UDINE: PER VOI CHE VI SENTITE ASSOLTI [25 NOVEMBRE]

Riceviamo e diffondiamo il testo di un intervento fatto dalla Laboratoria TFQ al termine del corteo transfemminista contro la violenza di genere di Udine, ringraziando le compagne per il contributo.

25 novembre 2023 – “Per voi che vi sentite assolti”

Novembre 2023, la storia si ripete: l’ennesimo uomo ha deciso di uccidere una donna e siamo già stufe del can can mediatico che si scatena ogni volta che succede. Siamo stufe della narrazione del bravo ragazzo, di quanto fosse un gesto inaspettato, di quanto sia così incredibile e, a parole, inaccettabile quanto avvenuto. Lo sottolineiamo: A PAROLE è inaccettabile, perché, nei fatti, nulla si muove affinché qualcosa cambi davvero.

Hanno ragione le voci che si levano a denunciare il femminicida come figlio sano di questa società, a sottolineare che non sia una mela marcia, ma la norma.
Sappiamo che il femminicidio è solamente l’apice della violenza di genere, l’atto finale di una credenza pervasiva, come espresso con forza da Elena Cecchettin, che il patriarcato vorrebbe vedere zitta e piangente in casa. A lei va tutta la nostra solidarietà in questo momento. Sappiamo -come lei- di vivere in una società misogina, sessista, omofoba, transfobica, razzista e classista, costruita per porre al vertice della piramide l’uomo (principalmente bianco eterosessuale e cisgenere) ed è a voi uomini che ci rivolgiamo.

Voi uomini siete responsabili, nessuno escluso. Voi, anche voi che vi chiamate femministi, voi che vi chiamate compagni, magari antiautoritari e per questo vi credete “illuminati” o risolti.
Vi sentite a disagio? Vi fa arrabbiare se vi chiamiamo in causa? Bene: domandatevi perché. Soprattutto: domandatevi cosa avete fatto fino ad oggi per non meritarvi il nostro dito puntato.
Voi uomini etero-cis attuate quotidianamente scelte che mettono in pericolo le nostre vite. Ogni volta che alzate gli scudi e dite “ma io non ho mai fatto niente!”, chiedetevi esattamente cos’è questo “niente”: avete mai fatto veramente qualcosa? Avete reagito contro il catcalling? Contro le battute sessiste fatte nella compagnia di amici, a scuola, al bar, al lavoro, in palestra? Oppure avete preferito il quieto vivere e pensare che “in fondo è un mio amico, lo conosco, non farebbe male a una mosca”? Avete agito quando il vostro amico, il vostro compagno ubriaco molestava qualcuna alle feste perché “tanto, si sta solo divertendo un po’…è innocuo” o “va beh è solo un po’ pesante”? Avete finto di non capire il concetto di consenso con la scusa di essere brilli e di starvi solo godendo la serata? E che, in fondo, chiedere – e chiedere, e chiedere, e chiedere, e chiedere finché non cedono – è lecito e non una violenza?
O avete pensato “Che male c’è? E’ il gioco della seduzione!” mentre fingevate di non sapere che insistere, prendere per sfinimento, approfittare di una vulnerabilità che sia psicologica o data da sostanze, non è “provarci”, ma agire potere e violenza?
E quando siamo venute da voi a dirvi che il vostro amico o il vostro punto di riferimento nel movimento è uno stupratore, un violento, a chi avete scelto di credere? Avete trovato difficile pensare che la nostra versione fosse reale? Avete deciso che era più facile invocare le “situazioni fumose”, le “relazioni complicate”, le “violenze da entrambe le parti” o l’alcol?
Siete corsi subito sulle barricate dicendo “bisogna confrontare le versioni dei fatti” obbligando lei a rivivere la violenza e a produrre le “prove” come fanno i tribunali che tanto odiamo? Per poi confrontarle e metterle sullo stesso piano – come se ci fosse un piano comune!- e infine giudicare se questa versione fosse più o meno convincente? Avete messo in discussione la parola di una donna che denunciava una violenza solo perché non incarna lo stereotipo della “vittima” così come ce la disegna il sistema: “mansueta, disperata, sottomessa al dolore, indifesa, docile e pure zitta”? Ma magari è stata anche un po’ stronza? Assertiva? Vendicativa? E in base a questo avete fatto passare la violenza in secondo piano? Avete pensato: “Se l’è andata a cercare” o “Una persona che ha subito una violenza non avrebbe reagito così”, “Perché ha lasciato passare tanto tempo prima di dirlo? Perché è rimasta in quella relazione? Perché non si è difesa? Perché ha continuato a frequentare quell’uomo che l’ha stuprata, molestata, ha agito violenza e controllo?”? Avete pensato “Che esagerata!” come se ci fosse un modo per reagire alla violenza unico e inequivocabile?
Ogni volta che avete dato spazio a queste domande avete agito il patriarcato.
Ogni volta che avete invalidato la parola di una donna che denuncia violenza, che avete ribaltato la responsabilità su chi l’ha subita, avete tolto la responsabilità a chi l’ha agita e ne siete diventati complici.
Voi siete il problema: perché è facile dire “non tutti gli uomini”, ma poi è sempre un uomo. Ancora un uomo. L’ennesimo uomo assassino o stupratore. Il vostro fratello, il vostro amico, il vostro compagno. Voi.
E noi siamo qui a ricordarvi questo e anche un’altra cosa: ogni volta che vi siete sentiti offesi ed esclusi di fronte al separatismo, ogni volta che vi è venuto il fastidio davanti alla scelta delle donne e delle dissidenze di genere e sessuali di organizzarsi per i fatti propri perché vi siete sentiti esclusi o minacciati e avete impedito a queste persone di organizzarsi per colpire un sistema che le opprime chiamandole “lotte identitarie fini a se stesse, perché in realtà siamo tutti oppressi di fronte al sistema”, ogni volta che avete detto “Ci sono problemi più importanti”, avete scagliato la VOSTRA RESPONSABILITÀ lontano, indebolendo il nostro attacco e difendendo quel sistema di cui non siete altro che complici. Non c’è niente di già risolto dentro di voi: è tutto vivo e vegeto e continuate a replicarlo.
Ma se voi potete permettervi di autoassolvervi, noi continueremo ad accusarvi, finché non inizierete a dimostrare che siete veramente dalla nostra parte e non solo quando c’è da stracciarsi le vesti perché “come abbiamo potuto non accorgerci?”. Perché i segni ci sono sempre stati, ma avete preferito pensare che dietro la definizione di “attivista” o di “alleato femminista che scende in piazza” si trovasse una “tana libera tutti”. I segni ci sono sempre stati, attorno a voi e dentro di voi, ma avete scelto di fingere consapevolezza senza mai intraprendere un percorso vero.

