Riceviamo e diffondiamo questa testimonianza.
Memorie di un’operaia dell’educazione
Quando chiusi definitivamente come educatrice all’interno degli istituti residenziali – un’altra storia dell’orrore che richiederebbe pagine – rivolsi la mia attenzione al mondo della scuola.
Già da qualche anno portavo avanti una personale ricerca sui media digitali, per comprendere come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sempre più invasive e capillari, stessero condizionando i processi di sviluppo, crescita, relazione e interazione, per considerarne quindi usi e opportunità ma anche e soprattutto effetti sulla salute e criticità.
Mi trovai a partecipare ad un progetto all’interno di una scuola in cui ebbi modo di constatare quanto iniziando a parlare di web, media e social network con le studenti e gli studenti, si arrivasse infine a parlare di vissuti, tutti quei vissuti che evidentemente non trovano spazio oltre le grandi platee digitali.
Il legittimo bisogno di condivisione e di espressione di sé venne messo in relazione ai pericoli legati alle piattaforme commerciali online iper-gamificate (1). Si ebbe modo di inquadrare criticamente la rete, l’uso dei media e tante altre cose (2, 2.1). Fu un’esperienza breve ma intensa, da replicare e moltiplicare, che raccolse molto interesse da parte di studenti e insegnanti. Mi convinsi che era qualcosa su cui poteva avere senso investire energie.
Come educatrice, venendo da altri percorsi, avevo bisogno di avere ‘crediti’ affinché le mie ‘competenze digitali’ fossero anche ‘dimostrabili’ sul mercato del lavoro, per cui cercai possibili percorsi ‘professionalizzanti’.
Mi trovai ad avere l’imbarazzo della scelta, il mercato delle formazioni online infatti si è allargato in modo esponenziale. Scelsi un corso ‘professionalizzante’ da consumare comodamente e inutilmente da casa mia, curato da un’ente accreditato che da anni si occupa di pedagogia, per diventare: “un’educatrice esperta in didattica col digitale” al prezzo di qualche centinaia di euro. Questo genere di mercato delle formazioni da’ accesso a crediti per i concorsi a scuola e/o per l’educazione continua in medicina.
“L’ECM è il processo attraverso il quale il professionista della salute si mantiene aggiornato per rispondere ai bisogni dei pazienti, alle esigenze del Servizio sanitario e al proprio sviluppo professionale. La formazione continua in medicina comprende l’acquisizione di nuove conoscenze, abilità e attitudini utili a una pratica competente ed esperta. I professionisti sanitari hanno l’obbligo deontologico di mettere in pratica le nuove conoscenze e competenze per offrire una assistenza qualitativamente utile. Prendersi, quindi, cura dei propri pazienti con competenze aggiornate, senza conflitti di interesse, in modo da poter essere un buon professionista della sanità.” (3)
Qui c’è da fare una premessa, la mia laurea educativa mi colloca tra i professionisti sanitari.
L’Educatore Professionale socio-sanitario si forma nelle Facoltà di Medicina o in corsi interfacoltà con una Laurea LSNT/02 abilitandosi nel settore delle professioni sanitarie, quindi ambiti che fanno capo alle Ausl (Aziende/unità sanitarie locali).
L’Educatore Professionale socio-pedagogico invece si forma nelle Facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione con una Laurea L19 per operare in vari tipi di progetti e servizi ‘socio-educativi’, ambiti che in linea di massima fanno capo alle Asp (Aziende pubbliche di servizi alla persona).
Questo processo, sottovalutato pressoché da tuttx, ha decretato in molti ambiti la definitiva separazione, frammentazione, medicalizzazione e tecnicizzazione del lavoro educativo, per una “presa in carico” prima di tutto “sanitaria” dell’ ‘utente’, ‘tossicodipendente’, ‘psichiatrico’, ‘disabile’. Come se dipendenza, disagio, sofferenza e abilismo non siano questioni fondamentalmente sociali.
