FIRENZE: CORTEO CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE E LA SUPREMAZIA CIS

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25 novembre ore 18
Piazza Tasso (Firenze)

Abbiamo deciso di chiamare questa piazza il 25 novembre sulla ricorrenza della giornata nazionale contro la violenza sulle donne, poi diventata giornata contro la violenza patriarcale e di genere perché in quanto persone trans non ci sentiamo né riconosciutx, né previstx o inclusx dalle analisi, narrazioni e immaginari di lotta delle piazze degli ultimi anni. Vogliamo prenderci spazio e alzare la voce. Vogliamo che la supremazia cis tanto nel mondo quanto negli spazi di movimento venga riconosciuta e problematicizzata perché necessaria per il mantenimento del patriarcato e la sua esportazione di repressione, dolore e morte. Spingiamo perché ci sia uno sforzo collettivo e trasversale per abolire la supremazia cis come c’è per lottare contro il patriarcato.

Abbiamo chiamato questa piazza perché ancora c’è chi storce il naso quando come persone trans pretendiamo di partecipare a momenti di lotta separati.

Siamo stufx che le nostre esperienze di sessismo vengano sminuite e invisibilizzate dallx compagnx cis. Siamo stufx di venire picchiatx e uccisx per strada nell’indifferenza del mondo cis. Siamo stufx che mentre noi veniamo cacciatx dai centri antiviolenza perché siamo trans nella rete dire per i cav possano partecipare tranquillamente realtà transfobiche.

Abbiamo chiamato questa piazza perché non ci accontentiamo più di un’inclusione superficiale, non ci bastano più le schwa nei comunicati, vogliamo una vera complicità nella lotta per la liberazione di tutti i corpi e vite dal patriarcato.

Non aspetteremo più che il movimento autodefinito transfemminista che però rimane profondamente ciscentrico si svegli, vogliamo prenderci spazio ora.

Non c’è transfemminismo senza persone trans

TRANSENNE – BARRICATE CONTRO LA TRANSFOBIA

E’ nato il blog TRANSENNE – Barricate contro la transfobia

CHI SIAMO
Siamo una rete informale di persone trans* da tutta Italia in cui convergono individualità da diverse esperienze e percorsi, ma accomunate dalla critica al capitalismo, allo Stato, al suprematismo bianco e al potere del sistema bio-medicale, con un approccio intersezionale alle lotte. Organizziamo dall’estate 2022 un Campeggio Trans, un’iniziativa di socializzazione e scambio di prospettive nata dalla necessità di incontrarci e (ri)conoscerci su una base di affinità e orizzontalità per organizzarci in maniera autogestita senza la delega ad associazioni, partiti o istituzioni, e per estendere le nostre relazioni in senso più ampio rispetto ai soli collettivi urbani.

Da questa esperienza abbiamo costruito dei percorsi di sostegno alle persone trans detenute, oltre a mobilitazioni contro la transfobia di Stato e di movimento, prestando particolare attenzione al fenomeno del femminismo transfobico (TERF) e denunciando gli attacchi all’autodeterminazione trans da parte dei governi e del sistema medico. Nel partecipare ai momenti di lotta e mobilitazione del movimento transfemminista e per la libertà del popolo palestinese, cerchiamo di costituire una presenza organizzata per mettere in luce la nostra solidarietà alle altre persone oppresse da questo sistema e l’esistenza di una pratica trans militante radicale.

Questo sito vuole essere un collettore di alcuni dei contenuti che produciamo sulla base dei nostri incontri e scambi di sapere e riflessioni. In un momento storico in cui si sono moltiplicate le rappresentazioni mediatiche dell’esperienza trans e i luoghi di aggregazione virtuali, continuiamo a credere nell’importanza di creare possibilità di incontro fisico tra persone, interagendo di volta in volta con i contesti che ci ospitano, dalle occupazioni transfemministe e/o anarchiche in città ai contesti rurali solidali, godendo qui anche di una relazione con la natura da cui spesso siamo così alienatx in questi tempi.

Desideriamo dare vita a nuovi immaginari, tessere nuove narrazioni dell’esperienza trans, oltre la logica della rappresentazione, rompendo con la sovradeterminazione dei nostri vissuti e anche con una certa forma di performatività estetica che si traduce poi in nuove forme di normatività. Diamo vita a nuove forme di autonarrazione, riconoscendo le nostre singole vite nella loro unicità, riflettendo i nostri sguardi nella condivisione e nella solidarietà.

Sul sito verranno pubblicati comunicati, approfondimenti, materiali e le iniziative che organizziamo o a cui partecipiamo, dove puoi trovarci se ti interessa conoscerci e coinvolgerti!

Scrivici alla nostra email se vuoi contribuire in qualche modo a questo percorso od organizzare delle iniziative sul tuo territorio:
transenne@riseup.net

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FORLÌ: GIORNATA ANTIPSICHIATRICA

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DOMENICA 16 NOVEMBRE
presso E’ Circulet (Circolo Asyoli), corso Garibaldi 280.

➡️ GIORNATA DI APPROFONDIMENTO E DISCUSSIONE SULL’ANTIPSICHIATRIA:
ne parleremo con le/i compagnə del Collettivo Artaud di Pisa e con Angelo del Collettivo CAMAP che gestisce tra l’altro il telefono di mutuo aiuto antipsichiatrico.

* Ore 13:00 pranzo conviviale con buffet vegan.

* Ore 14:30 chiacchierata su il TSO come strumento di Tortura, Sopruso e Oppressione: rischi legati a questa misura costrittiva e autodifesa legale e pratica.

* A seguire decompressione e convivialità.

* Ore 16:00 la psichiatria a scuola: come le aule sono sempre più e sempre più precocemente laboratori di psichiatrizzazione delle nostre vite.

* Ore 17:30 la psichiatria nella vita quotidiana: perché patologizzare i nostri comportamenti è uno strumento di dominio da parte del potere? Perché siamo antipsichiatricx per una idea di cura radicalmente altra?!