Avete preferito continuare a uccidere le donne, invece che la maschilità egemone dentro di voi.

Laboratoria TFQ Udine

 

BOLOGNA: CORTEO CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO

Diffondiamo un piccolo racconto, senz’altro parziale e non esaustivo, del corteo di ieri contro la violenza maschile e di Stato, che ha scaldato il cuore di molte compagne, e anche il nostro. 💜​​​🔥​

Ieri a Bologna un centinaio di compagnx, sorelle, donne, frocie, soggettività queer e non binarie, sono scese in strada, spalla a spalla, contro la violenza maschile e di Stato, per unirsi alla marea di rabbia che ha invaso Roma, cosi come tante altre città.

Il corteo ha attraversato la Bolognina, quartiere storicamente popolare preda di un violento processo di gentrificazione e militarizzazione, fino a raggiungere il centro, in Piazza Verdi.

È stato detto forte e chiaro che se le forze dell’ordine pensano di poter saccheggiare una rabbia che non gli appartiene e che gli è ostile, hanno capito male, che questa sicurezza che spettacolarizza e strumentalizza episodi di violenza per fare pinkwashing istituzionale e coprire campagne securitarie, discriminatorie e razziste, fa parte del problema, non è la soluzione; che se pensano di legiferare sui corpi delle donne, per assoggettare altri corpi, troveranno la strada sbarrata.

Si è ricordato come il sistematico annientamento all’interno delle città di spazi di intersezione e solidarietà alimenti processi di desolidarizzazione nei quartieri, quando é proprio la conoscenza reciproca in quartiere che tante volte ha impedito alla violenza di rimanere un fatto privato, a pemettere che fosse socializzata e affrontata.

Si è ribadito che una società che si autoassolve e che delega a esercito e militari un problema sul quale essa stessa si basa non fa la sicurezza di nessunx, che chi stupra e uccide è un uomo, non un immigrato, e anzi, più spesso è il “bravo ragazzo”, quello “conosciuto”, “inserito”, che “non farebbe male a una mosca”.

Si è ricordata la storia che si ripete da secoli, a ciclo continuo, che stronca le vite di compagne e sorelle per il desiderio maschile di dominarle, assoggettarle, annichilirle, e quanto il risentimento dell’assassino di Giulia verso la sua autonomia sia in perfetta continuità con la violenza istituzionale perpetuata dall’attuale Presidente della Camera Lorenzo Fontana, che accusa della crisi sociale proprio le donne che studiano, pensano, si laureano, non si dedicano alla famiglia e non fanno figli.

Si è gridata l’ostilità verso una società che intende ridurre i corpi femminili al loro ruolo riproduttivo, utili solo come dispensatori univoci di cure sempre disponibili, dediti all’uomo, al padre, al capo, a riprodurre lo stato nazione bianco.

È stata portata per le strade la voce delle soggettività trans, queer, non binarie e intersex in carcere, sono state ricordate le compagne detenute e tutte le persone che subiscono la violenza della reclusione.

E’ stata portata solidarietà alla resistenza dei movimenti femministi palestinesi e a tutte le donne, le soggettività frocie, queer e non binarie, che stanno lottando per la libertà e per l’autodeterminazione, contro il saccheggio colonialista e imperialista delle nazioni, tutte.

E’ stata ribadita l’importanza dell’autodifesa, della sorellanza, di riprendersi strade e spazi, perché nessuna sia lasciata sola con i propri guai e con la propria rabbia, perché non saremo mai libere finché tuttx non saranno liberx!


BOLOGNA: CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO

BOLOGNA: CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO

Diffondiamo un testo scritto a Bologna da alcune compagne eretiche, transfemministe e antiautoritarie:

CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO. Ci proteggono le nostre compagne non il pacchetto sicurezza 

Abbiamo appreso con rabbia e dolore che Giulia Cecchettin è la 105esima vittima di femminicidio di quest’anno. Vorremmo dirci stupite, ma lo sapevamo già tutte. È la storia che si ripete da secoli, a ciclo continuo, che stronca le vite di compagne e sorelle per il desiderio maschile di dominarle, assoggettarle, annichilirle.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una crescente spettacolarizzazione dei casi di violenza di genere che hanno ricevuto attenzione mediatica, la dinamica è sempre la stessa, mentre si racconta morbosamente la violenza nei minimi dettagli, costringendo la persona coinvolta a ripercorrere costantemente l’accaduto, si cerca di fissare una distanza tra chi commette violenza e la società civile. Lo abbiamo visto succedere a Palermo e lo stiamo rivedendo accadere in questi giorni: chi ci stupra o uccide diventa il “mostro”, il “pazzo”, l'”animale”, troppo difficile ammettere che invece si tratta di una persona “inserita”, conosciuta, un compagno, un amico, un familiare, un conoscente, “quello che non farebbe male a una mosca”, è lo stesso motivo per cui in tante circostanze non siamo credute. È questa normalità che riproduce relazioni di potere e assoggettamento che combattiamo, in famiglia, nelle case, sul lavoro, per le strade.

