[Polizia e psichiatria: conosciamo le loro cure e i loro trattamenti]
Il proliferare di pratiche psichiatriche va di pari passo ai processi che vedono le città configurarsi sempre più come industrie di sfruttamento e controllo. Metropoli mediate da aziende private, interconnesse e digitalmente sorvegliate, disciplinate sempre più in senso autoritario e iper-razionale, centri di profitto burocratizzati, scientificamente normati e igienizzati, tra telecamere “intelligenti”, “innovazione” urbana, sofisticate architetture e panchine antidegrado. Speculazione edilizia e militarizzazione dei territori aprono la strada ad affitti impossibili, sfratti e sgomberi, oltre che a progetti di ipocrisia sociale all’insegna del greenwashing, del socialwashing, della menzogna tecnologica [la smart city] e della falsa coscienza. A colpi di riqualificazione, decoro e repressione, si esaspera l’inesorabile processo di espulsione – legittimato da culture securitarie – di tutte quelle soggettività considerate problematiche al discorso del potere e non utili al profitto. Lungo le strade in ogni città rastrellamenti quotidiani si abbattono sulle fasce più marginalizzate della società. Una “sicurezza” sempre più “preventiva” , volta ad asfaltare tutti gli spazi di fiducia, libertà, relazione, intersezione, prossimità e solidarietà dal basso.
In nome delle bandiere del decoro e del degrado, controllo e repressione identificano costantemente nuovi “mostri” su cui scaricare insicurezza e timori per fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso: l’obbiettivo é spezzare qualsiasi possibilità di solidarietà e impedire qualsivoglia forma di messa in discussione del presente. La retorica del “decoro” e del “degrado”, la gestione violenta e iper-razionale dello spazio urbano, la pulizia di quanto imprevisto e non-normato, non sono altro che l’esito di un potere che si appella in modo sempre maggiore a paradigmi psichiatrici e a dicotomie di stampo binario e patriarcale. Questi paradigmi si consolidano nell’articolazione del potere di pari passo all’irreggimentazione delle strutture che lo regolano, e che regolano le relazioni all’interno dei territori e tra le persone.
Assistiamo all’uso sempre più frequente e capillare del daspo urbano per allontanare persone “sgradite”, e della manipolabilissima categoria di “pericolosità sociale” di derivazione psichiatrica e fascista per reprimere il conflitto e contenere/sedare diseguaglianze e oppressioni. Vediamo continuamente puntare il dito contro la “malamovida”, neologismo che si vuole contrapposto a “buona movida”, cioè a quella socialità che rientra perfettamente negli spazi e nei tempi del consumo. Anche l’infanzia è nel mirino: attraverso la costruzione mediatica del “bullo” e della “baby gang”, giovani e adolescenti sono continuamente trattati e rappresentati come un problema di ordine pubblico da reprimere mentre rimangono intatti quei modelli che il sistema stesso riproduce ed esalta, pesci grandi che mangiano pesci piccoli all’interno di realtà dove solo chi ha soldi e potere è preso in considerazione, e chi non accetta di essere un cavallino da corsa non è nessuno. Nel frattempo imprese e attività commerciali sono incentivate a tappezzare i marciapiedi di telecamere con la promessa di detrazioni fiscali, gli individui sono incoraggiati a sorvegliare le strade a loro volta, forti di una crescente accessibilità dell’intervento delle forze dell’ordine, cementificandone il ruolo di controllo e repressione anche all’interno dei singoli, costantemente spinti alla delazione piuttosto che alla relazione.
Lo spazio pubblico irrimediabilmente costruito a immagine dell’uomo bianco, eterosessuale e borghese richiede prestazioni sempre più abiliste e performative che seguono norme ideali di neurotipicità o aspettative sociali calate dall’alto piuttosto che concrete e reali esigenze provenienti dalle soggettività oppresse che vivono desideri e bisogni altri.
L’organizzazione algoritmica dello sfruttamento, la mercificazione esasperata di ogni aspetto della vita, sta depoliticizzando l’incontro con noi stessi, con l’altro e con l’ambiente e incoraggiando una sempre più ampia disumanizzazione delle relazioni sociali. La psichiatria è pronta a raccogliere i cortocircuiti di queste oppressioni e a colonizzare con nuovo slancio il quotidiano e l’individuo: la platea di “difetti” e “tare” da “curare” è destinata ad aumentare proporzionalmente allo sfruttamento e all’oggettivazione che attraversano sempre più infanzia ed età adulta. Lo sfruttamento, l’isolamento e il disciplinamento esasperato di ogni aspetto della vita, l’insicurezza legata al presente e al futuro, la vede infatti in prima fila nell’individuazione di nuovi “disturbi” e “terapie” per “contenere” con nuove diagnosi e nomenclature le “ansie”, legate a rabbia, paura e frustrazione in crescente aumento, da addomesticare e spiegare con specializzazioni create ad hoc.
Ma la solitudine a fronte di un contesto comunitario deprivato si riferisce anche ad una vita sociale impossibile nei “loculi” domestici cittadini.
La famiglia nucleare patriarcale come modello dominante continua a svolgere il suo ruolo di piccola istituzione totale, laboratorio quotidiano di abusi, isolamento e oppressioni sistemiche: lo spazio domestico e familiare spesso infatti esaspera dinamiche oppressive con la tendenza mattofobica a isolare una vittima, che diventa tante volte capro espiatorio di situazioni nocive, da punire proprio quando manifesta in maniera eterodossa atti di libertà ed espressione di sè che non vengono capiti o accettati. Non dimentichiamo che, così come le violenze, anche il ricorso alla psichiatria, quando avvengono i TSO, proviene sovente da persone conviventi e spesso parenti della persona interessata, vuoi per mancanza di conoscenza, vuoi per mancata elaborazione di alternative, che il più delle volte nei nuclei famigliari sono assenti o non ricercate per l’accumularsi e incancrenirsi di processi tendenti a circoli viziosi che si richiudono al loro interno.
Tutto questo, come soggettività con un posizionamento antiautoritario e antipsichiatrico non solo ci riguarda, ma ci chiama in causa. Le strade che vorremmo percorrere sono in direzione altra rispetto alla famiglia intesa come nucleo ciseteronormativo, nella direzione di legami e parentele inedite dove l’aspetto di interdipendenza e cura reciproca si alimentano in un circolo virtuoso.
E’ evidente quanto la fatica ad organizzare una resistenza derivi in primo luogo dall’inesorabile sottrazione di reali spazi di autodeterminazione, soggettivazione e messa in comune delle esperienze, in favore della competizione fra individualità deprivate, impegnate a sopravvivere e concorrere come monadi per rimanere a galla.
CONOSCIAMO LA FALSA SICUREZZA CHE VENDONO PSICHIATRIA E POLIZIA, CONOSCIAMO LE LORO CURE E I LORO TRATTAMENTI!
