LA SOCIETÀ INDUSTRIALE E IL SUO FUTURO

Il 10 giugno 2023 è morto in una prigione federale statunitense Ted Kaczinsky. Ci fa rabbia che dopo anni tra i boschi sia stato costretto a finire i suoi giorni in una cella. Al di là delle spettacolarizzazioni da tribuna social e dei feticismi di chi non sa stare senza idoli, vogliamo solo dire che il suo ricordo, i suoi scritti e le sue azioni resteranno vive a lungo nei cuori di chi si rivolta.

Qui il pdf di La società industriale e il suo futuro, T. Kaczynski.

TORINO: APPELLO ALLA PRESENZA SOLIDALE DAVANTI AL PALAZZO DI GIUSTIZIA

Lunedì 19 giugno, presso la Corte d’assise d’Appello di Torino, si terrà l’udienza per il ricalcolo delle condanne per gli anarchici Anna Beniamino e Alfredo Cospito, nell’ambito del processo “Scripta Manent”.

Per quanto la Corte Costituzionale abbia dato indicazioni sulla possibilità di considerare alcune  attenuanti in questo ricalcolo, Anna rischia ancora una sentenza a più di 20 anni e Alfredo l’ergastolo.  Fattore non secondario: la giudice che aveva accettato l’eccezione sollevata dalla difesa degli imputati di ricorrere ad una consulta della Corte Costituzionale (rivelando così magari una sua predisposizione a  recepire l’indicazione di tale organismo) nel frattempo è andata in pensione e non si può prevedere come il giudice che presiederà l’udienza intenda comportarsi.

Di questo processo abbiamo già detto molto, soprattutto grazie allo sciopero della fame di Alfredo e la  mobilitazione che questa sua iniziativa ha reso possibile. Innanzitutto abbiamo cercato di evidenziare  come questa operazione di criminalizzazione di alcune idee e pratiche dell’anarchismo possa rivelarsi in  prospettiva un pericoloso precedente per la persecuzione delle azioni conflittuali, da qualunque  componente sociale o politica queste vengano messe in atto.
Per farla breve: quando si procede per “strage contro l’incolumità dello Stato” per sanzionare azioni che  non hanno fatto morti, feriti e neppure danni materiali rilevanti, l’oggettiva dinamica messa in atto dallo  Stato è quella di un irrigidimento repressivo che supera non solo il buon senso ma le stesse consuetudini giudiziarie. Uno “stravolgimento” dei termini e delle conseguenze penali che, facile prevedere, a cascata riguarderà anche altre azioni simili o, in proporzione, anche fatti di portata “minore”.
Ma non è questo l’unico motivo per cui riteniamo sia importante una presenza solidale significativa per  l’udienza del 19 giugno. Due altre questioni vorremmo sollevare o ricordare per evidenziare l’importanza di questo appuntamento.
La prima è la constatazione che queste condanne non vengono dal nulla ma sono frutto anche del  disinteresse che, a parte alcune componenti anarchiche e comuniste, ha accompagnato l’andamento del processo “Scripta Manent”. Considerata da molti, anche in ambito antagonista, come l’ennesima  operazione che andava a colpire i soliti, ritenuti marginali, ambiti dell’anarchismo d’azione, la mancanza di un’attenzione diffusa e “trasversale” rispetto alle sorti dei/delle compagn* imputat* ha lasciato la  mano libera ai vari inquirenti per “andarci giù pesante”. Non è la prima volta che accade certo, ma  altrettanto certamente è una questione su cui riflettere perché in futuro non ci si debba ritrovare, a giochi ormai fatti, a sbalordirsi per la dismisura delle pene comminate. E perché, soprattutto non ci si ritrovi  con la consapevolezza che nulla o poco si è fatto per impedire che, a uomini e donne che hanno lottato,  le sbarre chiudessero l’orizzonte per decenni se non per tutta la vita.
La seconda questione che, a nostro avviso, motiva con forza la partecipazione a questo momento  solidale sta nella coerenza con quanto si è espresso mille volte durante la mobilitazione degli scorsi  mesi: non solo non avremmo mai lasciato soli gli/le compagn* che con lo sciopero della fame ci hanno  messo il loro (tantissimo), ma l’impegno collettivo a rompere il silenzio che avvolge il 41-bis, l’ergastolo ostativo, la persecuzione dei/delle rivoluzionari*, l’inasprimento repressivo generalizzato sarebbe andato
avanti al di là della specifica iniziativa dei/delle compagn* in sciopero.
Ora che si gioca una decisiva partita per il futuro di Alfredo e Anna, non possiamo relegare ai passati  mesi di forte mobilitazione la giusta tensione per contrastare la dinamica repressiva che vuole seppellirli in una cella e per continuare la lotta per una società senza oppressione né galera.

