BOLOGNA:  CONTRO GALERE E CPR, JONATHAN LIBERO, TUTTX LIBERX

Bologna 40127 – Ponte di San Donnino
Fuoco ai CPR

Riceviamo e diffondiamo:

Negli scorsi giorni, in San Donato, è avvenuto un fatto gravissimo, l’ennesimo atto di repressione e abuso da parte della polizia e degli apparati di potere: forme di violenza in divisa che negli ultimi mesi si stanno moltiplicando nel quartiere.
A dicembre ci manganellavano davanti alla sede della RAI, proprio sotto i palazzi della Regione Emilia-Romagna, mentre si protestava contro la complicità dello stato e dei mezzi di comunicazione governativi con il genocidio in corso a Gaza. Ad aprile invece provavano a sgomberare il presidio resistente del parco Don Bosco: quel giorno siamo riusciti ad allontanare le divise, ma al prezzo di decine e decine di feritx, 7 alberi del parco e un arresto violentissimo due giorni più tardi, proprio dentro al parco, che oltretutto ha visto l’utilizzo di taser, per la prima volta usato in Italia contro qualcunx del movimento.
Oggi invece hanno deciso di colpire Jonny, un ragazzo che è cresciuto in San Donato, dove vive, e che ha attraversato il quartiere fin da bambino. Lì si trova la sua famiglia, lx amicx, la casa.
Dopo essere stato fermato in via Andreini per un controllo di routine, Jonny è stato portato con l’inganno in questura per “accertamenti”. Qui è stato trattenuto due giorni in una cella senza cibo e acqua, fino a sabato, giorno in cui è stato trasferito in fretta e furia nel CPR di Via Corelli a Milano in attesa della decisione sul suo espatrio, udienza prevista per martedì 28. Un ragazzo che ha costruito a Bologna tutta la sua vita, i suoi affetti e i suoi ricordi, è stato preso a forza dai Carabinieri e dal mattino alla sera rischia di essere espatriato a Cuba, senza possibilità di vedere la sua famiglia, lx sux amicx, anche solo prendere i suoi oggetti personali.
Tutto questo in vista delle elezioni europee dove il governo Meloni vuole portare la sua politica razzista, omofoba e militarista in un’Europa che sembra sentirsi sempre più vicina a questi ideali.
Ribadiamo che un pezzo di carta non può determinare le nostre vite, che è inaccettabile che per mancanza di quest’ultimo la vita di un ragazzo possa essere stravolta per la decisione arbitraria di uno stato che determina come e dove dobbiamo esistere. Se questo è quanto, allora Noi non riconosciamo questo stato.

Al fianco di un amico che ha attraversato e che vuole continuare ad attraversare le strade del suo quartiere.

Fuoco a Frontiere e CPR.
Tuttx Liberx.⁩

BOLOGNA: LA LIBERTÀ NON SI MISURA

Aggiornamenti:

Lunedì 20 maggio a Bologna si sono tenute presso il Tribunale delle Libertà sia l’udienza di riesame per chiedere la revoca/attenuazione delle misure sia l’udienza d’appello con cui la PM chiedeva il riconoscimento dell’aggravante per 270bis per i reati contestati e il conseguente aggravamento (arresti domiciliari) delle misure cautelari a cui attualmente sono sottopostx 3 compagnx a seguito delle indagini aperte relative ad episodi avvenuti in territorio bolognese durante la mobilitazione in solidarietà ad Alfredo Cospito in sciopero della fame contro il 41bis e l’ergastolo ostativo.

Né il riesame né l’appello sono stati accolti, confermando le misure ax 3 compagnx: per 2 compagnx obbligo di firma, per una compagna obbligo di dimora con rientro notturno e obbligo di firma.

TUTTA LA NOSTRA SOLIDARIETÀ E COMPLICITÀ AX COMPAGNX COLPITX.

ALFREDO LIBERO!
41BIS È TORTURA!
CHE DELLE GALERE RIMANGANO SOLO MACERIE.