A fronte di un’oppressione che vede coinvolte sempre più soggettività, crediamo sia urgente e necessario individuare spazi dove liberare complicità, legami nuovi e solidarietà impreviste!
Due compagni siciliani, Claudio e Dario, sono stati “candidati” alla sorveglianza speciale per la loro partecipazione alle lotte sul territorio contro carcere, grandi opere e varie nocività sociali. In questa diretta, grazie al contributo di Claudio, più che soffermarci sul dispositivo della sorveglianza speciale, tenteremo soprattutto di osservare il ruolo della Procura Antimafia-Antiterrorismo e del Ros dei Carabinieri nella repressione della conflittualità politica, con un’evidente dimensione di sperimentazione sul territorio siciliano.
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Cerchiamo di dare notizia di un altro sciopero della fame di cui si parla pochissimo e che riguarda prigioniere e prigionieri turchi nelle carceri greche. Arresti scaturiti dall’operazione antiterrorismo contro l’organizzazione DHKP-C e l’attacco al sito di controinformazione anti-imperialistfront.org; una storia attraversata dagli scambi istituzionali tra due stati reciprocamente ostili, come Grecia e Turchia, che trovano un piano di cooperazione sul versante repressivo. Ne parliamo in compagnia di Gabrio.
In questi giorni alcuni compagni siciliani sono stati raggiunti da 5 decreti penali di condanna dall’ammontare di 4.450 euro a testa per aver portato la loro solidarietà alle persone recluse nel carcere di Messina.
Questa estate, a seguito del campeggio antimilitarista svoltosi nella città dello Stretto – una tre giorni partita dalla necessità di mettere in relazione le lotte antimilitariste per un momento di intersezione e scambio sul territorio – un nutrito gruppo di compagni e compagne ha raggiunto il carcere di Gazzi per portare un saluto alle persone detenute, improvvisando un corteo intorno alle mura del carcere. Il gruppo di solidali ha poi appeso uno striscione e lasciato delle scritte sui muri.
Qualche scritta solidale è diventata immediatamente materiale per la costruzione del “disegno criminoso” del pubblico ministero, mentre il corteo solidale e i cori contro il carcere si sono aggiudicati “vilipendio all’ordine giudiziario e all’assemblea legislativa autrice dell’istituzione dell’articolo 41 bis”. Questo non ci stupisce se pensiamo che per i solerti tutori della legge un manifesto affisso sui muri della città si è tradotto in “istigazione adelinquere” e un’intervista rilasciata in radio da un compagno per raccontare del percorso assembleare siciliano “Per chi sente il ticchettio” è diventata indizio di “pericolosità sociale”, così come l’aver occupato un parco durante un’iniziativa antimilitarista.
E’ evidente quanto l’operazione che si sta muovendo su Messina si riferisca al fermo proposito della Procura di spezzare qualsiasi intersezione e vivacità antagonista sul territorio. Lo Stato teme la solidarietà e perciò l’attacca con l’obbiettivo di scoraggiare, dividere e isolare chiunque intenda sfidare l’attendismo dilagante e lottare. Ad essere sotto attacco infatti non è solo qualche compagno, ma tuttx noi. In un momento in cui è sempre più chiaro a molte la necessità di mobilitarsi e agire sul presente, le maglie della legge e della repressione si stringono con l’obiettivo di tenerci isolate e ancorate ad un’esistenza rassegnata, fatta di miseria e oppressione.
Noi ci rivendichiamo la nostra ostilità ad una realtà regolata dalla guerra e fatta di sfruttamento, ci rivendichiamo la solidarietà nei confronti delle persone recluse, nei confronti di Anna, Alfredo, Juan e tuttx x prigionierx, contro il 41-bis, il carcere e la società che lo produce: finchè dell’ultima galera non rimarrà neanche una pietra.
Diffondiamo un aggiornamento sulla situazione di Alfredo Cospito in sciopero della fame dallo scorso 20 ottobre contro il 41bis e l’ergastolo ostativo.
Alfredo ad oggi ha perso 16 chili, sta complessivamente in buona salute. Non sta ancora prendendo integratori. Informiamo inoltre che è stato fissato per il primo dicembre il riesame della disposizione di 41bis nei suoi confronti. L’udienza è molto importante in quanto dovrà pronunciarsi sulla legittimità della decisione del precedente ministro della giustizia Marta Cartabia di applicazione del regime carcerario del 41 bis contro il nostro compagno.
IL 41-bis È TORTURA, FUORI ALFREDO DAL 41-bis, LIBERX TUTTX!
Il 2 novembre 2022 si è tenuta a Messina l’udienza per la richiesta di sorveglianza speciale nei confronti di Claudio e Dario. Per tutta la mattina davanti al tribunale si è riunito un presidio di solidali, che ha visto una variegata partecipazione di compagne, amici, singoli e collettivi che hanno attraversato le lotte sociali degli ultimi anni e che nell’ambito delle indagini e delle intercettazioni sono finiti anch’essi sotto la lente repressiva dello stato. Durante la mattinata si sono alternati diversi interventi che, oltre a Claudio e Dario, hanno espresso solidarietà anche ai compagni anarchici in carcere, in particolare Alfredo, Anna e Juan. Il giudice, avallando il parere avverso della pm, ha rigettato la richiesta di svolgere l’udienza a porte aperte, adducendo come motivazione ragioni d’ordine pubblico. L’udienza si è aperta con il deposito da parte della procura di una informativa integrativa dell’indagine a carico di Claudio e Dario, che andrebbe ad infittire le accuse a loro carico. Alla richiesta di rinvio ad altra data presentata dall’avvocato difensore, e che avrebbe permesso di visionare il nuovo incartamento, il giudice ha però risposto che il dibattimento si sarebbe dovuto tenere comunque in giornata, concedendo soltanto un rinvio ad horas. Prima della requisitoria della pm, Claudio, presente in aula, ha tentato di leggere una sua dichiarazione, di cui però ha potuto riportare esclusivamente la parte finale, dove esprime solidarietà ai compagni anarchici in carcere. La sentenza sarà notificata entro 90 giorni. Terminata l’udienza Claudio, raggiunti i suoi compagni e le sue compagne in piazza, ha potuto dare lettura integrale della sua dichiarazione.
