Opuscolo: Riappropriati della tua mente

Raccolta di scritti su disagio psichico e critica alla civilizzazione

All’interno dei movimenti che cercano di contrastare questo sistema pare quasi un tabù parlare del malessere o del disagio mentale come di qualcosa che ci riguarda o ci può riguardare da vicino, e conseguentemente di possibili modi di gestirlo che si differenzino da quelli offerti dalla medicina moderna. Un necessario pezzo di critica all’istituzione psichiatrica che non sia soltanto un attacco all’istituzione in sé e ai suoi precetti ma che esplori anche possibili percorsi differenti rispetto a come affrontare i propri demoni interiori e prendersi cura del proprio caos emotivo in autonomia o con il supporto delle persone amiche che si hanno attorno. I testi qui presentati vogliono essere un punto di partenza per iniziare ad affrontare questa discussione così necessaria.

Link: https://anarcoqueer.wordpress.com/2021/04/13/riappropriati-della-tua-mente/

Psichiatria e pandemia: stigmi, contagi e sindemie

Un articolo di Chiara Gazzola uscito sul numero di aprile 2021 di “Sicilia libertaria”

STIGMI, CONTAGI E SINDEMIE

“Salute mentale”, abuso concettuale in uno slalom di tesi utile a definirne la carenza: le condizioni esistenziali che si discostano da un ipotetico equilibrio psicofisico di adattamento alle difficoltà. Si evita così di scalfirne le cause, poiché significherebbe puntare il dito alle iniquità sociali. E così non si guarda il dito, né si considera cosa stia segnalando, ma lo si penalizza registrandolo come “indicatore” (sintomo) di patologia.

I diversi approcci alla disciplina psichiatrica sembrano concordi nel definire la salute come il risultato fra stile di vita, condizioni socio-ambientali e capacità individuale di risposta a eventi esterni. Eppure non esiste protocollo sanitario che prenda in considerazione questa complessità di fattori. Se si rompe un tubo dell’acqua in una casa costruita su un terreno franoso, chi trae vantaggio nell’aggiustare il tubo? La salute, intesa come un insieme di risposte organiche, sensoriali e sociali, è quindi argomento di riflessioni filosofiche o antropologiche ma, se la politica le sovrasta, qualsiasi squilibrio rimane appannaggio esclusivo dell’industria farmacologica che non ha interesse a rimuovere i divari sociali causa di tanti malesseri. Nel frattempo la psichiatria si concentra sulla denominazione dei disturbi. Fatta la diagnosi, esclusivamente attraverso un’osservazione clinica soggettiva e non comprovata da test oggettivi, si passa alla cura. E quale occasione più ghiotta della pandemia per “scoprire” nuove sindromi?

Le prime pubblicazioni in era covid individuavano risposte patologiche come varianti del DSPT (disturbo da stress post traumatico). Lo scorso agosto la rivista scientifica Brain, behavior and Immunity informava che l’infiammazione da covid-19 è un fattore di rischio per la depressione. L’ampia gamma di molecole antidepressive e ansiolitiche è una voce prevalente del fatturato farmacologico: come avrebbe potuto l’invadenza del virus non andare a braccetto con una delle “malattie” più diffuse al mondo? Uno studio dell’Ospedale San Raffaele di Milano condotto su 402 pazienti guariti dal covid afferma che il 56% manifesta disturbi psichici multipli: DSPT 28%, depressione 31%, ansia 42%, insonnia 40%, sintomi ossessivo-compulsivi 20%; le sindromi depressive compaiono più facilmente nelle donne e si ipotizza che la maggiore vulnerabilità sia dovuta al “diverso funzionamento del sistema immunitario nelle sue componenti innate e adattive”. Il XII Congresso nazionale SINPF (società italiana di neuropsicofarmacologia), stando ai report recenti di vari quotidiani, rileva che l’aumento dei disagi psichici in era di pandemia stia attivando una vera e propria sindemia, un mix di pericolo clinico e sociale dovuto alla paura del contagio, allo stress da confinamento e alla crisi economica. Un contagio nel contagio? La probabilità di sviluppare sintomi depressivi nei soggetti colpiti dal virus, o da lutti in famiglia, aumenterebbe di 5 volte e così si legittima la previsione di 800mila nuove pazienti, con un’aspettativa di incidenza fino al 32%! L’incremento di vendite di psicofarmaci interesserebbe donne e adolescenti, in quanto categorie maggiormente colpite da perdita di lavoro e di socialità.