Si è parlato in questi giorni con indignazione del risentimento che l’assassino mostrava nei confronti della laurea imminente di Giulia, incapace di accettarne l’autonomia, i traguardi, ma se scaviamo, l’odio covato da quest’uomo non ci stupisce e ritorna ben presto familiare. Lorenzo Fontana, attuale Presidente della Camera ed ex ministro della famiglia e della disabilità, figura cardine del Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona del 2019, nel suo testo “La culla vuota della civiltà: all’origine della crisi” senza tanti giri di parole accusa della crisi in corso proprio le donne. Donne che studiano, pensano, si laureano, non si dedicano alla famiglia e non fanno figli. Secondo l’ex ministro attuale Presidente della Camera sono le donne che si sottraggono al loro ruolo di riproduttrici e ancelle del focolare che creano la crisi della nostra società, non chi sfrutta e si arricchisce sulla pelle di comunità e territori, annientandoli. Fontana del resto non fa altro che inserirsi in una lunga genealogia di attacco ai nostri corpi: non dimentichiamo che l’aborto, oggi più che mai minacciato – anche a causa di una normativa che spesso impedisce fattivamente di abortire – era, secondo il codice Rocco, un reato contro «l’integrità e la sanità della stirpe». Una donna non può scegliere se essere madre o se non esserlo: deve riprodurre la società che le uccide, altrimenti è una donna snaturata. Mentre sui giornali si parla di emergenza femminicidi e di uomini impazziti che cedono a raptus, ci si dimentica della continuità storica tra la violenza istituzionale nei confronti delle donne e ciò che si riproduce nelle case e per le strade. Una lunga tradizione di oppressione se si pensa che oltre alla negazione del diritto all’aborto, in Italia il delitto d’onore e il matrimonio riparatore sono rimasti in vigore in Italia fino al 1981.

Omicidi e violenze non sono casi isolati, non sono emergenze improvvise dove lupi venuti dal nulla fanno sembrare la nostra rassicurante quotidianità una serie di true crime. La violenza di genere non è un “problema di ordine pubblico” ma qualcosa di strutturale e sistemico che pervade ogni ambito della nostra normalità. Le lacrime di coccodrillo di una società ipocrita a pochi giorni dal 25 novembre non ci interessano.

Amaramente possiamo pensare che, sì, i nostri corpi valgono, amaramente… perchè nella società capitalista e coloniale i nostri corpi valgono solo quando la loro messa a valore è funzionale a riprodurre lo stato nazione bianco, quando reggiamo le famiglie sulle nostre spalle, quando scandiamo la nostra esistenza tra il lavoro salariato sfruttato e gli istanti di un lavoro domestico invisibilizzato. I nostri corpi valgono se siamo dispensatrici univoche di cura, dedite all’uomo, al padre, al capo, sempre disponibili al ruolo di accudimento. I nostri corpi valgono nella misura in cui sono utili alla propaganda dell’emergenza del politicante di turno che vuole assicurarsi qualche voto in più promettendo “sicurezza contro le barbarie”. Una sicurezza che si pretende arrivi senza che sia messo in discussione l’assetto sociale, e che si traduce nel razzismo sulle persone migranti, nella classificazione di “zone della paura”, nell’aumento di militari e polizia per le strade, in retate nei quartieri, arresti e carcere.

Secondo i dati istat, i crimini violenti si sono sistematicamente ridotti dal 1980 a oggi. L’unico dato in lieve aumento sono appunto i femminicidi. Quella che è cambiata radicalmente, in questi anni, è la percezione di un’assenza di sicurezza. Addomesticatx da anni di retoriche dell’emergenza, ci siamo piegatx alla paura, sempre più alienatx. E così ritorna il vecchio motivetto colonialista e fascista: bisogna proteggere le nostre donne dal pericolo nero. Si legifera sui nostri corpi per assoggettare altri corpi, generalizzando risposte punitive e repressive su parti di popolazione proveniente da specifici contesti sociali e territoriali. Il nome di un luogo che ha visto coinvolti ragazzi minorenni in gravi atti di violenza di genere, diventa il nome di una legge in cui la violenza di genere non è assolutamente il focus dell’intervento ma soltanto il pretesto per prendere provvedimenti di natura autoritaria verso fasce di popolazione già marginalizzate come i minorenni delle periferie.

A Bologna in questi giorni un giornale locale riportava che “sono stati soprattutto giovanissimi nordafricani gli autori di violenze sessuali in luoghi pubblici a Bologna.” Giovane, nordafricano, stupratore. Questa l’equazione di chi vuole parlare alle pance per raccogliere consenso.

Non ci rende sicure una società che si autoassolve e che delega a esercito e militari un problema sul quale essa stessa si basa. La divisa che ci bastona per le strade e ci incarcera quando ci difendiamo o lottiamo per una vita radicalmente diversa fa parte del problema, non è la soluzione. Di questa sicurezza che istituzionalizza e riproduce l’uso patriarcale della forza e della prevaricazione non ce ne facciamo nulla. Non sarà armare di più le forze dell’ordine a renderci sicure. Non sarà un inasprimento delle punibilità su chi usa violenza, che fermerà la violenza.

Desideriamo ripensare a tutto un altro genere di sicurezza, a tutto un altro genere di famiglia, a tutto un altro genere di comunità e di vita, che metta in discussione alla radice la violenza maschile e lo sfruttamento predatorio che si abbatte anche sugli altri corpi, che rimetta al centro la sorellanza, la solidarietà tra oppressx, la lotta per un mondo di libere e uguali, la cura reciproca e l’autodeterminazione.