Organizza Collettivo Samara
Contatti: samara@inventati.org

ROMA: PRESIDIO AL CPR DI PONTE GALERIA

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9 novembre ore 17 presidio al CPR di Ponte Galeria
Appuntamento alla stazione Fiera di Roma del treno per Fiumicino

La grande differenza tra una galera israeliana e un CPR come quello di Ponte Galeria è che la maggior parte delle torture e delle uccisioni l’Italia le ha esternalizzate ed appaltate alle guardie di Libia, Niger e Tunisia coperte dall’UNHCR.

Il razzismo, la segregazione e l’espulsione hanno la stessa radice coloniale, da una parte all’altra del Mediterraneo.

La storia dei CPR è fatta di quotidiane resistenze individuali e collettive che spesso hanno acceso la solidarietà all’esterno.
Ad oggi il CPR di Ponte Galeria è stato ricacciato nel silenzio, nulla è dato sapere dalla voce diretta delle persone imprigionate.

A Roma il PD – che ha avuto tra le sue fila i consulenti di Leonardo, i diretti responsabili dei lager in Libia e del bottino coloniale consegnato ad ENI – gioca una battaglia elettorale sul corpo delle persone colpite dal razzismo di stato dichiarando cose che non farà mai, come la chiusura dei CPR che il PD stesso ha aperto.

Crediamo sia importante rompere l’isolamento delle persone imprigionate e far sentire forte la nostra solidarietà fuori da quelle mura.

Assemblea di solidarietà e lotta

LA BANALITÀ DEL MALE E LA BANALIZZAZIONE. SUI FASCISTI A PREDAPPIO, ANCORA…

Riceviamo e diffondiamo

Anche quest’anno ci sono state le solite buone 48 ore di articoli sul giornale, interviste fatte per strada, commenti pro e commenti contro all’ennesima manifestazione fascista che invade il paesello romagnolo ogni, almeno, 28 ottobre (marcia su Roma) e 29 luglio (nascita del dittatore). Tra poche ore non ne parlerà più nessuna/o, fino all’anno prossimo: un altro bel lascito della digitalizzazione/virtualizzazione del mondo.
Perché allora scrivere queste righe e aggiungere un trafiletto in più di quasi folklorico sdegno per poi dimenticarsene pochi minuti dopo, pochi “scroll” dopo?

Perché l’attualità trattata in maniera emergenziale come si sta ormai perpetuamente facendo da decenni non consente lucidità d’analisi secondo noi e la ridicolizzazione dei fascisti che si ritrovano a Predappio, che molti giornalisti perseguono con le proprie interviste cercando il più caso umano tra tutta la marmaglia, getta ancora più fumo negli occhi. I fascisti (ci rifiutiamo di definirli “neo” o “post” perché la continuità simbolica, ideologica, pratica è evidente e, anzi, da loro stessi rivendicata) scorrazzano liberamente per Predappio almeno dal 1983, anno in cui la Prefettura di Forlì ritira il divieto di vendere paccottiglia fascista (guarda caso nel centenario della nascita di Mussolini) per poi fare un salto di qualità nel 1997, anno in cui l’allora sindaco dei DS (Democratici di Sinistra, sì, quelli di quel D’Alema che concedeva le basi militari per bombardare Sarajevo, remember?!) approva l’apertura dei negozi di “souvenir” come li chiamano loro (e anche i giornali).

Questo per dire che il problema è trentennale ed è soprattutto un problema sociale, della cittadina romagnola: come si fa a tollerare che due volte l’anno la città venga invasa da fascisti e nazisti proveniente da tutta Italia (e spesso anche dall’estero: falangisti di Spagna, nazi ungheresi etc) senza contare che TUTTO L’ANNO, tutti gli anni, Predappio è il parchetto giochi di fascisti di ogni risma, e non sono solo “nostalgici” (come se poi se fossero davvero dei nostalgici ci sarebbe da star tranquilli, boh!) la maggior parte sono uomini (il 98%) di tutte le età e provenienze che vengono a venerare un dittatore fortunatamente giustiziato che per prendere il potere ha sparso per l’Italia morte, torture, tradimenti, incendi, saccheggi, oppressione. E una volta preso il potere (concessogli, in verità) non ha fatto che proseguire nella strada dell’oppressione fino alle tragedie massime delle leggi razziali e della guerra.

Ed è bene ricordarlo, perché la storia è sempre più dimenticata, mistificata, taciuta, revisionata: Mussolini va al potere per soffocare le istanze di liberazione di una generazione di sfruttate/i che se industriali ed agrari non avessero armato il fascismo (e se partiti e sindacati di sinistra non fossero stati dei pusillanimi, a dir poco) avrebbe fatto la rivoluzione sociale. E in questo non è cambiato nulla: le squadracce che nel 1921 assalivano, coperti e spalleggiati da esercito e carabinieri, fanno il paio con i fascisti che nel 2025 attaccano i liceali che protestano (esempio Torino pochi giorni fa) aiutati dalla celere o i picchetti degli scioperanti (come a Seano nel 2024).

Ma tornando a Predappio c’è da chiarire a chi non avesse mai messo piede tra queste colline, che TUTTA la vita sociale di questo paese è ostaggio della presenza della cripta Mussolini e dei suoi accoliti: dalle gare motociclistiche ai trekking urbani, passando per le serate di degustazione di vini, tutto ruota attorno al fascismo e alla figura di Mussolini. E come potrebbe essere altrimenti? Predappio fu costruita dal dittatore per celebrare sé stesso (quest’anno i cento anni dalla Fondazione! Con tanto di festa e maxi modello di cartone della città esposto in piazza!) e tutte le amministrazione degli ultimi 30 anni (una menzione d’onore va ai multipli mandati di Frassineti, del PD) si sono prodigate per fare sì che il paese e il fascismo siano felicemente gemellati, per la bella faccia e le tasche gonfie di quei tre o quattro imprenditori che hanno costruito una fortuna sui “gadget” (Pompignoli, Morosini, Ferrini prima di tutti).