TORINO: ALLA REPRESSIONE SI RISPONDE CON LA LOTTA [CORTEO 2 GIUGNO]

Dall’assemblea torinese contro il carcere e il 41 bis alcune riflessioni  a seguito dell’operazione city, per rilanciare il corteo del 2 giugno:

Il corteo del 2 giugno prossimo è una prima risposta all’operazione repressiva denominata “City” che ha colpito alcunx compagnx in merito ai fatti del 4 marzo 2023 a Torino. Pochi giorni prima di quella data, una sentenza di Cassazione che aveva stabilito la permanenza in 41bis del nostro compagno Alfredo Cospito pareva sancire la sua condanna a morte, dopo sei mesi di sciopero della fame. In quella giornata le strade della città sono state percorse dalla nostra rabbia e dalla nostra determinazione.

L’operazione della procura di Torino aspira in modo evidente a estendere il reato di devastazione e saccheggio a tutte le persone presenti, con l’implicito “Se eri lì, sei complice!”. L’intenzione è ovviamente quella di dividere e scoraggiare la partecipazione a future iniziative di piazza che prevedano di mettere in campo quelle pratiche conflittuali che da sempre sono patrimonio del movimento, nel tentativo di annullare i momenti in cui rabbia, lotta e istanze sociali si mischiano e rafforzano reciprocamente. Del resto, è risaputo che la repressione agisce anche cercando di spezzare i legami solidali tra le diverse sensibilità, con la chiara volontà di disincentivare la partecipazione e isolare per meglio colpire. Rendere inoffensivi gli attivisti, scoraggiare gli indecisi, criminalizzare idee e pratiche di scontro con lo Stato e il Capitale: ecco la ricetta per disinnescare il potenziale conflitto sociale in un momento in cui le contraddizioni generate – crisi, guerre e devastazione ambientale – pongono il sistema in una palese condizione di precarietà.

Cucendo l’abito del nemico pubblico addosso a chi si oppone con determinazione e criminalizzando chi non tace, anche con questa azione repressiva si tenta di evitare la contaminazione tra le varie modalità e istanze di lotta. Se infatti tra le cause dell’estendersi delle condizioni di oppressione c’è anche la nostra attuale incapacità di mettere in campo rapporti di forza favorevoli, è vitale per l’apparato poliziesco e repressivo inasprire l’attacco generalizzato alle classi approfittando delle loro separazioni e antagonismi, al fine del mantenimento dell’attuale sistema di sfruttamento e disciplinamento totale.

L’intenzione di questa chiamata per una piazza nazionale a Torino proprio il giorno della “Festa della Repubblica” è quella di rilanciare un momento di strada che materializzi il senso del corteo di un anno fa, e della repressione che lo ha seguito, nel contesto dove quello si è dato e questa si sta dando. Vogliamo inquadrarlo nella complessità di una società stretta nella morsa di una retorica bellica che, mentre normalizza un genocidio algoritmico mandandolo in mondovisione, produce un discorso martellante sul nemico interno identificato non solo in chi lotta, disobbedisce e diserta, ma anche in coloro che abitano le oppressioni strutturali del capitalismo odierno, dove la detenzione amministrativa e penale si inserisce come tassello disciplinante diventando l’unico orizzonte di chi non può, o non vuole, sottostare a imposizioni sempre più stringenti.
Il sistema punitivo statale italiano vede la sua massima espressione nel regime di 41bis e nell’ergastolo ostativo, ma la macchina repressiva e detentiva si articola in forme molteplici, più o meno subdole, con l’identico fine persecutorio; e anche recentemente si è visto come ad esempio i CPR si pongano alla confluenza di molte tipologie di oppressione: usati come monito per i liberi, minaccia nei contesti lavorativi e ricatto in quelli di lotta, questi luoghi di invisibilizzazione per eccellenza ci mostrano continuamente quante forme possa assumere la brutalità dello Stato. Quando questa viene sconfitta non lo si deve certo ai commissariamenti della magistratura o alle preghiere riformiste (a volte avanzate perfino da chi quei luoghi li ha istituiti), bensì, sempre, alla rivolta e al fuoco dei ribelli.
Con questo spirito siamo scesi più volte in strada, e lo abbiamo fatto anche il 4 marzo.

E se quelle giornate sono riuscite a rompere il muro del silenzio riguardo a un circuito di tortura “bianca” in Italia e a mettere in evidenza come e quanto i tribunali applichino la vendetta dello Stato contro i suoi nemici interni, al di là di ogni fantasticheria sul diritto, lo sappiamo, la partita è ancora aperta. Non solo perché questo regime carcerario di tortura si sta palesando come strumento nelle mani della DNAA (Direzione Nazionale Antimafia-Antiterrorismo) come modello di repressione a monito di tutti i rivoltosi, ma anche perché questo regime è un dispositivo di guerra, e sarà ancora molto utile, contro il nemico interno, in questi tempi di guerra.