Bologna, novembre 2023

Alcune compagne eretiche, transfemministe, antiautoritarie

“PER TUA SOLA COLPA” OPUSCOLO/MOSTRA SUL D.L. CAIVANO

Diffondiamo da La Vampa una mostra sul d.l. Caivano per la libera divulgazione.

“Nonostante la grande attenzione mediatica agli episodi di cronaca, la violenza di genere non è assolutamente il focus dell’intervento governativo, ma diviene un mero pretesto per prendere dei provvedimenti di natura autoritaria verso – in questo caso – i minorenni delle periferie.”

Di seguito disponibile in due versioni: pannelli mostra, opuscolo.

ROMA: APRIAMO LA STREET PARADE CON UN CARRO CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE

Diffondiamo da L38Squat:

APRIAMO LA STREET PARADE “IL GRIDO DELLE PERIFERIE PRENDE FORZA IN STRADA” CON UN CARRO CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE

Saremo in testa alla street parade e non vogliamo che siano altri a parlare al posto nostro.

Ogni giorno i quartieri popolari vengono dipinti come “terra di nessuno”, facile teatro di violenze contro le donne e la gente che li abita come complice silenziosa.
L’Italia femminicida utilizza i mezzi d’informazione per cristallizzare la violenza. Ogni giorno veniamo bombardatx dalle notizie mediatiche con i particolari scavati nella vita delle donne uccise da mariti, fidanzati, amici cugini e zii senza che venga mai rivolta un’accusa alle fondamenta di una società basata sulla sopraffazione.
La politica difende il potere patriarcale e strumentalizza gli episodi di violenza maschile sulle donne per campagne securitarie che hanno lo scopo di terrorizzarci, disciplinarci e spingerci a restare chiuse in casa. La risposta politica ai più eclatanti episodi di violenza sono blitz di polizia nei quartieri popolari, i militari nelle stazioni e un innalzamento delle pene e tutto ciò niente ha a che fare con il contrasto alla violenza sulle donne. Le tante politiche di populismo penale fatte sulla nostra pelle non hanno mai prodotto alcun risultato: i dati pubblicamente noti che riguardano la violenza maschile sulle donne sono invariati. Mai viene nominata l’importanza delle reti di solidarietà e sorellanza, mai ci si riferisce al lavoro dei centri antiviolenza, mai si parla della necessità di educare contro gli stereotipi di genere che collocano le donne sotto il controllo degli uomini.
Viviamo nelle occupazioni di case, sbarriamo i portoni per portare solidarietà a chi è sotto sfratto, ma sappiamo bene che spesso le mura domestiche sono tutt’altro che luoghi sicuri per noi perchè è proprio in famiglia che avviene il maggior numero di violenze.
Chi parla al posto nostro non sa che alcune volte è stato proprio il senso di appartenenza e la conoscenza reciproca in quartiere a permettere a molte di noi di cavarsela, impedendo che la violenza restasse un fatto privato.
Se il primo passo è riconoscere la violenza che su di noi viene agita, il secondo è avere la possibilità di fuggirne. Sappiamo quanto è complicato riuscirci quando non hai una indipendenza economica o una rete di relazioni su cui poter contare.
Questo è per noi un motivo in più per scendere in strada e darci forza insieme, perché nessuna venga lasciata sola coi propri guai. Lo facciamo con la musica che piace a noi, con lo spirito alto di chi non je la darà mai vinta.
Venerdì 27 ottobre – ore 18.30
Partenza dal primo ponte del quartiere Laurentino 38
(via Ignazio Silone altezza via Gian Pietro Lucini)

FIRENZE: PRIDE FAVOLOSKA [30 SETTEMBRE]

Diffondiamo la chiamata della Pride Favoloska… e ci vediamo in strada! 💜🔥

PRIDE TRANSFEMMINISTA QUEER NAZIONALE  – Concentramento ai Giardini della Fortezza ore 17:00,  Firenze.

Le aggressioni subite dallx compagnx queer durante i pride a Firenze, Novara e Rimini, non sono una novità di quest’anno. Esse si inseriscono in un contesto di esasperazione da parte di un certo associazionismo lgbtqia+ che vuole cancellare politica e lotta dai pride. Questo clima, unito alla repressione dello stato, non ci farà tirare indietro o scadere in narrazioni vittimiste: una risposta di piazza significa costruire una realtà alternativa alle loro sfilate prive di ogni conflittualità e politica.

FAVOLOSE: Non siamo orgogliose di amare, o di essere uguali al resto dell’umanità. Siamo orgogliosx di aver preso a pietrate gli sbirri le notti di Stonewall, della Compton Cafeteria e dei White Riots. Orgogliose di aver sabotato a San Remo il congresso dei sessuologi con le fialette puzzolenti. Siamo orgogliose dellx femminellx sulle barricate, della potenza rivoluzionaria delle nostre lotte. Siamo orgogliose della nostra storia, di sapere bene come la nostra comunità ha preso le libertà che ha ottenuto: a pietrate sulle guardie, assaltando municipi e occupando case vuote, non certo votando il PD o scendendo a patti col potere.

LOSCHE: In un momento storico in cui il diritto di manifestare e di dissentire sta finendo sotto gli anfibi militari, ci preme ricordare che abbiamo smesso di chiedere il permesso di esistere tanto tempo fa. Scendere in piazza per noi significa prenderci uno spazio e non chiederemo scusa per farlo. In un paese che si fregia di diritti umani ma che utilizza ancora un codice fascista per la “pubblica sicurezza”, atto a reprimere la libertà di manifestare, che utilizza norme fasciste mai abolite per cacciare dalle città chi si ribella. Tra sgomberi, misure cautelari e preventive, “terrorismo” affibbiato sempre di più a chi lotta per case per tutti, contro la povertà e contro le discriminazioni. Ribadiamo che coloro che fanno vivere nel terrore, che, mentre blaterano di nonviolenza e dialogo, distruggono qualsiasi cosa intralci il loro cammino, sono i fautori di questo ordine.