Il nostro educatore ‘sanitario’ si è trovato iscritto niente di meno che all’Albo dei Radiologi, divenuto ora “Federazione nazionale degli Ordini dei Tecnici sanitari di radiologia medica, delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione” (FNO TSRM PSTRP), in rappresentanza di 19 professioni sanitarie iscritte. Guardare per credere. (4)
La Legge Lorenzin (marzo 2018) ha individuato e regolamentato i nuovi ordini professionali e ha imposto agli educatori con titolo sanitario l’obbligo di iscrizione all’albo pena l’esercizio abusivo della professione, escludendo al contempo dall’élite dei “super qualificati” un esercito di lavoratori già in essere. A completare il quadro infatti la ex Legge Iori, inserita in Legge di Bilancio nel 2017, che ha scaricato sui lavoratori inquadrati come “educatore senza titolo” con meno di 50 anni o meno di 20 anni di anzianità, la gabella di doversi pagare un corso da 60 cfu da conseguire presso le università alla modica cifra di 1800 €.
L’epilogo di una deriva fortemente promossa da autoproclamate “associazioni di categoria” che hanno reso il lavoro educativo una professione definitivamente medicalizzata, soggetta a controllo, disciplina e sanzioni, destinata ad alimentare un sistema economico privatistico chiamato “ordine professionale” con il pagamento di quella che di fatto è una tassa sul lavoro.
Associazioni che si riempiono la bocca di paroloni, pubblicazioni, formazioni, studi, accreditamento, core competences, qualità, carta, dove le persone sono all’ultimo posto, per lo più oggetto di giochi economici, politici e semantici, e le operaie e gli operai dell’educazione, del sanitario e del socio sanitario sono ridottx a pedine usa e getta in contesti al ribasso, o a lavorare come utensili all’interno di grandi realtà spersonalizzanti, sovraccaricati di mansioni e responsabilità ma senza un reale margine di autonomia e libertà operativa.
Gli educatori, gli insegnanti, i lavoratori del sociale, del sanitario e del socio-sanitario sono diventati i principali lacchè del marketing aziendale – lacchè: domestico o valletto in livrea che nei secoli passati precedeva o seguiva per strada il padrone o la padrona – la maggior parte della carta, della ‘progettazione’ e della rendicontazione prodotta dagli operatori sul lavoro serve infatti unicamente alle aziende per vendersi e ottimizzare i profitti sulla pelle di ‘utentx’ e lavortorx.
Si inizia a lavorare, si inizia ad imparare a raccontarsela. Che brutta fine questo ‘educatore’, che pure sembrava muovere da istanze che lo collocavano oltre i saperi unicamente tecnico-oggettivanti. E che sciocca io a credere che a scuola potesse essere ancora diverso…
Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) è il documento di indirizzo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca “per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale.”
Obiettivo del PNSD, di valenza pluriennale, è quello di “indirizzare l’attività di tutta l’Amministrazione, e fungere da “catalizzatore” per l’impiego di più fonti di risorse a favore dell’innovazione digitale, a partire dalle risorse dei Fondi Strutturali Europei e dai fondi de La Buona Scuola.”
Non posso ripercorrere qui tutto il percorso formativo, ma posso di getto riportare le cose che mi hanno decisamente allarmata e poi tirare giù due pensieri sulle implicazioni che vi ho scorto, che scostano di molto da quei progetti/percorsi critici che immaginavo di portare a scuola. E’ stato subito evidente quanto l’intento principale di questi corsi sia addestrare insegnanti ed educatori, e con loro studentx e famiglie, all’utilizzo acritico e passivo di ciò che viene imposto e calato dall’alto come grande innovazione.
La prima cosa a precipitarmi nel panico è stato vedere proposto con entusiasmo il sito Educazione Digitale alle insegnanti e agli insegnanti in formazione, una piattaforma digitale di “percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” riconosciuta dal ministero dell’istruzione (5). Si tratta di alternanza scuola-lavoro, pillole di capitalismo multimediale di cui gli insegnanti diventano i nuovi infermieri somministratori. La carrellata degli sponsor è agghiacciante. Si parla di ambiente, cittadinanza, salute ed ecosostenibilità con Coca-Cola, Novartis, Federchimica e Confindustria, BPER, Leonardo, Enel, EnelX, Leroy Merlen, Melinda… ma l’elenco è lungo.
Agghiacciante allo stesso modo l’app ClassDojo (6) proposta come grande innovazione didattica, una piattaforma commerciale per “il miglioramento dei comportamenti e la gestione del gruppo classe” dove gli insegnanti possono segnalare i comportamenti negativi degli alunni e premiare quelli positivi informando in tempo reale anche le famiglie grazie ad un codice che permette di entrare sul sito e monitorare la situazione.