Negli ultimi due anni la guerra guerreggiata è alle porte. Dalle periferie del mondo occidentale, è dilagata avvicinandosi sempre di più alla fortezza Europa. Il controllo sui territori diventa serrato, militari e sbirri pattugliano ogni angolo, chi vive e attraversa i quartieri interessati da questa incessante militarizzazione rischia quotidianamente di finire dentro una galera o un CPR.

Ma quando inizia la guerra? Chi decide quando questa comincia? Inizia veramente, nel caso europeo, fuori dai confini dell’Unione? O è la stessa organizzazione sociale, anche in tempi che vengono descritti come tempi di pace, a incarnarla, alternando momenti più o meno feroci? L’Italia e l’UE si trovano di fatto in guerra. Da un lato sostengono il settore militare israeliano, come dimostrano i dati relativi all’invio di armi e munizioni verso Israele dell’ultimo trimestre del 2023, per un valore pari a 2,1 milioni di euro. Dall’altro, fin dai primi giorni del genocidio in Palestina, l’Italia ha trasformato la stazione aeronavale di Sigonella in Sicilia in una base di appoggio per gli aerei spia e per quelli che trasportano armi, e ha trasferito diverse unità navali nel mare di fronte a Gaza. Inoltre, dal 5 marzo 2024 ha ufficialmente preso parte alla missione “Aspides” nel Mar Rosso, a difesa del commercio internazionale, contro i ribelli Houthi e le azioni di sabotaggio da loro messe in campo contro le navi israeliane a sostegno della
resistenza a Gaza.

I media nostrani hanno invece costruito l’idea di questo possibile inizio, questo emergere della prossimità bellica, datandolo all’azione russa del febbraio 2022 e il suo allargamento a partire dalla responsabilità di Hamas (e indirettamente dell’Iran) del 7 ottobre 2023. Questa visione non è solo faziosa e non si limita a scaricare la responsabilità bellica sulla controparte, retorica più che scontata da parte di ogni Stato, ma soprattutto è inaccettabile perché mette in campo l’idea che tutto si giochi sul piano geopolitico. Se invece dobbiamo ravvisare un periodo in cui alcune istanze della società-guerra si sono violentemente palesate e possono essere considerate gli antefatti di questo ultimo biennio, dovremmo tornare agli attentati parigini del 13 novembre 2015 che hanno portato in Francia, e in tutta l’Europa occidentale, un susseguirsi di normative sull’ordine pubblico che hanno segnato un punto di svolta della militarizzazione interna e
delle politiche di controllo sociale. Ci pare evidente che non esiste un’anormalità da una lato, la guerra come eccezione, e una normalità, la politica, dall’altro. Non è facile capire cosa sia realmente la guerra oggi, visto il proliferare nel nuovo millennio di nomenclature come “guerra ibrida”, “guerra infinita”, “guerra mondiale a pezzi”, ma quello che possiamo affermare con certezza è che siamo entrati in un periodo in cui si è ben oltre la militarizzazione degli spazi pubblici, fisici o simbolici che siano. L’economia di guerra e il richiamo alle esigenze di arruolamento paventati senza mezzi termini dai governanti, il potenziamento del riarmo industriale, la stretta su qualunque tipo di opposizione, la censura attraverso i mezzi di comunicazione tradizionali e social, evidenziano il processo di mobilitazione delle società verso la guerra che gli stati europei hanno innescato come ormai unico mezzo per dirimere il ginepraio delle politiche neoliberali, la corsa all’accaparramento delle risorse naturali e la gestione degli esseri umani considerati come mera eccedenza, anche all’interno del territorio UE.

Se questo è quanto sta succedendo in Europa, quello che sta succedendo nell’altrove guerreggiato ci parla di centinaia di migliaia di morti, di persone mandate al macello sull’altare del profitto e dell’accaparramento. La guerra là è più feroce, senza limiti, ma ha gli stessi scopi di quella non guerreggiata qua. La guerra asimmetrica che lo stato di Israele sta conducendo dal 7 ottobre contro Gaza ne è summa ed esempio: la migliore democrazia in tempi bellici, un modello per gli altri stati. In un connubio fra high tech e sterminio, rimozione della memoria e costruzione di una sempre nuova narrazione della storia, laboratorio a cielo aperto di meccanismi sociali. Lo stato di Israele rappresenta sicuramente la migliore risposta alle necessità di una società in guerra.

