AGGIORNAMENTO OPERAZIONE CITY

Diffondiamo:

Il 17 Settembre presso il Tribunale di Torino si terrà l’udienza preliminare per 19 imputatx, accusatx a vario titolo per i fatti relativi al corteo del 4 marzo 2023 a Torino, contro 41bis ed ergastolo ostativo, al fianco del compagno Alfredo Cospito, ai tempi in sciopero della fame da circa cinque mesi.

Il PM Paolo Scafi contesta ai/alle 19 imputatx, oltre ad alcuni capi ad personam, l’art. 337 c.p (resistenza a pubblico ufficiale, aggravata in vario modo ed in concorso), nonché l’art. 419 c.p. (devastazione e saccheggio) corollato, anche in questo caso, da svariate aggravanti e legato dal concorso sia morale che – per alcunx – materiale. Tuttx le/gli imputatx sono sottopostx a misura cautelare dal 22 Aprile: 3 arresti domiciliari e 16 tra divieti di dimora, obblighi di dimora combinati, o non, con obbligo di presentazione alla P.G.

Inoltre fra i 45 iniziali indagatx per cui erano state chieste misure cautelari (poi rimodulate a 19 dal GIP), la procura ha depositato una richiesta di appello per diversx compagne/i riguardo al reato di resistenza a pubblico ufficiale in concorso (in merito a fatti accaduti durante il concentramento del corteo) e per un compagno relativamente al reato di istigazione a delinquere. Tale udienza si terrà il 20 Settembre a Torino.

Di fronte al tentativo dello Stato di elargire anni di carcere a chi, in quelle giornate, ha scelto di scendere in strada al fianco di un compagno in lotta, e, insieme a lui contro il 41bis, culmine torturativo dell’ordinamento penitenziario italiano, ricordiamo che il 4 Marzo c’eravamo tuttx e che la lotta per la libertà continuerà nonostante le azioni delle procure e della polizia.

PROSSIMI APPUNTAMENTI

Martedì 17 Settembre

Ore 9 presenza solidale davanti al Tribunale di Torino in via Giovanni Falcone

Ore 15 saluto al carcere Lorusso e Cutugno, appuntamento al capolinea del 3.

MESSAGGI PROIBITI: IL BAVAGLIO DIGITALE DEL QUESTORE DI BOLZANO CONTRO IL DISSENSO

Diffondiamo

Se negli ultimi mesi la Questura di Bolzano ci ha abituato al fatto di sfruttare in modo spregiudicato tutte le armi a sua disposizione per mettere a tacere le mobilitazioni in città (divieti di manifestare, denunce come quella per “invasione di terreni” per una tendata analoga a quelle di tante altre città, uso disinvolto di avvisi orali e fogli di via – da ultimo contro un compagno bolzanino residente in un comune limitrofo e con molti legami in città), ora estrae dal cilindro un provvedimento di cui non ricordiamo precedenti contro ambiti “politici”.

Nei giorni scorsi a due compagni bolzanini sono state notificate “prescrizioni aggiuntive” all’avviso orale che era stato loro consegnato a marzo con l’intimazione di “cambiare condotta” – e la minaccia in caso contrario della richiesta di sorveglianza speciale (sorta di arresti domiciliari motivati non da uno specifico reato ma da una generica “pericolosità sociale”). Come previsto dal codice antimafia, oltre a divieti grotteschi evidentemente tarati su tutt’altro genere di soggetti (come quello di possedere “mezzi di trasporto blindati”), si vieta di possedere o utilizzare “programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi”, ma soprattutto, per uno dei due si propone al Tribunale di vietare, per due anni, di possedere o utilizzare il cellulare, altri dispositivi connessi a internet e qualsiasi tipo di social network, mentre all’altro, con lo stratagemma di permettergli di usare il cellulare di vecchio tipo, non connesso a internet, si vieta direttamente, senza passare per il Tribunale, di possedere o utilizzare “gli smartphone, i tablet, i laptop che consentano connessioni dati via WI-FI o con SIM”, ed essendo legato all’avviso orale quest’ultimo divieto non ha una durata determinata, ma è potenzialmente a vita. Contravvenire ai divieti comporta “la reclusione da uno a tre anni” oltre a multe per migliaia di euro e alla confisca dei dispositivi, che saranno “assegnati alle Forze di polizia”.