RIFLESSIONI
Cosa succede quando al tentativo dello Stato di isolare, distorcere, criminalizzare un’etica che sostiene e guida un agire chiaro, gli individui destinatari dell’azione repressiva (e in senso allargato le relazioni che si portano appresso) schivano la paura indotta, portando in luce ciò che nei giorni del quotidiano delle nostre vite costrette rimane al buio dell’alienazione – ma è lì, ancora vivo? Succede quello che abbiamo vissuto ieri, nella piazza di fronte il tribunale di Messina: non una routine, non una presenza al minimo, ma il massimo possibile nel momento della generosità e del sentirsi parte che si sono espressi e hanno parlato al di là della contingenza della richiesta di sorveglianza speciale; sotto accusa non erano solo Dario e Claudio, ma insieme e attraverso loro, come sempre accade (in questo momento lo viviamo con una gravità e un senso di urgenza cui sappiamo di dover rispondere) tutta una storia, lunga, di esperienze di lotta di un territorio. Della ricchezza di quel contesto si è stati partecipi: e nello stringerci intorno ai nostri compagni, nell’esprimere solidarietà ad Alfredo, Anna, Juan, ai detenuti tutti, nel parlare in piazza di 41bis iniziando a riappropriarci delle parole e di una storia taciute, lasciate troppo a lungo nelle mani del potere, abbiamo per qualche ora dato un senso altro a un luogo nemico; ché la solidarietà ha il peso, tutta la materialità della presenza, tanto da accorciare distanze e riavvicinare percorsi che negli anni si sono separati. Era un condensato di umanità in relazione eccentrico, ricco, plurale, a manifestarsi, il senso di un ergersi della fierezza quando sotto attacco è il procedere – con fatica e modi diversi – in direzione ostinata e contraria, col pensiero e nelle azioni. Questa consapevolezza, la sensibilità e il calore umani, la convinzione in se stessi di ciò che si è, si vuole essere, il tentativo di somigliarvi e di costruire una vita che più ci somigli, e che riusciamo a vivere a sprazzi, per brevi momenti anche in un presidio, sono il precipitato di percorsi singolari e comuni che si intrecciano, che suonano di armonie e dissonanze. E che hanno al contempo la voce di sussurro delle parole d’affetto dei propri cari e l’urlo a squarciagola dei compagni nell’ora della lotta.
DICHIARAZIONE DI CLAUDIO CONTRO LA SORVEGLIANZA SPECIALE
Il provvedimento di richiesta della sorveglianza speciale nei miei confronti era pronto – con tutti gli incartamenti prodotti da questore, ros e pubblico ministero – dal mese di luglio. Mi è stato però consegnato di tutta fretta l’ultimo giorno utile prima che venisse invalidato. Aspettavo una notifica per un processo, quindi quando ho realizzato di cosa si trattasse ho avuto un momento di spiazzamento. Protrattosi – nonostante la nitidezza con cui mi si chiarificava interiormente ciò che per me è più importante, più urgente, più vitale – fino a qualche giorno fa, dal momento che il giorno della consegna mi era stata data solo la prima pagina del verbale che mi riguardava. (Dalla quale avevo potuto appurare che sono stati di recente archiviati due procedimenti nei miei confronti «in ordine al reato di cui all’art. 270bis c.p.», per la «non idoneità del materiale investigativo raccolto a sostenere l’accusa in giudizio». E poi che «le indagini svolte hanno in primo luogo ricostruito l’esistenza e l’operatività sul territorio provinciale di una compagine ispirata, quantomeno nei suoi esponenti principali, a modelli e concetti dell’anarchismo federativista»). La restante parte del dossier ho potuto consultarla soltanto diversi giorni dopo, quando il mio avvocato è riuscito a ritirarlo. Dopo un riepilogo dei miei carichi pendenti e del mio casellario giudiziario, su cui tornerò in seguito, vi si può leggere la relazione con cui il PM, «visto il D. Lgs n.159 del 6.09.2011, chiede che il tribunale voglia applicare a Risitano Claudio la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, per una durata di anni due». Il codice a cui si fa riferimento è il codice antimafia – la natura della mia “pericolosità” essendo stata appurata dal ROS (lo stesso reparto al vertice del quale, per limitarmi a uno solo degli innumerevoli esempi possibili, si è trovato il generale Subranni, colui che escluse la pista mafiosa all’epoca dell’omicidio di Peppino Impastato) nel corso di indagini durante le quali sono state spiate le mie telefonate e pedinati i miei movimenti per “scoprire” ciò che sarei stato e sono disposto a riconoscere in qualunque momento e in qualunque condizione (dalla veglia raziocinante agli stati non ordinari di coscienza): «gli elementi informativi acquisiti e le conversazioni registrate nell’ambito del procedimento consentivano di documentare che il proposto frequenti gli ambienti dell’anarchismo, palesando reiteratamente (vds. vicende giudiziarie) condotte idiosincratiche nei confronti di qualsiasi forma di autorità e di espressione del potere statale». Visto che le inchieste specifiche si sono rivelate dei buchi nell’acqua clamorosi, si chiede vengano considerate le mie vicissitudini penali e le mie condotte complessive.
Su questo vorrei essere il più chiaro possibile: nessuno potrà mai estorcermi professioni di fede nei confronti della legalità. (È stato legale, nel paese in cui vivo e sono nato, deportare gli ebrei e illegale offrire loro ospitalità; se oggi si sostituisce ‘clandestino’ ad ebreo, ci si rende conto che c’è ben poco da esultare per la “costituzione più bella del mondo”.)
Nessuno, a maggior ragione mentre i venti di guerra infuriano ferendo a morte la parte più vulnerabile dell’umanità e i manager di Leonardo- Finmeccanica diventano multimiliardari grazie alla produzione e alla vendita di armi letali, potrà mai convincermi della legittimità etica del monopolio della violenza in mano allo Stato;
nessuno potrà convincermi, qualora decidessero di distruggere ulteriormente la città in cui abito dando inizio ai cantieri per la costruzione del ponte sullo stretto e inviando l’esercito a presidiarli come si fa con le opere strategiche, che è giusto dissentire, sì, ma solo nell’alveo delle procedure consentite dall’ordinamento. Non firmerò petizioni con le quali mi impegno in nome della democrazia a capitolare di fronte al prevalere nella realtà materiale degli interessi più oligarchici.
Nessuno, se non annichilendomi, potrà far smettere di risuonare nella mia interiorità, nei miei sogni e in mezzo agli scogli del (non) vissuto quotidiano, l’eco delle lotte dei contadini insorti agli albori della modernità. Il grido profetico di Thomas Müntzer, omnia sunt communia, ha avuto bisogno per essere sconfitto di tutta la violenza delle enclosures, del rogo delle streghe, dello sterminio degli indios; ma la sua eco ha attraversato i secoli, animato i momenti insurrezionali, e ora – tanto più sconfitto quanto più urgente – prorompe evocando per la specie umana un irrimandabile cambio di rotta.
Il capitale rinnova permanentemente l’accumulazione originaria e l’estrazione di plusvalore colonizzando l’immaginario e imponendo la sua legge fin dentro i corpi: ma una febbre di rigetto scuote tutto ciò che nell’umano eccede la dimensione della macchina, irriducibile alla misura di un algoritmo.