Il 19 giugno, dobbiamo esserci, in tant*,  fuori e dentro il Palazzo di Giustizia di Torino dalle 8.30!  Per chiudere ci sembra opportuno ricordare che il 19 giugno, ogni anno, ci si mobilita in molte zone del  globo per la Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero, data che rinnova la solidarietà a  tutt* i/le militanti imprigionat* in memoria del massacro di quasi 300 prigionier* politic* compiuto nel  1986 dall’esercito nelle carceri peruviane.

Assemblea contro il 41-bis e l’ergastolo ostativo – Torino

TRENTO: DISCUSSIONE SULLA SENTENZA DI APPELLO DEL PROCESSO BRENNERO 2

Diffondiamo:

Le motivazioni della sentenza di appello del processo Brennero 2 (devastazione e saccheggio) dovrebbero arrivare entro il 15 giugno. Abbiamo pensato di trovarci tra imputati/e e solidali per affrontare collettivamente un attacco repressivo che coinvolge tanti compagni e compagne, discutendone sia dal punto di vista giudiziario che sul piano della solidarietà. Ci troviamo domenica 2 luglio alle 11 al terreno No Tav a Mattarello, vicino a Trento. Per informazioni scrivere a trochilidae@autistici.org

UDINE: SULLA SENTENZA DEL 1 GIUGNO

Riceviamo e diffondiamo

Giovedí 1° giugno si è chiusa, con sentenza di primo grado, una pagina della battuta repressiva che sta colpendo i compagni e le compagne dell’Assemblea permanente contro il carcere e la repressione del Friuli e di Trieste.

Quasi una battuta di caccia da parte della digos, che ha mostrato la sua faccia più propria e tetra di polizia politica, avvallata dalla procura e dai tribunali (della moderna inquisizione).
Una caccia alle streghe che ci ha portato in tribunale con svariate incriminazioni per istigazione a delinquere e diffamazione aggravata verso figure istituzionali delle carceri di Udine e Tolmezzo.
Da dove vengono queste incriminazioni?
Dall’aver pubblicamente dato solidarietà alle compagne e ai compagni inquisiti e incarcerati nell’ambito dell’operazione repressiva “Renata” e dall’aver fatto dichiarazioni di condivisione della giustezza dell’azione diretta contro gli apparati militari e le banche che li finanziano, le sedi di partiti politici razzisti e le istituzioni totali.
Dall’aver parlato in piazza e nella trasmissione radiofonica Zardins Magnetics delle storie di rivoluzionarie e rivoluzionari del recente passato, rivendicandole come parte importante della nostra storia di oppresse e oppressi che cercano di non piegarsi al dominio.
Dall’aver fatto da cassa di risonanza alle testimonianze dei prigionieri delle carceri di Udine e Tolmezzo e dall’aver fatto i nomi e i cognomi delle figure istituzionali responsabili della malasanità, della psichiatrizzazione dei detenuti, della malagestione della pandemia da covid 19.

La sentenza, che prevede la condanna ad un anno di reclusione per istigazione a delinquere per un compagno e la condanna per diffamazione aggravata per una compagna con una pena pecuniaria di 3000 euro, dimostra la volontà di digos, procura e tribunale di stroncare il più possibile le lotte contro il carcere e le istituzioni totali,
cercando di fare terra bruciata attorno a chi le pratica e di criminalizzare anche il solo fatto di pensare la possibilità dell’azione diretta contro lo Stato.

Una caccia alle streghe, sì, perché qui il vero crimine che andava individuato, accertato e represso esemplarmente è l’aver parlato-franco, denunciato pubblicamente, davanti a chiunque, in piazza, “categoricamente” (come ci ha fatto notare un compagno, katá-agorein significa letteralmente «sottoporre un discorso alla piazza»). Aver non solo solidarizzato ma catalizzato e promosso il moto di protesta tra il 2019 e il 2020 al carcere di Udine, da anni abbandonato al degrado e dimenticato da tutti. Sì, vogliamo la distruzione del carcere, la distruzione dell’estremismo inumano e repressivo che esso concretizza isolando e cancellando le identità di chi vi è rinchiuso. Parliamo franco, in una società che invece detta le regole e colpisce chi sgarra, una società che non si limita a censurare, ma che con la propria lingua impone la realtà inumana del capitale, una lingua che è imposta a chiunque dall’apparato scolastico e formativo come uno strumento per occultare il proprio sentire più autentico, il sapere intuitivo, ad esempio, che accanirsi su persone inermi non è normale. Questa lingua falsa che si parla nei tribunali e nelle articolazioni dello Stato democratico non si limita a censurare le parole autentiche (“aguzzino”, “intrallazzatrice”) ma indirizza chiunque a parlare, pensare e sentire come essa vuole, al posto di come noi vorremmo parlare, pensare e sentire, e lo fa tanto quanto più ci si abbandona inconsciamente ad essa.

