Il canto d’amore di Cri

Una rivisitazione de Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock, di Thomas Stearns Eliot

Si parla di attendismo, lotte e rivoluzione, in particolare qui a Bologna, nello specifico in Bolognina.

Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in quartieri fantasma
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l’insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono.
Oh, non chiedere « Cosa? »
Andiamo a fare la nostra visita.

Nella stanza le persone vanno e vengono, parlando di libri
 e della prossima presentazione.

La nebbia gialla che strofina la schiena contro gli spettri dei cantieri,
Il fumo giallo che strofina il suo muso contro i portici vuoti
Lambì con la sua lingua gli angoli della sera,
Indugiò sulle pozze stagnanti negli scoli,
Lasciò che gli cadesse sulla schiena la nebbia che arriva nell’inverno,
Scivolò sul terrazzo, spiccò un balzo improvviso,
E vedendo che era una fredda sera d’ottobre
S’arricciolò attorno all’ex mercato, e si assopì.

E di sicuro ci sarà tempo
Per riavere ciò che ci è stato tolto dagli spettri dei cantieri,
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per prepararci una faccia per incontrare le facce che incontreremo;
Ci sarà tempo per la rivoluzione, l’autogestione,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul nostro piatto.

Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un’altra birretta o vedere un altro film.

Nella stanza le persone vanno e vengono, parlando di libri
 e della prossima presentazione.

E di sicuro ci sarà tempo
Di chiedere, « Possiamo osare? » e,
« Possiamo osare? »

Tempo di volgere il capo e scendere la scala,
Con una zona calva in mezzo ai nostri capelli
– (Diranno: « Come diventano radi i loro capelli! »)
Con il nostro abito per la mattina, e quello della sera.

Oseremo
Turbare l’universo?

In un attimo solo c’è tempo
Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà.

Perché già tutte le abbiamo conosciute, conosciute tutte:
– Le repressioni, l’annientamento, lo sfruttamento,
 abbiamo conosciuto gli sgomberi, i soprusi, i morti, le frontiere,
Abbiamo misurato la vita con cucchiaini da caffè alle assemblee;
Abbiamo conosciuto le voci che muoiono con un morente declino
Sotto i pifferi che giungono da una stanza più lontana.

Così, come potremmo rischiare?

E abbiamo conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti:
–
 Gli occhi che ci scrutano, giudicano e fissano in una frase formulata,
E quando siamo formulati, appuntati a uno spillo,
Quando siamo trafitti da uno spillo e ci dibattiamo sul muro,
Come potremmo allora cominciare
A sputar fuori tutte le oppressioni, e i mozziconi dei nostri giorni e delle nostre
abitudini?
Come potremmo rischiare?

E abbiamo già conosciuto le parole, conosciute tutte
–
 Le parole ingioiellate e false (Ma alla luce di una lampada rassicuranti sirene!)
Che ci tagliano la voce

Che ci fa divagare a questo modo?
Braccia appoggiate a un tavolo, o avvolte in uno scialle, prima di un’altra birra.

Potremmo rischiare, allora?
– Come potremmo cominciare?

. . . . . . . . . . . .

Diremo, abbiamo camminato al crepuscolo per strade strette, parlando di rivoluzione,
E abbiamo osservato i mostri dei cantieri
Dalle collinette dietro il parco?…

Avremmo potuto essere un paio di ruvidi artigli
Che corrono sul fondo di mari silenziosi

. . . . . . . . . . . . .

E il pomeriggio, la sera, dorme così tranquillamente!
Ex mercato,
Lasciato solo,
Addormentato… dimenticato?… o gioca a fare il malato,
Sdraiato sul pavimento, qui fra te e me.

Potremmo, dopo le birrette , le punte, e i campari,
Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?

Ma sebbene abbiamo pianto e digiunato, pianto e pagato,
Sebbene abbiamo visto il nostro declino, la nostra fine
Portata su un vassoio,
Non siamo lucidi – e non ha molta importanza;
Abbiamo visto vacillare il momento della nostra grandezza,
E abbiamo visto l’eterno Lacchè reggere il nostro soprabito ghignando,
E a farla breve, ne abbiamo avuto paura.

E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Dopo le birrette, i campari e gli spritz,
E fra un banchetto e qualche chiacchiera
Fra noi, ne sarebbe valsa la pena
D’affrontare il problema sorridendo,
Di comprimere tutto l’universo in una palla
E di farlo rotolare verso chi sgombera e opprime,
Di dire: « Sappiamo tutto, non abbiamo paura »
–
 Se una, appoggiandole una mano sulla spalla,
Avesse detto: « Non abbiamo paura. »

E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Ne sarebbe valsa la pena,
Dopo gli aperitivi, le presentazioni,
Dopo i romanzi, i film, dopo le birrette e i thè, dopo le ore al mercato
E questo, e tante altre cose?

– E’ impossibile dire ciò che intendo!

Ma come se un disegno si rivelasse un poco alla volta, unendo i puntini su uno schermo:
Ne sarebbe valsa la pena
Se uno, alzandosi dalla sedia,
E volgendosi verso tutti noi avesse detto:

« Non è per niente così,
Non è per niente così che doveva andare. »

. . . . . . . . . . .

No! Non siamo combattenti, ne rivoluzionari;
Siamo il prodotto della battaglie evitate,
Utili forse a ingrossare un corteo, a dar l’avvio a una scena o due,
Ad avvisare gli altri; uno strumento facile, di certo,
Deferente, felice di mostrarsi utile, creativo,
Prudente, cauto, meticoloso;
Pieno di nobili sentenze, ma un po’ ottuso;
Talvolta, in verità, quasi ridicolo –
E quasi, a volte, il Buffone.

Diventiamo vecchi… diventiamo vecchi…
 Sceglieremo il nostro cantuccio per raccontarcela.

Divideremo i nostri capelli sulla nuca?
Avremo il coraggio di parlare di anarchia? Rivoluzione?
E quando vedremo Bologna affondare, riqualificata, pulita, spogliata,
Porteremo libri in biblioteca, e cammineremo sotto i portici senza un nodo in gola?

Abbiamo udito le sirene cantare l’una all’altra.
 Non credo che canteranno per noi.

Abbiamo visto un galeone al largo cavalcare l’onde
E lo abbiamo perso di vista
Nella notte in burrasca
Quando il vento rigonfia l’acqua bianca e nera.

Ci siamo troppo attardati ad osservare,
Con la paura che ci schiaccia,
Finché le sirene ci svegliano, e anneghiamo.

Soffio