Ogni persona che vive a Predappio o che la visita, senza essere fascista, si potrebbe domandare per una volta nella vita: ma posso tollerare che chi ha messo a ferro e fuoco (letteralmente: la “colonna di fuoco” di Italo Balbo) la Romagna, e poi tutta Italia e poi l’Albania, Etiopia, la Spagna (il sostegno decisivo a Franco contro la Repubblica) sia osannato davanti ai miei occhi, senza fare nulla? Che questi ragazzini che poi vanno in trenta contro tre (mi riferisco all’ultima aggressione fascista a Cesena, l’11 ottobre scorso) possano tranquillamente salire a Predappio e comprarsi dei manganelli, dei tirapugni e dei coltelli con su inciso nell’elsa “boia chi molla” e poi andare a vagheggiare di onore e merdate simili nella cripta di Mussolini, come se fosse “normale”…e in effetti, è tragico ammetterlo, nell’Italia del 2025 è più “normale” questo che lottare contro il genocidio in Palestina, genocidio che il governo italiano appoggia, arma e finanzia, cosa per la quale ti becchi accuse e condanne per terrorismo (vedi, tra tutti, il caso di Anan Yaesh).

Un’ideologia come il fascismo che è, come qualcuno/a l’ha magistralmente riassunto un “vuoto pneumatico” si fonda, si sostiene e si autoalimenta di rituali e celebrazioni che devono essere ripetute per dare linfa a un costrutto che non ha radici sociali, né filosofiche, tanto meno esistenziali, ma solo un’accozzaglia di slogan ripetuti vuotamente. Primo tra tutti questi “miti fondativi”, e forse quello più pericoloso per chi vive l’antifascismo senza deleghe, è quello dell’invincibilità, che ha bisogno di riconferme continue in scontri di strada (sì, trenta contro tre però). Ogni mito ha necessità di un luogo dove poter esprimere la propria liturgia, e cos’è Predappio, oggi, se non la vera e propria Mecca del fascismo?
Non è perciò solo una questione di stomaco, di non voler vedere sta gentaglia in giro per il paese e per le valli, ma anche una questione politica e sociale urgente: questi fascisti, a Predappio, trovano linfa vitale e totale agibilità per i loro deliri di supremazia.

Anche tutta la manfrina sulla paura di “quelli di Forza Nuova” merita una piccola precisazione, perché letta, oggi, sui giornali pare un’allarmante novità: Forza Nuova, fino alla scissione della “Rete dei patrioti” (2020) è stata sempre integrante, quando non direttamente organizzatrice, delle manifestazioni di Predappio, e lo è da decenni. Poi che tra camerati stessi non corra buon sangue e quindi si mettano a fare i loro teatrini di eterne vittime, esclusi, osteggiati dalla Digos (seeeeeee!) serve solo a fare un po’ di pubblicità ad un partito, Forza Nuova, che ha negli ultimi anni, perso moltissimi iscritti. Ciò non toglie che i nazifascisti, quelli da stadio e da strada, che menano e sanno menare (o accoltellare) vengano da sempre a Predappio, e non solo i pagliacci col fez made in china. E parlando di pagliacciate, veniamo alla banalizzazione: a vedere i video dei giornalisti che intervistano i/le camerati/e mi sorge il pensiero che li/e si voglia per forza far passare per dei dementi, sgrammaticati, imbecilli, in una parola, sì, fascisti. Ma questa opera di ridicolizzazione è molto pericolosa sotto diversi punti di vista.

È certo vero che “la galassia fascista” si compone di individui per lo più stolti, abbrutiti e repressi, per dirla come si direbbe da noi “che non fanno una O con un bicchiere”, ma, a ben vedere, il fascismo non è mai stato altro che questo: moltitudini arrabbiate, frustrate, sobillate nei “bassi istinti” (ieri “la vittoria mutilata” oggi “l’immigrato privilegiato”) scatenate senza nessuna necessità di riflessione o di possibilità di messa in critica degli ordini sbraitati dai capi. Ed era esattamente, per altro, ciò che Mussolini o ancora più un Michele Bianchi, uno degli ideologi del fascismo del ‘22, promuovevano: una cerchia ristretta di individui eletti, “illuminati” (come direbbe Bianchi che era massone) che guida le “immature” masse italiche verso la riconquista dell’onore perduto della patria.

Anche le camicie nere storiche erano per lo più gente violenta e ignorante, avvezza più alle scazzottate da osteria e alle coltellate alcoliche che alla discussione, all’organizzazione tra pari. Erano massa d’urto al servizio di un astuto, laido, infido politicante: Benito Mussolini. Per questo non c’è da stupirsi che a Predappio, oggi, si riversi la crème della crème dell’idiozia nazional-popolare, ma non c’è neppure da prenderli sotto gamba. Non c’è una sorta di “degradazione” odierna di quello che il fascismo rappresentava, non è che i discendenti delle squadracce siano meno pericolosi perché più imbecilli, sono esattamente ugualmente pericolosi perché ugualmente incattiviti, impuniti, galvanizzati, imbecilli (solo con la parola imbecille ci viene da trattare uno/a che crede di “lottare contro il sistema” ed è finanziato, armato, difeso, spalleggiato, dagli industriali/politici/imprenditori che il sistema, quello del capitalismo e della borghesia, hanno congegnato e imposto).

Dire che “un/a fascista non ha idee”, in quanto fascista, non è sbagliato in sé, ma non toglie nulla alla funzione reazionaria di quel/la fascista: è esattamente così che viene richiesto che sia, che lo vogliono i capi, i gerarchi i capi-partito i duci: forza motrice. Un fascista non deve avere idee, ma parole d’ordine, e agli ordini, per quanto stupidi o brutali o infami o sanguinari, si obbedisce. Poi ci son i capi, gli ideologi, i fascisti che scrivono i libri,  tutto vero, ma senza la massa, la bassa manovalanza, sarebbero poco più che un club di itterici biliosi che vagheggiano di arianità e autocrazia (non sto descrivendo nulla di incredibile: banalmente è come è organizzata una qualsiasi caserma, che infatti è l’ispirazione della società fascista).

