da Assemblea parenti e solidali delle persone detenute.

CHI HA DIFESO LA PROPRIA VITA NON SI PROCESSA!

Un anno fa le persone detenute hanno indicato l’unica soluzione possibile per evitare il contagio di massa in celle sovraffollate: svuotare le galere.

Alle proteste e alle richieste di salute e libertà lo Stato ha risposto con pestaggi, trasferimenti punitivi, morti e torture: strano modo di tutelare la salute delle persone…

Il tracollo sanitario che ha trasformato le carceri in focolai era in corso già da tempo, così come il sovraffollamento. Quanto sta accadendo in queste settimane nella sezione femminile di Rebibbia, al pari di altre carceri, ne è una terribile conseguenza: ad oggi si parla di 40 donne contagiate e sono le stesse detenute a raccontare del mancato ricovero per chi è in gravi condizioni, della mancanza di mascherine e di tamponi, dell’isolamento totale cui sono costrette tra la chiusura dei colloqui e l’obbligo di stare in cella 24 ore su 24.

L’8 aprile, 54 detenuti di Rebibbia verranno processati in aula bunker per la rivolta del 9 marzo 2020. Altre 20 detenute sono sotto indagine per una protesta avvenuta in contemporanea nella sezione femminile.

Noi siamo al loro fianco e vogliamo che la nostra solidarietà arrivi forte e chiara. Chi ha protestato aveva ragione: l’unica sicurezza contro il contagio non può che essere la libertà.

GIOVEDÌ 8 APRILE – ORE 9:30
presidio davanti l’aula bunker di Rebibbia (via del Casale di San Basilio 168)

VENERDÌ 9 APRILE – ORE 17
a un anno dalla morte di Salvo, compagno che ha lottato dentro e fuori le carceri fino all’ultimo respiro, in via dei Volsci, sotto la sede di Radio Onda Rossa

DOMENICA 11 APRILE – ORE 10:30
presidio con microfoni aperti davanti alla sezione femminile di Rebibbia (pratone) per portare i nostri saluti alle detenute

Chiunque abbia voglia di contattarci, può farlo a uno di questi indirizzi:

Punto Solidale, via Augusto Dulceri 211 – 00176 Roma
indirizzo mail: dulceri211[at]gmail.com

Assemblea parenti e solidali delle persone detenute

Link: Rete evasioni