Ma proprio partendo dal modello perfetto di Israele e dalla resistenza palestinese possiamo iniziare a pensare che questo sistema possa essere
disarticolato. Israele per continuare a mantenersi in vita ha bisogno di spietate complicità e collaborazioni che attraversano il capitale in ogni sua
forma: i luoghi di lavoro, della cultura e della formazione. Le atrocità che stanno avvenendo a Gaza sono possibili grazie al contesto geopolitico strutturato dall’Occidente fin dall’avvento degli stati-nazione: secoli di colonialismo di insediamento, accordi e collaborazioni occidentali che hanno permesso il massacro di chi in quei territori ha sempre vissuto. Un esempio per tutti sono le università, che rappresentano uno strumento di normalizzazione, legittimazione e complicità rispetto al genocidio in corso a Gaza, oltre che del colonialismo di insediamento e della pulizia etnica perpetrata da Israele ai danni del popolo palestinese da più di 75 anni. Attraverso accordi e partnership, vengono sviluppate tecnologie belliche e securocratiche che prima vengono testate sulla pelle del popolo palestinese e poi riversate nel mercato globale, per essere usate contro il nemico interno ed esterno. Attraverso accordi e collaborazioni con l’università, aziende belliche come Leonardo, Thales-Alenia o Elbit, si stanno espandendo, generando nuovo profitto garantito dall’utilizzo di infrastrutture pubbliche e conoscenze del mondo universitario: ostacolare il loro ingresso e la loro normalizzazione contrattuale significa evidentemente opporsi alla militarizzazione sempre più pervasiva della nostra società e può proporsi come una delle modalità effettive di resistenza alla guerra totale che questo sistema genera e alimenta.

Ma per mettere in atto questa resistenza, e perché sia possibile condurla ancora a lungo, per affrontare la lotta contro la generale oppressione di classe e razza, di cui la repressione rappresenta un aspetto, dobbiamo costruire la solidarietà più larga e duratura possibile intorno a chi viene colpito.

Le forme di ribellione e lotta che si danno dentro le prigioni a cielo aperto e in quelle chiuse delle mura sono una testimonianza importante che non solo disvela le efferatezze dello Stato e la brutalità della sua violenza, ma rilancia il coraggio di chi, stretto nella morsa più asfissiante e totalizzante del potere coercitivo, ricorda ai liberi il coraggio della rivolta.

Per la creazione di complicità tra chi viene colpito dalla violenza di Stato e Capitale. Per rivendicare la presenza auto-organizzata in strada. Per ribadire che la risposta alla repressione è continuare la lotta!⁩

BOLOGNA: LA LIBERTÀ NON SI MISURA

Diffondiamo:

PRESENZA SOLIDALE  DAVANTI AL TRIBUNALE IN VIA D’AZEGLIO 56

A fine aprile 3 compagnx sono state sottoposte a misure cautelari (obbligo di firma per due di loro, firme, obbligo di dimora e rientro notturno per una terza). I fatti loro contestati fanno principalmente riferimento alla campagna che si è svolta a Bologna lo scorso anno, in solidarieta ad Alfredo contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo. Come se ciò non fosse abbastanza il pm ha fatto appello: chiede che venga riconosciuta l’aggravante di terrorismo e che lx 3 compagnx siano messe ai domiciliari. Oggi 20 maggio si sta tenendo l’udienza.

Sempre al fianco di chi lotta!

COMUNICATO COMPAGNX GRECI: IN SOLIDARIETÀ CON LX COMPAGNX DETENUTX, CON LA PALESTINA E CON TUTTX DETENUTX E PRIGIONIERX POLITICX

Da: La Vampa, tradotto da athens.indymedia.org.

