DAL CPR DI GRADISCA: CRONACHE DI LOTTE E RESISTENZA ALL’INTERNO DEL LAGER

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“Ho avuto un’impressione positiva di ente gestore e forze dell’ordine”, dichiarava qualche giorno fa una parlamentare – esponente di quel partito del cosiddetto centrosinistra, il PD, storicamente il principale responsabile politico dell’esistenza dei campi per le deportazioni – dopo una visita ispettiva fatta a quello di Gradisca.

L’ennesima farsa, l’ennesima narrazione ad uso e consumo dell’esistenza dei campi-lager, con qualche problema di troppo – tocca ammetterlo anche da parte agli strenui difensori della detenzione amministrativa – sulla “agibilità”. Nel rovesciamento più totale della realtà quotidiana di chi vive sulla propria pelle la detenzione a Gradisca e negli altri CPR e carceri della penisola, si mostrano le manovre più subdole per renderlo più operativo e efficace (nell’annichilimento, nel controllo dei corpi).

– “Sta nel distruggere la gabbia”

Rivolte e proteste smontano pezzo dopo pezzo l’infrastruttura della reclusione: sistemi di videosorveglianza, reti, suppellettili, lastre di plexiglass. Colpo su colpo, nei CPR, non è solo uno slogan, ma il ritmo della smontaggio delle sue gabbie. Le condizioni di reclusione e devastazione delle menti e dei corpi (“mi han portato qui per i documenti. Sono rotto giuro“, ci dice un recluso) si riflettono sull’infrastruttura (“non funziona nulla, veramente” gli faceva eco un altro): per ragioni stesse di sopravvivenza il centro deve essere smantellato.

E infatti vediamo confermata un’ipotesi che immaginavamo da tempo: l’area rossa, coinvolta nelle potenti rivolte di gennaio, è tutt’ora per la maggior parte inagibile, con due sole celle in funzione.

Il ministero dell’interno, probabilmente rincuorato dalle parole della parlamentare di opposizione – in fondo, se il servizio funziona, basta dare una spolverata agli ambienti – si affretta a dichiarare che sarebbero imminenti i lavori di ristrutturazione del centro: nuove telecamere di videosorveglianza, la creazione di varchi sicuri per l’accesso dei veicoli (in funzione deportativa?), la sostituzione delle attuali recinzioni di contenimento con barriere anti-scavalcamento (troppe evasioni?) e probabilmente la ristrutturazione dell’area rossa. In poche parole: aumentare l’efficienza del meccanismo di imprigionamento e deportazione.

In controluce, sostenute dalle vive parole di chi è recluso nell’inferno di Gradisca, si intuisce tutta la forza delle rivolte e delle evasioni.

Lo ripetiamo spesso, si tratta delle uniche forme di resistenza possibile dall’interno alla macchina della detenzione e della deportazione, dispositivi tuttavia contrastabili e infrangibili nonostante la loro apparenza di inattacabilità. Il 27 maggio dei grossi fuochi hanno investito l’area blu del CPR di Gradisca. In quei giorni erano in corso, come d’altronde avviene a ritmo settimanale dall’aeroporto di Trieste, le famigerate deportazioni per la Tunisia.

Succede lo stesso due giorni dopo. Sono gesti estremi, ma necessari, che spesso mettono a repentaglio anche chi li compie. È un tutto per tutto. In una cella si sentono male due ragazzi, sono a terra. Solo molto tempo dopo arrivano i sanitari, spaventati a morte – nonostante la scorta di celere eccitata alle loro spalle – come dovrebbe sentirsi chiunque collabori con il lager. I fuochi, per un secondo, forse accendono anche qualche briciolo di consapevolezza in chi si muove attorno e dentro queste strutture di morte, come gli operai-secondini salariati dalla cooperativa EKENE.

Ma la “buona impressione di ente gestore e forze di polizia” si rivela da moltissime altre cose. Dalle condizioni strutturali del centro (camerate scarne, tarate al minimo, senza alcun tipo di “servizio”, “sicuramente peggio di quanto questo centro era un CIE“, ci riferisce un recluso che si è fatto entrambe le versione della detenzione amministrativa) alla non-gestione sanitaria, nella totale assenza di interventi medici quando servono. “L’unica cosa che danno bene è la terapia, ci vogliono tutti drogati, rivotril, valium, gocce…“, ci dice un recluso. Pare che – per quanto riguarda la gestione psichiatrica – sia coinvolta direttamente anche ASUGI, l’azienda sanitaria locale, che svolge le visite psichiatriche e poi assegna le terapie. Ma il dosaggio della tortura è accuratamente somministrato: c’è chi viene riempito di terapia, c’è chi – pur avendo bisogno di uno specifico farmaco – viene imbottito di altre terapie che non regge, che gli fanno male. I CPR, come tutte le carceri, sono luoghi patogeni per natura.

Due persone, come già condiviso precedentemente, hanno finito per “fare la corda”. Non è bastato perché qualcuno rispondesse alle loro richieste. In un caso, dei compagni di cella hanno dovuto appiccare degli incendi, è l’unico modo perché qualcuno intervenga. E così, mentre un uomo giace a terra con la bava alla bocca, devastato per delle notizie personali, è arrivato un lavorante… per spegnere l’incendio.

L’impressione positiva avuta dalla parlamentare consiste, probabilmente, nello spegnimento di tutti i tentativi – individuali, collettivi – di ribellarsi contro la natura devastatrice e afflittiva di queste colonie dove la tortura è legalizzata.

– Ancora rivolta: fuochi, manganelli, sangue

La totale negligenza sanitaria, ed – oltre – la natura patogena stessa del CPR, è stata anche alla base dell’ultima rivolta nell’area blu. “Scusa il disturbo. Stanno massacrando delle persone qui. Perché stiamo chiedendo il nostro diritto per la sanità“, ci dicono.

E’ la sera del 5 giugno. Un recluso è a terra svenuto nella sua cella, in preda a dolori fortissimi. Nessuno gli presta aiuto, nonostante le ripetute richieste. Qualcuno sostiene che ha ingerito dello shampoo. Dopo una mezz’ora viene acceso un primo fuoco nella sua cella. A quel punto intervengono gli operatori e la polizia, spengono il fuoco e lo portano via in barella.

I fuochi si moltiplicano in tutta l’area blu, in solidarietà con quanto sta accadendo. Il corridoio delle celle è presidiato da guardia di finanza e polizia in antisommossa. Il recluso, dopo qualche schiaffo e una colluttazione avvenuta in infermeria, viene riportato in cella.