“Utilizzando questo sistema, dopo aver condiviso con gli studenti le regole e le finalità educative, si genera una classifica a punti che mostra i progressi degli alunni, rappresentati sullo schermo da simpatici avatar. Con un semplice gesto l’insegnante può segnalare un intervento positivo, un compito eseguito in maniera corretta, oppure un comportamento scorretto, un momento di distrazione, ecc. In questo modo, sotto forma di gioco, si effettua un monitoraggio continuo e costante dell’andamento di ogni singolo alunno e della classe intera.
L’insegnante può inserire la lista dei comportamenti da premiare o comunque degli items da valutare e può scegliere se visualizzare o meno i punti negativi. Ad esempio si può scegliere in maniera del tutto autonoma di ritenere positivo il fatto di parlare con un tono di voce adeguato o di aiutare i compagni in classe. Esiste anche la possibilità di visionare e condividere delle schermate di sintesi riguardo l’andamento in maniera periodica.”
Questa piattaforma tra i vari optional ha una funzione che rileva il livello del ‘rumore’ in classe.
Non credo serva aggiungere altro per trarre le proprie conclusioni in merito questa bella applicazione fatta per contenere i ‘comportamenti problema’ in classe inchiodando bambine e bambini ad uno schermo.
Si viene istruiti inoltre su come integrare la didattica a scuola con l’uso dei dispositivi personali degli studenti, con tutto quello che ne può comportare. In tale azione si legge testualmente “La scuola digitale, in collaborazione con le famiglie e gli enti locali, deve aprirsi al cosiddetto BYOD (Bring Your Own Device), ossia a politiche per cui l’utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche sia possibile ed efficientemente integrato”.
BYOD è l’acronimo di Bring Your Own Device, ovvero “porta il tuo strumento a scuola”. Una didattica che incentiva l’utilizzo di dispositivi personali degli studenti, integrati con gli strumenti di base che nel piano scuola ogni istituto già di per sé dovrebbe fornire ad a ogni classe.
Si viene inoltre addestrati al registro digitale, già acquisito da tempo, con tutti gli aspetti di controllo ad esso legati, oltre che all’utilizzo di cloud e piattaforme commerciali per la creazione di contenuti digitali e classi virtuali. Tutta la suite google ma anche molte altre applicazioni nate per favorire i processi aziendali, ed ora riadattate per allestire presentazioni interattive e video accattivanti per ‘apprendimenti ‘coinvolgenti’. Insegnanti ed educatori vengono sollecitati a predisporre materiali di studio ‘smart’, che le studenti e gli studenti possano consumare anche sul bus o durante gli spostamenti.
Nella parte di un altro modulo si parla di singolarità tecnologica dandone per scontato il processo. Si anticipa il sempre più prossimo superamento della soglia in cui lo sviluppo della civiltà vedrà il processo tecnologico accelerare oltre la capacità di comprendere e prevedere degli essere umani in termini assolutamente passivi. Viene dato per scontato il capitalismo dell’innovazione tecnologica e il progresso predatorio che lo produce. Viene citato Raymond Kurzweil (7) e il suo testo “Come creare una mente, i segreti del pensiero umano”, si ribadisce che non sappiamo realmente dove la tecnologia ci porterà con questa corsa alla ricerca di essere replica delle capacità del nostro cervello. Si ricorda come la conoscenza rispetto come si sviluppano i pensieri, quindi sul funzionamento del cervello umano, aumenta esponenzialmente, al pari degli investimenti in nanotecnologie, biotecnologie e neuroscienze. Si parla di investimenti privati ma anche pubblici, come i miliardi investiti dall’Unione Europea nello “Human Brain Project” (8), un progetto scientifico nel campo dell’informatica e delle neuroscienze che mira a realizzare, entro il 2023, attraverso un supercomputer, una simulazione del funzionamento completo del cervello umano.
Si dice apertamente quanto l’intelligenza artificiale sia la nuova corsa all’oro. Si parla di memorie estese nei cloud e microchip. Fantascienza che nel 2025/2030 potrebbe essere già disponibile sul mercato. Si afferma quanto oggi non sia possibile ‘preparare i ragazzi al futuro poiché il futuro non lo si può immaginare, si dice palesemente quanto a questo processo non ci si possa opporre ma solo adattarsi. Si parla di nuove generazioni sperdute come i loro genitori e si invita a diventare flessibili alla novità.