Per l’OMS (organizzazione mondiale di sanità) “la tutela della salute mentale è una priorità correlata alla pandemia in atto”, mostrandosi preoccupata per i nuovi disturbi “erroneamente inclusi nei DSPT”. Nasce quindi l’esigenza di nuove nomenclature per meglio definire uno “stress individuale/comunitario e non convenzionale, sospeso, subacuto, perdurante e perturbante che può evolvere in persistente”. Viene spiegato che le definizioni di “perturbante e non convenzionale” descrivono una sofferenza che va a dissestare il futuro: la percezione di furto del futuro come nuova condizione clinica! Uno stress che attraversa varie fasi: la prima, incredulità e sottovalutazione difensiva; la seconda, l’incredulità si trasforma in angoscia all’evidenza di malati e morti; la terza, perdite affettive e insicurezza economica, riducendo la plasticità adattiva e l’istinto di sopravvivenza, innescano la paura del fallimento. Ma l’OMS individua anche un nuovo agente patogeno: la infodemia. Trattasi dell’eccesso di informazioni e del rimbombo di commenti da cui siamo invasi. Altro contagio nel contagio: le notizie a contenuto angosciante e contraddittorio produrrebbero lesioni bisognose di cure da somministrare a chi ne soffre, non certamente a chi alimenta questo giornalismo! Uno studio condotto dall’Università di Oxford, e pubblicato da The lancet psychiatry, afferma che a 90 giorni dal contagio da covid nel 20% dei casi insorgono disturbi al sistema nervoso centrale e che i soggetti in cura psichiatrica sono più esposti (65% dei casi) a contrarre il virus. Se ne deduce: “queste evidenze stanno convincendo sempre di più i ricercatori che esiste una stretta correlazione fra le malattie psichiche e il virus”.

L’IEUD (istituto europeo per il trattamento delle dipendenze) ha registrato, nel primo semestre 2020, un aumento del 4% del consumo di benzodiazepine. L’AIFA (agenzia italiana del farmaco) riporta che nel 2020 la vendita di ansiolitici si è incrementata del 12%, dati definiti “allarmanti” in quanto non corrispondono alle diagnosi stilate: gli psicofarmaci vengono definiti “pericolosi se presi senza prescrizione medica”. Si individuano le cause dei nuovi malesseri nel telelavoro, nella didattica a distanza, nelle restrizioni agli spostamenti, nella paura del contagio, nella precarietà economica, nel rischio di essere considerati “untori”.

Ecco innescata una spirale velenosa affinché la psichiatria possa continuare a mettere le sue toppe mediche a problematiche sociali e ad accaparrarsi la facoltà di diagnosi/cura/controllo, di produrre stigmi (questi sì, reali e persistenti!), di annullare le dignità individuali e di farsi paladina di una salute mentale tanto millantata, quanto svilita: uscire dal labirinto le sarebbe controproducente!

Di Chiara Gazzola

Carcere: Rompiamo il silenzio

da Assemblea parenti e solidali delle persone detenute.

CHI HA DIFESO LA PROPRIA VITA NON SI PROCESSA!

Un anno fa le persone detenute hanno indicato l’unica soluzione possibile per evitare il contagio di massa in celle sovraffollate: svuotare le galere.

Alle proteste e alle richieste di salute e libertà lo Stato ha risposto con pestaggi, trasferimenti punitivi, morti e torture: strano modo di tutelare la salute delle persone…

Il tracollo sanitario che ha trasformato le carceri in focolai era in corso già da tempo, così come il sovraffollamento. Quanto sta accadendo in queste settimane nella sezione femminile di Rebibbia, al pari di altre carceri, ne è una terribile conseguenza: ad oggi si parla di 40 donne contagiate e sono le stesse detenute a raccontare del mancato ricovero per chi è in gravi condizioni, della mancanza di mascherine e di tamponi, dell’isolamento totale cui sono costrette tra la chiusura dei colloqui e l’obbligo di stare in cella 24 ore su 24.