Si scaldano gli animi, i fuochi anche. Ci sono lanci verso la polizia, si verificano scontri. Gli idranti cercano di spegnere i fuochi, ma i getti sono anche destinati verso i reclusi e le stanze interne.

A quel punto inizia un intervento muscolare dell’antisommossa, che entra in alcune celle rincorrendo i detenuti e picchiandoli fortissimo, anche quando sono a terra. Dopo qualche minuto di scontri estremamente duri (“stiamo facendo la guerra contro loro“), l’insorgenza viene repressa. Bilancio: teste rotte e corpi ammaccati, senza però piegare l’insubordinazione e la voglia di lottare nei detenuti.

Due giorni dopo, infatti, erano ancora i fuochi da una cella dell’area blu a segnalare la condizione di reclusione del CPR: a due giorni dalla rivolta, dopo essere stato pesantemente malmenato – con ematomi e ferite dappertutto – un recluso non era ancora stato visitato in ospedale.

– Detenzione, repressione, deportazione (e solidarietà)

C’è una testimonianza che sentiamo spesso: quella di una cattività in gabbia – voluta da un ordine di trattenimento, convalidata da un giudice di pace distratto e dai burocrati dell’azienda sanitaria locale, resa possibile da Ekene e tutte le aziende complici della sua riproduzione – a cui corrisponde un totale abbandono. I cessi, il cibo, le cure, i letti: tutto è inservibile nel CPR di Gradisca. Chiuso in una cella, per lunghissime ore sei abbandonato in una situazione di totale subordinazione e al tempo stesso profonda indifferenza. Se stai male resti lì, fin quando qualcuno si degnerà – dopo qualche fuoco magari – a vedere cosa serve. Questa è la realtà della detenzione amministrativa.

Intervengono, invece, prontamente quando si tratta di reprimere o di deportare. Come accaduto di nuovo l’ultimo venerdì del mese, in direzione dell’Egitto; come accade settimanalmente per la Tunisia. Come si ripete – pescando nel mucchio, senza bisogno di charter, con voli commerciali – in chissà quanti altri casi di cui non veniamo a conoscenza.

In un caso, si è riusciti a ricostruire lo svolgimento di una deportazione anche grazie alla resistenza di chi si è fatto valere nell’ingranaggio della macchina delle espulsioni.

Un mercoledì, un recluso di Gradisca, con l’inganno, è stato avvertito di un imminente trasferimento verso Roma. Fatti i suoi bagagli, è salito tutto sommato tranquillo su una vettura di polizia. Dopo qualche ora si è però accorto che stavano andando in direzione di Bologna. In effetti, lo portano in un’area isolata dell’aeroporto, con il biglietto di rimpatrio già pronto. Quella in corso era una deportazione. “Mi volevano deportare con l’inganno“, ma “non vedevo il senso di condannarmi in quel modo per uno sbaglio” racconta. Lo fanno passare al controllo doganale e lo portano sulla pista, sotto l’aereo della compagnia Royal Air Maroc. Qui capisce di non avere nulla di perdere, dopo una vita passata in Italia con famiglia e una figlia piccola qui. Si rifiuta di salire, mentre attorno ignari passeggeri che si imbarcano iniziano a capire cosa sta accadendo. Anche a causa di questa attenzione, la polizia di scorta decide di non calcare la mano. Lo riportano in CPR, fa una nuova udienza in tribunale, un paio di giorni dopo questo tentativo di deportazione è libero. Un’altra storia di resistenza, in mezzo alle centinaia di altre storia anonime.

Il giorno successivo alla rivolta del 5 giugno, alcunx solidalx hanno portato un piccolo gesto solidarietà ai reclusi all’interno. Se spezzare i fili della solidarietà e della lotta è uno degli obiettivi della repressione, anche qualche fuoco pirotecnico nella notte può superare le mura (materiali e invisibili) della segregazione. I reclusi all’interno hanno risposto al grido di “libertà, libertà“.

La stessa libertà che per qualche minuto devono aver assaporato i 5 reclusi saliti sul tetto del centro nella serata di domenica 8 giugno. Immediatamente braccati dai carabinieri, hanno deciso di stare lassù per diverse ore. “Cosa vuol dire che siamo irregolari? Chi aveva il carcere ha fatto il carcere, ma ora perché siamo qui, in questo posto merda?” si chiedevano.

Che il grido di libertà possa un giorno alzarsi dalle macerie di tutti i CPR. La resistenza ai suoi sistemi di morte e deportazione, nel frattempo, continua: che si estenda a tutte le gabbie, le frontiere e i quartieri militarizzati che mantengono l’ordine coloniale della terra!

Al fianco di chi lotta ogni giorno: Libertà per tutti e tutte! Fuoco a CPR e frontiere!

https://nofrontierefvg.noblogs.org/post/2025/06/09/dal-cpr-di-gradisca-cronache-di-lotta-e-resistenza-dallinterno-del-lager/

NAPOLI: FACITEVE ‘E CAZZE VUOSTE!

Riceviamo e diffondiamo

Trovati a Napoli nelle macchine di due compagne dei dispositivi BO8CH composti da 2 microfoni + GPS collegati a scheda sim della Tim, ben infilati sotto la tappezzeria delle auto lato passeggero e alimentati tramite cavo alla batteria della macchina.

Alle orecchie impiccione che ci hanno ascoltato possiamo solo dire che ciò che più ci indispone è l’aver elargito le nostre spassosissime playlist musicali concedendo attimi di gioia alle vostre noiose vite infami.

CPR DI BARI PALESE: FUOCHI, RIVOLTE, SCIOPERI DELLA FAME E REPRESSIONE

La situazione nel Cpr di Bari è insostenibile, il caldo sta rendendo ancora più insopportabile le giornate già infernali.
Abbiamo già scritto della situazione insostenibile e delle lotte quotidiane nei Cpr Pugliesi: https://japrlekk.noblogs.org/post/2025/06/04/rivolte-scioperi-resistenze-ed-evasioni-nel-cpr-di-bari-e-brindisi/
Ma i racconti che ci arrivano in questi giorni sono critici: solo stamattina alle 11 B. ci ha raccontato che nel modulo 3 (uno dei moduli più represso e rivoltoso) sono stati accessi materassi (non sappiamo in che quantità) sempre nel modulo 3 un amico ci ha detto che in tutto il modulo non è arrivato il pranzo fino alle 15.