Dentro questo scenario, nessuno – neppure servendosi in modo strumentale e distorto della nozione di terrorismo – potrà mai inchiodare con le spalle al muro la mia coscienza di quanto profondamente diverse siano le pratiche, le tensioni e le idee di cui sono accusato da quelle portate avanti nell’ultimo secolo dalla mafia, con l’appoggio costante di vertici istituzionali operanti in parlamento, all’interno delle procure, a capo dei servizi segreti, dell’arma dei carabinieri e della polizia di stato. (Se si guarda alla strage di Portella della Ginestra e agli attentati del 1992, se si pensa ai morti lasciati sul selciato dalla polizia agli ordini di Scelba nel corso di scioperi e manifestazioni, o ai contadini e sindacalisti stroncati dalla lupara della mafia su mandato dei latifondisti per avere occupato le terre e per aver osato alzare la testa, è possibile ricostruire – dati accertati in sede storica alla mano – una sequenza impressionante di depistaggi orditi dall’alto e una sostanziale fattiva collaborazione tra sicari esperti d’armi, boss dell’economia e vertici dell’apparato statale).
Se è la mia condotta complessiva ad essere pericolosa (ma per chi? Davvero chi è stritolato dal caro-vita, o rifletta sulle condizioni in cui lavora e abita, può sentirsi – se non al culmine di una manipolazione stregonesca – minacciato dalle azioni e dagli ideali degli anarchici?), risponderò su un terreno complessivo.
E vorrei cominciare riportando le parole pronunciate in corte d’assise da Alfredo Maria Bonanno, nel corso di un’udienza processuale tenutasi nel 1999: «Ora perché – prima di chiudere lasciatemi dire due cose – mi sono chiesto perché gli anarchici, perché il 12 dicembre la bomba a Piazza Fontana, perché l’assassinio di Pinelli, che significa?
In fondo io non sono tanto stupido da non rendermi conto che gli anarchici nella realtà sociale italiana e internazionale oggi che cosa costituiscono? Meno che il nulla, forse più un fantasma che una realtà, un’idea che non è capace di svilupparsi in uno sviluppo quantitativo, un’utopia – sembrerebbe…
Invece io penso che gli anarchici siano molto pericolosi, signor presidente, perché rappresentano a livello di coscienza il desiderio che ognuno di noi ha di una vita diversa, di una vita libera, senza la tristezza che quotidianamente ognuno di noi sperimenta, una vita più bella – appassionatamente più bella. E per questo non hanno paura di dire che sono nemici dello Stato: gli anarchici sono nemici dello Stato. Certo, da soli non possono avere quella pericolosità che la scelta di tanto nemico meriterebbe, però ci sono degli alleati incredibilmente potenti degli anarchici, e si nascondono fra la gente, fra la gente comune, fra la gente che ha bisogno di trasformare la propria vita, la propria situazione. E basta un piccolo cenno, una piccola cosa imprevedibile che potrebbe succedere…
Non sono i partiti, non sono le grandi ideologie repressive, non sono i grandi progetti di conquista del potere che significano per la gente qualcosa nel momento in cui si gioca la propria vita. Ecco gli anarchici, in quel contesto, significano qualcosa. […]
non occorre leggere i libri scritti dagli anarchici, non occorre sapere cosa vuol dire la differenza fra nucleo di base o gruppo di affinità – queste sono faccende da specialisti.. […] è questo che fa paura, il fatto che l’anarchico potrebbe essere il compagno di strada di milioni di persone, che un certo momento al di là delle barriere ideologiche e della stessa situazione di classe – per quello che oggi può significare ancora ‘sta parola – potrebbero scendere in piazza… e allora sì che lo Stato potrebbe avere paura.»
Tornando a me, per quante ambasce mi dia il pensiero dell’impatto pratico di un simile provvedimento sulla mia quotidianità, dall’impossibilità di lasciare il mio comune di residenza all’obbligo di rientro entro le nove di sera, più altre piccole e grandi vessazioni che non c’è bisogno di nominare perché mi preme di più un altro ordine di considerazioni, so di non trovarmi nell’epicentro della violenza repressiva. Mi basta pensare solo per un istante a chi sta cercando di valicare una frontiera e si sente, perché lo è, braccato dalle polizie di due paesi; a tutte le detenute e i detenuti; a chi ad una pena già schifosa ed afflittiva si vede aggiungere il supplemento di condizioni detentive che implicano una quotidiana ulteriore tortura fisica e psicologica. Per questo motivo sia la mia intelligenza che il mio istinto mi suggeriscono di attraversare ciò che mi sta capitando con lo sguardo rivolto non tanto alla spada di Damocle che pende sulla mia testa quanto al paesaggio sociale in cui questo avviene e alle valutazioni complessive che è possibile trarne. I valori occidentali sono evidentemente compatibilissimi con provvedimenti rivolti alla penalizzazione delle idee e giustificati dall’intento di prevenire il rischio che quelle idee diventino reati. Ma se si pensa che questo riguardi poche isolate teste calde, si rischia di non apprendere le dure lezioni degli ultimi anni. Se l’accusa rivolta ad anarchici e antagonisti è di «impedire all’autorità di svolgere le proprie funzioni», che cosa si dirà di qualsiasi lotta che non sia puramente testimoniale? Se gli abitanti di Piombino, o della valle del Mela, si mobiliteranno contro ri-gassificatori ed inceneritori provando a impedirne davvero la realizzazione, potrebbero incorrere anche loro in sanzioni del genere. Per questo scrivo, sentendo l’esigenza di condividere le mie riflessioni. Forse serve solo a non arrendersi alla corrente: ma non è poco.
Scorro i fogli che ricostruiscono dal punto di vista delle autorità la mia biografia, e mi viene da chiedermi a quali corsi vengano sottoposti gli ufficiali dell’arma per disimparare a scrivere e a leggere in questo modo. «La di lui fidanzata» mi ha ricordato che la sorveglianza speciale è nelle sue ultime riformulazioni una misura figlia di provvedimenti molto simili adottati contro «oziosi, vagabondi» e sovversivi sia dal governo Crispi che dal governo Mussolini – facendomi respirare l’atmosfera e la prosa di un verbale redatto verso la fine del diciannovesimo secolo; un intero testo di Giorgio Cesarano scambiato – distorcendone per intero il senso – per un mio personale invito a dare avvio alla «lotta armata» contro «il c.d. potere negativo» rivela in un colpo solo i limiti ermeneutici di chi deve far corrispondere il materiale riscontrato con la tesi precostituita. Per il resto, gli elementi a mio carico sono un saluto al carcere di Siracusa e la disponibilità espressa per telefono ad ospitare a casa mia un compagno che sarebbe venuto a Messina per un colloquio con Anna, in quel momento detenuta a Gazzi. Nonché un generico collegamento con individui e realtà collettive presenti sia in Sicilia che nel resto d’Italia. Per il resto, si tratta per l’appunto di attingere al serbatoio dei procedimenti giudiziari passati e pendenti. È la somma che fa il totale. Vediamo dunque di che si tratta.