La sera del 13 maggio, lx studentx di Atene si sono unitx al movimento globale dell’Intifada studentesca in solidarietà con la Palestina e, con il sostegno dx solidalx, hanno occupato la facoltà di Giurisprudenza di Atene. Hanno chiesto alle università greche di interrompere qualsiasi cooperazione sotto forma di progetti di ricerca o programmi di scambio e finanziamento con lo Stato israeliano. La mattina dopo, la polizia ha fatto irruzione nello spazio occupato e ha arrestato 28 persone. La polizia ha confiscato una serie di oggetti dal terreno dell’università, senza che vi fossero prove per collegare questi oggetti a qualcun dellx arrestatx.
Dopo la finalizzazione della legge che consente la presenza della polizia greca all’interno dei campus universitari, l’anno scorso si sono scatenate ondate di violenza contro gli studenti nei loro stessi campus, mentre quest’anno si è assistito a un percorso accelerato verso la privatizzazione delle università. L’aumento della presenza della polizia e le tattiche di intimidazione in spazi un tempo liberi e autonomi si estendono oltre le mura dell’università. Eventi, attività e riunioni collettive in spazi pubblici – siano essi politici o meno – sono presi di mira dalla presenza della polizia, dalla repressione e dalla violenza. La posizione aggressiva dello Stato è un tentativo di reprimere qualsiasi forma di solidarietà, di modalità anticapitalistiche, di libera circolazione e di lotta dei migranti.

Lx 28 arrestatx nella Facoltà di Giurisprudenza di Atene sono statx immediatamente trasferitx alla stazione centrale di polizia di Atene (GADA). Agli avvocati è stato consentito l’accesso ai detenuti solo otto ore dopo il loro arresto, e la polizia ha cercato di costringere lx detenutx a fornire le impronte digitali prima dell’arrivo dei loro avvocati. Nel frattempo, centinaia dx solidalx si sono riunitx davanti alla GADA, chiedendo l’immediato rilascio delle persone arrestate e affermando il loro sostegno a una Palestina libera. Dopo aver ricevuto l’informazione che tuttx lx 28 arrestatx sarebbero statx incriminatx, sono statx costrettx a passare la notte a GADA.

Il giorno successivo, il tribunale avrebbe dovuto svolgersi a mezzogiorno, ma è stato deliberatamente ritardato di qualche ora. Lx solidalx erano presentx in tribunale per mostrare il loro sostegno allx arrestatx, con canti che chiedevano una Palestina libera e la fine delle tattiche di intimidazione. Alla fine, lx 28 sono statx portatx davanti al pubblico ministero e la decisione è stata quella di rilasciare tutti e rinviare il processo al 28 maggio con le accuse di: vandalismo, disturbo dell’ordine pubblico, rifiuto di collaborare con le procedure di polizia (impronte digitali) e possesso di “armi”. Nonostante la decisione del tribunale penale di rilasciare tuttx lx detenutx, la polizia ha deciso diversamente; il dipartimento di sicurezza dello Stato ha registrato lx nove compagnx internazionali non greci come “indesideratx” e ha deciso di procedere con una detenzione amministrativa. Gli avvocati sono stati informati della decisione che la detenzione dellx nove compagnx internazionali sarebbe proseguita in via amministrativa e che sarebbe stato emesso anche un ordine di espulsione; uno sviluppo senza precedenti per i cittadini europei. Lx compagnx sono statx prima inviatx alla Divisione Stranieri della Polizia di Attica e successivamente otto delle nove sono state trasferite al Centro di detenzione preventiva di Amygdaleza, mentre l’unico compagno maschio è rimasto solo alla Divisione Stranieri.

La detenzione amministrativa e le deportazioni sono strategie quotidiane che lo Stato greco pratica come una delle componenti profondamente razziste della micidiale Fortezza Europa. Il palese razzismo dello Stato è evidente negli arresti, nelle detenzioni, nelle torture e nelle deportazioni su larga scala che avvengono quotidianamente e che passano per lo più inosservate alla società.

La sfacciataggine con cui lo Stato greco agisce si spiega anche con anni di applicazione di una politica di frontiera micidiale nei confronti di rifugiati, migranti e persone senza documenti. In Grecia esistono quattro motivi per l’espulsione amministrativa, il che dà alla polizia piena libertà di giudicare se una persona è una minaccia per l’ordine pubblico e, senza un processo penale, la persona può essere detenuta ed espulsa con procedure amministrative. La detenzione e la minaccia di deportazione dei nove detenuti, con cittadinanza italiana, spagnola, francese, tedesca e britannica, è una nuova applicazione di questi ordini repressivi che intimidiscono e prendono di mira il movimento di solidarietà con la Palestina.

