SCIOPERO DELLA FAME DEI RECLUSI NEL CPR DI MACOMER

Diffondiamo

Martedì scorso i reclusi nel blocco destro del lager (CPR) di Macomer sono stati male dopo aver mangiato il cibo datogli dall’amministrazione. In particolare un ragazzo ha accusato un forte malore e perciò è stato portato in ospedale. I medici hanno confermato che il malore era causato dall’ingestione di cibo avariato. Ieri i suoi compagni del blocco hanno iniziato uno sciopero, rifiutando il cibo e protestando contro l’amministrazione di Officine Sociali, diretta, in Sardegna, da Elizabeth Rijo, già candidata alle scorse elezioni regionali con la lista di Soru e alle comunali di Cagliari con una lista per Massimo Zedda . Sono intervenuti gli antisommossa e qualcuno dei loro dirigenti di polizia ha odorato il cibo dicendo che era immangiabile. La protesta comunque è stata temporaneamente bloccata, ma non lo sciopero del cibo.

Infatti stamattina la rivolta si è riaccesa quando il ragazzo è rientrato dall’ospedale. Per placare tutto è stato forzatamente trasferito a Roma (non sappiamo se per un rimpatrio o per la reclusione in un altro cpr). Oggi anche gli altri due blocchi si sono uniti allo sciopero, i reclusi stanno rifiutando il cibo.

Inoltre nel blocco destro hanno tutti un problema alla pelle: sono comparse delle macchie rosse, che irritano e bruciano. L’amministrazione gli ha somministrato una crema che ha solo peggiorato la situazione.

Solidali con le persone private della libertà, vicini alla loro lotta, facciamo uscire la loro voce aldilà delle mura di quel lager.

I CPR SI CHIUDONO CON IL FUOCO DEI RECLUSI, A LORO LA NOSTRA SOLIDARIETÀ E COMPLICITÀ

Anarchicx contro carcere e repressione

https://rifiuti.noblogs.org/post/2025/05/08/sciopero-della-fame-dei-reclusi-nel-cpr-di-macomer/

TORINO: PRESIDIO SOTTO LE MURA DEL CPR

Diffondiamo

SABATO 10 MAGGIO ORE 18:30
appuntamento in Corso Brunelleschi angolo Via Monginevro

Ora più che mai sentiamo l’esigenza di essere presenti e numerosx sotto le mura del CPR di Torino.

Dal giorno della sua riapertura, i reclusi hanno continuato senza tregua a resistere e lottare contro questo lager di stato. Nella serata di Mercoledì 30 Aprile, il fuoco della rivolta ha divampato portando all’attuale chiusura dell’area Viola.
Nonostante la repentina e brutale repressione di questi momenti, nei giorni a seguire non sono mancati atti – anche consistenti – di insubordinazione.

Sappiamo che l’unica forma di lotta possibile contro questi centri è quella che i detenuti continuano a mettere in campo con coraggio, attraverso proteste quotidiane: dagli scioperi della fame alle rivolte che infiammano le aree.
L’unica soluzione possibile è che questi lager vengano chiusi da dentro e con il fuoco della rivolta, come è successo nel Febbraio 2023.
Dinanzi a questo, il minimo – ma necessario e irrinunciabile – che possiamo fare noi è essere presenti da fuori per trasmettere tutta la forza della solidarietà ai reclusi.

Sappiamo che ci sentono, teniamoci strettx a loro. Non lasciamo nessunx indietro.

Perchè chi lotta non è, e non sarà mai, solx.

FUOCO AI CPR

TORINO: LO SGUARDO DEL NEMICO. DISCUSSIONE CONTRO IL REATO DI DEVASTAZIONE E SACCHEGGIO

Diffondiamo

Alle nostre latitudini vige una certa difficoltà a riconoscere alcuni comportamenti collettivi come fatti intrinsecamente politici. Quando la violenza viene messa in atto dal basso, certe chiavi interpretative tendono, colpevolmente, a svuotare di significato tali pratiche: invisibilizzando la rabbia sociale di chi vive perennemente intrappolato nella subordinazione razziale e di classe. Specifiche situazioni di potente esplosione collettiva vengono così, di conseguenza, depoliticizzate e/o addomesticate.