Sempre B. ci ha raccontato che nel suo modulo il cibo è arrivato tardi perché “qualcuno dei rivoltosi ” ha bloccato il carrello.  Anche oggi le guardie sono entrate nei moduli (non abbiamo capito se per picchiare o solo spaventare). Ma la lotta e la resistenza non si mostrano solo nel fuoco e nella violenza fisica. A. un caro amico del 2005 che purtroppo sentiamo rinchiuso da molto tempo in quel posto di merda, è in sciopero della fame da 8 giorni, (questo uno dei tanti intrapresi) fuma solo le sigarette (sigarette che quando possiamo mandiamo noi, una delle lamentele più grosse e motivo di rabbia di A. è che il centro non riesce mai a fornirli tabacco), ha entrambe le mani e le gambe ingessate, abbiamo parlato con un suo compagno di cella che dice che è completamente bianco, ed è molto spaventato per lui.

Prima e durante la sua prigionia è stato picchiato e torturato dalle guardie, è rimasto in isolamento per più tempo e subito vari abusi. A. minaccia di uccidersi da un po’ ormai, settimana scorsa in Tunisia gli è  morta la mamma.  Sa di essere rinchiuso lì per nessun motivo, come tuttx d’altronde. La violenza fisica e psicologica subita da A. è insostenibile, sentire la sua voce al telefono che peggiora ogni giorno fa rendersi conto della situazione. Stanno abbandonando a se stesso un ragazzino. I pochi sorrisi e cose felici che ci scambiamo per telefono, la contentezza di sentire dei fuochi d’artificio e sapere che sono per te,che qualcunx affronta la polizia lì fuori come chi è recluso affronta ogni giorno quelle merde, lottare insieme .
Sapere di qualcunx che ti porta un pacco e che è pronto ad ascoltarti come un amicx sono gesti importanti.

Importanti come un post su Facebook?
Questo non lo so, forse qualcosa è sempre meglio di niente(?). La pagina Mai più Lager ha pubblicato una foto di A. raccontando la sua storia, A. era consapevole e contento di questo, sa che è un modo di resistere , un modo di lottare. Da anarchicx priviliegiatx non lo condividiamo, ma da amici di A. e persone che vogliono il meglio per lui, siamo felici di questo.

Non ci sentiamo di screditare nessun tipo di lotta.
A. ci ha chiesto se avessi visto la foto, ed era molto contento, poi mi ha detto che se volevamo pubblicare anche noi sarebbe stato felice. Rispettiamo queste pratiche e le scelte delx opressx di lottare, ma ribadiamo che mostrare la presenza, la complicità e la solidarietà in modo concreto allx reclusx avrà sempre più forza.

A. NON SARÀ IL PROSSIMO ABEL!!
RESTIAMO VICINX ALX RELCUSX DI BARI, PARTECIPAMO AI SALUTI, ATTIVIAMOCI🐈‍⬛️!

LA FORZA PER RIBELLARSI ARRIVERÀ SOLO DA DENTRO, STA A NOI RACCOGLIERE LA LORO RICHIESTA!!
CHI È IN RIVOLTA CHIEDE IL NOSTRO SUPPORTO!
METTI IN GIOCO I TUOI DIRITTI!!!
FUOCO AI CPR
I CPR SI CHIUDONO COL FUOCO, SI CHIUDONO UNA VOLTA SI CHIUDONO DI NUOVO!

“:L’unico modo è fare come Torino…:”
“In che senso?”:
:”Col fuoco!:”
Discussione avuto con un amico recluso nel Cpr di Bari.
ARRIVERÀ IL CALDO!!
Stamattina un recluso ci ha chiamatx per dirci che stava accendendo un materasso per protesta e che se il giorno dopo il cibo non sarebbe cambiato avrebbe continuato fino a distruggere tutto. A qualsiasi ora nelle chiamate il caos e la rabbia è costante, tanto da rendere difficile la comunicazione.
CHE IL VENTO ALIMENTI IL VOSTRO FUOCO FRATELLI!🔥

AGGIORNAMENTI

Oggi più moduli ci hanno confermato delle rivolte e dei fuochi accesi. F. ci ha raccontato che dopo aver protestato nel proprio modulo è stato trasferito nel modulo 7 e lì è stato picchiato da una quindicina di persone, a detta di F. con la complicità, anzi un vero e proprio pestaggio commissionato da parte del capo dei carabinieri. È la prima volta che ci raccontano di questo ma F. è convinto che sia un modo per punire chi si ribella.  Su questo non sappiamo la verità, ma una cosa che accade spesso è che le persone con cui siamo in contatto, spesso le più ribelli, vengono spesso spostate di moduli con dinamiche non sempre chiare e questo crea delle rotture nei rapporti non indifferente, un ennesima tortura per chi si ribella! Appena possibile abbiamo deciso di portare un saluto a gli amici che ci stavano aspettando e sapevano del nostro arrivo!

Per la vostra vendetta! Per la vostra libertà!

CAMPAGNA “DATE I NUMERI” SULLE CONTENZIONI IN TOSCANA

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Nel 95% dei 329 reparti psichiatrici ospedalieri legare i pazienti è ancora un’attività abituale. In Italia continuano a essere legati a un letto anche i minorenni. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità la contenzione meccanica provoca danni fisici e psicologici. Ogni reparto dovrebbe custodire un registro delle contenzioni meccaniche. Ma a oggi non è possibile una raccolta completa delle statistiche. A un monitoraggio del 2024 quasi metà delle regioni non ha risposto o ha comunicato di non detenere dati sulle contenzione meccanica a livello regionale.

Tra queste, la Regione Toscana.

EPPURE
– nel 2010 la conferenza delle regioni ha raccomandato di «monitorare a livello regionale il fenomeno delle contenzione attraverso la raccolta sistematica di dati di qualità tale da consentire di predisporre azioni migliorative».
– Nel 2022 l’intesa tra Stato, Regioni e Province autonome si è posto l’obiettivo di superare la contenzione meccanica entro il 2023; ha stanziato 60 milioni di euro destinati, tra l’altro, a «conoscere e monitorare la contenzione».

DATE I NUMERI!
Quanto si lega nei reparti psichiatrici? Per quante ore? O giorni? O settimane? Quanti adulti vengono legati? Quanti bambini?
Chiunque deve sapere cosa succede nell’inferno dei reparti psichiatrici.
Affinché questa pratica disumana venga abolita!