Quali sono le motivazioni (almeno quelle ufficiali) di un provvedimento del genere, oltre a non aver cambiato condotta dopo aver ricevuto l’avviso orale? Nel primo caso, aver diffuso messaggi offensivi nei confronti del Questore (trasformati dalla stessa Questura e dai giornali al suo servizio in “minacce di morte”) e in generale “anti-istituzionali” (definiti “eversivi”), oltre a mantenere contatti con compagne e compagni di questa e di altre province. Nel secondo caso, “organizzare” e “convocare con strumenti telematici” manifestazioni nel corso delle quali verrebbero “sistematicamente” violate le prescrizioni della Questura e commessi reati: praticamente, la Questura ritiene che l’organizzare e il pubblicizzare iniziative peraltro regolarmente preavvisate faccia parte di un disegno criminoso che però non si deve preoccupare di dimostrare in Tribunale, adottando direttamente “misure in grado di ridurre la capacità di commettere reati”. Da rilevare che, fra i precedenti citati con tono più allarmato, figurano quello del corteo entrato in stazione per denunciare l’accordo Leonardo-Rete Ferroviaria per i trasporti militari, provocando una temporanea interruzione del traffico ferroviario – e per il quale un compagno roveretano ha ricevuto un foglio di via per quattro anni – e quello di un saluto solidale durante una battitura, che avrebbe “istigato” i detenuti “con il rischio concreto che si innescassero disordini e rivolte” come quelle in altre carceri.

A Bolzano, dall’arrivo del Questore Paolo Sartori, ci troviamo di fronte a uno scenario inedito: un nuovo podestà che si sostituisce contemporaneamente al Sindaco, ai politici di maggioranza e di opposizione, al Tribunale e ai giornalisti, scatenando contro marginali e dissidenti una guerra a colpi di misure amministrative (avvisi orali, sorveglianze speciali, fogli di via, espulsioni, revoche dei permessi di soggiorno, Daspo urbani…) la cui produzione industriale rivendica in conferenze stampa pressoché quotidiane, riuscendo a diventare il protagonista perfino dei commenti da bar (“Questo Questore ha le palle”…).

Al di là dell’allucinante situazione bolzanina, però, va colto il significato più generale di misure come queste: con la guerra alle porte, impegnato ad armarsi e compattarsi, lo Stato non può più tollerare nemmeno la parola dissonante. Per questo, com’è successo a Como, si arriva a vietare di nominare il sionismo. Per questo sempre più inchieste per terrorismo riguardano la sola diffusione di scritti. Le “garanzie democratiche”, senza una forza reale che contrasti questa deriva, cadono una dietro l’altra; lo Stato mostra ogni giorno di più il suo volto autentico.

I modelli nei quali intravedere il futuro che si avvicina non mancano: dalla democrazia tedesca, in cui solidarizzare con la Palestina è di per sé criminalizzato, a quella israeliana, interamente militarizzata oltre che costruita sulla volontà di annientare una popolazione in eccesso, a quella ucraina, che dà la caccia in tutta Europa ai propri giovani per usarli come carne da cannone per conto della Nato, alla Cina, dove grazie alla digitalizzazione si è instaurata una vita a punti in cui a chi non dimostra continuamente di aderire alle norme sociali può essere automaticamente impedita qualsiasi attività.

Di fronte a un orizzonte che non potrebbe essere più cupo, per non farsi definitivamente annichilire tocca scommettere sulla possibile, inattesa vulnerabilità di un nemico che si presenta come fuori portata, rilanciando, allargando e intensificando le lotte, al fianco della resistenza palestinese, contro la guerra, contro il controllo sociale…

Per chiudere tornando al nostro piccolo bolzanino, ad ogni modo, i Questori passano, la passione per la libertà resta.

CPR DI BARI – AGGIORNAMENTO DEL 7 AGOSTO 2024

Diffondiamo

A due giorni dalla notizia della morte – nel CPR di Palazzo San Gervasio (Potenza) –di Oussama Belmaan, appena 19enne, casualmente un piccolo varco comunicativo squarcia il silenzio che pervade uno dei CPR più punitivi d’Italia – quello di Bari.