Da una parte, il potere statale e le sue diramazioni, impongono il proprio monopolio nell’esercizio della violenza tesa a salvaguardare il supposto benessere collettivo.
Dall’altra, esiste tangibile una violenza intrinsecamente, politica: che spezza le logiche del gioco democratico e irrompe in maniera improvvisa, mossa dal senso di ostilità e dal desiderio di libertà. Questa rabbia, che si materializza nella necessità imprescindibile dell’uso della violenza, per opporsi ai propri oppressori e ai simboli del potere, irrompe nelle strade, sale al cielo nel fuoco dei CPR e ribolle tra le celle delle carceri. Spiragli di libertà e liberazione su cui, con cadenza regolare e con l’intento di funzionare a monito per tuttx, cade la repressione.

Le proteste a fine ottobre 2020, culminate con la celebre vetrina infranta di Gucci, contro l’ennesimo lockdown imposto dal governo; il corteo del 4 marzo 2023 in solidarietà al prigioniero anarchico Alfredo Cospito condannato al regime di tortura del 41 bis, le rivolte dell’estate scorsa all’interno del carcere minorile “Ferrante Aporti”, sono potenti esempi, diversi tra di loro, accomunati dalla volontà della Procura di Torino di reprimerli duramente tramite la contestazione del reato di devastazione e saccheggio. Un reato che ha trovato un campo di applicazione molto vasto negli ultimi anni: dal reprimere le componenti ultras, a punire con pene altissime le costanti rivolte nei centri di accoglienza o nei CPR italiani, fino alle galere penali. Un utilizzo dell’articolo 419c.p. che trova la sua genealogia nel fine ultimo di soffocare qualsiasi espressione di conflitto sociale.

In un momento storico in cui la logica bellica fa parte della quotidianità e con essa la creazione di molteplici nemici interni, risulta sempre più impellente discutere e analizzare le varie componenti della macchina repressiva per non farci cogliere di sorpresa.

Ne parleremo con il collettivo Prison Break Project, che da anni studia criticamente il contesto sociale italiano in relazione alle dinamiche repressive messe in campo dallo stato.

16 MAGGIO – Ore 18
Campus Einaudi (Torino)

BARI: JAPR L’EKK – APRI GLI OCCHI CONTRO LA REPRESSIONE

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Siamo una rete di collettivi e singole soggettività che si riunisce a Bari dall’inizio di settembre 2024 a seguito delle focose proteste accadute nelle carceri italiane nell’estate 2024. Abbiamo riconosciuto anche grazie alle loro proteste come il pugno di ferro dello stato, sta colpendo sempre più forte. Nelle carceri e nei CPR vediamo la violenza della stato nella sua forma più tangibile ma ormai anche nelle strade si vedono gli attacchi mirati a chi in questo Paese prova ad andare avanti. Ce lo stanno facendo capire bene: se hai il portafoglio pieno (e la pelle bianca) “sii felice sei a bari” altrimenti fuori.

Galere e CPR sono strutture detentive fondamentali per la continuazione e la crescita di questa società ipocrita e sbagliata. Quando sei fuori dalla “legge del momento” devi essere punitx, che tu sia un migrante o una persona trans, che il problema sia la casa o il documento… l’obbiettivo è annullarti e gli strumenti sono tanti. Affinché tu possa essere da esempio, perché la nostra libertà significa la loro banca rotta.

Ed è per questo che nasce questa assemblea: alla repressione che cresce vogliamo rispondere costruendo alleanze bastarde e complicità insolite, vogliamo far scoppiare la bolla del decoro urbano e ricolorare le strade. Vogliamo rompere l’isolamento delle persone detenute a Bari, nel carcere e nel cpr, e provare dal basso a costruire una cassa cittadina per chi viene colpitx dalla repressione.