Per Francesco Mastrogiovanni, Elena Casetto, Wissem Abdel Latif e tanti altri.
Morti perché legati in un reparto psichiatrico.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

AGGIORNAMENTI DAL CPR DI PALAZZO SAN GERVASIO

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Nelle ultime settimane la temperatura nella campagna che avvolge il Cpr di Palazzo San Gervasio è salita di tanti gradi. La vita della stagione del pomodoro inizia a popolare i bar e la zona. Come avviene ogni anno da maggio a ottobre i mezzi militari che fendono quotidianamente il paesaggio si alternano con quelli agricoli. Il vociare dei campi e i rombi assopiscono il silenzio nel quale il Cpr è catapultato durante i lunghi inverni lucani.
L’inverno che si è appena chiuso è stato un inverno in cui la macchina della criminalizzazione ha colpito forte le aree lucane di lavoro agricolo. In particolare nel Metapontino dove sgomberi, controlli e arresti si sono ripetuti continuativamente, alcune persone residenti nei casolari o nelle zone del Metapontino sono state fermate e portate nel Cpr di Palazzo. Tra questi fermi e trasferimenti, anche quello di un signore senegalese che è rimasto per un mese nel Cpr nonostante problemi psichiatrici accertati e l’azione di denuncia delle realtà che animano la zona e lo conoscevano. Tutte azioni di sgombero e bonifica finalizzate alle campagne elettorali borghesi e all’apertura della stagione turistica.
Nell’area dell’Alto Bradano, dove si trova Palazzo San Gervasio, l’ex Tabacchificio, l’anno scorso sgomberato e per il quale quest’anno è stato pubblicato il nuovo bando di gestione, resta decadente e sotto sorveglianza H24.

Nelle ultime settimane i rapporti con il dentro sono aumentati. Si è parlato con tante persone tra cui alcune trasferite a Palazzo San Gervasio dopo le rivolte nel Cpr di corso Brunelleschi e quattro persone palestinesi.
Le persone dentro muoiono di fame. Ogni giorno il pulmino bianco che, anonimo, fa la spola dal centro cottura al cpr porta dentro pasti immangiabili con l’intento di deteriorare il corpo e l’anima delle persone.
Quotidianamente il risuono del nome Officine Sociali sui vestiti delle persone che lavorano dentro, si vede nei bar o in strada. Officine sociali, cooperativa che è in attesa dell’ufficialità del nuovo affidamento della gestione del Cpr, nonostante sia stata definita non idonea alla gestione dei centri in altre città di Italia  e nonostante Oussama Darakaoui sia morto nei primi giorni di agosto 2024 (tra il 5 e il 6) dentro quelle  mura nel pieno della gestione della stessa cooperativa.
Le guardie urlano i numeri identificativi, quando alla consegna dei pacchi chi dalla cella si affaccia sul parcheggio dove si sosta e chiede se c è un pacco anche per lui, gli urlano tu chi sei? Se in risposta viene dato il proprio nome, viene chiesto l’id. Questi, a riprova della deumanizzazione e annullamento che avvengono all’interno dei cpr.
Da due settimane un sacco trasparente con roba dentro è abbandonato davanti al muro del Cpr, il numero identificativo scritto su un pezzo di scotch carta è ancora la.
La solidarietà tra compagni di cella è forte.
Arrivera la notte, quando dalla Bradanica invece della luce dei fari da stadio, si vedrà fuoco macerie e libertà per tuttx.

In regione la repressione è forte, le notifiche continuano ad arrivare, e si continua a giocare a guardie e ladre.
Solidarietà a tuttx lx compagnx che vengono affaticatx dalla macchina repressiva, dal 4 giugno ancora più forte.

Vendetta per Ozaro, Oussama, Rabi
Vendetta per tutte le vittime di stato

MILANO: PRESIDIO IN TRIBUNALE PER LA SENTENZA DEL PROCESSO PER IL CORTEO DELL’11 FEBBRAIO CONTRO IL 41 BIS

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Martedì 10 giugno ci sarà la sentenza del processo per il corteo dell’11 febbraio. Le richieste di pena per lx imputatx vanno dai 6 mesi a 6 anni, con le accuse di resistenza aggravata (anche in concorso morale), travisamento, lancio di oggetti e concorso morale in danneggiamento.

Per un anno lo sciopero della fame di Alfredo Cospito contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo ha dato luogo a centinaia di iniziative e mobilitazioni e quel corteo è avvenuto contestualmente al ricovero in ospedale di Alfredo. La determinazione e la forza di chi per mesi ha lottato contro il 41 bis ora è sotto processo, qua come altrove, con richieste di pena allucinanti, nel tentativo di reprimere la forza che quelle mobilitazioni hanno espresso.

Martedì abbiamo deciso di trovarci alle h.11 in presidio davanti al tribunale di Milano (ingresso di corso Porta Vittoria), in solidarietà allx nostrx compagnx!

Libertà per tuttx

DA PALAZZO SAN GERVASIO A NAPOLI: AGGIORNAMENTI SULLE LOTTE CONTRO CPR ED ESPULSIONI IN BASILICATA E AL SUD

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DA PALAZZO SAN GERVASIO A NAPOLI
aggiornamenti sulle lotte contro CPR ed espulsioni in Basilicata e al Sud + cena benefit

Il CPR (centro di permanenza per il rimpatrio) di Palazzo San Gervasio è una prigione per chi non ha  documenti europei, un luogo di detenzione prima della deportazione. È a un paio d’ore da Napoli, in provincia di Potenza e sul confine con la provincia di Barletta-Andria-Trani in mezzo alla campagna, dove diverse persone migranti lavorano come braccianti stagionali. Tra i vari CPR che ci sono in Italia (e ora pure in Albania), quello di Palazzo è particolarmente isolato, si sa poco di quello che succede dentro. È anche per questo che viene usato dallo stato come CPR punitivo: una parte dei rivoltosi che hanno fatto chiudere una sezione del CPR di Torino il 22 maggio sono stati portati proprio a Palazzo.

Il CPR di Palazzo, come tutti i CPR, è un luogo di violenza e di morte. Le poche notizie che escono parlano di abusi quotidiani da parte delle guardie e di psicofarmaci a non finire per fare star calmi i reclusi. Qui il 5 agosto 2024 perde la vita Oussama Darkaoui, massacrato dalle guardie e lasciato morire. Dopo questo ennesimo assassinio di stato, i suoi compagni di prigionia hanno dato vita a una grossa rivolta, duramente repressa.
Ma chi è rinchiuso non ha mai smesso di battersi, salendo sui tetti, evadendo e ribellandosi.