Ancora due parole su questa vicenda, che ci insegna che il dominio non tollera che qualcuna o qualcuno esca dall’automatismo psicologico che porta alla “normale” rimozione di un passato di lotta rivoluzionaria in questo maledetto Paese, nel quale i movimenti antagonisti non riescono a liberarsi di un vasto retroterra di dissociazione e resa. In tempi di elogio del disimpegno, di smobilitazione, di rassegnazione per ogni ipotesi di rovesciamento dell’esistente, abbiamo testimoniato nel nostro piccolo una realtà ben diversa di pratiche e di azione diretta contro il dominio e il capitale, una realtà che non ha mai accettato di piegarsi ai loro compromessi, a nessun recupero democratico, e non accetta più di essere seppellita dall’oblio.
La conferma è giunta con il movimento, minoritario ma, anche qui in Friuli Venezia Giulia, consistente, che si è formato per la campagna di solidarietà con lo sciopero della fame di Alfredo Cospito contro ergastolo e 41 bis. Una campagna nella quale la critica al sistema carcerario è stata struttura portante, che si è accompagnata (nelle sue componenti migliori) a una critica più ampia e complessiva, comprendente la contrapposizione all’emergenzialismo permanente e alla minaccia di guerra nucleare scatenata dalla NATO, forme per mantenere il terrore dei governi, l’obbedienza dei governati e la sopravvivenza dell’Occidente capitalista.

Una lotta che continueremo, al fianco di tutti i prigionieri che non si piegano e di tutte le ribelli, di ogni sfruttato e di ogni proletaria che incontreremo sulla nostra strada, con l’azione diretta, rifiutando ogni delega, senza esitazioni, parlando franco.

Intanto sabato 10 giugno dalle 14 saremo nuovamente presenti fuori dal carcere di Udine per un presidio solidale con i detenuti.

5 giugno 2023


Assemblea permanente
contro il carcere e la repressione
del Friuli e di Trieste

liberetutti@autistiche.org

Associazione “Senza sbarre”
c.p.129, 34121 Trieste

FISSATA L’UDIENZA DI CASSAZIONE DEL PROCESSO PANICO

Venerdì 14 luglio 2023 a Roma si terrà l’udienza di Cassazione della c.d. Operazione Panico.

Ricondividiamo da Lanemesi

Con questa operazione, avviata nel 2017 e sostenuta da un’indagine per associazione a delinquere finalizzata all’“imposizione della propria ideologia con la violenza” (!!), la questura del capoluogo toscano ha avuto mano libera per sgomberare due spazi occupati anarchici storici di Firenze (Villa Panico e Riottosa Zquat, entrambi occupati dal 2007), sfaldare un gruppo anarchico e provare a reprimere una certa modalità d’agire e di intendere, tra le altre cose, l’antifascismo.

In sede processuale, questa operazione repressiva ha fallito nell’intento associativo ma ha ottenuto invece diverse condanne per i reati specifici, tra cui il “più grave”, ovvero un ordigno piazzato fuori una sede di CasaPound a capodanno 2017 che è stato prima preso a calci da un maldestro (per essere generosi…) DIGOS e infine è esploso in mano ad uno sprovveduto artificiere privo di protezioni.

Per questo accadimento la condanna a due compagni sarà, se confermata, di 8 anni.

Inchieste frettolose e convocazioni in procura improbabili, mirabolanti intercettazioni e cicche di sigarette sputate e calpestate o buttate in bicchieri di plastica quali prove chiave, una condanna basata sulla discutibile pretesa di oggettività della prova del DNA ed imbarazzanti udienze con tecnici “super partes” che modificano all’ultimo la propria perizia per farla combaciare coi desideri del Pm in un mirabile show per confermare un castello accusatorio debolissimo.

Ma tutto ciò a noi non interessa, anche se è giusto raccontare i dati di fatto oggettivi.

Da gennaio 2017 in poi, in 6 anni e mezzo il processo va rapidissimo ed a luglio si metterà la parola fine all’operazione Panico. E sempre da lì partirà un’altra inchiesta, a Roma nel giugno 2020, Operazione Bialystok, atta a colpire la solidarietà portata agli imputati e alle imputate del processo Panico, tra cui un compagno recluso in pessime condizioni detentive.

