Riceviamo e diffondiamo:
Siamo le gattare sfascia famiglie che abitano gli incubi dei Pro Life e dei cattofascisti della nazione.
Nel giorno del 44esimo anniversario dall’approvazione della Legge 194 ci riprendiamo lo spazio pubblico e decidiamo di decorare i luoghi in cui si riproduce la violenza antiabortista sui nostri corpi: una delle sedi del Movimento per la Vita, l’ospedale Maggiore e una farmacia notoriamente antiabortista, per ribadire che vogliamo #moltopiùdi194!

La legge 194 non garantisce sempre e per tutt* l’accesso all’aborto; è in sé problematica, ipocrita e contraddittoria, predisposta per sua natura ad attacchi e boicottaggi interni. Per la legge l’aborto è una concessione ammessa solo per motivi di salute, economico-sociali e per rischio vita (art. 4): in nessun caso è ammessa una motivazione come “non voglio diventare madre”. Noi ci opponiamo a ogni tentativo di subordinare le donne al ruolo di cura all’interno della famiglia tradizionale – bianca, eterosessuale, ri-produttiva e maschilista – e alla maternità come destino biologico. Dobbiamo rispondere a medici che vagliano la nostra condizione e le nostre capacità decisionali. L’art. 5, infatti, introduce un limite – che veste il camice del medico – alla nostra autodeterminazione: i sette giorni di riflessione. Non rimane che chiedersi: prima di quei sette giorni non eravamo capaci di prendere decisioni? È potere del medico illuminarci d’un tratto?

Gli attacchi all’aborto portati avanti in un’ottica familista sono legati all’organizzazione complessiva della società fatta di violenza e oppressione. Dietro la rivendicazione ideologica della nazione bianca si nasconde razzismo istituzionale e odio nei confronti delle soggettività LGBT*QIA+ : mentre alle donne viene negato l’aborto per riprodurre lo stato nazione nella sua bianchezza, le persone migranti vengono respinte e le persone LGBT*QIA+ diventano il bersaglio del cattofascismo di chiesa e stato.

Non lo volevamo in passato e non lo vogliamo oggi! Ci alleiamo all* compagn* argentin*, irlandes*, polacch*, rumen*: non siamo incubatrici della nazione, non ci limitiamo a difendere le poche e cattive leggi esistenti, abbiamo bisogno di #moltopiùdi194!
NOI FACCIAMO PARENTELE NON POPOLAZIONE SIAMO GATTARE ABORTISTE, ANTIFASCISTE TRANSFEMMINISTE E PER NOI VALE UNA SOLA LEGGE: L’AUTODETERMINAZIONE!
Compagne transfemministe


Per lx Sognatrici*, lx Streghe*, lx Strambe*, lx Solitarie*, lx Stralunate*, lx Sbagliatissime*, lx Spessone*, lx Spassose*… Per lx Sopravvissute*. Per le Soggettività lesbiche trans e non binarie in lotta. Per chi si rende Solidale con le lotte di autodeterminazione. Per chi è Stufa* di questo mondo, per le Sorelle* di sangue e non…
All’interno delle complesse geografie politico relazionali di questa città, e dentro un mondo in cui non era previsto che sopravvivessimo, da brave guastafeste continuiamo a lottare per la liberazione e l’autodeterminazione di corpi e desideri non conformi. Solo che, da


Ebbene, anche nel caso in cui gli psicofarmaci producessero risultati positivi dal punto di vista del comportamento a scuola, sarebbero d’aiuto per il bambino? Oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, gli psicofarmaci alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi e ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generando fenomeni di dipendenza e assuefazione del tutto pari – se non superiori – a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti. Presi per lungo tempo, possono portare a danni neurologici gravi che faranno del bambino un disabile. Oggi, a scuola, si mira sempre più a un addestramento alla produttività, all’efficienza e alla centralità del risultato. Molti insegnanti sono stati convinti dall’autorità dello psichiatra che i bambini che esprimono comportamenti sofferenti abbiano bisogno di farmaci stimolanti per cui i maestri e le maestre hanno rinunciato alla ricerca di soluzioni in classe per risolvere i problemi. In realtà questi docenti dovrebbero essere incoraggiati a cercare e trovare nuovi metodi nell’educazione. Insegnare dovrebbe dare priorità alla relazione, sapere e poter sperimentare approcci didattici e pedagogici a seconda della persona con la quale ci si rapporta. Esistono approcci didattici e pedagogici che, anziché sopprimere la spontaneità, aiutano gli studenti che manifestano “disagio” ed evitano di trattare il loro cervello in crescita con sostanze altamente tossiche come gli stimolanti. Insegnare è un’attività fluida, cangiante, sfumata, che cambia da persona a persona, da situazione a situazione, proprio perché basata sull’interazione e non sui dogmi. L’attività dell’insegnamento ha tante caratteristiche, ma non dovrebbe avere quella dell’assolutezza, dell’indiscutibilità, della categoricità. Non esistono metodi validi in assoluto: insegnare è un’attività che fa interagire soggettività, singole e di gruppo. Significa condividere pezzi di vita, conoscenze ed esperienze. Non indottrinare, ma interagire; non preparare al lavoro, ma preparare alla vita.
Analogamente il/la paziente psichiatric è continuamente infantilizzat e trattat con paternalismo, considerato incapace di autodeterminarsi e di coltivare reti sociali. Quest’ultimo aspetto in particolare, che può costituire un orizzonte di senso, di guarigione o di vera e propria salute, anche quando presente viene spesso ridimensionato o considerato insufficiente a fronte del pregiudizio psichiatrico della sacralità della diagnosi e di una sorta di profezia autoavverantesi di trovarsi di fronte nient’altro che un paziente, utente o potremmo dire ‘cliente’ della psichiatria.
Durante la pandemia la condizione di difficoltà dei più giovani (che non neghiamo) è diventata ben presto patologia, grazie anche all’attenzione posta dall’OMS all’incremento dei fondi da dedicare alla presunta salute mentale. Ancora una volta però siamo convinti che, come in passato, questa condizione dilagante di isolamento-depressione-apatia legata al covid sia figlia delle mode e venga cavalcata a beneficio dei soliti noti.