Il fascismo non è infatti “un movimento politico” ma una maniera di arrivare al potere, e ogni potere si fonda sulla dominazione di pochi, l’accettazione-complicità di alcuni e l’indifferenza di molti, così ci pare ci suggerisca la storia dei totalitarismi come delle democrazie, che in quanto a arbitrarietà, privilegio e oppressione pare abbiano imparato bene la lezione dai totalitarismi, ma questa è un’altra storia. Il fascismo del ‘22 si è affermato sulla violenza che lo stato gli ha concesso di esercitare, impunito (l’impunità dei fascisti, benché facciano costantemente le vittime, è un dato fondamentale  nel loro operato, ieri come oggi) a piene mani o spesso affiancandogli carabinieri e regio esercito, mentre gli oppositori politici (socialiste, anarchici, comuniste, Arditi del Popolo, repubblicani) se solo venivano trovate/i con un bastone venivano arrestati/e.

Oggi sta succedendo, in piccolo, perché la partecipazione sociale alla “cosa pubblica” è incredibilmente diminuita, la stessa identica cosa. E per non ricommettere gli errori del passato non possiamo considerare il fascismo di oggi una “tragica pantomima”, ma dobbiamo organizzarci nella consapevolezza che, al momento opportuno (per esempio in caso di sollevamenti sociali dovuti all’economia di guerra e/o a prossimi arruolamenti per le guerre della Nato??!) lo Stato riutilizzerà la propria manovalanza sporca come sempre ha fatto, come non ha mai smesso di fare, dagli scioperi del ‘21 alla strategia della tensione degli anni ‘70 e ‘80 fino ad oggi.

E di questa consapevolezza fa parte la certezza, storica oltre che esperienziale, che “l’antifascismo della costituzione” di cui si fregiano i vari partiti di sinistra, è solo una mostrina da esporre il 25 aprile, e poi il resto dell’anno votare per più telecamere, più centri per reclusione dei migranti, meno diritti per le fasce povere della popolazione, più bombe, più asfalto (etc.) mentre il grido di libertà dei compagni e delle compagne partigiane che c’hanno lasciato la pelle ci intima di non fidarci, che la stessa gente che porge la mano ai fascisti, in nome del dialogo democratico, è quella che ci taccia di “violenti” o “provocatori” se ci si arrabbia nei cortei.

Il fascismo si combatte, a Predappio e ovunque, con la cultura della fratellanza e della sorellanza e della solidarietà tra sfruttati/e; del rifiuto della competizione e del servilismo, ma una cultura che sappia impugnare le armi per l’autodifesa per non essere, ancora una volta, gettata nel tritacarne della storia.

– Alcuni/e Antifascisti/e Arrabbiati/e dai colli di Romagna –

AGGIORNAMENTO DAL CPR DI TORINO (NOVEMBRE 2025)

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La sera del 20 ottobre, tra le 19:30 e le 20:00, cinque persone hanno deciso di salire sul tetto dell’area verde per protestare, mettendo in gioco il proprio corpo per rivendicare la libertà a partire da alcune questioni specifiche. C’era chi stava protestando per avere informazioni chiare sulle proprie istanze di liberazione, denunciando le continue menzogne dell’amministrazione del CPR al solo scopo di pacificare le persone recluse, chi protestava per l’impossibilità di parlare con il proprio avvocato perché, come spesso accade, l’amministrazione ostacola il più possibile le comunicazioni, nascondendosi dietro a burocraticismi e cavilli; e chi rivendicava l’accesso alle proprie medicine, bloccate perché troppo lento il passaggio di consegna della cartella clinica proveniente dal carcere.
I reclusi hanno scelto di lottare insieme, salendo sul tetto e usando il proprio corpo come leva per fare pressione sull’amministrazione e ottenere “il rispetto dei propri diritti” – come ci dicono da dentro. Anche dalle altre aree, le persone hanno sostenuto la protesta, amplificando le rivendicazioni rendendole collettive. Non sono mancate le reazioni immediate dell’amministrazione e della polizia, che hanno minacciato di trasferire le persone alle Vallette, facendo così ripartire il conteggio dei giorni di detenzione.

Se dalla riapertura del CPR di Torino Sanitalia ha tentato di oscurare la tortura portando avanti una gestione all’insegna del detto “bastone e carota” e quindi concedendo qualche miglioria delle condizioni quotidiane, dall’altra parte non sono mancate politiche estremamente punitive e repressione anche a suon di burocraticismi nei confronti di chi dentro quel centro si ribella. Dai trasferimenti in carcere, purtroppo sempre più frequenti, ai trasferimenti punitivi nel CPR in Albania, diventati non solo reali ma anche una minaccia quotidiana per chi vive ogni giorno la violenza della detenzione nel CPR, i fatti delle ultime settimane ci mostrano l’altro lato della violenza razzista di Sanitalia ai danni delle persone recluse e di chi prova lottando a rompere il velo di pacificazione tanto agognato dall’amministrazione.

A riprova di ciò, dopo il mese di settembre scandito da quotidiani gesti di ribellione dentro il CPR, alle prime di settimane di ottobre dove diversi reclusi hanno deciso di mettere a rischio la propria vita buttandosi dal tetto pur di poter uscire da quel centro – la quotidianità punitiva del CPR è tornata a farsi sentire. Il cibo è tornato ad essere immangiabile, definito “becchime per uccelli”, si tratta spesso solo di pasta o riso, spesso marcio e andato a male. Molte persone hanno sofferto di diarrea per giorni e, come accadeva anche con la precedente amministrazione del CPR, vengono messi psicofarmaci nei pasti, lasciando le persone confuse e stordite. Da dentro ci raccontano che da oltre tre mesi non viene distribuito nulla di fresco.
Come spesso accade nei luoghi di tortura, nonostante l’arrivo del freddo, il riscaldamento non funziona e le persone sono costrette sotto le coperte anche durante il giorno. In una delle aree i bagni sono praticamente interdetti e, nonostante le continue richieste d’intervento, la situazione non sembra cambierà a breve.