Operazione che è servita oltretutto da pretesto per alimentare una nomea di “istigatore” per Alfredo Cospito che agevolasse l’applicazione del regime di 41 bis, al fine di censurare le idee del nostro compagno, tuttora recluso nel centro clinico del carcere di Opera, dopo 6 mesi di sciopero della fame contro, appunto, 41 bis ed ergastolo ostativo.

All’oggi i fascisti post-MSI, guidati dalla Meloni, sono a capo del governo, e la presenza in città di squadristi non ci pare scomparsa, anzi: esplicito l’avvenimento di febbraio – i ragazzi picchiati dai fasci fuori dal liceo Michelangiolo – e l’apertura di una nuova sede di CasaPound a Firenze – sono solo gli ultimi avvenimenti legati all’estrema destra.

Il 14 luglio non sappiamo come andrà, né facciamo pronostici: l’unica consapevolezza che abbiamo è quella di voler continuare a lottare contro stato, fascisti e padroni, e quella di portare la solidarietà incondizionata a prigionier* anarchic* reclus* in ogni dove.

Alcun* anarchic*

AGGIORNAMENTI SU GREG ARRESTATO IN FRANCIA

Ricondividiamo da Lanemesi

Arrestato Greg in Francia

Martedì 23 maggio Greg, un compagno francese che ha vissuto molti anni in Italia, è stato fermato e identificato in Francia, nei pressi di Limoges, per un controllo stradale. Il giorno seguente è stato rintracciato e arrestato dalla gendarmerie del posto.

Nel corso dell’udienza a porte chiuse per la convalida dell’arresto svoltasi mercoledì 24 è risultato essere stato emesso dall’Italia un mandato di arresto europeo a suo carico nel mese di marzo per un cumulo pena di 2 anni e 2 mesi per tre diverse condanne giudicate in definitivo.

Il giudice ha confermato la detenzione e Greg si trova in questo momento nel carcere di Limoges. Si attende la prossima udienza che dovrebbe svolgersi la prossima settimana e che sarà incentrata sull’esecuzione del mandato di arresto europeo ed eventuale estradizione.

L’avvocato riferisce che il compagno ha potuto recuperare soldi e vestiti e che sta bene. Gli è stato fatto un versamento e ha avuto modo di fare una prima telefonata ai genitori.

Seguiranno aggiornamenti non appena si avranno.

Tutte e tutti liberi


Aggiornamento sulla situazione di Greg (Francia, 27 maggio 2023)

In attesa dell’udienza per l’estradizione della prossima settimana, Greg ha incontrato a colloquio l’avvocato che l’ha trovato lucido e in forma. Ha inoltre fatto sapere il suo numero di écrou (indispensabile per scrivere in carcere in Francia).

Non facciamogli mancare calore complicità e solidarietà.

Grégoire Poupin
#24587
17B Pl Winston Churchill
87000 Limoges
France

Fuoco alle galere!

CATANIA: DENUNCE PER LE MOBILITAZIONI CONTRO IL 41BIS

Centro Sociale Autogestito Officina Rebelde:

Nelle scorse settimane, ad alcun@ attivist@ e frequentator@ del C.s.a. Officina Rebelde, oltre che di altre realtà, sono state notificate delle denunce per avere “disobbedito agli ordini delle autorità”. I fatti contestati riguarderebbero le mobilitazioni a sostegno della lotta contro il 41-bis ed intraprese in solidarietà ad Alfredo Cospito ed al suo sciopero della fame, in particolare un corteo non autorizzato che avrebbe sfilato per le strade della città.

Come collettivo politico abbiamo deciso di sostenere la lotta di Alfredo perché lottiamo contro le ingiustizie carcerarie: dentro questo assetto sociale neoliberista ed autoritario, il carcere opprime soprattutto gli appartenenti alle classi popolari ed il carcere duro è stato spesso usato per piegare i prigionieri “politici” come Alfredo.