Così sprazzi di orrore, tortura ma anche tenacia, coraggio, resistenza e forza arrivano alle nostre orecchie. Chi ci parla ci chiede di raccontare, di aprire il coperchio del non detto, che avvolge la detenzione amministrativa, e narrare fuori cosa sta succedendo tra le mura di una delle due galere per persone senza documenti europei della Puglia. Una parte della struttura è inagibile, ancora – e per fortuna – chiusa dopo che il fuoco, qualche mese fa, l’ha distrutta.

Il resto della galera è gestito con le solite vecchie abitudini dei lager di Stato: il cibo fa schifo, la struttura è sporca, nessuno è tenuto a conoscenza delle proprie sorti detentive o espulsive, le comunicazioni con il fuori sono ridotte all’osso e la sanità viene usata come grimaldello della paura nonché della tortura.

Un ragazzo detenuto da quattro mesi ogni giorno lamenta dolore al braccio – probabilmente rotto – mai portato in ospedale, quotidianamente deriso dal medico che gli somministra del solo ibruprofone, lasciando cadere nell’eco del nulla le sue richieste di prestazioni sanitarie. Il medico veste il camice del torturatore e usa il potere di elargire sofferenza o palliativi per tenere nello scacco di derisione e timore tutti i reclusi che lamentano sofferenze fisiche. Non sempre, o per forza, inflitte, ma di sicuro non curate.

E’ poco importante stabilire se è stato il crescere di questo brutale stillicidio, o la notizia della recente ennesima morte di Stato in un altro CPR, a motivare tre reclusi ieri a salire sul tetto in protesta. Ciò che ora sappiamo è che forse uno di loro sta resistendo ancora lì sopra, ma che sicuramente due sono caduti rovinosamente al suolo. Nello schianto, uno dei due ha riportato varie fratture alle gambe, e forse alla schiena e di lui ora si sa solo che è ricoverato in condizioni critiche, in un qualche ospedale della zona. L’altro – anche lui caduto – è stato messo in isolamento dentro il CPR stesso subito dopo lo schianto, motivando la decisione dalla supposta positività al COVID. I reclusi con cui abbiamo potuto comunicare, piuttosto convinti che non vi sia in corso una epidemia di COVID (tanto che nessun lavorante indossa mascherine), temono che l’isolamento sanitario copra quello punitivo e che le conseguenze di una tale restrizione su una persona, caduta dopo un volo di almeno tre metri, possano essere particolarmente gravi.

Riteniamo fondamentale diffondere la voce, così come ci è stato chiesto, di chi sta vivendo queste ore di tortura, ribellione e resistenza dentro il CPR di Bari, affinché una breccia di parola stravolga la coltre di silenzio che legittima, invisibilizza e rende ancora più efficace la tortura di Stato contro le persone in viaggio senza documenti europei.

CHE DEI CPR NON RIMANGANO CHE MACERIE.

CON IL CUORE CON CHI RESISTE E LOTTA DENTRO LE GALERE AMMINISTRATIVE

FREEDOM

HURRIYA

LIBERTA’

ANCORA DA GRADISCA

Diffondiamo da Collettivo Tilt

Dopo l’ultima rivolta, che alla fine di maggio aveva distrutto l’area blu del Cpr di  Gradisca, il 10 luglio scorso è stata la stessa area a bruciare ancora: diverse  camerate sono state nuovamente distrutte e alcuni prigionieri sono riusciti a raggiungere il tetto.
Le rivolte continuano a susseguirsi senza sosta – l’ultima nella cosidetta “area verde” la sera del 4 agosto – minando sempre di più la struttura della galera amministrativa goriziana e costringendo persino i sindacati degli sbirri a chiederne la temporanea chiusura, naturalmente per consentirne il ripristino.

Nel frattempo, in seguito ai saluti portati sotto le mura del cpr negli ultimi mesi, sono al momento stati notificati 10 fogli di via da Gradisca (variabilmente dai 6 mesi fino ai 2 anni), motivati da decine di denunce pervenute solo successivamente a carico di altrettanti/e solidali.