Anche le deportazioni continuano. Infatti, la sera di venerdì 24 ottobre, 10 persone sono state prelevate con un bus dal CPR e sono state deportate, probabilmente proprio in Albania. Al contempo, se 10 persone sono uscite, 20 sono state portate dentro al CPR di Torino proprio la mattina dopo. Di nuovo, la notte tra il 29 ed il 30 ottobre, altre 10 persone sono state portate in Albania.

CATANIA: GIÙ LE MANI DALLA LUPO

 

TESTO IN PDF: scarica, stampa, diffondi!

 “Nessuno dice: abbiamo gonfiato e arricchito le mafie perché Stato e Mafia devono vivere in simbiosi mutualistica, devono presupporsi ed alimentarsi a vicenda, rappresentarsi come Società, la Seconda Natura, per la maggiore gloria del Dio-Capitale, della sua Merce, del suo Spettacolo. Liberarsi dalle Mafie è liberarsi dallo Stato”.
Riccardo d’Este

Infine il comune di Catania ha deliberato un progetto esecutivo per la piazza Pietro Lupo. Lo ha fatto nonostante non sia stata fatta alcuna concertazione territoriale, perché in questi anni l’unica espressione dellx abitanti sono state proteste e critiche verso l’idea di realizzare il famoso e fumoso parcheggio.

Quasi 4 milioni di euro sono stati invece ora stanziati per diminuire i posti auto già esistenti, piantare qualche essenza arborea e fare un’ennesima postazione per turisti e telecamere. Se il problema era migliorare la pedonabilità dello spazio urbano e la qualità della vita in questo pezzo di centro storico non serviva di certo uno spreco così ampio di risorse pubbliche, o meglio un tale indebitamento (ricordiamoci che i soldi del PNRR sono un debito che l’Italia ha contratto con l’Europa). Questo mentre arriva la notizia che Catania ha perso 19 istituti scolastici negli ultimi 2 anni.

3 milioni 900mila euro verranno dati alle imprese edili risultate vincitrici dell’appalto, in primis il “Consorzio stabile progettisti costruttori”, del gruppo Capizzi. L’imprenditore, fratello del sindaco  di Maletto appartenente a FdI, è tutt’ora coinvolto in diverse inchieste per corruzione e ha dichiarato di aver pagato tangenti per ottenere un cospicuo appalto pubblico a Messina. Nonostante il patteggiamento, resta chiara la lettura politica dei modi in cui queste imprese edili operano.

Così come è chiara la comprensione di cosa sia stato il progetto precedente del parcheggio, quello per cui Virlinzi e Ciancio avevano aperto la società “Parcheggio Lupo srl” con il quale l’amministrazione comunale, sempre della stessa destra fascista,si è ritrovata esposta in un ulteriore contenzioso per non avere portato avanti i lavori.

Sono decenni che esiste un apparato di governo a Catania che è colluso con famiglie imprenditoriali che usano metodi mafiosi e che drena risorse pubbliche per svendere pezzi di città e terreni naturali all’economia immobiliare e turistica. Lo si vede ovunque. A Ognina, alla Pescheria, alla Civita e anche nella contigua San Berillo, dove l’amministrazione comunale ha lasciato i proprietari liberi di speculare e interviene solo aggiungendo videocamere di sorveglianza e supportando i raid della questura.

Come nello sgombero in via di Prima di poche settimane fa quando più di una decina di forze di polizia sono state mandate a difendere una proprietà della famiglia Virlinzi per sgomberare donne e uomini che stavano pagando un affitto e nei confronti dellx quali non è stata proposta alcuna soluzione abitativa alternativa.

Nella delibera si sproloquia sulla “scarsa fruizione di Piazza Pietro Lupo” attuale e si dice che il progetto permetterebbe invece di “accogliere la collettività”. La collettività è accolta ogni giorno in uno spazio autogestito in cui si continuano a proporre laboratori, attività culturali e ricreative, libere e gratuite. E in cui trovano posto anche quelle persone razzializzate che il governo locale e nazionale, e la prefettura, vorrebbero solo rinchiuse in un CPR.

Ma che al comune di Catania di chi abita davvero nel territorio non importi nulla lo si è visto anche con lo sgombero della Consultoria autogestita, dove ci si organizzava per fornire accesso gratuito alla salute in una provincia in cui, per legge, dovrebbero esserci almeno altri 19 consultori. D’altronde, cosa aspettarci da un sindaco che scrive che Catania non è “puttana che si mette in mostra per essere violata”?

Nel progetto di piazza Pietro Lupo si chiama in causa direttamente anche il turismo. È la stessa scusa con cui hanno sgomberato anche lo storico centro sociale Auro, il cui edificio sarebbe dovuto diventare un hub turistico e invece continua ad essere abbandonato e murato. E intanto le navi da crociera continuano a susseguirsi al porto, con la loro scia di inquinamento e predazione dei luoghi. Sappiamo bene l’idea di città che ha in testa chi governa: turismo di massa sempre più invasivo, nessuna politica abitativa e criminalizzazione di chi non ha soldi, si organizza senza profitto e/o prova a difendersi da espropri e sgomberi.

Qua si tratta di difendere la LUPO, ovvero impedire che si tolga uno dei pochi spazi liberi rimasti in città dove poter sperimentare relazioni umane senza gerarchie e profitto e organizzarsi contro chi uccide, imprigiona e sfrutta la vita. Ma qua si tratta anche di difendere lx abitanti di Catania dai progetti di un’amministrazione collusa che ha in testa solo stato, dio, patria, famiglia, repressione e tanto profitto. In una città dove i sodalizi tra ex questurini, imprese immobiliari e turistiche ed eletti sono strutturali. Insomma, dove governa la mafia, intesa come “il modello di tutte le imprese commerciali avanzate”, parte e partner (non deviata) dello stato.