A CHI HA UNA BOMBA DENTRO AL CUORE LIBERTÀ A TUTTX LX PRIGIONIERX – FUOCO AI CPR

https://japrlekk.noblogs.org/

AGGIORNAMENTI SULLA SITUAZIONE DI ALFREDO COSPITO

Diffondiamo alcuni aggiornamenti sulla situazione del compagno Alfredo Cospito, che descrivono un evidente inasprimento delle condizioni già di per sé aberranti della reclusione in 41 bis.

Da alcuni mesi, Alfredo sta affrontando una progressiva limitazione nelle già esigue possibilità di vivibilità del regime detentivo a cui è stato assegnato dal 2022, tra cui il blocco praticamente totale della corrispondenza da/per l’esterno, l’impossibilità di accedere alla biblioteca interna (autorizzazione che Alfredo aveva avuto dalla Direzione), il blocco dei libri regolarmente acquistati in libreria tramite il carcere (come prevede il regime del 41 bis) e di altri beni, come farina o indumenti, di uso quotidiano.

Tutto ciò avviene, guarda caso, in coincidenza con la condanna in primo grado per rivelazione di segreto d’ufficio del sottosegretario alla giustizia Delmastro (proprio per la vicenda delle intercettazioni ambientali, divulgate in Parlamento da Donzelli, delle conversazioni tra Alfredo e gli altri reclusi che all’epoca facevano parte del suo “gruppo di socialità”). Altre “coincidenze” che viene da pensare possano avere il loro peso in questa vicenda sono le dimissioni a fine del dicembre scorso del direttore del DAP, Giovanni Russo, che aveva testimoniato non proprio a favore di Delmastro nel processo a suo carico e, ancora guarda caso, il ritorno al comando della sezione 41 bis di Bancali del graduato dei GOM che era stato trasferito proprio per il suo coinvolgimento nella faccenda delle intercettazioni.

Rilanciamo quindi l’appello che diffondemmo l’anno scorso in merito alla corrispondenza indirizzata ad Alfredo, come primo passo perché riacquisti incisività e costanza la mobilitazione per strappare Alfredo dall’isolamento e per continuare a lottare contro l’ergastolo e il 41 bis.

CONTINUIAMO A SCRIVERE AD ALFREDO!

È importantissimo continuare a scrivere al compagno Alfredo Cospito, tuttora in 41 bis nel carcere di Bancali (Sassari). Il lavoro certosino (e spesso francamente incomprensibile e contraddittorio) dell’ufficio censura, insieme al pressapochismo tipico delle patrie galere e all’inaffidabilità delle poste italiane (strumento sempre più spesso appannaggio esclusivo delle comunicazioni galeotte), rende fortemente consigliato l’invio della corrispondenza attraverso sistemi tracciabili quali la raccomandata (anche senza ricevuta di ritorno) o la “Posta 1”. Il tagliando e il codice di tracciabilità permettono di conoscere lo stato della spedizione e intraprendere poi l’iter burocratico per cercare di sbloccare la corrispondenza, dato che gli agenti non sempre rendono noti i trattenimenti e la posta spesso semplicemente scompare.

Invitiamo quindi tutti i solidali a scrivere e ad inviare scansione o foto dei tagliandi (o comunque dei codici di tracciabilità) alla Cassa Antirep delle Alpi Occidentali, che si incaricherà di raccoglierli e inviarli all’avvocato di Alfredo per fare i dovuti ricorsi e recuperare quante più lettere possibile.

La solidarietà è un atto concreto, non lasceremo mai Alfredo da solo nelle mani dei boia di Stato: sommergiamolo di affetto anche attraverso lettere e cartoline!

L’indirizzo per scrivergli è:

Alfredo Cospito
C. C. “G. Bacchiddu”
strada provinciale 56 n. 4
Località Bancali
07100 Sassari

Mentre per inviare le vostre ricevute: cassantirepalp@autistici.org

Contro tutte le galere!

Cassa AntiRep delle Alpi Occidentali

FRANCIA: AGGIORNAMENTI SU LOUNA, COMPAGNA TRANS ANARCHICA ARRESTATA PER UN ATTACCO INCENDIARIO E ASSOCIAZIONE A DELINQUERE

Diffondiamo da Transenne – Barricate contro la transfobia

Louna è una compagna trans anarchica arrestata a metà ottobre 2024, e trattenuta da allora fino a febbraio 2025 in custodia cautelare nel carcere maschile di Tarbes.