ECOLOGISTE: La Terra è sotto attacco da quel capitalismo che sfoggia arcobaleni a giugno mentre devasta mari e terre. E’ nella nostra essenza di transfinocchie difendere la Terra. Non ci venderemo per un carro della coca cola al pride. Siamo solidali con chiunque agisca per difendere la Terra. Ci opponiamo a ogni grande opera che è utile solo a ricchi e padroni. Solidali e complici con la liberazione animale. Per poter sfrociare liberamente abbiamo bisogno di un pianeta dove non si soffochi, non di arcobaleni di plastica.

INCLUSIVE : Appiattire i pride non cancella la rabbia. “Il pride è per tutti” raccontano gli infami aggressori dell’associazionismo lgbt borghese e bianco. Certo, se se sei un bianco ghei cis borghese la polizia per te è utile. Ma ci siamo anche noi, che con la loro violenza abbiamo a che farci ogni giorno. Non dubitiamo che ciò sia incomprensibile a molti.Ciò che invece è semplice comprendere è il significato di inclusività: includere gli oppressi, non gli oppressori. La nostra pride include le migrantx che abbattono le frontiere, le lavoratricx e le disoccupatx, le ribellx, le redditatedicittadinanza, le bidelle lelle, le metalmeccaniche insorgenti, le puttane in lotta, le finoqquie che non arrivano a fine mese, le commesse stanche di sorridere a ricchi e padroni, le detenute in sciopero della fame e le recluse nei lager CPR. Chiunque senta che questo mondo non sia proprio il migliore possibile, ma non chi difende la miseria, i fili spinati, le galere. Non includeremo mai chi del fare guerra ai popoli ne ha fatto il proprio mestiere; il fascino della divisa non lo subiamo.

ANTIMILITARISTE: Non c’è guerra che come translellefroce sentiamo nostra. Non c’è stato né esercito che riconosciamo di pubblica utilità alla nostra comunità. Rifiutiamo la guerra, ma rifiutiamo anche la logica della sua accettazione passiva. Chi fa la guerra sappiamo benissimo chi è. Il nostro orgoglio è fermare i carichi di armi diretti al fronte, abbassare i profitti di chi con la guerra si compra lo yacht di lusso. Nella nostra comunità non c’è spazio per guerra ed eserciti, confini e muri. Il nostro pride è intralciare i loro piani in ogni maniera.

PROTAGONISTE: Sappiamo benissimo dell’uso strumentale del termine “antagonista” usato dall’associazionismo gay come dalla democrazia cristiana. Ci rivendichiamo di certo l’essere antagoniste verso il mondo capitalista, ma nel nostro pride ci sarà spazio anche per il nostro Protagonismo, quello di tutte le translellebiqueeraceunicornaliene che vi parteciperanno, perché è uno spazio che ci prendiamo per tutte noi e per quelle di noi che in piazza non ci possono essere più!

AUTODIFESE: Non ci protegge lo stato e non ci protegge la polizia. E non abbiamo alcuna intenzione di vendere le nostre cule per chiedergli di farlo. Sosteniamo profondamente la dignità di difenderci da sole e collettivamente. Costruiamo reti di autodifesa, costruiamo una comunità che davvero pensi al bene dell’altrx, e alla nostra sicurezza, autogestendocela come finocchie. Non siamo sicure in piazze piene di militari e volanti ma lo siamo in piazze piene di transphroce e alleate con cui costruire la nostra sicurezza.

SCIOPERANTI: Il lavoro non nobilita l’uomo e non nobilita noi transprocione. Lavorare per il profitto di pochi, guadagnare qualche spicciolo che non ci basta neanche per il mascara, ci priva di quella dignità di cui la comunità lgbtqia+ da sempre è estremamente fiera: la dignità di non cedere, di stare sempre a testa alta. Il nostro pride porta orgogliosamente solidarietà e complicità con tuttx coloro che stanno scioperando, picchettando, bloccando la produzione, che mandano a fanculo il proprio capo, che non hanno la forza di farlo ma vorrebbero. Mentre arcigay & Co si fa sponsorizzare da Deliveroo e altri sfruttatori, ci rivolgiamo alle froce e alle alleate nelle fabbriche, nelle grandi catene, a tutte coloro che di essere costrette a dare i propri giorni a infami sfruttatori, non ne possono più.

SIEROPOSITIVE: La nostra pride è orgogliosamente infetta, rifiuta ogni stigma e violenza che colpisce le persone. Non c’è colpa nell’avere una malattia, siamo orgogliosamente tutte infette e a difesa delle nostre sorelle. Non dimentichiamo il ruolo di stati e polizie nel lasciarci morire durante una pandemia, gridiamo rabbiosamente vendetta per tutte quelle che abbiamo dovuto piangere per l’ignavia di una società che ora ci chiede pure di stare in silenzio.

OCCUPATE: La casa è un diritto. Eppure nessunx di noi quasi ha una casa dove stare. In una città con migliaia di edifici vuoti rivendichiamo la pratica di togliere un po’ di lusso ai signori della città e costruire sfamiglie in case strappate alla speculazione. La nostra pride è schierata contro ogni sgombero e sfratto. Non si può pagare 600 euro al mese per una stanza, prendiamoci le case e non paghiamo più!