Mentre continue rivolte stanno rendendo sempre più inutilizzabili molti dei cpr della penisola, intaccando così il sistema della espulsioni della cui funzione di ricatto essi costituiscono l’emblema fisico, il “pacchetto sicurezza” in arrivo – che potrebbe essere approvato entro la fine dell’anno – introduce nuovi reati e ne aggrava altri nel tentativo di mettere un argine a una situazione sempre meno gestibile anche per la tenuta della macchina di selezione-sfruttamento-ricatto-reclusione-espulsione.
E’ il caso della condanna alla reclusione da 1 a 6 anni per ogni prigioniero/a che all’interno di un cpr o altra cosiddetta struttura di accoglienza, “mediante atti di violenza o minaccia o mediante atti di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti dalle autorità, posti in essere da tre o più persone riunite, promuove, organizza, dirige una rivolta”. Per il solo fatto di partecipare alla rivolta, la pena prevista va da 1 a 4 anni, mentre è previsto inoltre un aggravamento della pena se il fatto è commesso con l’uso di armi o se nella rivolta qualcuno/a rimane ucciso o riporta lesioni gravi o gravissime.
E’ evidente che per il legislatore risulti del tutto indifferente da che parte provenga l’azione in grado di causare lesioni o portare alla morte e, di conseguenza, chi ne sia la vittima.
Siccome di norma sono gli sbirri a picchiare ed ammazzare i reclusi/e dentro carceri e campi della reclusione “amministrativa” – purtroppo non succede spesso il contrario – durante ma anche in assenza di rivolte, è facile immaginare quale genere di mano libera questa postilla possa garantire alle future azioni di repressione delle rivolte e alle violenze del tutto sommarie all’interno dei campi da parte delle guardie.
Dal momento che l’agibilità di chi agisce coperto da una divisa deve diventare sempre più totale (dentro carceri e cpr come anche all’esterno), l’aggravante summenzionata sussiste anche nell’ipotesi in cui l’uccisione o la lesione avvengano “immediatamente dopo la rivolta e in conseguenza di essa”. Spesso infatti i prigionieri muoiono in seguito a pestaggi o tentativi di evasione – solo per rimanere a Gradisca, si pensi a Majid El Kodra o a Vakhtang Enukidze – senza contare le spedizioni punitive spesso condotte nei giorni successivi le rivolte.
Insomma, il chiaro messaggio pare essere “anche se rischiate di ammazzarli, non pensateci due volte, tanto la colpa sarà sempre di chi rimane”.
L’inserimento tra le pratiche ordinarie di gestione dei cpr di metodi letali di contenimento di rivolte e proteste costituisce, di fatto, un enorme salto in avanti giuridico-repressivo, tale da andare persino molto al di là di quanto previsto nei regimi carcerari ordinari, fatte salve situazioni che rischino di diventare irrecuperabili, come quando nel 2020 e non per la prima volta, lo Stato non esitò a sparare addosso ai detenuti nelle carceri in rivolta.

La logica della guerra, per eliminare alla radice, quando reputato necessario, ogni forma di insubordinazione alla privazione della libertà, nella cornice più ampia della guerra sistemica portata contro marginali, irregolari, ribelli, irriducibili all’ordine imposto.
Mentre si cercano di spezzare i legami di solidarietà tra dentro e fuori, l’intento appare dunque chiaro: ristabilire l’ordine e potenziare ulteriormente la macchina della detenzione e dell’espulsione.
Nel mentre, per la fine dell’estate è previsto l’annuncio della lista dei siti designati ad ospitare i nuovi campi di deportazione previsti in ogni regione.

Infine, è di pochi giorni fa l’apertura di una nuova gara d’appalto per l’affidamento della gestione del cpr di Gradisca dopo che la precedente, risalente al 2022, si è arenata per le magagne giudiziarie di varie coop partecipanti senza giungere a conclusione, rimanendo quindi per il momento la solita Ekene a gestire il campo. La nuova gara prevede una capienza di 150 posti, per un importo stimato dell’appalto di circa 17 milioni e mezzo di euro.
A titolo di informazione, le coop in corsa per l’affidamento nella precedente gara risultavano, a maggio di quest’anno: Officine Sociali di Priolo Gargallo (SR), Martinina srl di Pontecagnano Faiano (SA), Azzurra srl di Varese con sede amministrativa a Omegna (VB), Associazione San Marco Onlus di Palma di Montechiaro (AG), La mano di Francesco onlus di Favara (AG), Coop Stella di Roasio (VC) e ancora Ekene di Battaglia Terme (PD).