Nel 2009 «veniva denunciato per resistenza a pubblico ufficiale e per invasione di terreni o edifici, per fatti risalenti» all’anno precedente «in cui lo stesso, in concorso con altri, a conclusione di un corteo studentesco di protesta, occupava parte del locale ateneo, forzando il cordone formato dalle forze dell’ordine». Quel giorno ho fatto esperienza di ciò che da tempo, confusamente, sentivo: e cioè che ribellarsi è possibile ed è giusto, nonostante tutto ciò che ci si erge innanzi per scoraggiarci dal tentare. (Che si tratti di un cordone, per quanto in quel caso veramente esiguo e privo dei mezzi della Celere, o di una denuncia – per quanto in quel caso priva di conseguenze penali.) Non baratterei l’intensità di quella scoperta se in cambio mi venisse offerta una fedina penale immacolata.
Nel 2010, «veniva denunciato in stato di libertà dalla Digos di Messina per interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, blocco ferroviario, per fatti risalenti al 12.09.2010, in cui lo stesso, in concorso con altri, nel corso della manifestazione dei precari della scuola poneva in essere un blocco, di alcune ore, della circolazione ferroviaria all’interno della locale stazione centrale delle ff.ss». Quel giorno, secondo cgil, cisl e uil le docenti e i docenti provenienti da mezza Sicilia avrebbero dovuto «rappresentare la crisi» restando confinati a Piazza Cairoli ad ascoltare gli interventi dei sindacalisti. Ed invece..
Nel 2011, «veniva segnalato da personale della locale Compagnia della Guardia di Finanza, quale assuntore di sostanze stupefacenti»; perché sì, è capitato, capita e capiterà che io fumi marijuana o assuma sostanze enteogene e psichedeliche. E non sarà la paura del recupero da parte del riformismo istituzionale (peraltro sempre meno probabile intorno a questi temi, almeno in Italia) a farmi seppellire la bussola dell’antiproibizionismo. «Uccide di più lo stigma che le sostanze». Io su questo terreno erigo le mie barricate di consapevolezza, fragili ed esposte alle intemperie come tutto ciò che è vivo, eppure ben salde – radicate e ravvivate nel contatto con la mia intimità più profonda. Ma quanti danni atroci ha fatto e continua a fare ogni giorno, sulla carne viva del dolore e dell’inquietudine regnanti lì dove il capitale si fa dominio totale, la legislazione che dalla Craxi-Jervolino alla Fini-Giovanardi ha dichiarato guerra ai “drogati”? Una persona su quattro utilizza psicofarmaci – moltissime volutamente; altre – riottose alla visione del mondo dominante nei reparti psichiatrici (e fuori di essi: nella società che li produce) – su forzatura medico-poliziesca. Semplicemente, è lo Stato a decidere quali sostanze possano, o addirittura debbano, essere assunte e quali no. Ed io non voglio adeguarmi a questo andazzo. Legislatori ed esecutori hanno il coltello dalla parte del manico: ma mi ferirei mortalmente da solo, se per non risultare una “persona pericolosa” relegassi queste mie idee, che piuttosto vorrei gridare dappertutto, da tutti i tetti, nella clandestinità.
Nel 2012, sono stato denunciato per una manifestazione non autorizzata culminata in un breve blocco della circolazione ferroviaria, nel giorno in cui dalla val Susa era arrivato l’appello a «bloccare tutto, dappertutto».
Nel 2013, sono stato denunciato per l’occupazione del teatro in fiera. Nessuna distanza intercorrente tra il me di adesso e il me di allora potrebbe mai indurmi un minimo di pentimento intorno a quell’azione. Da cui sono seguiti giorni, e poi mesi e anni, che hanno rivoluzionato la mia esistenza. Fino a farmi scorgere nell’etica anarchica (che non incarno affatto ma verso cui mi protendo con tutta la mia passione e con tutti i suoi inciampi) la prosecuzione quotidiana di quei bagliori che in modo intermittente avevano illuminato le situazioni e i contesti di lotta vissuti fino a quel momento. Il rifiuto della delega, l’opposizione con ogni mezzo necessario a chi spadroneggia nel regno degli eserciti e delle merci, l’appello con i gesti e le parole alla «solidarietà cosciente e voluta» piuttosto che alla presa del potere per modificare i rapporti sociali, sono state per me un’esortazione costante, uno sprone a non cercare scorciatoie e neppure strade comode. Ne sono venute altre denunce, una sfilza delle quali tra il 2013 e il 2016 a Niscemi per aver invaso la base Nato in cui è stato impiantato il Muos, per aver danneggiato le recinzioni di filo spinato, per violenza e resistenza a pubblico ufficiale, per aver ritardato di qualche ora l’arresto di una persona nei pressi del presidio. Anche sul corteo al Brennero, sulla ‘radunata sediziosa’ contro un banchetto di casapound, sull’interruzione della messa nella cattedrale il giorno della domenica delle palme mentre nell’indifferenza generalizzata il governo turco bombardava la città curda di Afrin: non ho autocritiche da fare che intacchino la sostanza di ciò che sentivo mentre mi trovavo in quei contesti. Innanzitutto, che volevo fortemente trovarmi lì. Un mondo nel quale non si può che obbedire alla logica della sopraffazione, e soccombere a tutto ciò che questo comporta, è per me inabitabile. Un mondo nel quale uno sparuto gruppo di persone, alcune conoscendosi solo da qualche giorno, attraversa in piena zona rossa la Sicilia per andare a fare un rumoroso saluto a un compagno in carcere nel giorno del suo compleanno, lo è un po’ meno. Se la posta in gioco è la criminalizzazione della solidarietà, non cercherò di schivarla stando schivo: si tratta invece di difenderla con tutto me stesso. Il tempo è ora. Ed è il tempo di dire forte e chiaro ciò che non si può più tacere. Nel paese della strage di Piazza Fontana (indagini depistate dal generale Maletti e dal capitano Labruna), di piazza della Loggia (uno dei cui esecutori si è scoperto dopo quarantanni essere un informatore dei servizi segreti), della stazione di Bologna (indagini depistate dal generale Musumeci, dal colonnello dei carabinieri Belmonte e dall’agente segreto Pazienza – per tacere del ruolo svolto dal maestro venerabile della P2, Licio Gelli); nel paese degli attentati di Capaci e Via D’Amelio (basterà nominare l’agenda rossa di Borsellino, l’ordigno all’Addaura contro Falcone, la fabbricazione del falso pentito Scarantino e le conseguenti condanne al 41 bis di persone che solo dopo 18 anni di torture quotidiane sono state riconosciute del tutto estranee ai fatti per vedere arrossire chi in vita sua si è sempre schierato dalla parte dei sepolcri imbiancati e dei colletti bianchi?); nel paese in cui mafia, fascisti, massoneria e servizi segreti hanno agito in combutta per stroncare ogni istanza di rivoluzionamento dei rapporti sociali e per “difendere la società” istituita: in questo paese in cui la rimozione di ciò che è accaduto si accompagna all’occultamento e alla distorsione di ciò che continua a succedere, ci sono in questo momento una compagna e due compagni anarchici (Anna Beniamino, Alfredo Cospito e Juan) condannati all’ergastolo o a 28 anni per il reato di tentata strage. Nonostante gli ordigni collocati davanti a una sede della lega nord e davanti alla scuola Allievi dei Carabinieri non abbiano determinato né morti né feriti. Alfredo Cospito è sottoposto al 41 bis, ed ha per questo iniziato uno sciopero della fame «a oltranza». Sciopero a cui si è unito anche Juan. Di fronte a questa consapevolezza, ognuno tragga le sue conclusioni.