DEGRADATE: La gentrificazione e la repressione del decoro ci rende impossibile vivere nelle nostre città. Certa parte di associazionismo lgbt+ ha strizzato l’occhio a queste politiche per avere spazi commerciali e brandizzabili nel lunapark turistico. Alla norma decorosa reagiamo con il degrado dei nostri corpi fastidiosi, la nostra povertà disturbante. Ai Dehors contrapponiamo piazze piene di vita e orge nelle pubbliche vie, quartieri restituiti a chi li abita e ritorno delle comari di quartiere al posto delle guardie. Rivogliamo la nostra città e vogliamo viverci senza dover vendere un rene. Vogliamo i quartieri pieni di vita e non di merce e turismo di lusso. La nostra pride non sarà una parata per i selfie dei turisti. Siamo il degrado che non riuscite a ripulire. Ogni student hotel e Airbnb saranno occupati!

SCARCERATE: Il carcere è parte del problema non della soluzione. Se il carcere fosse una cosa davvero funzionante, ce ne dovrebbero essere sempre di meno. Il fatto che invece aumentino dà una chiara spiegazione del loro vero ruolo: discariche sociali dove allontanare chi sbaglia e non risolvere minimamente le problematiche di questa società che, spingendo alla miseria quasi tutti, non ha altra soluzione che manganelli e gabbie. Abolire il carcere è necessario, e non c’è transfemminismo in un mondo che ha bisogno del carcere.

ANTIRAZZISTE: Sappiamo bene i pilastri su cui si regge questa società. Non basta come fanno i pride ufficiali scrivere antirazzismo e far due interventi per fermare il razzismo. Con i governi stragisti, con chi fa patti con gli sgozzagole libici, con chi costruisce lager (Cpr) in tutta Europa, con chi alza muri alle frontiere e schiera polizia, con chi fa affogare gente in mare, non abbiamo niente da spartire. Non c’è partito che non abbia fatto guerra ai migranti, usando poi le istanze lgbtqia+ per pulirsi la faccia, ben accolto da quei traditori dell’associazionismo gay borghese. Tutta questa ipocrisia deve finire. L’Europa sta facendo un genocidio, e tutti i suoi governi ne sono complici. La nostra Pride vuole ribadire l’odio per il razzismo di stato, il sostegno alle rivolte e alle resistenze dei migranti in Italia e alle frontiere. Libertà per tuttx lx migrantx! Distruggiamo i confini di genere e prendiamo a pietrate quelli degli stati!

Il 30 settembre vogliamo dare una risposta di piazza che ridia senso al concetto di pride, di queer, di rivolta e di lotta. Questo è quello che vogliamo costruire, invitando tuttx quellx che sono stanchx di brand, sponsor e polizia ai pride, a scendere in piazza.

Un pride costruito da e per le persone lgbtqia+. Un pride di lotta intersezionale, che riconosce che la lotta per la libertà è una sola. Una pride che dia spazio ai nostri corpi brutti, non conformi, disabili, neurodivergenti, e non a vetrine di corpi normati dall’estetica imposta.
Un pride schierato in modo chiaro contro ogni discriminazione, che abbatta l’ipocrisia di collaborare con chi ogni giorno ci attacca e ci agisce violenza.
Un pride autogestito, ribelle, gratuito, senza profitto. Un pride che festeggi le sassate di stonewall, le ribellioni in giro per il mondo, come fu concepito alla sua nascita.

Canali e riferimenti: facebook “Favola Loska” – Instagram “favolosk3_1812″


1/10/2023 Assemblea nazionale delle collettive e individue tfq a Firenze.

Gli attacchi subiti ai pride di varie parti d’Italia mostrano che il modo di agire dell’associazionismo lgbt+ ,da sempre schierati con la pacificazione delle lotte, ha preso le forme fisiche dei manganelli degli sbirri che evidentemente tanto gli piacciono.
A tutto questo ci è sembrato doveroso reagire facendo una chiamata nazionale di piazza a Firenze.
Ma sappiamo che una data non può bastare, e la necessità di una rete che dichiari apertamente conflitto con chi si schiera con gli oppressori, invece che cercare dialogo o posto nelle sue file, sia ormai tra le priorità.
Per questo chiamiamo a raccolta tutte le individue e le collettive lgbtqia+ da tutti i territori per conoscerci e costruire una rete con progettualità riguardo i percorsi di contestazione ai pride istituzionalizzati e alla costruzione di lotte translellebiqueeer.
Una necessità che sappiamo essere non solo nostra. Ci vediamo dopo il pride, domenica 1/10/2023 h 11.00 al CPA Firenze Sud.

COS’È SUCCESSO AL TOSCANA PRIDE DI FIRENZE

Diffondiamo il comunicato della Favoloska Ribellione di Firenze, ringraziando le compagnx che l’8 luglio si sono presx l’onere e la gioia di portare la loro scomoda presenza nell’ambito del Toscana Pride, aprendo una conflittualità che crediamo non solo necessaria, ma auspicabile e desiderabile. Speriamo sia un esempio per moltx, speriamo sia solo l’inizio!

Dopo essere stat3 circondate dalla digos che non voleva farci unire al pride, dopo che è stata “concessa” all3 froc3 la testa del corteo, lo stesso Toscana Pride che si rivendica le rivolte di Stonewall ci ha impedito di fare un intervento sul palco, davanti a una piazza mezza vuota, facendoci allontanare dalla celere a suon di manganellate. Toscana Pride si rivendica di difendere i nostri corpi, e allo stesso tempo ci schiera contro la polizia che, secondo loro, “non è un pericolo per le persone queer”.

Siamo fier3 delle manganellate che ci siamo pres3 sotto quel palco,
perché sono la dimostrazione dell’ipocrisia di Toscana Pride e di tutte le associazioni che ne fanno parte, che pretendono di parlare a nome di tutt3 13 froc3 e allo stesso tempo ci silenziano con l’uso della forza della polizia, dicendoci che “ce le siamo cercate” e che “non ce ne hanno date abbastanza”, e poi ci scherniscono da sopra un palco sul quale noi froc3 non conformi e non silenzios3, a quanto pare, non siamo 13 benvenut3.