Solidali con i rivoltosi/e nelle carceri e nei cpr

FUOCO A TUTTE LE GALERE
TUTTI LIBERITUTTE LIBERE

Compagni e compagne

 

BOLOGNA: REVOCATE MISURE CAUTELARI A DUE COMPAGNX

Diffondiamo

Il 6 agosto sono state revocate le misure cautelari (obbligo di firma) disposte a inizio maggio nei confronti di 2 compagnx anarchicx di Bologna per l’occupazione di una gru in centro città nel dicembre 2022 in solidarietà con Alfredo e contro il 41 bis. Restano invece invariate le misure nei confronti di un’altra compagna (obbligo di dimora nel comune di residenza, rientro notturno e obbligo di firma) indagata per l’incendio di alcuni ripetitori nel maggio 2022 a Monte Capra (Bologna), a seguito del trasferimento di Alfredo in regime di 41 bis e pochi mesi dopo l’inizio del conflitto russo-ucraino, azione rivendicata a suo tempo con questo comunicato

Sasso Marconi (Bo): incendiati due ripetitori

Ricordiamo che l’inchiesta che coinvolge questi 3 compagnx riguarda una più ampia serie di azioni avvenute in territorio bolognese nel corso della campagna di solidarietà con Alfredo Cospito e contro il 41bis. Occasione questa, per la magistratura felisinea, per fare una schedatura ad ampio raggio di profili di DNA, come ricordato in questi contributi

AGGIORNAMENTI SULLE INDAGINI IN CORSO A BOLOGNA A SEGUITO DELLA MOBILITAZIONE IN SOLIDARIETA’ AD ALFREDO COSPITO, CONTRO IL 41BIS E L’ERGASTOLO OSTATIVO

AGGIORNAMENTI SULL’INCHIESTA PER 270BIS IN CORSO TRA BOLOGNA E IL TRENTINO

BOLOGNA: SU RESISTENZA E REPRESSIONE AL PARCO DON BOSCO

Con un po’ di ritardo ma ancora attuali, riceviamo e diffondiamo queste riflessioni su resistenza e repressione al Parco Don Bosco.

Commento acido al video https://kolektiva.media/w/wYBrSUUKwcG7Fiod7rc5xa

La messa in sicurezza dei cantieri secondo le giunte di sinistra attraverso l’intervento di squadroni di speciali “sostituti tecnici” i quali strizzando le palle e tirando per le tette lavorano strenuamente quali difensori dell’ordine pubblico nonostante le fastidiose interruzioni del servizio da parte dell’inaudita violenza di pericolose frange antagoniste, la stessa “melassa” (o come viene identificata la galassia anarcoide) che pur girando disarmata ancora osa abitare / vivere / ripensare i quartieri dal basso, intromettendosi così in questioni lobbistiche, e ciò addirittura spaziando, come si faceva per le grandi opere, dalla stesura minuziosa di controperizie fino a ingiuriose minacce vandaliche. Per ovviare a questo senso di solidarietà tra generazioni non arrese ed al travalicare della precarietà dell’autogestione tanto da minare la tranquilla mafia degli appalti “metropolitanizzati”, va da sé che a chi protesta contro l’estensione di simili cantieri inutili e non voluti si dovranno accollare esarcerbanti minchiate penali che fungano da deterrente, non tanto delle sollevazioni ecologiste e lotte affini e storicamente intrecciate, ma, in primis, per continuare a disinnescare la coscienza critica dei lettori/elettori, o di quel che resterebbe della cosiddetta “massa popolare” secondo spazi e tempi di pianificazione economica che la vorrebbe silente, passiva, ..conforme. Invece, la comunità di quartiere – e non solo – che si è spontaneamente ritrovata a presidiare il Parco Don Bosco da gennaio, giorno e notte, lasciando qualche traccia più definita dei propri intenti come Comitato Besta, ha da offrire molto di più degli investitori stessi:

e proprio perché va dritta ai nostri cuori – oltre che abbracciando gli ultimi polmoni verdi rimasti – diviene l’ennesima esperienza non vendibile da abbattere senza badare a spese, onde evitare che riesca ad espandere la propria radicalità.