La repressione non ci fermerà: non l’ha fatto in passato e non lo farà oggi, queste denunce ci rafforzano soltanto nella convinzione di essere nel giusto e sono una grande dimostrazione di debolezza da parte di istituzioni che non sono più abituate a fronteggiare il dissenso. Noi proseguiremo nelle nostre lotte a fianco di chi è ingiustamente carcerato, vittima di discriminazioni razziali o di genere, per il reddito, contro il futuro di sfruttamento, guerra e devastazioni ambientali che le élite globali vorrebbero imporci.
Attivisti del csa “Officina Rebelde” e di altre realtà sociali di Catania sono colpiti da denunce per le mobilitazioni a sostegno della lotta contro il 41bis e in solidarietà ad Alfredo Cospito in sciopero della fame.

https://www.osservatoriorepressione.info/catania-denunce-le-mobilitazioni-41bis/

CONTRIBUTI SULL’ALLUVIONE IN EMILIA ROMAGNA

Abbiamo deciso di raccogliere in questa pagina scritti e contributi sull’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna. Voci dai territori, esperienze e riflessioni

Sull’alluvione in Emilia Romagna
Pensieri di un compagno il giorno dopo l’alluvione
Alluvione, la mia solidarietà è selettiva
Con l’acqua alla gola

Qui le traduzioni dei testi in castigliano.
Per inviare testi e contributi: brugo@autistiche.org


SULL’ALLUVIONE IN EMILIA ROMAGNA – Brughiere

20 maggio 2023

È il tempo delle emergenze e delle catastrofi, oltre che delle narrazioni traumatiche per amministrare il disastro, magari con la sottomissione sostenibile delle masse, in particolare quelle povere e sacrificabili. Disastri che assumono sui media l’aspetto di calamità, nonostante siano drammaticamente annunciati e tragicamente frutto di questo modello di sviluppo insensato. Mentre l’Emilia Romagna viene devastata dall’alluvione, sui media si sprecano gli appelli istituzionali alla solidarietà e all’unità da parte degli stessi responsabili del danno. Una solidarietà che dalle poltrone di chi governa questa Regione suona un po’ “pelosa” per non dire sfacciatamente ipocrita. Si tratta infatti degli stessi che hanno sempre avvantaggiato palazzinari e speculatori a scapito di chi non arriva alla fine del mese. Gli stessi che hanno promosso la cementificazione selvaggia dei territori, la costruzione su aree “protette”, zone a pericolo di frana, intorno ad aree alluvionali. Gli stessi che permettono la predazione di ogni angolo di territorio con scellerati progetti di “riqualificazione” , sempre rigorosamente “green”.

Tutta la nostra solidarietà a chi, magari già in difficoltà prima, sta vivendo in queste ore ulteriore solitudine e disperazione. Non dimentichiamo chi sono i responsabili. Sosteniamoci e sosteniamo la solidarietà dal basso che si sta muovendo.


PENSIERI DI UN COMPAGNO IL GIORNO DOPO L’ALLUVIONE:

Mentre ancora i fiumi in Emilia e in Romagna sono in piena, molti paesi e città della pianura alluvionati e il fango continua a muoversi verso valle, sento l’esigenza di esprimere qualche riflessione a caldo su quello che sta succedendo nei territori in cui da qualche anno vivo. La quantità di acqua piovuta in questi giorni è senza dubbio eccezionale, eppure sappiamo da tempo, e con sempre maggiore certezza, che gli eventi atmosferici estremi sono e saranno sempre più frequenti. Ciò nonostante, toccare con mano le conseguenze di una pioggia così forte e concentrata in poche ore, è qualcosa che mi coglie impreparato, emotivamente e materialmente. Mi sono trovato a scambiare messaggi e chiamate continue per avere aggiornamenti sulla situazione che varie persone intorno a me stanno vivendo, guardando con preoccupazione verso il cielo, i versanti di colline e montagne che rilasciano detriti ad ogni acquazzone, i letti di torrenti di solito amichevoli, sempre più gonfi e minacciosi. L’estate scorsa ci si diceva questa frase, un po’ come scherzo,per sdrammatizzare, un po’ no: “è l’estate più calda che ho mai vissuto. Ma è anche la più fresca tra quelle che vivrò”. Se traspongo questo discorso pensando alla pluviometria, mi vengono i brividi. Brividi di paura, perché in gioco c’è l’incolumità e la sicurezza di persone care. E brividi di rabbia, perché so che c’è già chi si sfrega le mani pensando ai soldi che si farà con la ricostruzione. E sono gli stessi che ingrassano in un sistema in cui io e chi mi circonda ci arrabattiamo per la mera sopravvivenza materiale, quando va bene. Il simulacro della sicurezza e dell’invulnerabilità è qualcosa che voglio distruggere e lasciarmi alle spalle, ma per fare spazio ad un diverso modo di vivere, di intessere legami e fare compromessi con l’imprevedibilità dell’ambiente in cui sono immerso. Non per garantire a chi riproduce un mondo basato sul dominio di ingrassare tranquillo. E allora impedire quel cantiere, quell’allargamento dell’autostrada, quell’impianto di risalita, quella diga, diventa qualcosa di molto più urgente, perché in ballo non c’è qualcosa di futuro, di immaginario, di simbolico, di ideale. È nel presente che quei progetti agiscono la loro furia omicida. E in gioco ci sono già le nostre vite. Ora che questo mi è più chiaro, forse mi serve meno coraggio per buttare il cuore oltre l’ostacolo.