Louna è stata accusata di aver dato fuoco a un macchinario utilizzato per la costruzione dell’autostrada A69 tra Castres e Tolosa, un progetto tanto inutile quanto mortifero. È stata rilasciata dal carcere il 14 febbraio 2025, dopo quattro mesi di prigione preventiva. La settimana precedente aveva avuto luogo il suo interrogatorio con il giudice istruttore, durante il quale lx avvocatx di Louna avevano anche presentato una richiesta di rilascio, che è stata poi accettata.

Durante il colloquio con il giudice istruttore, Louna ha rivendicato la responsabilità dell’azione di cui è accusata. Ha detto: “Rivendico di aver tentato di danneggiare un’attrezzatura da costruzione. Tuttavia, non mi scuserò, perché lo considero un atto di legittima difesa dell’ambiente. Ricordiamo che negli anni ’40 lx combattentx della Resistenza erano etichettatx come terroristx: mi chiedo come saremo chiamati in futuro…”. Allo stesso tempo non ha risposto alle viscide richieste del giudice di collaborare alle indagini e fornire informazioni su altre persone.

Il caso non è tuttavia terminato. Louna non è più in carcere, ma è sottoposta a una stretta sorveglianza giudiziaria: ha l’obbligo di rientro notturno, deve presentarsi in caserma una volta alla settimana, le è vietato lasciare la provincia e soprattutto le è vietato avere contatti con le persone a lei vicine…

Seguiranno aggiornamenti sulle indagini in corso e sul futuro processo.

Sito di supporto per aggiornamenti e comunicati: https://soutienlouna.noblogs.org/

Contatti: soutien-louna@riseup.net

Raccolta fondi per le spese legali: https://www.helloasso.com/associations/alerte-planete/collectes/a69-solidarite-face-aux-proces

Un riassunto più dettagliato della vicenda

A metà ottobre 2024, 4 persone sono state arrestate in diverse parti della Francia, per strada in arresti mirati o a casa propria alle 6 del mattino. Ognunx di loro è statx portatx a Tolosa per essere tenutx in custodia di polizia per 94 ore, nell’ambito di un’indagine su una “associazione a delinquere” legata alla lotta contro l’A69. Al termine della custodia di polizia, Louna è stata l’unica persona a essere indagata ed è stata inviata in carcere in detenzione preventiva. È accusata di aver distrutto una scavatrice utilizzando una sostanza esplosiva e di associazione a delinquere con mezzi pericolosi.

Da allora è stata detenuta nel carcere maschile di Tarbes, nonostante sia una donna trans. E proprio perché è una donna trans, è stata messa in “isolamento”. In concreto, l’isolamento ha significato che il suo unico contatto sociale era con gli sbirri, e che poteva uscire dalla sua cella soltanto quando tutti gli altri detenuti erano nella loro. Questo ha reso estremamente difficile, se non impossibile, fare una passeggiata, fare una doccia o partecipare a qualsiasi attività. Ha subito transfobia a tutti i livelli del sistema giudiziario, dal costante misgendering alle invadenti domande di un giudice che le ha chiesto se voleva sottoporsi a un intervento chirurgico ai genitali e che si è stupito che non ci fosse un follow-up da parte di uno psichiatra per la sua transizione… Malgrado la transfobia e le condizioni di isolamento, Louna ha mantenuto alto il suo spirito durante la detenzione.

Il suo arresto si inserisce in un contesto di mesi di repressione estremamente brutale verso lx attivistx contro l’A69. Oltre alla presenza sproporzionata di sbirri, questa repressione si manifesta anche nel centinaio di processi attualmente in corso, nelle decine di espulsioni di attivistx ordinate dai tribunali, in poliziotti che buttano giù attivistx da 6 metri di altezza e nelle pene detentive già comminate ad altrx due attivistx.