La tecnologia utilizzata dallo Stato greco nei suoi respingimenti violenti e mortali dei richiedenti asilo si basa sulla ricerca e sulle tecnologie di contenimento, sorveglianza e controllo che lo Stato israeliano sperimenta sui palestinesi di Gaza e della Cisgiordania. Il dissenso contro lo Stato israeliano, la sua occupazione militare della Palestina e le guerre che conduce a Gaza, in Libano e in Siria, è una minaccia per l’UE e per il complesso di sicurezza militare dei confini della Grecia.

I media di destra greci hanno diffuso informazioni sulla detenzione e la deportazione dei nove individui prima che qualcuno di loro o i loro avvocati ne fossero informati, una mossa che sottolinea l’uso dei media da parte dello Stato come strumento di guerra psicologica e la loro fedeltà ai media rispetto ai processi legali formali. Venendo a conoscenza del loro destino attraverso i media piuttosto che attraverso i canali legali, lx detenutx sono statx privatx della loro capacità di agire e sono statx gettatx nell’incertezza. Queste sanzioni e reazioni legali sono risposte severe e senza precedenti alle accuse di reati minori.

I migranti e i senza documenti che esercitano il loro diritto alla libertà di parola essendo politicamente attivi sono ora esposti a un rischio maggiore di deportazione e di azioni legali violente. Questo è esemplificato dal caso del nostro compagno egiziano che, avendo partecipato a manifestazioni pro-Palestina, è stato minacciato di espulsione dall’ambasciata egiziana. I governi e i media collaborano per criminalizzare e delegittimare gli sforzi a sostegno della lotta palestinese, dipingendo gli individui come minacce alla sicurezza nazionale. Queste azioni rivelano la disperazione dello Stato nel mantenere il controllo e reprimere la resistenza. Sottolineano la necessità di media alternativi e reti di solidarietà per contrastare queste tattiche di intimidazione. Solidarizzando con le persone prese di mira, possiamo smascherare i meccanismi oppressivi dello Stato e continuare la lotta per la vera liberazione, dai palestinesi ai detenuti. È necessario rendere concreta la nostra solidarietà, agire, intensificare, far capire a voce alta che né le intimidazioni né le incarcerazioni e le deportazioni indeboliscono la lotta. La resistenza non morirà mai, la Palestina non morirà mai! Queste intimidazioni e tattiche repressive non possono e non potranno mettere a tacere la nostra rabbia, né fermare la nostra solidarietà con la Palestina.

CHIEDIAMO QUANTO SEGUE:
– NESSUNA DEPORTAZIONE PER LX NOVE INTERNAZIONALI CHIEDIAMO IL LORO RILASCIO IMMEDIATO SENZA RESTRIZIONI FINO ALLA DATA DEL PROCESSO.
– CHIEDIAMO LA COMPLETA ABOLIZIONE DELLA DETENZIONE AMMINISTRATIVA PER LE PERSONE SENZA DOCUMENTI, I MIGRANTI, I RICHIEDENTI ASILO IN GRECIA INSIEME ALLA LEGGE RAZZISTA DELLA DEPORTAZIONE AMMINISTRATIVA.
– L’INTERO MECCANISMO È UNA PRATICA RAZZISTA CHE INCARCERA LE PERSONE NON BIANCHE SENZA ACCESSO AI DIRITTI UMANI FONDAMENTALI.
– SIAMO CONTRO I MEDIA, CHE COLLABORANO CON LA POLIZIA E CHE CERCANO DI DIFFONDERE IL TERRORE CONTRO LE PERSONE CHE LOTTANO E ALZANO LA VOCE PER UNA PALESTINA LIBERA.
LA LOTTA CONTINUA
FERMATE IL GENOCIDIO!
FINE DELL’OCCUPAZIONE DELLA PALESTINA!
TUTTI GLI OCCHI SU RAFAH!

MILANO: RIVOLTE E PROTESTE AL CARCERE DI SAN VITTORE

Da: Tutto Squat Milano

Domenica sera verso le 23 da dentro il carcere di San Vittore si sono uditi forti rumori, e grida che si sono protratte per tempo. Una cella sembra essere andata a fuoco. Quattro mezzi dei vigili del fuoco sono entrati dentro le mura del carcere insieme ad ambulanze e auto medica.
Un gruppo di solidali si è ritrovato sotto le mura per esprimere solidarietà alla rabbia dei detenuti!