ALLUVIONE, LA MIA SOLIDARIETÀ È SELETTIVA
Articolo uscito su “Betzmotivny”, anno III, numero 10

A partire più o meno da martedì 16 maggio e sulla scia dell’emergenza alluvione che ha colpito parte della Regione Emilia-Romagna, i vertici di alcune organizzazioni politiche sedicenti antagoniste del territorio bolognese e alcuni gruppi di persone riunitesi spontaneamente hanno deciso di dar vita a delle Brigate di solidarietà aventi lo scopo di “autogestire” interventi di aiuto alle popolazioni emiliano-romagnole colpite dall’alluvione di cui si continua a parlare molto. Di come se ne parli di questa alluvione che non costituisce certo un’eccezione, una calamità inaspettata, ma che si inserisce nella catena di catastrofi prodotte dal modo di produzione che devasta le vite ed i luoghi di vita di miliardi di sfruttati e altri esseri, nonché dagli uomini e dalle donne aventi specifiche responsabilità politiche, tecniche e decisionali a livello comunale, regionale e nazionale; sulle modalità mediante le quali le maggiori testate giornalistiche ed i media di regime affrontano l’alluvione, con quali toni (piuttosto pacati) e mediante quali contenuti (volti a non mettere seriamente in discussione la società che produce queste catastrofi ed a salvare la faccia ai responsabili in carne ed ossa delle stesse), non è forse il caso di soffermarsi in questa sede.
Lungi dal giudicare negativamente le svariate persone (non importa se compagne o meno) che spontaneamente hanno deciso di darsi da fare per tentare di aiutare coi propri mezzi, anche e soprattutto individualmente piuttosto che organizzandosi informalmente con propri amici, cioè senza dar vita ad organismi di carattere parapolitico (perché effettivamente legati ad organizzazioni politiche e/o sindacali – più o meno istituzionali – preesistenti), voglio invece riflettere polemicamente su quelle organizzazioni (senza perdere tempo a riportare le loro sigle) che hanno cavalcato da subito la disponibilità di non poche persone effettivamente non colpite direttamente dall’alluvione, ad attivarsi nell’organizzazione di iniziative di solidarietà generica, se così la vogliamo chiamare.
Ed è così che su un gruppo telegram di coordinamento ed organizzazione degli aiuti legato ad una di queste organizzazioni ”antagoniste” veniva manifestata – nei giorni immediatamente successivi agli eventi più critici – l’entusiasmo dato dal fatto che svariate testate giornalistiche avevano riportato la sigla di questa stessa organizzazione facendone le lodi, che più volte erano state ripostate sui social le foto degli attivisti dell’organizzazione, assieme ad altri ”volontari”- presumo ingenuamente ignari di queste pagliacciate politiche – intenti a spalar fango nelle località colpite del comune di Castel Bolognese.
Uno schifo, insomma e, intendiamoci bene, non perché personalmente sia un apologeta delle pratiche di aiuto “disinteressato” e religiosamente rivolto a tutti gli esseri umani (ad esempio tanti alluvionati, per me non è prioritario aiutare dei borghesi a salvare i beni racchiusi nella propria villa di tre piani); uno schifo perché chi si riempie la bocca di solidarietà e mutuo aiuto non si fa scrupoli a tentare di ricavare consenso, visibilità e riconoscimento politico dalla strumentalizzazione di certe tensioni e di certe pratiche egemonizzandole e spacciandole poi per “autogestite dal basso”.
La solidarietà per me non è qualcosa di universale, insomma non è qualcosa che voglia rivolgere a chiunque, a qualsiasi essere umano in quanto tale, per lavarmi la coscienza e dimenticarmi del fatto che ogni giorno non mettendo veramente in discussione la società industriale, il capitalismo vorace di risorse, energie e metalli rari, lo sfruttamento, la gentrificazione, il consumo di suolo sfrenato a profitto di grandi e piccole imprese capitalistiche (per quanto riguarda la logistica ad esempio, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, certifica un primato assoluto per la Regione Emilia-Romagna, che nel periodo tra il 2006 e il 2021 ha occupato quasi 400 ettari nella costruzione di magazzini e poli logistici), sto alimentando e legittimando questo ciclo di catastrofi. Se la solidarietà in queste contingenze è prestare aiuti a chicchessia allora non sono solidale, allora non me ne fotte uno stracazzo di niente di attivarmi nell’aiuto, di partecipare alla costruzione di brigate ad uso e consumo di piccoli politicanti leninisti da strapazzo.
La solidarietà, l’aiuto e la vicinanza decido io a chi portarla, sulla base delle mie conoscenze, delle mie affinità, di miei legami di fiducia e amicizia, ma anche di una consapevolezza di classe. La solidarietà a cui penso è una solidarietà selettiva, non mi vergogno di sostenerlo.
Non voglio fare da manovale per le progettualità politiche di organismi politici che disprezzo e che mi fanno venire il vomito, non voglio ricavare nessun consenso dalle pratiche di aiuto e vicinanza, non voglio sfruttare la dialettica soccorritore-soccorso per “radicarmi” politicamente, per far vedere alla gente che sono capace di tappare i buchi prodotti dalla società dello Stato e Capitale. Forse sarebbe il caso di tenere a mente questo aspetto di selettività nella pratica della solidarietà, onde evitare di farsi strumentalizzare, per avere la sicurezza di autogestirsi veramente quelle pratiche di cura e aiuto evitando di trasformarle in strumento di ricatto, di spettacolarizzazione politica e umanamente, mi viene da aggiungere, in rito di redenzione.