Gli elementi dell’inchiesta

Nella notte tra il 4 e il 5 maggio 2024, un’attrezzatura edile è stata incendiata non lontano dal tracciato della A69. Secondo gli inquirenti, i filmati di videosorveglianza della scena mostravano due persone che davano fuoco a un escavatore e poi una di loro aveva un ritorno di fiamma. La sera stessa, una persona è stata ricoverata d’urgenza in uno degli ospedali più vicini al luogo dell’incendio, con ferite che potevano essere compatibili con l’incidente filmato. Si tratta di Louna, ricoverata in ospedale quella stessa notte.

Secondo i filmati delle telecamere a circuito chiuso dell’ospedale, sembra che tre persone la accompagnassero. Gli investigatori hanno individuato l’auto con cui Louna era arrivata in compagnia di queste tre persone e hanno preso il numero di targa e trovato quindi l’identità dellx proprietarix. Inoltre, Louna ha fornito il numero di telefono di unx parente su un modulo di emergenza, numero che i poliziotti sembrano aver associato a una delle persone che la accompagnavano. Gli agenti di polizia hanno anche sequestrato i suoi vestiti mentre era in ospedale e hanno prelevato del DNA da un paio di pantaloncini e da una mascherina anti-covid. Questo DNA è stato attribuito a una delle persone sospettate di aver accompagnato Louna in ospedale. Durante la visita, i poliziotti hanno anche scattato delle foto allx compagnx, di qualità migliore rispetto alle immagini di videosorveglianza perché scattate con uno smartphone. Questo probabilmente per tentare un riconoscimento facciale, ad esempio confrontandole con le foto dei loro archivi o con quelle dellx attivistx già notx contro l’A69.

Dopo due giorni di degenza, Louna ha deciso autonomamente di lasciare l’ospedale.

Sulla base di questi elementi, a metà ottobre sono state arrestate quattro persone: Louna, due persone sospettate di averla accompagnata e lx proprietarx dell’auto. Sono statx tenutx in custodia dalla polizia per 94 ore e interrogatx. Gli investigatori hanno anche approfittato del tempo trascorso in custodia per recuperare il DNA di Louna da una tazza che aveva usato, oltre ad averlo probabilmente già preso dai suoi vestiti in ospedale. Hanno dichiarato che lo stesso DNA era stato trovato su una mascherina anti-covid lasciata sulla scena dell’incendio. Di conseguenza, Louna è stata incriminata nell’ambito dell’indagine e le altre tre persone sono state rilasciate.

A metà novembre, gli investigatori hanno effettuato una nuova perquisizione e un nuovo arresto a casa di unx attivista, notx alla polizia per il suo attivismo nei circoli ecologisti della sua città, sempre alla ricerca di almeno una delle persone che avevano accompagnato Louna in ospedale. Anche lxi è statx rilasciatx senza ulteriori provvedimenti.

Tra le altre tecniche che la polizia ha detto di aver usato o che presumiamo abbia usato, ha messo sotto controllo le chiamate e i messaggi di testo non criptati di una o più delle persone sospettate, e avrebbe seguito i loro spostamenti tramite il controllo dei loro telefoni cellulari. Sembra inoltre che abbiano chiesto gli estratti conto bancari (anche dellx parenti dellx indagatx) e, dato che lo fanno quasi sistematicamente, possiamo immaginare che abbiano chiesto alle aziende telefoniche i metadati dei numeri che hanno attribuito a unx o più dellx indagatx. Infine, lx parenti di alcune delle persone sospettate sono statx convocatx per essere interrogati durante il fermo di polizia dellx congiuntx, nei casi in cui erano stati designati come parenti da avvisare da parte dellx sospettatx in custodia.

Un’altra indagine è stata aperta a metà dicembre, quando tre persone sono state trattenute in stato di fermo per 36 ore, e poi rilasciate senza ulteriori provvedimenti. L’indagine riguardava diversi incendi in cantieri edili dell’A69.