Dalla Lupo occupata e per la Palestina liberata.
Giù le mani dalla LUPO!

Assemblea cittadina mercoledì ore 19.00 in Piazza G. Falcone. 

 

LA SUPERIORITÀ “RAZZIALE” EBRAICO-ISRAELIANA E LA PERSECUZIONE DEI PALESTINESI IN CISGIORDANIA DURANTE LA GUERRA DI GENOCIDIO E LA PULIZIA ETNICA

Riceviamo e diffondiamo:

Riportiamo, con un po’ di ritardo dovuti ai tempi di traduzione, una breve testimonianza e descrizione di quello che sta/stava succedendo in Cisgiordania, all’ 8 ottobre 2025 (ad oggi la situazione potrebbe essere peggiorata e i numeri presenti nel testo potrebbero risultare inesatti). Questo contributo è l’esperienza diretta di un palestinese che vive quei territori e l’occupazione sionista sulla sua pelle da tutta la vita, vedendone l’evoluzione e i cambiamenti. Se a Gaza la mira delle potenze sioniste è di eliminare Gaza, la sua popolazione e la sua memoria, poco più a nord in Cisgiordania l’occupazione israeliana avanza inesorabile, con la presa di sempre più terre da parte dei coloni israeliani e con la riduzione sempre maggiore degli spazi di agibilità e mobilità palestinesi. Non sentiamo la necessità di aggiungere un commento al testo, se non ribadire la nostra totale solidarietà al popolo palestinese che lotta per la sua liberazione e l’intento di dare spazio alle voci palestinesi che arrivano direttamente da quei territori e che molto spesso non giungono fino a noi.
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Testo in PDF

La superiorità “razziale” ebraico-israeliana e la persecuzione dei palestinesi in Cisgiordania durante la guerra di genocidio e la pulizia etnica

Dalle colline di Ramallah, la sera potevamo vedere le luci di Yafa, se il tempo era sereno potevamo vedere il mare. Abbiamo sempre detto che un giorno saremmo riusciti a raggiungere il mare. Ma ad oggi, dopo due anni di guerra genocida, non possiamo più stare sulle colline.
I Coloni e i gruppi estremisti come i “giovani delle colline” e “la terra promessa”, a volte indossando magliette con la scritta “la mia terra è ovunque posso occupare”, impediscono a chiunque di raggiungere le colline, usando le armi che gli sono state distribuite dal Ministro della Sicurezza Nazionale, Ben-Gvir. La possibilità di vedere il mare ci è stata negata.
Negli ultimi due anni, Ben-Gvir ha distribuito 40 mila armi ai coloni che vivono sulle colline della Cisgiordania. Ha distribuito centinaia di veicoli a quattro ruote motrici per facilitare il loro accesso ai terreni montuosi, che sono stati confiscati dello Stato sionista, e ha finanziato l’installazione di pannelli solari per ogni loro nuovo insediamento.
I coloni occupano la terra, le fonti d’acqua e i pozzi artesiani. Hanno rubato il bestiame e i trattori agricoli delle comunità beduine, distruggendo le loro case, espellendoli dalle loro terre e fondando insediamenti al loro posto.

I villaggi palestinesi sono stati attaccati da coloni sotto la protezione dell’esercito dell’occupazione israeliano. Case, auto e campi sono stati bruciati e alberi sono stati sradicati, come è successo a Turmus Ayya, al-Mughayyir, Khirbo Abu Falah, Huwara e Qaryut e a Kafar Malik, a 15 km da Ramallah, dove si trova il pozzo principale che fornisce il 40% dell’acqua necessaria alla città di Ramallah e al-Bireh. Lì, i coloni hanno sequestrato la fonte d’acqua e l’hanno trasformata in una piscina e in un luogo dove lavare il loro bestiame. Questi avvenimenti sono stati ripetuti in altri villaggi e province, in contemporanea alla pulizia etnica e alle scene di genocidio e uccisioni trasmesse in diretta al mondo intero.
Il campo profughi1 di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale, sta venendo silenziosamente sgomberato: oltre 100 famiglie hanno perso le loro case; le infrastrutture fognarie, elettriche e idriche sono state distrutte così che tante persone hanno perso i loro mezzi di sussistenza di base. La situazione non è diversa nei campi profughi di Nur Shams e di Tulkarem, nella provincia di Tulkarem. I campi profughi sono stati divisi, le strade sono state distrutte e, nel nord, stiamo assistendo a un’ondata di sfollamenti dai tre campi verso i centri delle due città.

Con il sostegno legale e politico del governo dell’occupazione sionista, le norme che regolano l’uso di armi da fuoco sono state modificate e ulteriore protezione è garantita ai coloni che commettono omicidi contro i palestinesi. Ciò consente l’uso letale di proiettili (n.d.t. ossia non più di gomma) contro i palestinesi, anche senza “giustificazione”. Ciò fornisce un chiaro riflesso nella profondità del disprezzo dello Stato Occupante per le vite dei palestinesi e costituisce un elemento fondamentale della struttura che consente a Israele di continuare a esercitare il suo controllo violento su milioni di palestinesi.

Oltre 14 milioni di persone vivono nelle terre tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, circa la metà delle quali sono israeliane e l’altra metà palestinesi. La percezione prevalente – nella sfera pubblica e giudiziaria, politica, mediatica e dei giornali – è che queste terre siano divise dalla Linea Verde: la prima metà si trova all’interno dei confini sovrani di Israele, è democratica e stabile e ospita circa nove milioni di persone “tutti cittadini israeliani”; la seconda metà si trova nei territori occupati da Israele nel 1967, il cui status definitivo dovrebbe essere determinato in futuri negoziati tra le due parti.