CON L’ACQUA ALLA GOLA
Uno sguardo anarchico sull’alluvione in Romagna

PDF: Con l’acqua alla gola

La testimonianza che sto per riportare, è sicuramente limitata. Sono stata per pochi giorni in contesti paesani e ad oggi, a parte qualche racconto di alcuni solidali, non so come sia andata nelle città più grandi colpite dall’alluvione. Alcuni dei fatti che riporto mi sono stati raccontati dalla popolazione locale e non vi ho preso parte in prima persona. Non ho avuto modo di verificarli in fonti scritte che, a tal proposito, scarseggiano. Inoltre, non conoscendo la morfologia del territorio, molte delle informazioni che mi hanno dato sulla gestione delle acque in eccesso purtroppo le ho perse. Del resto, prendere appunti durante chiacchierate informali mi sembrava decisamente fuori luogo.

Sant’Agata sul Santerno, Conselice, Lugo (26 – 30 Maggio 2023)

Una decina di giorni dopo la fine della cosiddetta seconda fase dell’alluvione, sono partita per la Romagna. Ciò che mi ha spinto a raggiungere questi luoghi, sono sincera, è stato uno spontaneo spirito di solidarietà nei confronti di umani e animali. Solidarietà di classe o “selettiva1”. Certo, lo do per scontato, ma lo specifico per non creare fraintendimenti. Non sto parlando di una solidarietà genericamente intesa, rivolta a tutto il genere umano. Non posso amare chi mi sfrutta. La solidarietà la provo nei confronti dei miei simili: gli/le oppressi/e, gli/le sfruttati/e, gli/le esclusi/e. È con questi ultimi che provo ad instaurare dinamiche di mutuo-aiuto. Nel testo la parola ‘solidarietà’ va sempre intesa in questo senso.

Consapevole che in situazioni di emergenza lo Stato mette in campo i suoi dispositivi, ho scelto di recarmi presso un rifugio che ospitava in quel momento animali alluvionati, che si trova poco distante dalle zone maggiormente colpite. Ciò mi sollevava dal timore di una eventuale compromissione/collaborazione con le autorità, con la quali in quanto anarchica non volevo avere a che fare, ma che sapevo invece avrei sicuramente incontrato nelle “zone rosse”. Il mio tentativo di stare alla larga da queste zone è però fallito. Una volta giunta sul campo, ho constatato che l’emergenza animali era rientrata e non vi era grossa necessità di braccia al rifugio. Mi sono così recata nei paesi fortemente colpiti dall’alluvione, alcuni dei quali in quel momento si trovavano ad affrontare la “seconda emergenza2”.

Quell’istintivo spirito di solidarietà che mi aveva spinto a partire, ha avuto la meglio sui miei timori di compromissione. Non solo mi ha dato l’opportunità di vedere da vicino un dispositivo emergenziale operativo, ma ha anche regolato il mio agire. Questa consapevolezza l’ho raggiunta solo in un secondo momento. Inizialmente sono quindi entrata nei paesi in punta di piedi.