Concludiamo con alcune parole di Louna dal carcere:

“Per tutte le lettere di sostegno, grazie per la vostra forza <3 È confortante vedere tanto sostegno nelle mie mani. Come dice una delle lettere “i muri sono spessi, ma la solidarietà è potente!”. Tutti questi piccoli e grandi disegni, poesie, aneddoti, parole d’amore, di tenerezza, di rabbia, di abbracci, di ammiccamenti… Siamo qui! Un grazie speciale alle sorelle trans, noi ci conosciamo, forza!
Grazie per le serate di sostegno, le cene e tutto il resto.
Un pensiero a chi sta lottando qui e altrove, siamo insieme <3 Forza a chi sta costruendo, curando, resistendo <3 Amore e Rabbia
TranS RightS “

Il suo gruppo di supporto segnala alcuni materiali per continuarsi a formarci e ad aggiornarci sulle tecniche di polizia e sulle pratiche di difesa collettiva per preservarci dalla repressione (in francese):

Petit manuel de défense collective:
https://infokiosques.net/spip.php?article1788
Affaire « Lafarge » moyens d’enquêtes:
https://infokiosques.net/spip.php?article2042
Les chouettes hiboux face la répression:
https://infokiosques.net/spip.php?article1706
Sito No trace project:
https://www.notrace.how/fr/

USA: MARIUS MASON RISPEDITO IN UN CARCERE FEMMINILE DOPO LE ORDINANZE ANTI-TRANSGENDER DI TRUMP

Diffondiamo da Transenne – Barricate contro la transfobia

Marius Mason, prigioniero anarchico, fece coming out come persona trans in carcere nel 2016. Dopo dure battaglie ottenne di iniziare le terapie ormonali e cambiò i suoi documenti legali. Nel 2022 venne trasferito in un carcere maschile come da sua richiesta. Oggi, il governo sempre più transfobico dei cosiddetti Stati Uniti lo ha ritrasferito in un carcere femminile in seguito alle ordinanze di Trump.

Marius ha ancora poco meno di due anni da scontare. È un anarchico ecologista e antispecista che fu condannato nel 2009 a 22 anni di carcere con l’accusa di terrorismo per il suo coinvolgimento in danni alla proprietà contro aziende ecocide. Il suo arresto faceva parte di quella campagna repressiva oggi nota come “Green scare”. La condanna a 22 anni di carcere inflitta a Marius non gli ha impedito di continuare a lottare contro l’ingiustizia, e mentre era dietro le sbarre si è instancabilmente battuto per i diritti delle persone trans detenute.

Quello che è appena accaduto a Marius è quello che sta accadendo in massa alle persone trans detenute negli Stati Uniti dopo le ordinanze anti-transgender di Trump, nonostante le molteplici sentenze dei tribunali che bloccano le politiche del presidente. Nell’ordinanza di Trump vi è anche l’ordine di bloccare le terapie mediche di affermazione di genere per le persone trans in custodia federale e il misconoscimento del loro cambio di nome legale in favore dei dati anagrafici assegnati alla nascita. I funzionari del Dipartimento dell’Amministrazione Carceraria chiedono ora che il personale si riferisca allx detenutx trans con i loro nomi di nascita e con pronomi non corretti, oltre a negare le richieste di abbigliamento adeguato al loro genere. Il Dipartimento ha anche revocato le politiche che consentivano alle donne trans di essere perquisite da guardie di sesso femminile.

Ovviamente tutto questo significa un incremento dei già elevati livelli di violenza sessuale e discriminazione dietro le sbarre nei confronti delle persone trans.

Per scrivere a Marius e inviargli un po’ di affetto e sostegno, indirizzate le lettere a:
MARIE MASON -061 FCI Danbury ROUTE 37 DANBURY, CT 06811, USA

https://supportmariusmason.org

SOLIDARIETÀ AI RECLUSI DI GRADISCA: DI NUOVO SOTTO QUELLE MURA!