Tecnologie che si propongono sempre più come connettore mente-conoscenza per una nuova pedagogia basata sulle evidenze, si, ma capitaliste, che dietro ad una retorica dell’inclusività, della cooperazione e della costruzione interattiva del sapere, nascondono dinamiche piu simili alla manipolazione e alla persuasione usata all’interno di certe aziende per promuovere la compliance dei lavoratori con l’ausilio di sistemi gamificati. Un’educazione decisamente comportamentista, che vede gli alunni e i loro comportamenti come qualcosa da correggere e manipolare a proprio piacere e l’individuo come qualcosa di completamente autofondato, separato dal suo contesto relazionale e ambientale.
Si va verso il “brain-based learning” un insegnamento/ apprendimento sempre più affidato alle neuroscienze e alla psicologia cognitiva per una didattica basata sul risultato, che per essere efficace si avvale di conoscenze approfondite dei processi cerebrali e cognitivi che sottostanno all‟apprendimento.
La strumentalizzazione della didattica laboratoriale e delle teorie costruttiviste (9, 9.1) sta consolidando un modello capitalista sempre più decentralizzato e multidirezionale, e una nuova pedagogia persuasiva dove insegnanti e alunni sono sollecitati e attivamente ingaggiati nel vendere se stessi e nel curarsi di sè solo in quanto produttori e oggetti di consumo. L’incrocio tra gaming ed advertising diventa l’approccio migliore in termini di monetizzazione e profitto per le compagnie del mercato digitale: trovare modi per portare le persone a ripetere determinati comportamenti fino a che questi non diventino abitudinari, desiderabili e ricercati.
Chissà perché un intero modulo è stato dedicato alla progettazione e conduzione di campagne di crowdfunding?! Insegnanti imprenditori procacciatori di fondi e studenti apprendisti manager di se stessi inventori/imprenditori di startup?
Importante in questo senso anche il modulo sul coding e sul pensiero computazionale, discipline che stanno entrando prepotentemente a scuola, fortemente promosse e finanziate, insieme tutte le materie STEM (10), per rispondere alla domanda capitalista di forza lavoro in ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico, testimoniando la progressiva e inesorabile penetrazione di interessi commerciali e speculativi a scuola.
Intanto sfruttamento, precarizzazione, atomizzazione e isolamento sono sempre più accettati come fatti naturali mentre passa assolutamente in secondo piano quanto l’esposizione a dispositivi, smartphone, piattaforme social commerciali, chat e schermi stia invadendo sempre più spazi e tempi di vita, alterando il sonno e la veglia e condizionando i processi affettivi e cognitivi – funzioni riflessive, attenzione, memoria – di moltx, indebolendo sempre più legami e relazioni, esasperando frustrazioni e producendo risentimento senza voce il più delle volte scaricato in basso, tra pari.
Mentre i corpi oppressi sono ridotti sempre più ad oggetti e funzioni in relazione a chi detiene i maggiori privilegi sociali ed economici, e gli spazi di libertà si riducono, la rete si fa veicolo di nuove forme di dominio non solo inerenti al divario digitale e al capitalismo della sorveglianza ma anche e soprattutto relativamente a come questi dispositivi vengono implementati nella vita delle persone.
Le città – e con queste, le scuole – stanno diventando industrie di sfruttamento sempre più mediate da aziende private, interconnesse e digitalmente sorvegliate, disciplinate sempre più in senso autoritario e iper-razionale.
L’accelerazione in corso sta infatti consolidando forme sempre più specializzate di esclusione, potere e dominio: si punta sempre più sulla “sicurezza” per fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso.
L’obbiettivo è reprimere il conflitto con l’espulsione di tutte quelle persone che con la loro presenza ed esistenza svelano i modelli dominanti spersonalizzanti in cui siamo inseritx.
La retorica del ‘decoro’ e del ‘degrado’, la gestione sempre più violenta e razionale dello spazio urbano, la pulizia di quanto imprevisto e non-normato, sta colpendo sempre più soggettività, anche l’infanzia è nel mirino: giovani e adolescenti diventano sempre più un problema di ordine pubblico da reprimere mentre rimangono intatti quei modelli che il sistema stesso riproduce ed esalta, pesci grandi che mangiano pesci piccoli all’interno di realtà dove solo chi ha soldi e potere è preso in considerazione, e chi non accetta di essere un cavallino da corsa non è nessunx.