Il CPR di Palazzo, come tutti i CPR, è anche un business per chi collabora al suo funzionamento, in un territorio in cui di lavoro e di soldi ce ne sono pochi. Questi soggetti a volte esagerano persino per i tribunali borghesi: vari medici, avvocatx e la società che gestiva il cpr sono attualmente sotto processo per maltrattamenti, violenze e truffe all’interno del centro. Quegli stessi tribunali però sono molto efficaci nel reprimere chi, da fuori, tenta di rompere l’isolamento dei reclusi. Questi ultimi anni, una serie di denunce e di processi hanno colpito compagne e compagni che lottano contro il CPR di Palazzo San Gervasio, per spezzare ogni forma di solidarietà.

A Napoli la normalizzazione delle “zone rosse” trasforma alcune zone della città, come Garibaldi, in anticamere delle deportazioni nei CPR più vicini, ed espone le persone più povere e vulnerabili a controlli arbitrari sulla base del colore della pelle. Complici con chi si ribella contro il razzismo di stato, dentro e fuori dalle mura dei CPR, pensiamo che da Napoli possiamo dare un contributo per rafforzare le lotte contro il CPR di Palazzo San Gervasio e contro la macchina delle deportazioni.

Ci vediamo martedì 10 giugno ore 18,30 al terzo piano autogestito (via monteoliveto 3, Napoli) : accoglieremo dellx compagnx dalla Basilicata e dalla Puglia per una discussione sulla situazione attuale, e a seguire cena benefit.

APPELLO URGENTE ALLA SOLIDARIETÀ CON IL COMPAGNO PAOLO TODDE IN SCIOPERO DELLA FAME (ITA/ENG/ESP/FRA)

Condividiamo e rilanciamo l’appello (in italiano e tradotto) alla solidarietà diffusa con Paolo Todde, compagno anarchico attualmente al 30° giorno di sciopero della fame contro le condizioni detentive del carcere di Uta. Il 9 giugno alle 18.30 è stato chiamato un presidio in Piazza Costituzione (Cagliari): sempre dalla parte di chi lotta, sosteniamo Paolo e lx detenutx di Uta!


Testo in italiano

Il compagno sardo Paolo Todde, già colpito dalla repressione nella prima metà degli anni 2000 per l’inchiesta contro il vecchio FRARIA di Cagliari, attualmente prigioniero in custodia cautelare con l’accusa di rapina dal 23 ottobre 2024 e già prigioniero pochi anni fa sempre con l’accusa di rapina a mano armata, ha iniziato il 25 aprile uno sciopero della fame insieme ad altri prigionieri per protesta contro le condizioni di vita del carcere di Uta (CA). L’intervento dei garanti con le loro vuote ed inutili promesse ha fatto sì che lo sciopero collettivo venisse interrotto dopo meno di una settimana, ma Paolo ha deciso di riprenderlo da solo l’8 maggio con il chiaro intento di portarlo avanti ad oltranza.

Specifichiamo che Paolo ha più di sessant’anni e ha iniziato lo sciopero della fame partendo da un peso corporeo di soli 61kg.

Paolo condivide con noi il sogno di mille cose: una Sardegna libera, l’odio per le galere e la società che le produce e non è mai stato indifferente di fronte alle continue violenze e prevaricazioni delle forze d’ occupazione coloniali. Per lo Stato farlo tacere o eliminarlo serve da monito per chi combatte contro il sistema e per tutti i prigionieri che si ribellano alla galera. Per questo è sottoposto a continue provocazioni e infamie da parte delle guardie penitenziarie, come il blocco arbitrario della corrispondenza, l’ingresso di denaro, non permettergli di effettuare le videochiamate con la scusa che non c’è linea, portarlo con grande ritardo ai colloqui e fare cadere nei secchi in cui lava gli indumenti i libri, la corrispondenza e tutto ciò che può rovinarsi, etc.

Tutte queste violenze si aggiungono alla situazione che vivono tutti i detenuti e che Paolo denuncia da mesi. Infatti, a Uta, l’acqua non è potabile, non può essere utilizzata neppure per cucinare, dopo che l’amministrazione l’ha mescolata al cloro per eliminare il grave inquinamento da colibatteri fecali che la rende inadatta anche per l’igiene personale. Le celle sempre sovraffollate (sono rinchiusi 140 prigionieri in più della capienza massima) sono chiuse 22 ore al giorno. L’accesso alla biblioteca e al campo di calcetto sono contingentati. Le temperature estive del sud Sardegna raggiungono spesso i 43 gradi. L’assistenza sanitaria è inesistente, le provocazioni della polizia penitenziaria sono continue tanto sui prigionieri che sui loro familiari e spesso si traducono in pestaggi.

Una vita di questo genere è insopportabile per qualunque essere umano, e ancora di più per chi in tutta la sua vita non ha mai piegato la testa ed è sempre stato solidale con i nemici del sistema a partire dal Comitato di Solidarietà con il Proletariato Sardo Prigioniero Deportato oltre 30 anni fa. Paolo, come l’anarchico rivoluzionario Alfredo Cospito, ha deciso di utilizzare il suo corpo come una barricata, iniziando, a rischio della propria vita, una lotta immensa che potrà conseguire risultati solo se saremo in grado di condurre, con la stessa determinazione, una mobilitazione di solidarietà rivoluzionaria e internazionale.

Ribadendo la nostra solidarietà ed il nostro impegno ad estendere la lotta perché l’amministrazione non possa avere pace, ricordiamo ai funzionari, alla polizia penitenziaria e ai vari garanti dei detenuti tutti corresponsabili della situazione attuale che gli oppressi hanno una lunga memoria e che se a Paolo dovesse accadere qualcosa, dovranno assumersene tutte le conseguenze.

Non lasciamo solo Paolo in questa sua battaglia.

Chi volesse anche scrivergli può farlo al seguente indirizzo:

Paolo Todde
C.C. “E. Scalas”
09068 Uta (CA)

Alcuni Anarchici Sardi e altri compagni di Paolo


Text in english

CALL FOR SOLIDARITY FOR COMRADE PAOLO TODDE ON HUNGER STRIKE

The Sardinian comrade Paolo Todde, already hit by repression in the first half of 2000 for the investigation against the old anarchist social club FRARIA in Cagliari, currently in remand with robbery charge since 23 October 2024 and already arrested a few years ago with armed robbery charge, began a hunger strike on 25 April along with other prisoners to protest against the living conditions of the prison in Uta (Sardinia). The intervention of the guarantors with their empty and useless promises caused the interruption of the collective strike after less than a week. Paolo decided to resume it alone on May 8 with the clear intention of carrying it to the bitter end.

We specify that Paolo is over sixty years old and started the hunger strike with a body weight of only 61 kg.