SEMPRE CONTRO OGNI GALERA! NE VOGLIAMO SOLO MACERIE!

CREMONA: INFRANTE LE VETRINE DELLA SEDE ELETTORALE DEL CANDIDATO SINDACO DI CENTRODESTRA

Diffondiamo:

Sembra che nella notte tra venerdì e sabato le vetrine della sede elettorale del candidato sindaco del centrodestra di Cremona,  Alessandro Portesani, siano andate in frantumi. Una cloaca che vede riuniti FdI, Forza Italia, Lega, Udc e naturalmente la sua lista civica, Novità a Cremona.

 Secondo i media locali alcuni servi recatisi alla sede sabato mattina con l’intenzione di allestire i propri banchetti di propaganda mortifera, avrebbero trovato il presente. Il Partito Democratico – sempre puntualmente immancabilmente complice – avrebbe fatto sapere: “Tante cose ci dividono ma ci unisce il metodo con il quale facciamo politica, che è quello secondo i principi della nostra costituzione repubblicana antifascista. Oramai non si possono considerare casi isolati gli attacchi ai presidi democratici delle nostre comunità e questo ci deve rafforzare nella convinzione che solo la tolleranza e la solidarietà sono le parole d’ordine per far politica”.

Dovete avere paura.

Complici e solidali con chi agisce 🔥🖤


Vandali alla sede elettoraledi Portesani: vetrina distrutta

NUOVA PUBBLICAZIONE: VIRGILIA D’ANDREA, STORIA DI UN’ANARCHICA

Riceviamo e diffondiamo:

“La propaganda della rivolta e l’apologia dei rivoltosi non sostituisce l’azione; ma sappiamo che essa la propizia.”

È uscito: “Virgilia D’Andrea: storia di un’anarchica – Siamo una fiamma di questo fuoco della rivolta secolare”. Pagine 258, Tremende Edizioni.

Anarchica, poetessa e insegnante, nel 1918 Virgilia D’Andrea prende le redini del periodico «Guerra di Classe», quando Armando Borghi viene confinato ad Isernia, per poi essere arrestata due anni dopo con l’accusa di cospirazione contro lo Stato, incitamento all’insurrezione, istigazione a delinquere e apologia di reato. Una volta uscita dal carcere riprende immediatamente la propria attività politica dando alle stampe Non sono vinta, chiaro monito a chi aveva pensato di spezzare la sua volontà di lotta, mentre nel 1922 pubblica il suo primo libro di poesie, Tormento, e viene nuovamente denunciata il 13 marzo del 1923 per vilipendio e istigazione all’odio di classe.
Nel 1922, quando il potere viene consegnato a Mussolini, si trova costretta ad emigrare prima in Germania e poi, nel 1924, a Parigi, dove fonda e dirige la rivista «Veglia». Nel 1928 approda a New York e da qui si dedica alla vicenda di Sacco e Vanzetti, andandoli a trovare anche in carcere. Non ha mai smesso, come molti esuli italo-americani, di nutrire il desiderio di sconfiggere il fascismo: già nel 1925 dà alle stampe L’ora di Maramaldo, in cui da un lato affronta il pericolo della nascente dittatura, dall’altro appoggia l’azione di quanti iniziavano, a repentaglio della loro vita e della loro libertà, ad opporsi al fascismo.
Poco prima di morire dà alla luce, nel 1933, Torce nella Notte, testimonianza della sua attività propagandistica in cui esalta l’azione individuale dei vari Schirru, Sante Pollastro, Di Giovanni e Scarfò come atto d’attacco contro la proprietà ed il privilegio.

Abbiamo deciso di dare alle stampe questa biografia che ha il merito di aver portato luce sulla figura di Virgilia. Riprendiamo cose passate e lontane perché così passate e lontane non sono. Perché chi siamo e cosa vogliamo resta inciso immutabile nella storia.

Dalla quarta di copertina:

Virgilia si schiera contro le distinzioni involute dei moralisti e dei timidi, accanato a Lucetti e Schirru, accanto a Sacco e Vanzetti, a Sbardellotto. prende parte alle agitazioni a favore di Castagna e Bonomini o ai cortei per la liberazione di Sante Pollastro. Scrive per “L’Adunata dei Refrattari”. Sedendosi dalla parte di Severino Di Giovanni e degli Scarfò non si limita più alla giustificazione dell’atto individuale, come una conseguenza automatica di difesa contro l’ordine costituito, ma ora lo esalta quale sacrosanto diritto di attacco, di offensiva, contro la proprietà ed il privilegio. Dalle pagine di “Umanità Nova” si posiziona circa l’attentato al Diana: “Uno schianto formidabile: […] La voce della dinamite era stata possente: l’aristocratico e ricco teatro del Diana ne era rimasto tutto insanguinato”.