Una ‘sicurezza’ sempre più ‘preventiva’ volta ad asfaltare tutti gli spazi di fiducia, libertà, relazione, intersezione, prossimità, solidarietà dal basso.
Big Data e Intelligenza Artificiale sono le pietre angolari di queste trasformazioni.
L’interconnessione massiccia di banche dati permetterà sempre più di stabilire correlazioni, effettuare controlli incrociati, elaborare statistiche, rintracciare individui o amministrare luoghi, permettendo una sorta di ‘meteorologia delle masse’ rispetto abitudini, movimenti, consumi, costumi e comportamenti.
La scuola-azienda sta coadiuvando il Capitale nell’esasperare questo paradigma e questo processo, insistendo sull’ottimizzazione iper-razionale della prestazione in un contesto di alienazione esasperata, rabbia e affettività inespressa.
Neuroscienze e psichiatria sono pronte a raccogliere e i cortocircuiti di queste oppressioni e a colonizzare sempre più il quotidiano e l’individuo: la platea di ‘difetti’ e ’tare’ da curare e riparare è destinata ad aumentare proporzionalmente allo sfruttamento e all’oggettivazione che attraversano infanzia ed età adulta (11).
Non si tratta di assumere posizioni dogmatiche rispetto l’utilizzo o meno di media o tecnologie ma di evidenziare come le retoriche dell’innovazione tecnologica e l’agenda digitale a scuola siano su traiettorie che non hanno nulla a che vedere con i reali bisogni di studentx, famiglie, insegnanti ed operatori.
Si va verso una “didattica del piccolo imprenditore di sè”, un modello che livella di fatto differenze culturali, economiche e sociali, fino a considerare il soggetto pura materia da manipolare.
Una ribaltamento semantico a sfondo organicista, comportamentista e interclassista, volto a dissimulare interessi antagonistici di classe e posizionamenti diversi all’interno dell’odierna società neoliberista.
Con la strumentalizzazione dell’educazione cooperativa ed inclusiva, della didattica laboratoriale e delle teorie costruttiviste il Capitale sta entrando sempre di più a scuola e a livello individuale ed estendendo il suo potere in un modo che non c’entra assolutamente nulla col ‘coinvolgere attivamente la persona nella costruzione del suo sapere’ e che sta sottraendo sempre più campo al rischio di qualsiasi relazione di fiducia, quindi di qualsiasi autonomia, sempre più affidata al dispositivo tecnico e alla sua discrezionalità binaria e iper-razionale al servizio di chi ne detiene il potere.
Il “media” in questo senso smette di “mediare” diventando vincolante per l’identità e determinante per la relazione. Una nuova tecno-ontologia come fondamento di ogni esperienza. Se la scuola e le città si fanno laboratorio, tocca capire chi è la cavia.
NOTE
1) Léo Favier, regia (2019)
https://www.arte.tv/it/videos/RC-017841/dopamina/
2) Ippolita (2012) “Nell’acquario di Facebook“ https://brughiere.noblogs.org/biblioteca/#TECNOLOGIEDELDOMINIO
– Ippolita (2019) “Etica hacker e anarco-capitalismo. Scritti scelti”
– Agnese Trocchi (2019), “Internet, Mon Amour. Cronache prima del crollo di ieri“
https://brughiere.noblogs.org/biblioteca/#INTERNETMONAMOUR
3) https://ape.agenas.it/ecm/ecm.aspx
4) http://www.tsrm.org/
5) https://www.educazionedigitale.it/
6) https://www.classdojo.com/
7) https://it.wikipedia.org/wiki/Raymond_Kurzweil
8) https://it.wikipedia.org/wiki/Human_Brain_Project
9) https://it.wikipedia.org/wiki/Costruzionismo_(teoria_dell’apprendimento)
https://it.wikipedia.org/wiki/Seymour_Papert
10) https://it.wikipedia.org/wiki/STEM
11) STRAPPI. Riflessioni antipsichiatriche
https://brughiere.noblogs.org/post/2022/03/21/strappi-riflessioni-antipsichiatriche/