Paolo shares with us a thousand dream: a free Sardinia, the hatred against jails and the society that produces them and has never been indifferent to the colonial occupation forces’violence and prevarications. To silence or to eliminate him for the State is a warning for those who fight against the system and for all prisoners who rebel inside prisons. For that reason he’s subject to provocations and infamies by the prison guards, such as the arbitrary block of correspondence and of the entry of money. They don’t allow him to make video calls with the excuse that there is no line, they bring him with great delay to the talks and drop his books, his letters and everything that can be ruined in the buckets where he washes clothes.

All these violences add up to the situation that all the prisoners live and that Paolo’s reporting since months. In fact, in Uta, water is not potable, it can’t be used even for cooking after the administration has mixed it with chlorine to eliminate the serious pollution from fecal colibacteria that makes it unsuitable also for personal hygiene. The always overcrowded cells (140 more prisoners than the maximum capacity of the jail are locked up there) are closed 22 hours a day. Access to the library and the soccer field are limited. Summer temperatures in southern Sardinia often reach 43 degrees. There is no healthcare and the prison police are constantly provoking prisoners and their families, and doing beatings against pridoners.

This kind of life is unbearable for any human being, and is even more umbearable for those who in their entire lives have never bent their heads and have always fight in solidarity with the enemies of the system starting from the Committee of Solidarity with the Sardinian Proletariat Prisoner Deported. Paolo, like the revolutionary anarchist Alfredo Cospito, has decided to use his body as a barricade, starting, risking his own life, an immense struggle that can only achieve results if we are able to lead, with the same determination, a mobilization of revolutionary and international solidarity.

We reaffirm our solidarity and our commitment to extend the struggle so that the administration have no peace. We remind that officials, the penitentiary police and the various guardians of the prisoners are co-responsible for the current situation and that the oppressed people have a long memory. If something will happen to Paolo, they must assume all consequences. Let’s not leave Paolo alone in this struggle.

Anyone who’d like to write to him can write at the following address:

Paolo Todde
C.C. “E. Scalas”
09068 Uta (CA), Italy

Some Sardinian Anarchists and other Paolo’s comrades


Texto en español

LLAMADA A LA SOLIDARIDAD CON PAOLO TODDE EN HUELGA DE HAMBRE

El compañero sardo Paolo Todde, golpeado por la represión a inicios de los 2000 por la operación contra el Fraria de Cagliari, actualmente en prisión preventiva acusado del atraco del 9 de octubre de 2024 (atraco a un local de apuestas en Sestu), inició el pasado 25 de abril junto a otros presos una huelga de hambre para protestar por las condiciones de vida en la cárcel de Uta (Cagliari). La intervención de los garantes (figura similar al Defensor del Pueblo), con sus promesas vacías e inútiles, provocó que la huelga se viese interrumpida al de una semana. Pero Paolo ha decidido reanudarla el sólo, a partir del 8 de mayo, con la intención de llevarla hasta el final. Señalamos que Paolo tiene 64 años y que ha iniciado la huelga de hambre con un peso corporal de sólo 61 kgr.

Paolo comparte con nosotrxs el sueño de mil cosas como una Cerdeña libre o el odio por las cárceles y la sociedad que las produce, y no ha sido indiferente frente a las continuas violencias y vejaciones de las fuerzas de ocupación colonial (colaboró con el Comite de Solidaridad con el Proletariado Sardo Deportado que prestó apoyo a presxs sardxs dispersadxs en cárceles italianas a finales del siglo XX). Para el Estado doblegarlo o eliminarlo sirve de aviso para quien combate contra el sistema y para todxs lxs presxs que se rebelan frente a la prisión. Por eso (Paolo) ha sido sometido a continuas provocaciones por parte de los carceleros, como el bloqueo arbitrario de la correspondencia o los ingresos de dinero, no permitirle hacer videollamadas con excusas, conducirle con retraso a las visitas, le han tirado sus libros y el correo a los húmedos cestos de la ropa sucia, etc.

Toda esta violencia se suma a la situación que viven los presos y que Paolo lleva meses denunciando. En Uta el agua del grifo no es potable, después de que la administración la mezclò con cloro para eliminar las bacterias fecales que impedían su uso incluso para la higiene personal, ahora no puede usarse ni para cocinar. Las celdas están superpobladas ( hay 140 presos más de la capacidad máxima de la prisión) y están encerrados 22 horas al día. El acceso a la biblioteca y al campo de fútbol se concede a cuentagotas. Las temperaturas veraniegas en el sur de Cerdeña alcanzan los 43 grados. La asistencia sanitaria es inexistente. Las provocaciones de la policía penitenciaria sobre los presos y sus familiares son constantes y a menudo se traducen en palizas. Está vida es insufrible para cualquier ser humano y lo es aún más para quien nunca ha agachado la cabeza y siempre ha luchado en solidaridad con los enemigos del sistema, empezando con el Comité de Solidaridad con el Proletariado Sardo Deportado.

Paolo, cómo el revolucionario anarquista Alfredo Cospito, ha decidido usar su vida como barricada, arriesgando su propia vida, ha iniciado una lucha que solo puede lograr resultados si nosotrxs somos capaces de llevar a cabo con la misma determinación una movilización de solidaridad revolucionaria e internacional. Reafirmamos nuestra solidaridad y compromiso para extender la lucha de modo que la administración no tenga paz. Recordamos que los oficiales, la policía penitenciaria y los diferentes tipos de carceleros son corresponsables de la situación y que la gente oprimida tiene buena memoria. Si algo le pasa a Paolo tendrán que asumir todas las consecuencias. No dejemos a Paolo solo en esta lucha.

Cualquiera que quiera puede escribir a Paolo a la siguiente dirección:

Paolo Todde
CC E. Scalas
Zona industriale Macchiareddu 19
09010 Uta (CA)
Sardegna (Italia)

Algunxs anarquistas sardxs y otros compañerxs de Paolo

**Paolo Todde es un conocido compañero sardo de 64 años. Ha participado en diversas iniciativas solidarias y en círculos antimilitaristas y anarquistas de Cagliari. En 2004 fue arrestado en relación al ataque a una sede de Forza Italia y en 2005 en la operación contra el círculo anarquista Fraria de Cagliari. En octubre de 2017 fue detenido tras un atraco a una oficina postal y desde el 23 de octubre de 2024 está en prisión preventiva por el atraco a una casa de apuestas.


Texte en français

Appel urgent à la solidariété avec le camarade Paolo Todde en grève de la faim

Le camarade sarde Paolo Todde a eté déjà frappé par la répression dans la prémiere moitié des années 2000, par l’enquête contre le vieux collective FRARIA de Cagliari (Sardaigne).