Per ordini : 1 copia euro 7, da 4 copie euro 4,50.
tremendedizioni@canaglie.org⁩

BOLOGNA: RONDE FASCISTE IN BOLOGNINA

⁨E’ di questi giorni la notizia della ronda di un gruppo di fascisti legati alla Rete dei Patrioti, costola di Forza Nuova nata ufficialmente nel 2020. La notizia viene rilanciata da Bulaggna Dsdadet, gruppo locale di ultras di estrema destra.
Una trentina di uomini si sono aggirati nelle zone della Bolognina e della Stazione mirando in particolare a “pusher magrebini e del centrafrica” per restituire la zona “agli italiani per bene”. Risulta chiara la commistione di fascismo, razzismo, proibizionismo e odio per chi sta al margine.
Se i fasci sono sempre più a loro agio nello sfilare nelle città, come il 29 aprile a Milano in ricordo di Sergio Ramelli, o come è accaduto gli scorsi anni durante la chiamata nazionale del primo maggio a Bologna, è anche grazie al clima di costante legittimazione politica da parte dei media e dell’informazione mainstream, in cui PD e destre non sono altro che due facce della stessa medaglia. Vediamo infatti la costante giustapposizione tra una notizia del poliziotto buono che fa la spesa alla signora in difficoltà, alternata a ronde, retate o a notizie che criminalizzano spacciatori e giovani migranti, o strumentalizzano episodi di cronaca . L’abbiamo visto con Caivano, con le retate in Bolognina, con le carceri sempre più piene: dove lo Stato nelle sue forme repressive istituzionali non arriva si lascia lo spazio alle ronde degli ex forzanovisti.
E mentre i picchiatori fascisti riprendono terreno nelle strade, i cattofascisti lanciano la loro campagna territoriale verso le europee con lo slogan “No al diritto all’aborto”.
Ma è proprio questa la prassi inaugurata negli ultimi anni da figure di spicco della destra fascista del territorio, come Massimiliano Mazzanti, sedicente giornalista, che fa da connettore tra la destra extraparlamentare e i fasci nelle istituzioni, anche attraverso mirate operazioni di revisionismo storico, come nel caso di interi seminari che Mazzanti tiene sulla Uno Bianca e sulla strage del due agosto del 1980.
“Movimento nazionale rete dei patrioti”, “Bologna gente libera”, “Una Bologna che cambia”, “Bulaggna Dsdadet”… tanti nomi, stesse facce, stessa feccia. Fasci 4.0 che hanno imparato ad usare i social e la comunicazione, a farsi camaleonti per cavalcare ansie, malcontento e paure: in pandemia li abbiamo trovati insieme a padroncini e ristoratori, accanto ai costruttori edili contro il blocco degli sfratti, di recente li abbiamo visti cavalcare le proteste contro Bologna città 30 e prossimamente forse li ritroveremo anche ecologisti contro il taglio degli alberi! Per quanto si ridipingano di cittadinismo, la loro puzza rimane inconfondibile.

Vogliamo sbirri e fasci fuori dai quartieri! Vogliamo strade solidali, antifasciste, antirazziste, tranfemminsite, antiproibizioniste!

FUORI I FASCI DAI QUARTIERI⁩

BOLOGNA: MEZZ’ORA D’ARIA [RADIO]

Diffondiamo:

Di seguito la puntata di Mezz’ora d’aria, trasmissione per un mondo libero da tutte le gabbie sulle frequenze di Radio Citta Fujiko (FM 103.1), andata in onda sabato 11 maggio alle 17:30. Si tratta della prima di una serie di puntate per rompere l’isolamento del carcere e cercare di superare le mura che ci dividono tra dentro e fuori. Uno spazio a disposizione delle persone private della libertà, e di chi gli è accanto.

Per scrivere a Mezz’ora d’aria:
Via Zanardi 369, 40131, Bologna
E-mail: mezzoradiliberta@autistici.org

https://www.autistici.org/mezzoradaria/