Circa cinque milioni di palestinesi vivono in queste aree sotto occupazione militare temporanea. Tuttavia, questa definizione è diventata sempre più irrilevante nel corso degli anni. Ignora il fatto che questa situazione persiste da oltre settant’anni, ossia praticamente dalla fondazione dello Stato di Israele, ma non tiene conto delle centinaia di migliaia di coloni ebrei residenti in Cisgiordania, il cui numero è aumentato drasticamente in questi due anni trascorsi dall’inizio della guerra di sterminio. Ma, cosa ancora più importante, questa distinzione ignora la realtà di un unico principio del governo applicato in tutto il territorio che si estende tra il fiume Giordano e il Mediterraneo: il rafforzamento e la perpetuazione della supremazia di un gruppo di persone – gli ebrei israeliani – su un altro – i palestinesi. Tutto ciò porta alla conclusione che non si tratta di due sistemi paralleli che operano casualmente secondo lo stesso principio, ma un sistema unico che governa l’intero territorio, controllando tutte le persone che vi risiedono e operando secondo il principio del governo israiliano.

Dall’inizio di questa guerra sono state registrate 1.048 uccisioni in Cisgiordania, di cui 260 bambini.
Il sionismo non si è accontentato di questo. Il controllo coloniale basato sull’isolamento e la sottomissione, ha trasformato il territorio palestinese in un arcipelago di isole separate, come se fossero “cantoni” chiusi, separati da cancelli di ferro, soggetti all’autorità assoluta dell’occupante. Migliaia di palestinesi sono stati e sono costretti ogni giorno a percorrere strade alternative, spesso sterrate, casuali e rischiose che a volte non esistono neanche. Queste chiusure delle strade ostacolano l’attività economica e l’accesso ai servizi sanitari e educativi, aumentano l’isolamento delle aree rurali e trasformano il semplice spostamento in un viaggio di sofferenza sistematica.
Alla luce di questa realtà, le porte di ferro installate dallo stato Israeliano lungo le strade palestinesi, sono un chiaro simbolo di punizione collettiva e parte di una politica più ampia, il cui obiettivo è: frammentare il tessuto sociale palestinese, spezzarne l’autodeterminazione e radicare la realtà dell’apartheid sul territorio.

Secondo un rapporto pubblicato dalla Commissione per la Resistenza contro il muro dell’apartheid, nel settembre 2025, il numero totale di posti di blocco militari e cancelli di ferro installati dall’esercito di occupazione in Cisgiordania ha raggiunto quota 910, di cui installati 83 dall’inizio del 2025. Mentre 247 cancelli di ferro sono stati installati dopo il 7 ottobre 2023.
D’altra parte, in un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari nei Territori Palestinesi Occupati del 20 marzo 2025, intitolato “Ultimo Aggiornamento Umanitario n. 274” | riguardo alla Cisgiordania dichiara: “Attualmente, ci sono 849 ostacoli che controllano, limitano e monitorano il movimento dei palestinesi in modo permanente e intermittente in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est e l’area di Al Khalil (Hebron) controllata da Israele”.
Un’indagine rapida condotta dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari a gennaio e febbraio 2025 ha rilevato che nei tre mesi precedenti erano sono stati messi 36 nuovi ostacoli al movimento, la maggior parte dei quali installati in seguito all’annuncio di un cessate il fuoco a Gaza a metà gennaio 2025, ostacolando ulteriormente l’accesso dei palestinesi ai servizi essenziali e ai luoghi di lavoro. Sono state documentate ulteriori chiusure, che si ritiene siano state messe nel 2024.

Vale la pena notare che fino ad oggi sono stati installati in totale 29 nuovi varchi stradali in tutta la Cisgiordania. Sono stati costruiti sia nuovi varchi di chiusura a sé stanti che varchi aggiuntivi nei posti di blocco già esistenti, portando il numero totale di varchi stradali aperti o chiusi in Cisgiordania a 288, costituendo un terzo degli ostacoli al movimento. Di questi, circa il 60% (172 su 288) viene chiuso frequentemente.
Oltre all’aumento del numero di ostacoli installati, l’aumento del controllo sulla circolazione ha portato interruzioni della circolazione per lunghi periodi, chiusure delle strade principali che collegano i centri abitati in Cisgiordania e un aumento del numero di varchi chiusi frequentemente. In totale, gli ostacoli includono 94 checkpoint con militari 24 ore su 24, 7 giorni su 7; 153 posti di blocco (con militari non sempre presenti) di cui 45 sono spesso chiusi, 205 cancelli stradali di cui 127 spesso chiusi, 101 posti di blocco costruiti con muri di terra e fossati, 180 fatti con cumuli di sacchi terra e 116 ostacoli di altro tipo posti lungo la strada2. Questi dati non includono i check-point lungo la Linea Verde e altre modalità di restrizione, come la chiusura del campo profughi di Jenin agli abitanti che vi facevano ritorno dopo lavoro e le segnalazioni di alcune aree come zone militari chiuse – che non sono sempre caratterizzate da barriere fisiche.

Settantasette prigionieri palestinesi sono martiri a causa delle torture nelle carceri israeliane in Cisgiordania, mentre sono stati registrati circa 20.000 arresti dall’inizio della guerra di sterminio due anni fa. I prigionieri sono stati privati del sonno e torturati nelle loro celle. Sono state negate loro le visite. I pasti sono stati limitati a un singolo pasto al giorno a malapena sufficiente per sopravvivere. Sono stati privati delle loro coperte e dei loro vestiti in inverno. Malattie della pelle si sono diffuse tra i prigionieri a causa del divieto di lavarsi e di pulire la loro cella. È stato inoltre negato loro qualsiasi tipo di assistenza medica durante la prigionia.