Dans les dernières années a eté accusé de braquage et a fait 4 ans de prison; maintenaint il se trouve en détention provisoire à partir du 23/10/2024, accusé d’un nouveau braquage.

Le 25 de avril il a commencé une grève de la faim avec des outres prisonners, pour protester contre les conditions de vie dans la prison de Uta (Cagliari).

L’intervention des médiateurs de la prison et leurs promesses vides et sans valeur a provoqué l’interruption de la grève collective, après moins d’une semaine, mais Paolo a pris la decision de réprendre la grève tout seul, le 8 mai, avec l’intention de le lever à outrance.

On veut préciser que notre camarade a 64 ans et quand il a commencé cette grève il ne pesait que 61 kg. Paolo partage avec nous le rève de mille choses: une Sardaigne liberée, la haine envers les prisons et la société que les produit, il n’est jamais eté indifférent face à les violences continuelles et les prévarications des forces d’occupation coloniales. Du côté du état faire taire Paolo, ou l’éliminer, serve d’avvertissement à qui lutte contre cet système et à tous les prisonniers qui luttent contre les prisons. C’est pour ça qu’il subit provocations continuelles et sales coups par les gardiens de prison, par exemple: lui bloquent la corréspondance; lui bloquent l’argent; lui bloquent les appelles vidéo sous le prétexte de l’absence de réseau; l’emmenent en retarde aux visites carcélaires, jusqu’a quand ne manquent que 10 minuts (en lieu d’une heure); pendant les perquisitions les gardens font tomber dans les seaux pour laver les habilles ses livres, sa corréspondace et tout ce que peut se ruiner etc.

Toutes ces violences s’ajoutent à à la situation que les emprisonnés vivent et que Paolo dénonce depuis des mois. En fait, l’eau n’est pas potable, on peut même pas l’utiliser pour cuisiner parce que l’administration pénitentiaire l’a melangée avec du chlore pour éliminer la forte pollution provoquée par les bactéries coli fécaux; pour ça l’eau n’est même pas utilisable pour l’hygiène personnel. Les cellules sont toujours superpeuplées (140 prisonniers en plus de la capacité maximale) et fermées 22h par jour. L’accès à la bibliothèque et au terrain de foot est accordé au compte-gouttes. Les temperatures estivales dans le sud de la Sardaigne touchent souvent les 43°. L’assistance sanitaire est inéxistante, les provocations de la police pénitentiaire sont continuelles vers les prisonniers, et ses familiares et souventelles se traduisent en tabassages.

Une vie comme ça est pénible pour n’importe qui, mais encore pire pour qui dans sa vie n’a jamais plié la tête et a eté toujours solidaire avec les ennemies du système: à partir du Comité de Solidarieté avec le Proletariat Sarde Prisonnier Deporté (CSPSPD), plus de 30 ans avant.

Paolo, comme l’anarchiste révolutionnaire Alfredo Cospito, a decidé de utiliser son corps comme une barricade. Il a mis en risque la vie, et a commencé une lutte que peut apporter des résultats seulement si on créera une mobilitation de solidarieté révolutionnaire et internationale avec la  même determination.

En reaffirmant nôtre solidarieté et nôtre engagement pour élargir la lutte, avec le but de ne jamais laisser tranquille l’administration pénitentiaire, nous rappelons aux fonctionnaires, à la pénitentiaire, et aux médiateurs de la prison, tous corrésponsables de la situation actuelle, que les oppressés ont bonne mémoire et que, si jamais ça va arriver quelque chose à Paolo, ils devront s’assumer tous les conséquences.

Ne laissons pas Paolo tout seul dans sa lutte.

On peut lui écrire à l’addresse:

Paolo Todde
CC E. Scalas
Zona industriale Macchiareddu, 19
09010 Uta (CA)
Sardegna (Italia)

Quelques anarchistes et autres camarades de Paolo


Manifesti

 

BOLOGNA: PARCO DON BOSCO. BOLLETTINO E BILANCIO AL 7 MAGGIO 2025

Riceviamo e diffondiamo:

PARCO DON BOSCO: MR. SBATTI LEGALI NON FA PASSI DI LATO. BOLLETTINO E BILANCIO AL 7 MAGGIO 2025

03 aprile 2024.
Bologna, Parco Don Bosco. Mattina presto. Facce assonnate e tè caldo. Si parlotta e si scherza, tensione nell’aria, unx giovane ghirx sbadiglia su un pioppo. Arrivano le camionette, quante ce n’erano? La digos inizia già a filmare. Qualcunx ci parla, chi davvero, chi per scherzo… presto avrebbero invaso i confini del parco che proteggevamo. Le ore passano rapide scandite da grida: “Attenti! Sono entrati di là!”, “Facce schifose”, “Mi fai male!”, “Daje regaaa”. In quel prato verde le creature volevano ancora giocare a tiro alla fune, allo sparviero, all’arrampicata, a guardie e ladri. Vinsero lx ladrx mentre gridavano: “Fuori! Gli sbirri! Dal Don Bosco!”.

03 aprile 2025. La natura del Parco Don Bosco fiorisce per un’altra primavera ancora, ma un’ombra grigia si aggira tra condomini e cantieri, turbando il risveglio delle creature dopo il riposo invernale. Anche le indagini per i fatti relativi al 20 giugno sono state concluse, e la figura del Signor Sbatti Legali di cui abbiamo parlato qualche mese fa ha preso la sua forma definitiva, mostrandosi in tutta la sua arroganza: un decreto penale di condanna per il 29 gennaio, una condanna in primo grado a seguito del vergognoso pestaggio ad unx di noi da parte dei carabinieri la notte seguente al 3 aprile, due fogli di via da Bologna, tre daspo dagli eventi sportivi applicati “fuori contesto” con obbligo di firma in questura, 23 persone denunciate per le giornate di lotta del 3 aprile e del 20 giugno. Vengono contestati i reati di oltraggio, resistenza e aggressione a pubblico ufficiale, omesso preavviso di manifestazione pubblica, travisamento, rifiuto di identificarsi, lancio di oggetti, interruzione di pubblico servizio. Il tutto aggravato dal concorso con altre creature, perché non eravamo mica pochx, ma uno sciame a difesa degli alberi.

Eccoci, dunque, ancora qui. Nell’attesa che Mr. Sbatti Legali convochi tra qualche mese lx imputatx all’udienza preliminare, continuiamo a tracciare sul cemento di questa città una linea, la traccia di una storia che, seppure irregolare, tutt’oggi si scrive.
I ricordi di notti stellate tra i rami rimangono vividi, le cicatrici nei corpi e nei cuori bruciano ancora. È tempo che le creature si siedano attorno al fuoco per trarre un bilancio di quello che è stato il presidio a difesa del Parco Don Bosco.