Diffondiamo un resoconto e qualche notizia dal presidio sotto il lager CPR di Gradisca d’Isonzo:

Siamo tornate/i domenica 13 aprile sotto il Cpr di Gradisca come sempre per cercare di portare la nostra solidarietà e vicinanza a chi è rinchiuso lì dentro, cercando di rompere la barriera d’omertà che circonda questo Cpr, come tutti gli altri. “Scriveteci, condividete video e testimonianze di quello che succede, fateci sapere come state e come vi trattano, noi faremo uscire di lì la vostra voce” la frase ripetuta al microfono innumerevoli volte, alternandosi al grido di “Libertà”, musica ed interventi di denuncia di cosa sta succedendo negli altri Cpr italiani e in quello di Gradisca.

Negli ultimi mesi dal Cpr goriziano sono uscite numerose testimonianze di rivolte, di fughe riuscite e di tentativi purtroppo non andati a buon fine, e immancabili ogni volta resoconti della violenza repressiva delle guardie e dell’ente gestore – la cooperativa Ekene – incluse le ultime di lancio di gas lacrimogeni direttamente dentro le celle, pestaggi, mancato soccorso per ore e ore di prigioneri feriti e neanche 40 minuti prima dell’inizio del presidio di domenica, l’ennesimo ingresso della celere nelle gabbie.

Domenica il presidio è riuscito ad avvicinarsi molto più del solito al muro e si sono sentite più chiare le urla dei prigionieri in risposta alle nostre parole. Il grido “libertà” è stato spesso lanciato insieme e da dentro molte parole in risposta, purtroppo solo in parte comprensibili: “…mettono le medicine nel cibo…” “… abbattere i muri…” “…siamo persone…”.

Sembra un fatto oramai dato per scontato, ma per chi si trova là dentro, lottare in ogni forma vuol dire subire ancora più abusi fisici e psicologici, per loro è rischioso anche solo urlare di rabbia e chiedere libertà, il tentativo di costruire una lotta comune tra dentro e fuori è quindi un gesto potenzialmente denso di significato e forza.

L’intento della controparte è sempre quello di spezzare i legami di solidarietà tra dentro e fuori, adattando i suoi strumenti a seconda che siano diretti verso chi è rinchiuso o verso chi soldarizza, supporta e sostiene da fuori la lotta dei prigionieri. Questo intento non sta riuscendo ma, per quel che ci riguarda, ci teniamo a sottolineare l’importanza di essere presenti sotto quelle mura, più spesso e più in forze.

 

A conclusione del presidio non ci sentivamo più, probabilmente i prigionieri erano stati spostati in celle più lontane dal muro. Ce ne siamo andate/i come sempre con quel po’ di angoscia che gli sbirri stessero aspettando la nostra partenza per essere violenti dentro. Gioia e amarezza quindi quando in serata e ancora questa mattina, arrivano da dentro video e notizie di fuochi, piccoli e grandi, accesi negli ultimi giorni, soprattutto nelle ore notturne e anche nella giornata di ieri, in risposta al presidio. Amarezza perchè sono sempre accompagnati dalla celere che entra nelle gabbie con violenza, per piegare le proteste dei detenuti. Pare sia successo anche negli ultimi giorni, con un intervento muscolare, scudi e manganelli per sedare le proteste di una persona.

L’ex-ddl “sicurezza” è ora legge e si può quindi prevedere cosa questo comporterà all’interno di tutte le galere ma, è lecito pensare, ancor di più nei campi per le deportazioni dove, come per le carceri del circuito penale, è stato introdotto ex-novo il “reato di rivolta” specificamente volto a reprimere ogni episodio di protesta interna o tentativo di evasione e punire con anni di carcere anche le forme di resistenza passiva agli ordini impartiti. Se la “sospensione dell’applicazione delle normali regole di trattamento delle persone detenute” è, per il momento, ancora l’ultima spiaggia a disposizione delle guardie all’interno delle carceri, essa è invece la normalità quotidiana dei prigionieri nei Cpr.

Essi ci mostrano invece come gli inasprimenti penali non riescano a fiaccare la loro lotta per abbattere le gabbie in cui sono rinchiusi, incrinando il sistema detentivo ed espulsivo e l’immagine che li vorrebbe solo passive esistenze “in eccesso”, corpi-merce di scambio, fantasmi buoni solo alla propaganda securitar-razzista di ogni schieramento, anche di quello che il Cpr li ha pensati e aperti e ora vorrebbe far credere di volerli chiudere, o magari solo qualcuno, o solo quello sotto casa.