Non cambierà forse la percezione ormai normativizzata dunque, quella alla quale pur quando si riesca ad informarsi sul proprio contesto di vita e sulle prospettive rimaste, non rimangono appigli interpretativi ..se non il finire a recepire le vicende soltanto per il capovolgimento infame che ne fanno le pagine di giornale. Tuttavia, qualche ripresa degli accadimenti in certe situazioni di “scontro” secondo una prospettiva non mediata dagli interessi locali, la si ha da diffondere pure noi..! In questo caso, dall’estrapolato non retribuito si può osservare lo strattonamento di compagnx per tirarlx giù dagli alberi senza mezzi termini, appena arrivati gli esperti del manganello con gli operai, nonché lo sfilamento in altezza delle loro corde tramite motoseghe, il resto del tempo azionate tutti’intorno e nondimeno sotto i punti di imbragatura e appoggio dex compagnx…

[warning, disclaimer, wtf : la professionalità delle truppe da cantiere è tutta merito dell’attenta supervisione nei pestaggi di Marotta e delle promesse di un sindaco che quando ancora fingeva di volere essere conciliante con gli ultimi scorci di lotte ancora aperte già lavorava per conservare la linea del superamento a destra, la decennale politica delle ruspe in salsa bolognese. Ecco perché ci scappa della triste ironia: solo una supercazzola su simili muffe amministrative potrebbe rendere retta(l)mente la descrizione storica di cotanto impegno consiliare]. Ci si augura che certe scene possano smuovere qualcosa dentro.. eppure non dovrebbe essere così necessario documentare, tantomeno dover comprovare le distorsioni operate delle autorità nei confronti della nostra realtà quotidiana, per capire come si svolgono determinati processi urbanistici.

Ma per quanto servi e mandanti cerchino di trasformare molteplici approcci alla resistenza in “tentati delitti” pur di togliere presa all’autodeterminazione collettiva.. si può ancora scegliere da che parte stare.

#lovepeacefuckpolice (cit)

BOLOGNA: VIOLENZA POLIZIESCA IN QUESTURA

A seguito di un fermo di polizia, una giovane di Extinction Rebellion è stata tradotta in questura, e lì è stata fatta spogliare e costretta a fare dei piegamenti, completamente nuda, in un bagno fetido col pavimento ricoperto di sporcizia. Inoltre, sarebbe stato messo a verbale il suo rifiuto di farsi assistere da un avvocato durante la perquisizione, ma secondo la giovane tale domanda non le sarebbe mai stata rivolta. Gli altri attivisti, fermati dopo aver appeso su palazzo d’accursio uno striscione contro il G7, sono rimasti in stato di fermo per 7 ore senza cibo né acqua, infine sono stati rilasciati all’una di notte con denunce come “delitto tentato” o “violenza privata”.

Secondo gli sbirri “è prassi”, “una prassi che avrebbero dovuto applicare a tutti ma che, per gentilezza, sarebbe stata applicata a una sola persona”.

La conosciamo bene la loro prassi fatta di abusi, torture e umiliazioni nelle questure, nelle caserme, nelle celle delle carceri, per le strade. Quella prassi che fa morire persone a forza di botte e colpi di manganello.

Oggi come sempre
Sappiamo chi è STATO

BOLOGNA: VOI DECORO, NOI DE CORE

Aggiornamenti sul processo per alcune scritte comparse sui muri della città durante il corteo dello sgombero dell’occupazione di Via Zago 1, nel maggio 2022. Tre compagnx assolti dall’accusa di minacce.

Giorno 5 luglio si è tenuta l’udienza del processo di primo grado che vede coinvolti 3 compagnx accusati di imbrattamento e minacce private nei confronti del sindaco Matteo Lepore. Quest’ultimo si era costituito parte civile nel processo, chiedendo un risarcimento di 25.000 euro per il danno morale, 10.000 euro di provvisionale nonché di subordinare la sospensione condizionale al pagamento.