Giocare è una cosa tremendamente seria, come la lotta; lo sapevamo allora e lo sappiamo ancora meglio adesso.

Per cosa ci battevamo il 20 Giugno? Per il parco? Certo. Per gli alberi? Ovviamente. Contro il tram? Forse. Il passaggio dal “No al progetto per le nuove scuole Besta” all’opposizione ai lavori per la tranvia non era scontato. Basti pensare a metà marzo 2024, quando la comunità del parco assistette inerme e confusa al primo taglio di alberi armato sul terrapieno di Via Serena, propedeutico al cantiere della linea rossa. Non c’è mai stata nei sei mesi del presidio permanente una riflessione condivisa sulla contestazione al progetto del tram, ma i tre mesi che hanno separato marzo e giugno sono stati sufficienti per rendersi conto che la favola di un trasporto pubblico più green non vale il taglio di un albero, né al Don Bosco né altrove. Ci pare che questo sia un aspetto positivo, che racconta di come una comunità in lotta si trasformi e maturi man mano che gli eventi procedono, e con essi cresca e prenda consapevolezza di sé e dei valori per cui battersi.

Se non ci fosse stata la resistenza del Comitato Besta, delle creature del parco, dei collettivi cittadini e di tutte quelle persone e figure leggendarie che animavano il presidio, non avremmo visto nessun passo di lato da parte del sindaco, nessuna ritirata da parte delle guardie il 3 aprile, ma solo una grossa colata di cemento sul parco. Chi oggi si trova imputatx, verrà giudicatx per azioni compiute per ragioni che hanno già vinto sul piano politico pubblico, dal momento in cui l’amministrazione ha compiuto il suo “passo di lato” bloccando un progetto di scuola ingiustificabile e insostenibile nonostante le sue stesse bugie. Invece i cantieri della tranvia proseguono, collassando la viabilità urbana e portando a un aumento di più del 50% il costo dei biglietti per il trasporto “pubblico”. Peccato che quella pista ciclabile green che avrebbe dovuto affiancare i binari di Via Aldo Moro, costata la vita ad alberi sani e adulti e qualche osso rotto ad indomite creature, non sia mai stata realizzata. Al suo posto… lo stesso marciapiede rinnovato e lo stesso terrapieno, su cui svettano oggi giovani alberi appena piantumati che impiegheranno decenni a ripristinare il ruolo ecosistemico che avevano i loro predecessori. Anche la logica ingannevole delle compensazioni si mostra nella sua ridicola limitatezza.

Il presidio al Don Bosco ha messo in seria crisi la governance cittadina. Non ha raggiunto potenzialità destituenti, ma in prospettiva ne ha avute: il moltiplicarsi dei comitati cittadini, la solidarietà proveniente da tutta Italia, gli strani e inattesi legami di complicità che si stringevano al parco. Tutto ciò ha aperto lo spiraglio di una contestazione non solo al progetto delle Nuove Scuole Besta, ma alle modalità della trasformazione urbanistica tout court. Ma anche oltre il piano locale, gli esempi di lotte territoriali sono innumerevoli e costellano tutto lo spazio nazionale. Dalla Val Susa allo Stretto di Messina, da Gallarate a Vicenza, che sia per la difesa del verde urbano o contro opere infrastrutturali e strategiche, dovunque si odono i sussurri o le grida di chi pretende e pratica modi diversi di abitare i territori. Sta a noi mettere in relazione queste esperienze e queste voci per inceppare il meccanismo di questa macchina in avaria.

La violenza subita al parco e la repressione che ne è seguita vanno comprese alla luce di questi ultimi aspetti, ma storicamente non rappresentano una novità o una variabile. Il tentativo è stato quello di disinnescare “l’effetto Besta”, scongiurare nuove “commistioni pericolose” e spezzare i legami di solidarietà attraverso il solito braccio forzuto di uno Stato sempre più armato, levatosi a difesa e con la complicità di un’inquietante amministrazione di sinistra, il cui consenso è sempre più fragile. Una debolezza di senso svelata nelle scioccanti scene in cui le forze dell’ordine si aggrappano alle gambe nude di persone arrampicate sugli alberi. Ecco la stupidità ingiustificabile di chi è cieco e sordo, in contrapposizione agli sguardi spaventati e i sussurri di incoraggiamento provenienti dallx bambinx delle scuole Besta, che ci guardavano incredulx attraverso il cortile.

A riprova di quanto fosse pericolosa la commistione che si era creata al parco (citazione letterale del preoccupato Questore), la mano della legge ha estratto dalle varie aree che formavano l’eterogenea composizione del presidio: tra le persone denunciate troviamo studentx delle superiori, dei vari collettivi politici, quasi tuttx giovanissimx e non riconducibili al volto pubblico del comitato. Un paio di persone per area sono state isolate, e poi colpite. Nonostante queste tattiche divisive, stiamo assistendo all’effetto opposto all’isolamento: la solidarietà come arma trasversale, orizzontale e universale.

Siamo consapevoli che i mesi trascorsi dalla fine del presidio abbiano lasciato in moltx un vuoto difficile da colmare. Ma crediamo anche che tante delle energie che avevano trovato nel parco un luogo in cui confluire scorrano ancora per le vie di Bologna: le occupazioni studentesche, le rivolte per Ramy, le manifestazioni contro il genocidio palestinese e tutte le guerre colonialiste, i movimenti contro la precarietà abitativa e salariale, le piazze contro la violenza di genere e il patriarcato o le politiche securitarie, sono i segni di un quadro che si stravolge. Forse quel vuoto non chiede di essere riempito con le risposte corrette, ma con le giuste domande.

L’esito del processo giudiziario dipenderà anche da quella variegata comunità e dalla sua capacità di ribaltare nuovamente i rapporti di forza e restare unita. Una lunga attesa ci si para davanti: anni di una lentezza giudiziaria inconciliabile con l’incalzare frenetico del sistema capitalista. Di questo ritmo rallentato vogliamo fare tesoro, calandoci nei ricordi e passandoli alla memoria collettiva, affinché possano ispirare futuri orizzonti di lotta.

Creature contro la repressione
7 maggio 2025

DENY, DEFEND, DON BOSCO!

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Causale: “Sostegno spese legali vertenza ecologista
parco Don Bosco”


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Parco Don Bosco_bollettino_7_maggio