«Chiunque si sente nel quotidiano come in un deserto, è a un passo soltanto dal cuore di tutti, poiché è ad un passo soltanto dal proprio cuore. Non si tratta di arrestarsi, non si tratta di sedersi a piangere, di costruirsi un’oasi. Si tratta, al contrario, di accennare con tutta la forza rimasta quel passo di avvicinamento, quell’abbraccio d’amore e di lotta, che tanto più sembra assurdo quanto più il quotidiano appare deserto. È in questo movimento che ognuno potrà, nel perdurare del desiderio resistente all’annientamento oggettuale, scoprire in sé la presenza di quel programma storico che è la passione, e sentirsi pronto».
Io non mi sento pronto affatto, ma qualche minimo appiglio ce l’ho e me lo tengo stretto: il mio abbraccio d’amore e di lotta, la mia più profonda solidarietà, vanno a Juan Alfredo e Anna. Ciò che mi annienterebbe, più della convalida di voi giudici alla richiesta del questore, sarebbe la collusione – in nome di una possibilità di quiete – con questo ordine delle cose. Tutti i miei momenti di felicità più piena sono sgorgati da quelle volte nelle quali, in mezzo a mille viltà quotidiane, ho trovato nel contatto con la mia dimensione più profonda lo slancio e il coraggio della rivolta: e il più grave delitto che potrei commettere contro la mia sensibilità sarebbe quello di acconsentire al prosciugamento di quella fonte.
“Questa tattica di “psichiatria punitiva” è stata utilizzata da altri Stati autoritari, in particolare dalla Russia sovietica, dalla Cina e dagli Stati Uniti.”
L’anarchico prigioniero Toby Shone sta combattendo una nuova battaglia mentre conta le settimane che lo separano dal suo rilascio, previsto per il 28 dicembre 2022.
Mentre il Regno Unito sta sprofondando in un qualcosa che assomiglia sempre di più ad una mediocre dittatura e a un ospizio vittoriano, Toby continua a essere preso di mira dal Servizio per la Libertà Vigilata, dall’Antiterrorismo e del MAPPA (Multi-Agency Public Protection Arrangements)(1) per i suoi “reati ideologici”, il suo “anarchismo” e il suo “stile di vita alternativo”.
A settembre, Toby è stato informato che l’ufficiale incaricato della sua sorveglianza, il Sig. Paul Smith, con sede a Cardiff, aveva prenotato per lui una serie di colloqui (senza darne comunicazione ai suoi avvocati come da procedura) con la psicologa forense dott.ssa Harriet Chapman del Centro di psicologia forense e criminologica dell’Università di Birmingham. L’intenzione della dottoressa Chapman era quella di interrogare Toby sulla base dello strumento di formulazione delle Linee Guida sul rischio di Estremismo, ERG22+. Questa valutazione, “destinata a persone che sono state condannate per reati di estremismo o correlati all’estremismo” (e lui non lo è stato), considera almeno 22 fattori in base ai quali un individuo può essere considerato un estremista e quindi essere soggetto a misure di de-radicalizzazione. Non siamo riusciti a trovare alcun documento pubblico che descriva in dettaglio questi 22 fattori o il modo in cui si svolgeranno questi colloqui.
Queste misure di de-radicalizzazione, in gran parte sperimentali e profondamente autoritarie, che sembrano essere attuate su base individuale, comprendono l’Intervento per una Sana Identità, il Programma di Desistenza e Disimpegno, l’Intervento Motivazionale e di Coinvolgimento e i Dialoghi di Sviluppo. Tutti questi programmi sono altamente invasivi e intensivi, progettati per indagare e smantellare la narrativa personale, l’infanzia e le influenze di un individuo preso di mira, per tentare di minare la sua critica dell’esistente, per isolarlo dalle sue relazioni e affinità e per rimodellarlo nel cittadino perfetto in condizioni di costrizione. Si pensi ai campi di rieducazione e all’indottrinamento politico. A tutti gli effetti si cerca di “patologizzare” il possesso di convinzioni anarchiche: l’anarchismo come malattia psicologica. Questa tattica di “psichiatria punitiva” è stata utilizzata da altri Stati autoritari, in particolare dalla Russia sovietica, dalla Cina e dagli Stati Uniti.
Naturalmente Toby si è rifiutato di collaborare, a quel punto ha ricevuto una lettera dai toni minacciosi da parte del suo responsabile per la libertà vigilata: “Sebbene lei abbia tutto il diritto di non impegnarsi in questo lavoro, la valutazione verrà effettuata indipendentemente dal fatto che lei prenda o meno parte attiva ad esso. Per il suo bene, tuttavia, sarebbe preferibile che la valutazione includesse la sua voce piuttosto che essere una semplice valutazione cartacea”.
Nonostante sia stato dichiarato non colpevole di reati di terrorismo nell’ottobre 2021, e il successivo rifiuto da parte di un giudice dell’Alta Corte della richiesta dell’accusa di una Sorveglianza Totale contro Toby sulla base della “Non Necessità”, i poliziotti hanno trovato alleati disponibili nel Servizio per la Libertà Vigilata. Anche se a questo punto non sembra esserci alcuna base legale per le loro richieste, i poliziotti e il servizio per la libertà vigilata stanno continuando a portare avanti le stesse accuse e le stesse prove, che non sono riuscite nemmeno a portare al processo dell’ottobre 2021, ma questa volta davanti a un giudice diverso.
Le restrizioni imposte, prese in considerazione dal Servizio per la Libertà Vigilata, dall’Antiterrorismo e del MAPPA sono ancora più estreme ed estese di quelle richieste nell’ambito della Sorveglianza Totale che Toby ha sconfitto nel maggio 2022. Toby è stato ricategorizzato dall’ufficiale incaricato della sua sorveglianza, incontrato una sola volta per circa 15 minuti, come un soggetto ad alto rischio in un nuovo rapporto OASIS (il precedente agente per la libertà vigilata aveva dichiarato che Toby era a basso rischio) ed è stato inserito nella MAPPA 4, livello 3, la categoria di rischio più alta secondo questa agenzia. Il tutto senza un processo o una condanna.