La macchina del dominio invisibilizza e abusa, insabbiando persino le morti. Sta a noi non lasciarli liberi di fare, smascherandoli per quello che sono: torturatori e assassini.

Ci rivediamo presto a Gradisca, nelle piazze e nelle strade per ripetere che i CPR vanno chiusi, col fuoco, con le rivolte da dentro e da fuori.

https://nofrontierefvg.noblogs.org/

CATANIA: SALUTO AL CARCERE DI BICOCCA

Riceviamo e diffondiamo

CU’ CICCÀTI? (A CHI CERCATE?)

CATANIA, 13 aprile – SALUTO AL CARCERE DI BICOCCA.

Domenica sera il silenzio assordante che circonda l’Istituto penitenziaro Bicocca di Catania è stato rotto dalle grida dellx solidali che a gran voce hanno urlato solidarietà e vicinanza alle reclusx.

Si è poi saputo che in mattinata tre ragazzi a Palermo erano riusciti ad evadere dall’Istituto minorile, il Malaspina. Uno dei tre che è stato ricatturato, rimesso in cella ha provato a dargli fuoco, si è rivoltato contro i guardiani e inferto tagli su sé stesso.

Non sappiamo altro che questo: che tentare di evadere, distruggere la propria cella, ferirsi sono gesti per provare a difendersi la vita mentre ci si ritrova sepoltx in una condizione inumana.
Una condizione in cui, da quando il Decreto Caivano è in vigore, ci stanno finendo sempre più giovanx. E col dl sicurezza questa cosa aumenterà.

I giornali poi dicono che sono stranieri. I minori stranieri in carcere ci finiscono molto più facilmente, anche e soprattutto come sola custodia cautelare. Nelle carceri siciliane vivono condizioni particolari di inferno, anche per il razzismo dei guardiani.

Il Malaspina, sta dentro la città. Il minorile di Catania, quello con più posti della regione, sta invece in periferia, nella zona industriale, in mezzo al nulla. E’ all’interno del complesso penitenziario del Bicocca.

Il carcere di Bicocca è di quelli che isolano del tutto lx detenutx. Un posto poco raggiungibile, sovraffollato (185 detenutx su 136 posti disponibili in regime di AS3) ed un solo muro di cinta divide la struttura per adulti in massima sicurezza da quella per minori. Dentro quelle mura esterne, si trovano così, separati ma assieme, anime che condividono, sotto regimi diversi, la stessa tortura, quella dello stato. E su cui lo stato vorrebbe marcare a sangue lo stesso perenne presente come destino, senza possibilità di uscita. Il dl sicurezza con il reato di rivolta e l’introduzione delle “condotte di resistenza passiva” lo mostra chiaramente.

Il numero degli agenti della penitenziaria supera quelli previsti, chiaro segnale che quei luoghi vengono tenuti in piedi dalla repressione che stato e guardie riversano sullx detenutx.

Lx reclusx, al nostro arrivo, hanno fatto delle battiture, sventolato le fiammelle degli accendini, urlato dei cori, provato ad interagire con lx solidalx.

“A cu’ ciccàti?”> – sono le parole che unx ha urlato dalla finestra. Significa “chi cercate?”. Si stava preoccupando di capire chi in caso andare a chiamare, pensando che i nostri cori fossero rivolti solo a quel qualcunx.

Ci piacerebbe abbracciarlx, per ringraziarlx della solidarietà e dell’umanità del suo gesto, per dirgli che non eravamo lì per qualcunx, ma per ognunx di loro, eravamo lì per lxi, per tuttx.

Ci siamo lasciatx con dellx compagnx che urlavano “torneremo”, siamo sicurx che sarà così.

Anche per questo ci vediamo il 15/04 a Piazza Castello: per immaginare e costruire solidarietà per tuttx lx reclusx, dalle carceri ai CPR!

MORTE ALLO STATO
MORTE ALLO STATO DI POLIZIA
MORTE ALLO STATO DI GUERRA