L’8 aprile, 54 detenuti di Rebibbia verranno processati in aula bunker per la rivolta del 9 marzo 2020. Altre 20 detenute sono sotto indagine per una protesta avvenuta in contemporanea nella sezione femminile.

Noi siamo al loro fianco e vogliamo che la nostra solidarietà arrivi forte e chiara. Chi ha protestato aveva ragione: l’unica sicurezza contro il contagio non può che essere la libertà.

GIOVEDÌ 8 APRILE – ORE 9:30
presidio davanti l’aula bunker di Rebibbia (via del Casale di San Basilio 168)

VENERDÌ 9 APRILE – ORE 17
a un anno dalla morte di Salvo, compagno che ha lottato dentro e fuori le carceri fino all’ultimo respiro, in via dei Volsci, sotto la sede di Radio Onda Rossa

DOMENICA 11 APRILE – ORE 10:30
presidio con microfoni aperti davanti alla sezione femminile di Rebibbia (pratone) per portare i nostri saluti alle detenute

Chiunque abbia voglia di contattarci, può farlo a uno di questi indirizzi:

Punto Solidale, via Augusto Dulceri 211 – 00176 Roma
indirizzo mail: dulceri211[at]gmail.com

Assemblea parenti e solidali delle persone detenute

Link: Rete evasioni

Opuscolo: Considerazioni sull’autogestione della salute

Un opuscolo autoprodotto a Bologna in cui sono raccolte alcune riflessioni e considerazioni sull’autogestione della salute nel contesto attuale.

Considerazioni sull’autogestione della salute – FR
Considerazioni sull’autogestione della salute – IT


 

Non crediamo né giusto né efficace delegare ai decreti del governo e all’apparato repressivo dello Stato la tutela della nostra salute. Le informazioni contraddittorie e le linee guida dettate preminentemente dalla salvaguardia degli interessi dei padroni, spesso poco chiare, contrastanti e volutamente ambigue, lasciano ampio arbitrio e copertura agli abusi delle guardie nell’applicarle.

Il virus, il lockdown, le condizioni materiali e le possibilità di curarsi non sono uguali per tutti. Non siamo mai stati sulla stessa barca dei politicanti e dei padroni e men che meno lo saremo di questi tempi. Questo implica ANCORA DI PIU’ un esercizio di responsabilità e di autonomia, è necessario non sacrificare in primis la nostra capacità di decidere per noi stessi e con gli altri quali comportamenti tenere.

Tutelare la nostra salute significa, oggi più che mai, contestare il potere che lo Stato esercita sulle nostre vite servendosi anche della medicina. Abbiamo deciso di scrivere qualche idea su come agire nel contesto in cui ci troviamo a vivere, e alcune questioni su cui pensiamo sia utile ragionare.

Presumendo che con questa
situazione faremo i conti ancora a lungo, può essere utile stabilire alcuni riferimenti e standard di precauzione che siano anche sostenibili, affinché i costi di ciò che si mette in campo per tutelarsi dal virus non superino i benefici, consapevoli delle diverse trame e dimensioni che compongono la nostra salute, fatta anche di intimità, relazioni e affettività. Il virus esiste e per qualcuna ammalarsi può essere peggio che per qualcun’ altro.

COME GESTIAMO IL RISCHIO DEL CONTAGIO?

In primo luogo basando le nostre relazioni sul consenso, tenendo a mente che ciò vale anche in assenza di pandemie.

Un’ipotesi più articolata potrebbe essere ragionare per cerchi concentrici: esiste un gruppo di persone più ristretto nei confronti delle quali il livello di precauzione che si decide di tenere è il più basso. Lo Stato ha individuato nel nucleo familiare e nei rapporti lavorativi questo gruppo di persone. Decidiamo noi le persone che sentiamo più vicine e di cui più ci fidiamo e che vogliamo includere in questa cerchia più affine, aumentando progressivamente la disponibilità ad ampliare le tutele man mano che ne ‘usciamo’. Consideriamo le persone coinvolte rimanendo disposti a ridiscutere le modalità delle nostre interazioni con l’evolversi dei bisogni e dei desideri individuali che emergono.

Qualora ci si ammali con il ragionevole dubbio di aver contratto il virus si può decidere di rivolgersi al medico di base o di guardia per prenotare un tampone oppure autogestire la propria salute e il proprio periodo di precauzione.