È chiaro che lo Stato di polizia britannico sta cercando di porre le basi per il LASIT (Terrorismo di sinistra, anarchico e monotematico). E Toby è il banco di prova.
Le condizioni previste includono:
– Nessun contatto con estremisti o persone arrestate per estremismo;
– Nessuna discussione (la condivisione di opinioni sarà considerata come “adescamento”, “radicalizzazione” e “predicazione”);
– Divieto di partecipare a riunioni o incontri se non per motivi di culto;
– Un solo telefono, che deve essere consegnato alla polizia ogni qualvolta venga richiesto, e da cui non può essere cancellato nulla senza previa autorizzazione;
– Toby inoltre deve soggiornare in un Approved Hostel (o Probation Hostels, strutture per la libertà vigilata) (2) per un anno.
Le prime due condizioni (contatti e discussioni) non stanno in piedi, se non si definisce bene chi e cosa è un estremista, e viene da chiedersi se per arrivare a un piano attuabile non si sottoporranno all’ERG22+ anche tutti gli amici e i compagni di Toby. Allo stesso tempo, sarà interessante e illuminante scoprire esattamente quali argomenti di conversazione e quali opinioni sono proibiti nella Gran Bretagna di oggi: nelle ultime settimane, abbiamo già visto che tenere silenziosamente e pacificamente un cartello anti-monarchia è un reato che prevede l’arresto.
Inoltre, un anno in una struttura per la libertà vigilata è una decisione senza precedenti e assolutamente non necessaria. Queste strutture sono destinate a coloro che hanno difficoltà ad “integrarsi di nuovo nella società”: persone prive di sostegno sociale, molestatori sessuali, tossicodipendenti e autori di reati violenti.
Nel Regno Unito ci sono più prigionieri politici che a memoria d’uomo. Il caso di Toby Shone – più di ogni altro – è di fondamentale importanza, poiché si tratta di un tentativo quasi extra-legale di criminalizzare e distruggere non solo un avversario che viene percepito come tale, ma anche l’insieme degli ideali e delle idee anarchiche e libertarie, in un momento in cui gli attacchi schiaccianti e senza scrupoli ai poveri danno a queste idee più forza e potenzialità che mai.
È tempo di smantellare qualsiasi linea di demarcazione che le persone possono ancora tracciare tra di loro nella speranza di apparire legittime agli occhi dello Stato. In particolare, in questi tempi, in cui la civiltà come la conoscevamo è al collasso, e si stanno creando le infrastrutture per la quarta e la quinta rivoluzione industriale, chiunque di noi abbia un briciolo di pensiero libero è una minaccia e un bersaglio. Questo attacco a Toby Shone non è un episodio isolato. In tutto il mondo, gli anarchici e gli attivisti vengono arrestati e imprigionati. Siamo responsabili di mantenere in vita queste idee e dobbiamo prestare attenzione, stare uniti, sostenere coloro che sono intrappolati nel sistema giudiziario e attaccare dove possiamo.
Nota: Dal 20 ottobre Toby è in isolamento come punizione, a causa di una protesta tenutasi fuori dal carcere di Parc, dove è detenuto, in cui i manifestanti hanno dimostrato la loro solidarietà a Toby e letto le richieste degli altri detenuti.
(1) Accordo istituito in Gran Bretagna nel 2001, rivolto alle “autorità responsabili” incaricate di gestire gli autori di reati sessuali, reati violenti e gli autori di reati che rappresentano un grave pericolo per la comunità.
(2) Le strutture per la libertà vigilata, sono destinate ai soggetti più a rischio quando escono dal carcere. Esse fungono da abitazione temporanea prima che la persona possa far ritorno al suo luogo di residenza abituale, e hanno due funzioni principali: contribuire alla riabilitazione e al reinserimento di queste persone e garantire la protezione dei cittadini nei primi mesi di permanenza nella comunità.
Intervista su Mezz’ora d’aria all’avvocatessa Caterina Calia sugli aspetti giuridici che vedono il prigioniero anarchico Alfredo Cospito rinchiuso in regime di 41 bis. Dal 20 ottobre Alfredo è in sciopero della fame ad oltranza.
Diffondiamo il comunicato di Juan in sciopero della fame
JUAN SORROCHE FERNANDEZ DAL CARCERE DI TERNI, SEZIONE AS2 IN SCIOPERO DELLA FAME DAL 25/10/2022 PER UN PERIODO INDEFINITO IN SOLIDARIETÀ
1° – CHIEDO: IL DECLASSAMENTO DELL’ANARCHICO ALFREDO COSPITO DAL 41BIS.
Lo scorso 5 maggio Alfredo Cospito è stato sottoposto al regime di 41bis e in seguito trasferito nel carcere di Bancali (Sassari). È stato fatto per impedirgli fisicamente di comunicare e contribuire al dibattito tra anarchici, dopo che per 10 anni è stato in carcere in AS2 più volte sottoposto alla censura della corrispondenza, a indagini e processi inerenti i suoi scritti. Lo Stato vuole zittirlo e annichilirlo con il regime 41bis, un carcere nel carcere, carcere di annientamento, è una tecnica di tortura studiata scientificamente e basta, sulla deprivazione per indurli a rinnegare le proprie convinzioni. Il 41bis non è stato solo pensato per gli accusati di associazione mafiosa, questo regime di reclusione è stato ed è ancora utilizzato ai fini della repressione dei rivoluzionari e sovversivi. Da 17 anni ci sono alcuni rivoluzionari comunisti sottoposti a questo regime.
2° -PER UNA SOLIDARIETÀ ATTIVA:
Siccome non mi percepisco isolato voglio dare continuità di solidarietà e di lotta internazionalista perché i nostri esempi non sono casi a sé di vendetta-statale contro noi specificamente come prigionierx sociali.
Non concordo con il ritorno del concetto del prigioniero politico, che credevo ampiamente superato nelle esperienze delle lotte passate, credo che generi separazione, isolamento e rimarca una separazione tra prigionierx politicx e prigionierx comuni, questa separazione nasconde dietro di sé un sentimento di superiorità e di disprezzo del resto delle persone prigioniere. Ribadisco il “vecchio” concetto che siamo prigionierx sociali, tuttx.