Le istituzioni e i pride istituzionali e commercializzati, come si dimostrava quello di ieri con il suo carro di Student Hotel, sono la bugia continua che ci mantiene oppress3.

“Con un mattone è iniziato, con un manganello è finito” avevamo scritto in un altro comunicato, bene state sicur3 che i manganelli di ieri non pongono fine a niente, così come non hanno mai posto fine alla lotta frocia.

Secondo l’intenzione era quella di spaventarci, noi rispondiamo che i manganelli non ci hanno mai fatto paura. Ci subiamo violenza quotidiana da tutta la società e sempre, come adesso, rispondiamo con orgoglio, lotta e RESISTENZA FROCIA!

Comunicato dell’Assemblea della D.I.L.D.A post Adunata degli alpini a Udine

Riceviamo e diffondiamo:

Da dove siamo partite

A prescindere da quanto successo l’anno scorso, noi la D.I.L.D.A – Distruggi Infùriati Lìberati e Debella gli Alpini! (sono tutti imperativi quindi non abbisognano di schwa cretini!)- per questa adunata l’avremmo fatta lo stesso. Il motivo è presto detto: l’unica eccezione di Rimini rispetto alle adunate precedenti non è stato il numero di molestie, ma l’attenzione mediatica sulle stesse.
Maschilità egemonica, tanti uomini uniti sotto il vessillo nazionalista e militare in un cameratismo da spogliatoio e imbevuti nell’alcol come ciliegine sotto spirito sono l’humus ideale per il proliferare della cultura dello stupro.
Non ci aveva stupito minimamente nemmeno la retorica cuscinetto che ne era seguita che funge solo da conferma, ovvero quella della GIUSTIFICAZIONE. Le mele marce, gli infiltrati col cappello piumato finto, la goliardia, invece di parlare di molestatori in branco, tutta roba che segue pedissequamente il solito copione mediatico.
Quindi un safer space andava creato.
Abbiamo attivato anche un numero di telefono per eventuali condivisioni e offrire ascolto, dicendo fin da subito che non siamo operatrici sociali, facendo intendere che il numero avrebbe avuto un ruolo di supporto e non necessariamente di denuncia pubblica.
Mantenere l’anonimato e la segretezza di tutto ciò che sarebbe ed è passato da lì, dire che quel mezzo era fatto per prendersi cura di noi, per solidarizzare e non per offrire sponde a carriere, giornalisti, tribunali, sbirri o altro.
Ci dispiace solo per le chiamate perse a notte fonda: semmai leggiate questo comunicato, sappiatelo.

Separatismo femminista, estimatrici e detrattori

Sicuramente siamo felici che la D.I.L.D.A sia riuscita ad essere un luogo accogliente: ce lo testimoniano i ringraziamenti delle persone che hanno potuto passare con noi qualche ora serena e complice e anche di quelle che non sono potute essere presenti, ma che ci hanno fatto sapere di aver provato sollievo nel sentire che in città esisteva un luogo di resistenza all’invasione. Come ben sappiamo, è vitale la presenza di spazi e tempi per noi. A chiunque abbia letto nel termine “separatismo” solo la parola “esclusione”, sbattiamo in faccia la realtà dei fatti: la tre giorni è stata condivisione, discussione, leggerezza e cura ed è stata costruita da (e dedicata a) persone che, invece, l’esclusione la vivono davvero, quotidianamente e su più livelli.
E’ anche importante rilevare che una visibilità mediatica espressa in termini talvolta pruriginosi e talvolta scandalistici, per niente ricercata da parte nostra, sia stata probabilmente la causa di alcune sgradite visite: persone non bene intenzionate si sono avvicinate allo spazio in occasioni diverse con fare provocatorio. Hanno provato ad entrare o hanno tentato di suscitare reazioni da parte nostra, nel tentativo -immaginiamo- di avere la scusa per passare al sodo. Tutti sono stati fatti sloggiare! Evidentemente molti UOMINIETEROCIS sono spaventati dall’esistenza di un luogo che pone in discussione la loro libertà di mettere piede e becco in cose che non li riguardano 365 giorni l’anno e 24/7. Riveliamo loro un piccolo segreto: ce ne saranno ancora di momenti così, quindi dormite pure sonni tranquilli. O agitati. O non dormite: tanto che ce ne frega, a noi?

Caccia alla streghe

Già alcune settimane prima dell’inizio di questo evento è cominciato il can can antifemminista, lo spauracchio delle molestie, il fantasma con il volto di donna che avrebbe aleggiato, vendicatore, su tutta l’adunata.
Leggiamo in questi primi giorni post evento, dei tristi racconti di tutte quelle lingue morse per evitare leggiadri commenti o complimenti, naturalmente goliardici. “Hey scusa, sai, ti direi che hai delle belle tette, ma ho davvero paura che poi mi denunci”. Poveretti questi alpini, tra una birra rinforzata alla grappa e l’altra, costretti a trattenersi in questa dittatura del consenso! Un’adunata proprio goduta a metà, anzi un coito interrotto!
Peccato comunque che le lingue morse si siano limitate alla vetrina in centro città, infatti nelle zone limitrofe si consumava l’immancabile degrado e la perdita di diplomazia alpinesca. Zombie con il cappello con la piuma barcollanti, lo sguardo vitreo, ogni tanto uno che crollava a terra come un caco maturo, qualcuno che vomitava nelle siepi di giardini privati sotto le bandierine tricolore, messe come segno di benvenuto (magari volevano restituire l’apprezzamento!). Se dovevano pisciare non facevano né tanti complimenti né un paio di metri per farla nei cessi attrezzati apposta. Ma poi in effetti perché usare quelli? Tanto erano “di bellezza” per far vedere che Udine era organizzata bene e che in un paio di ore tornava uno specchio! Ci ha fatto proprio sorridere che il furgoncino della protezione civile locale fosse usato come vespasiano Noi di certo non ci mettiamo a giudicare se hanno deciso di pisciarsi uno sull’altro eh! Ognunx ha il suo kink!
Ci fa piacere che abbiate temuto, che abbiate vissuto male quella libertà che pensate di avere sui nostri corpi, ma che non avete. E questo non perché odiamo gli uomini tout court, come qualcunx ha voluto far passare, ma perché disprezziamo la maschilità egemonica e la sua enfatizzazione (ancora peggio se dipinta in mimetica) e la combatteremo sempre. Se vi abbiamo fatto paura, allora avevamo proprio ragione!