Se si hanno i sintomi e non si fa il tampone, è importante tenere in considerazione la situazione delle persone con cui si è venuti in contatto, che potrebbero avere invece la necessità di sapere se sono positive o meno.

Nelle procedure per tracciare i contatti dei positivi potrebbero esserci richiesti nomi da parte dell’asl di conviventi o contatti stretti. Sapendolo è bene informare prima le persone in questione e regolarsi, finché è possibile, sulla base del consenso. Qualcuno potrebbe avere necessità di fare il tampone e quindi fornire il nome all’asl diventerebbe la scelta migliore o al contrario qualcuna potrebbe preferire gestire autonomamente le precauzioni da prendere, non dare per scontata nessuna delle due ipotesi.

Qualora si renda necessario un tampone privato, considerare la possibilità di gestire insieme la spesa.

A fronte di una positività al virus sarà importante non considerare la malattia e il conseguente isolamento fisico come qualcosa di ‘neutro’, ma prendersi cura di sé stesse e delle altre in tutti i sensi. In questo mondo, quando ci ammaliamo e abbiamo paura di soffrire e di morire siamo spesso trattati alla stregua di macchine da aggiustare per ritornare al massimo dell’efficienza nel minore tempo possibile. Sappiamo invece di dover tenere in considerazione un equilibrio molto più complesso che coinvolge la nostra intimità, l’affettività e le nostre relazioni, con gli altri e con l’ambiente.

Attenzione a non cadere nella trappola di additare “l’untore”: essere contagiati involontariamente da qualcuno della nostra cerchia ristretta è già un peso che la persona coinvolta si porta dietro.

Nel caso in cui alcuni comportamenti ci sembrassero leggeri o irresponsabili chiederne conto è giusto, dare per scontate le motivazioni di chi li ha tenuti invece non lo è.

Considerare sempre che le informazioni sulla salute sono informazioni delicate e che farle circolare in modo improprio può avere effetti e ricadute sulla vita delle persone, è sempre utile porsi il problema di come trattarle.

Non tutti potrebbero essere nelle condizioni di lasciare il proprio nome, la raccolta di liste dei nomi di partecipanti ad un’iniziativa al fine di tracciare possibili contagi può essere problematica.

I PADRONI E LO STATO NON HANNO MAI SMESSO DI FARCI LA GUERRA A CAUSA DEL COVID, CHE ANZI SI STA RIVELANDO UN’OCCASIONE EPOCALE DI ATTACCO ALLE CONDIZIONI DI VITA DI MILIONI DI SFRUTTATI. QUINDI, PER CHI HA DECISO DI LOTTARE PER LA PROPRIA LIBERTÀ E L’AUTODETERMINAZIONE, PER CHI È IN CARCERE, IN UN CPR, AL LAVORO, PER CHI NON HA SOLDI PER CURARSI O PER MANGIARE, NON HA UNA CASA, ORGANIZZARSI NON È UNA QUESTIONE RIMANDABILE A TEMPI MIGLIORI.

OGNI ESPERIENZA, E ANCHE LA ‘MALATTIA’, PUÒ TRASFORMARSI IN UN’OCCASIONE DI ALIENAZIONE O RIAPPROPRIAZIONE E COSÌ OGGI, ANCHE PER NOI, QUESTA SITUAZIONE, PUÒ DIVENTARE UN’OCCASIONE DI ALIENAZIONE O RIAPPROPRIAZIONE

Bologna, 2021 pescifuordacqua at paranoici.org

Manifestino: il carcere uccide

Liberiamo nelle brughiere un manifestino da diffondere.

IL CARCERE UCCIDE

Cure negate
Contenzione psicologica, farmacologica, meccanica e fisica
Deprivazione, spersonalizzazione e pestaggi
SONO TORTURA

Dove non arrivano ad ammazzare il sistema giudiziario e le guardie,
arrivano la psichiatria e l’omertà degli operatori sanitari.

DENTRO LE CARCERI ESISTONO ANCORA ‘REPARTINI’ E CELLE LISCE
Trattamenti sanitari obbligatori
A DISCREZIONE DI GUARDIE E DIREZIONE

(nella foto: la ‘stanza 150’, cella liscia, carcere di Torino)

STATO ASSASSINO