Ma è un dato di fatto che in tante parti del mondo i prigionierx sociali che lottano, i sovversivi, i rivoluzionari sono soggetti a particolari condizioni di prigionia perché lottano all’interno delle carceri. In Cile, Grecia, Spagna, Turchia, nello Stato sionista di Israele, ecc. Il fatto di rimanere impenitenti anche all’interno delle mura, continuando le nostre lotte, seppur limitate, e mantenendo le nostre posizioni di rottura con lo Stato all’interno delle carceri, ci mette nel mirino dei meccanismi repressivi dello Stato, contro il quale abbiamo lottato e continuiamo a lottare. Com’è successo con Alfredo Cospito trasferito al 41bis, un compagno anarchico generoso e impenitente che tanto ha dato al dibattito e allo sviluppo rivoluzionario negli anni dell’anarchismo.
Perciò mi voglio includere come prigionierx nella lotta e dare nello stesso momento la mia solidarietà rivoluzionaria e internazionalista indirizzandola a quelli che caparbiamente, nonostante le condizioni sfavorevoli di lotta, continuano a lottare. Come ad esempio i prigionieri che qui in Italia sono processati per devastazione e saccheggio per avere lottato nelle rivolte del marzo 2020 nelle carceri. O come i prigionieri che si sono ribellati qui nel carcere di Terni. Come quei prigionierx sovversivx, rivoluzionarx che dopo tanti anni di carcere, e che non sono pochi, pur soddisfacendo le condizioni per il rilascio continuano ad essere prigionierx preventivamente, attraverso una serie di leggi speciali, interpretazioni legalistiche e decisioni politiche, in tutto il mondo.
Come ad esempio: in Germania Tomas Mayer, negli Stati Uniti Mumia Abu-Jamal, in Francia Claudio Lavazza, in Spagna Gabriel Pombo Da Silva, in Cile Marcelo Villarroel, in Grecia Dimitris Koufontinas, Pola Rupa, Giannis Michailidis, in Israele lo Stato sionista con i prigionierx palestinesi in conflitto permanente che hanno avviato da poco misure di protesta e scioperi della fame, come tanti altri prigionierx sociali che lottano, rivoluzionarx, sovversivx, non citati, per tuttx libertà!
Solidarietà con Boris, in Francia forza e coraggio, con Ivan, Toby. SOLIDARIETÀ CON I PRIGIONIERI CHE SI SONO RIBELLATI NELLA PRIGIONE DI TERNI!
SOLIDARIETÀ AI PIÙ FRAGILI, ALLE NONNE E AI NONNI NELLE RSA IGNORATI, ISOLATI DAI LORO CARI CON VETRI DIVISORI COME NEL 41BIS E SEMPRE PIÙ RINCHIUSI IN GABBIE FISICHE-SANITARIE-TECNOLOGICHE-REPRESSIVE TRATTATI COME SCARTI DA BUTTARE!
SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE CON I PRIGIONIERX DELLA LOTTA SOCIALE NEL MONDO INTERO!
SOLIDARIETÀ E LIBERTÀ PER TUTTX I PRIGIONIERX SOVVERSIVI, RIVOLUZIONARI, ANARCHICI, LIBERTARI E PRIGIONIERX SOCIALI CHE LOTTANO, LIBERTÀ PER TUTTX!
DECLASSIFICAZIONE PER ALFREDO Cospito DAL 41BIS
CONTRO IL 41BIS CHE ANNICHILISCE I PRIGIONIERX RINCHIUSI
PER LA DISTRUZIONE DI TUTTE LE STRUTTURE CARCERARIE DEGLI STATI E DEL CAPITALISMO!
PER LA PROPAGAZIONE DELLE PRATICHE DI SOLIDARIETÀ RIVOLUZIONARIE!
PER L’ANARCHIA!
A partire da fine maggio il compagno anarchico Alfredo Cospito, in carcere dal 2012, è stato sottoposto al regime di 41 bis e deportato nel carcere insulare di Bancali, in provincia di Sassari.
L’esistenza di tale regime di carcere duro è stata dapprima sdoganata grazie alla retorica dell’antimafia; il 41 bis è stato poi applicato a detenuti e detenute appartenenti all’organizzazione comunista BR-PCC. Oggi viene imposto per la prima volta ad un compagno anarchico, rendendo concreto il monito che in anni di lotta avevamo più volte espresso: se esiste questo regime prima o poi lo estenderanno.
Il 20 ottobre Alfredo ha dato inizio ad uno sciopero della fame a oltranza, fino alla morte, per l’abolizione del regime speciale detentivo del 41 bis e il “fine pena mai” dell’ergastolo ostativo, in quanto, entrambi, espressione della vendetta dello Stato attraverso la tortura istituita per legge.
Condizioni di detenzione inenarrabili, unica possibilità di modificarle, fare i nomi di qualcun altro. Mettere qualcun altro al proprio posto.
La sua è una lotta di denuncia, attraverso la quale ci sbatte in faccia che per lui è meglio rischiare la morte mettendosi ancora una volta in gioco, che vivere interminabili anni in condizioni di stillicidio tese all’annientamento psico-fisico. È l’attacco all’ipocrisia dello Stato democratico. È lo smascheramento della manovra che lo Stato stesso sta operando attraverso il suo caso, perché esso costituisca un precedente nella storia, spalancando le porte del carcere duro per tutti quelli che verranno fatti rientrare nella categoria di “nemico”. È guerra.
Crediamo sia importante non far passare sotto silenzio questa manovra.
È necessario mobilitarsi, per noi e per quelli/e che verranno dopo di noi. Per Alfredo, in sciopero della fame a oltranza. E gli altri.
In solidarietà alla lotta di Alfredo, altri due anarchici prigionieri, Juan Sorroche e Ivan Alocco, hanno iniziato uno sciopero della fame rispettivamente dal 25 e dal 27 ottobre.
Dal 7 novembre anche la compagna anarchica Anna Beniamino, detenuta nel carcere romano di Rebibbia, si è unita a questa lotta, dichiarando anche lei lo sciopero della fame.
Alfredo non ha mai smesso, in nessuna condizione si trovasse, di mettere lo Stato ed il capitalismo di fronte alle loro responsabilità. Per questo lo vogliono tombare vivo. Noi non possiamo permetterlo.
Diciamo chiaramente che riteniamo responsabili della vita e della salute del nostro compagno in primo luogo soggetti e organi dello Stato quali Ministero della Giustizia, Tribunale di Sorveglianza di Roma, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, direttore e personale del carcere di Bancali.
Alfredo ha già superato le prime due settimane di sciopero della fame, e andiamo incontro alla conclusione della terza. Le iniziative di solidarietà si susseguono qui, e ovunque nel mondo. La situazione è di allerta.
Sabato 12 novembre scendiamo in piazza a Roma, dove si trovano i responsabili politici di quanto sta avvenendo.
Concentramento a piazza Gioacchino Belli. Ore 15:00
Partecipiamo numerosi/e!
ALFREDO COSPITO FUORI DAL 41-bis! CHIUDERE IL 41-bis! LIBERX TUTTX!