Il giudice ha invece assolto lx tre compagnx dall’accusa di minacce “perché il fatto non costituisce reato”, ma li ha condannati al pagamento di una multa di 600 euro a testa per imbrattamento, con la concessione della sospensione condizionale della pena subordinata al ripristino e alla ripulitura dei luoghi o al pagamento delle spese per la stessa ripulitura.

Lepore nel cofano… A quanto vogliamo!

Più forte dell’amore della libertà
C’è solo l’odio per chi ce la toglie

ULTIMA UDIENZA E SENTENZA DEL PROCESSO CONTRO ZAC [11 LUGLIO]

L’11 luglio si terrà l’ultima udienza del processo contro Zac per 280bis (atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi) e 270quinques (autoaddestramento). Dalle ore 9.30 avranno luogo prima la requisitoria del pubblico ministero e poi le arringhe degli avvocati. Dopodiché la corte si riunirà in camera di consiglio ed emetterà la sentenza.

Zac è accusato di un attacco al Consolato greco di Napoli avvenuto il 4 marzo 2021, che l’accusa ha ricondotto alla matrice anarchica e inserito nella campagna di solidarietà a Dimitri Koufontinas, prigioniero greco che nel 2021 era entrato in sciopero della fame per molti mesi, rischiando la morte, per contestare la riforma penitenziaria in atto in quel periodo che implicava un netto peggioramento delle condizioni di carcerazione. Nel corso delle udienze si è manifestata tutta l’inconsistenza dell’impalcatura accusatoria, rendendo evidente la natura puramente politica di questo processo, che si basa più sulla personalità dell’imputato che sui fatti contestati. Tant’è che Zac è rimasto sottoposto alle misure cautelari ed “eletto” (senza candidarsi!) alla sorveglianza speciale.

La richiesta di quest’ulteriore misura da parte della questura, prontamente accettata dal tribunale di sorveglianza, conferma l’accanimento politico contro il compagno. A noi appare evidente che in questo caso, come per altre operazioni di repressione del dissenso politico, si è trattato di un modo per ottenere un qualche risultato al di là dell’esito del processo. In generale, è diventato uno strumento sempre più diffuso come mezzo di prevenzione e di controllo sociale.

Insomma, dato che il vero collante dell’accozzaglia di ipotesi investigative e burocrazia poliziesca portati in sede processuale è l’appartenenza del compagno al movimento anarchico, possiamo dire che ciò che viene messo sotto accusa è una determinata identità politica e che il vero obiettivo è la criminalizzazione di tutte le lotte contro il sistema carcerario e la solidarietà ai detenuti in lotta. Non è un caso che la presunta pericolosità di Zac e il suo arresto siano stati motivati dal contesto della mobilitazione contro il 41 bis e in solidarietà ad Alfredo Cospito in sciopero della fame, con l’obiettivo di prevenire possibili coinvolgimenti in una eventuale “escalation” della lotta. Questa operazione si inserisce in una strategia repressiva più ampia che con le stesse caratteristiche ha colpito numerosi compagni e compagne nell’ultimo anno.

Non riconosciamo nessuna forma di distinzione tra colpevolezza e innocenza, che è puro arbitrio di una logica processuale mai neutrale e pieno riflesso dei valori dominanti in un sistema di guerra globale, massacro di popoli e incarcerazione di oppressi e dissidenti. Ciò che invece ci rivendichiamo sono gli ideali, le pratiche, l’identità politica del compagno accusato in cui ci riconosciamo pienamente. Crediamo sia importante rafforzare la solidarietà in un momento di intensificazione della repressione, che nell’attuale contesto di guerra colpisce in maniera sempre più estesa. Per questo invitiamo a una presenza massiccia all’ultima udienza per rendere palese che se l’obiettivo era quello di isolare il compagno non ci sono riusciti e che non c’è rassegnazione tra chi sostiene la lotta contro ogni forma di oppressione.

Anarchice e anarchici

Link PDF: Zac-ultima-udienza-1