Di video (che non ci sono) in video (che ci sono)

Come si diceva poco sopra, giravano inviti beceri tra le chat alpine che invitavano a fare attenzione alle femministe che avrebbero invaso l’adunata apposta per farsi palpeggiare. Da qualche parte si invitavano gli uomini a riprendere le scostumate provocatrici, come prova che “hanno iniziato loro!”; da altre si presentava la minaccia di complici poco distanti pronte a riprendere le manate calamitate volontariamente da scollature esibite allo scopo.
Peccato che la preoccupazione espressa sia girata sempre attorno alla presenza di una telecamera (sia come “arma” di difesa che di attacco) e non al fatto che il primo pensiero del branco sia quello di allungare le mani: un’abile e collaudata giravolta patriarcale che getta sempre e comunque tutte le responsabilità su chi questi gesti li subisce.
Allo stesso tempo, sembra che in pochx, in questi giorni, si stiano facendo le giuste domande sulla presenza di un filmato -questa volta reale- che ha trovato spazio senza vergogna e senza problematizzazione di sorta anche sui siti delle testate nazionali e che riprende un atto sessuale avvenuto in pubblico durante l’evento. L’assenza di scrupoli nel condividere queste immagini, in un misto tra voyeurismo, risatine e gomitate complici descrive ancora una volta lo spessore dei soggetti di cui stiamo parlando. Purtroppo siamo ben consapevoli di come funzionano le cose, in questi casi: esprimiamo pertanto la nostra massima solidarietà alla ragazza ripresa, nella speranza che la sua identità rimanga ignota, se è quello che desidera e che, eventualmente, possa trovare il supporto necessario ad affrontare i commenti del popolo del web, sempre pronto ad adulare le prestazioni muscolari dei pornodivi (anche improvvisati) e a seppellire di insulti le donne presenti negli stessi frame.

Solidarietà a tuttx quellx che hanno disertato l’occupazione militare della città e che hanno avuto il coraggio di esprimere il proprio dissenso.

Quella che si è svolta a Udine dal 12 al 14 maggio è stata una specie di grande sagra che ha visto la città invasa da coglioni invasati col cappello pennato. Ma dietro il grande luna park si celava il vero fulcro della festa: la cittadella allestita al Parco Moretti, vetrina espositiva ed interattiva dei più moderni mezzi ed equipaggiamenti in dotazione alle Truppe Alpine, dove il corpo militare metteva in bella mostra muscoli e armamentario. Si poteva accedere all’area, recintata per l’occasione, solo dall’ingresso principale e attraversando una moltitudine di sbirri d’ogni sorta ed energumeni in mimetica impalati come telamoni ostili, per poi essere accolti da giovani leve con il compito di reclutarti per i campi estivi o gioviali donne alpino (non si declina al femminile, che ci si potrebbe confondere con il fiore!) in carriera, che descrivevano la professione militare come se fosse la più eccitante del mondo, ma che si scandalizzavano se veniva pronunciata la parola GUERRA (no! In guerra no! Non è mica un gioco!). Al parco potevi portare a spasso la famiglia tra cannoni e mortai, fare un salto sul carro armato trasformatosi magicamente in giostra, oppure semplicemente curiosare tra le bancarelle di mitra, fucili e visori notturni… con la stessa serenità con la quale si potrebbe fare un giro alla fiera dei fiori o alla mostra dell’attrezzatura da giardino, senza badare al fatto che si stesse trattando di strumenti di morte progettati e usati con il solo scopo di uccidere altri individui e devastare interi territori! Un dettaglio, al quale nessunx dei presenti pareva badare. Nessun simpatico ubriacone qui, solo giovani leve, veterani nostalgici e alte uniformi a perpetrare e imbastire la cultura della guerra, alla quale pare che moltx siano oramai assuefattx.
Sono già tre anni che ci troviamo in una situazione di emergenza permanente e di stato di polizia. La gestione autoritaria e repressiva dell’epidemia da covid 19 ha rappresentato per lo Stato l’occasione per fare una prova generale di addomesticamento e sottomissione della popolazione, con tanto di confinamenti, coprifuoco, caccia alle streghe renitenti alle politiche di controllo e conseguente loro ghettizzazione.
E ora con la guerra e l’incremento esponenziale dell’industria bellica, vogliono farci accettare tutto: i militari per le strade, l’impoverimento generalizzato, l’obbedienza assoluta verso il potere.
Siamo quindi solidali e complici con le tre compagne che sono state tenute in fermo di polizia per una notte e che sono state denunciate con l’accusa di imbrattamento e vilipendio per possesso di adesivi di protesta contro l’adunata degli alpini e la militarizzazione della società.

Niente fermerà la nostra ribellione, non staremo mai zitte e buone, continueremo a dire NO e a lottare giorno dopo giorno.

D.i.l.d.a