Lo Stato sionista però non si è fermato a queste vessazioni. Considerando che la maggior parte dei terreni agricoli si trova nell’Area C, ai palestinesi è stato vietato raccogliere i frutti dei loro alberi e qualsiasi tipo di prodotto delle loro terre. È stato negato l’accesso all’acqua.
I campi coltivati sono stati bruciati e, in alcuni casi, i coloni hanno liberato le loro pecore e mucche per distruggere i raccolti. Le serre che un tempo si estendevano nelle pianure di Tubas, Salfit e nella valle settentrionale del Giordano sono state demolite. Gli agricoltori sono stati fucilati, arrestati e maltrattati.

E nonostante ciò Israele non si è accontentato, difatti ha anche impedito alla cassa del Tesoro dell’Autorità Nazionale Palestinese di pagare i dipendenti pubblici, che non ricevono i loro stipendi da almeno nove mesi.

Alla luce di tutto ciò, i palestinesi non hanno smesso di riunirsi in gran numero per andare nei loro campi per proteggersi a vicenda. I giovani dei villaggi vicini spesso partecipano alla difesa del villaggio preso di mira dai coloni dopo aver sentito la chiamata dagli altoparlanti della moschea. I palestinesi si spostano tra villaggi, campi e città in gruppi per proteggersi a vicenda dagli attacchi dei coloni. Hanno inventato vari meccanismi di comunicazione, inclusi i gruppi Telegram che fornivano notizie di strada in tempo reale. La partecipazione ai gruppi Telegram è diventata, tuttavia, motivo di percosse e accuse se viene scoperto dell’esercito.

Tutta la comunità si mobilita per trovare cibo, alloggio e vestiti. Nessuno proveniente dai campi demoliti nella Cisgiordania settentrionale rimane senza un pezzo di pane o senza un riparo. Nonostante le ripetute incursioni dell’esercito, i palestinesi non hanno smesso di mandare i figli a scuola ogni giorno, né hanno impedito loro di svolgere le loro attività quotidiane. Un esempio: il villaggio beduino di Al-Araqib è stato demolito 200 volte e 200 volte ricostruito. Dei palestinesi rapiti dall’esercito che vengono rilasciati lontano dai loro villaggi per essere torturati, nessuno si trova a dormire senza un riparo, per il senso di comunità e solidarietà tra la gente palestinese.

I giovani nei villaggi, nelle città e nei campi profughi non hanno altro che pietre per affrontare la repressione dell’occupazione in Cisgiordania, che viene perpetrata con una forza letale. Nessun scontro con l’occupazione avviene senza caduti e feriti. Il nostro obiettivo ora è rimanere nella nostra terra, nonostante la corruzione politica delle autorità al potere in Cisgiordania, che a volte partecipa alla repressione delle proteste, perchè nonostante il loro controllo sulle risorse governative, la loro preoccupazione principale è diventata la salvaguardia dei loro interessi materiali, che sono legati all’esistenza dell’occupazione sionista stessa.


1 Quando si parla di campi profughi, non bisogna immaginarsi una distesa di tende, ma agglomerati di case e palazzine, strade e vicoli – dei veri e propri villaggi che vengono comunque nominati come campi profughi perché creati e costruiti laddove si stabilirono i palestinesi dislocati dalle loro case a cui gli è stato impedito di ritornare durante e dopo la Nakba.

2N.d.T: I dispositivi che regolano la libertà di movimento dei/delle palestinesi in Cisgiordania hanno varie forme. Quando si parla di ostacoli, oltre ad immaginarsi veri e propri checkpoint, bisogna immaginarsi anche sacchi di terra, barriere in cemento, dossi (anche chiodati) posti lungo le strade percorribili con i mezzi, che inevitabilmente rallentano o impediscono gli spostamenti. Per chiusura totale o parziale, inoltre si intende, che è impossibile attraversare il posto di blocco e che a destinazione non si arriva.

“HANNO DETTO CHE PIOVE” – BENEFIT PER LA CASSA ANTIREPRESSIONE DEL CAPITANO ACAB

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“Questo è un libro improvvisato, acerbo, con una trama debole e sfilacciata. Un libro scritto di getto tanti anni fa, stampato male e impaginato peggio. È un libro parlato, più che scritto. Era destinato al macero ma è stato ripescato da un trasloco e rimesso in circolo, con i suoi errori e i suoi difetti. Con Equal Right Forlì gli abbiamo ridato un’opportunità, scegliendo di distribuirlo a offerta libera benefit per la Cassa Antirepressione del Capitano ACAB“.

per riceverlo contattaci: equalrights@inventati.org

La Cassa Antirepressione Capitano ACAB funziona come un contenitore, un pretesto, una sigla: non c’è collettivo che la gestisce ma di volta in volta si usa il nome del Capitano per intendere che una determinata iniziativa o progetto o autoproduzione, se monetizzata, andrà a sostenere prigionierx, imputatx, spese processuali etc. Questo può voler dire che si avranno anche iniziative e obiettivi molto diversi tra loro Alle volte si specifica che i soldi saranno destinati a un processo specifico o dex compagnx specificx, ma quando invece si dice genericamente “cassa ACAB”, si intende che questi soldi andranno a creare una sorta di “fondo cassa” per le spese presenti (sempre presenti!) e future che verranno. Tendenzialmente anarchico, il capitano ACAB è attivo anche in contesti più “di movimento” e nei (pochi rimasti) spazi sociali della Romagna.

capitanoacab@insiberia.net

CESENA: “CICLO Y PROCESO” – PROSPETTIVA E PROGETTO DEL MOVIMENTO ANARCHICO IN CILE

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Venerdì 14 Novembre 2025
allo Spazio Libertario Sole e Baleno, Via Sobborgo Valzania 27, Cesena

Ore 19:30 – Cena Vegan
Ore 21:00 –incontro, chiacchierata e spunti di riflessione collettiva: “CICLO Y PROCESO”, prospettiva e progetto del movimento anarchico in Cile.
Ne parleremo con un compagno cileno.

https://spazio-solebaleno.noblogs.org