Cittadini senza Stato

La mia paura di compromissione con le autorità è svanita immediatamente. Entrando nei paesi ho scoperto che la Protezione Civile non era impegnata nelle case, ma aveva un ruolo meramente “di presenza”. Le forze messe in campo erano esigue se non nulle. A Sant’Agata sul Santerno, per esempio, vi erano mezzi e personale in divisa concentrati nei pressi del Comune. Questi mezzi però erano pressoché fermi ed estremamente puliti, anche a fine giornata. Per smantellare le montagne di detriti che palesemente ingombravano le strade, gli abitanti dovevano recarsi in Comune dove, tramite un modulo cartaceo, chiedevano la rimozione del materiale. Anche i mezzi dei Vigili del Fuoco erano esigui e impegnati in situazioni circoscritte. Il mondo delle associazioni umanitarie era assente, ad eccezione di qualche gruppetto (per esempio gli scout, Greenpeace). A detta di alcuni abitanti i mezzi di soccorso, nel pieno dell’alluvione, erano irreperibili o comunque incapaci di far fronte ai bisogni della maggior parte della popolazione. Questi paesi si sono trovati e si trovano tutt’ora in uno stato di completo abbandono. Riporto queste informazioni non per alzare un coro di indignazione nei confronti dello Stato o per “chiedere” un qualche intervento. La finalità dello scritto, oltre quella descrittiva della situazione che ho osservato, è quella di provare a comprendere le finalità insite al modello gestionale adottato in questa emergenza.

A Ravenna i Vigili del fuoco passavano per le strade con l’altoparlante ordinando l’evacuazione. Le persone, una volta uscite, hanno trovato le strade chiuse e dunque sono state costrette a rientrare nelle case. A Conselice le autorità hanno dato ordine di evacuare il paese, ma buona parte della popolazione si è rifiutata. Le persone sono così rimaste chiuse in casa per 12 giorni senza acqua, gas ed elettricità, a causa dell’acqua alta. Gli unici a portare cibo e beni di prima necessità sono stati i contadini che si sono organizzati con i trattori, assieme a qualche solidale con il gommone. Ciò avveniva nonostante i Vigili del Fuoco intimassero ai solidali di andarsene immediatamente per rischio biologico.

La mancata mobilitazione di forze da parte dello Stato ha creato un forte senso di sfiducia e una gran rabbia nei confronti della Protezione Civile, delle amministrazioni comunali e regionali, delle forze dell’ordine, dei soccorsi, dei giornalisti e dei politici in visita. A Sant’Agata sul Santerno, il Prefetto di Ravenna è stato rincorso dagli abitanti con i badili in mano. A Conselice (e in qualche altro paese che non ricordo) i sindaci girano per il paese scortati dai Carabinieri. A Lavezzola è accaduto che un padrone di un’importante azienda agroalimentare, si è scontrato con la Sindaca (del PD), la Protezione Civile, il Consorzio di bonifica e i Carabinieri. Il Destra Reno stava per esondare e la chiusa per far defluire l’acqua nel canale di bonifica che sfociava nel Reno – il quale aveva il livello dell’acqua molto più basso – non si apriva a causa della scarsa manutenzione. Le autorità erano accorse sul luogo, ma stavano semplicemente prendendo atto della situazione. Nel frattempo l’imprenditore si era organizzato con mezzi propri per bypassare l’acqua, sostenuto dagli abitanti del paese. La Sindaca però non era d’accordo con questo intervento, in quanto non autorizzato. Di fronte alla rabbia degli abitanti (accorsi sul luogo) e alla minaccia del padrone – che le intimava di spostarsi altrimenti l’avrebbe presa sotto – la prima cittadina non ha potuto far altro che andarsene, scortata dai Carabinieri. L’acqua così è stata bypassata.

Questo esempio, chiaramente, non è riportato per dimostrare la filantropia di un padrone. Quest’ultimo, è chiaro, aveva il suo profitto da salvaguardare. Era sicuramente l’unico ad avere la possibilità di “salvare il paese” appunto perché, in quanto padrone, proprietario di mezzi e con grandi disponibilità di denaro. Ho visto in questo episodio una contraddizione dello Stato che, nelle vesti della Sindaca, non è stato in grado – o non ha voluto – tutelare quella parte di popolazione, la borghesia, che è solito rappresentare.

Narrazione VS realtà

Prima della partenza mi sono informata per capire quali strade erano percorribili. La percezione che ho avuto leggendo vari avvertimenti era quella di una situazione simile al primo lockdown. Strade chiuse, posti di blocco, controllo dei movimenti della popolazione. Anche lungo la E45 ho visto vari cartelli che suggerivano di lasciare libere le strade per permettere ai mezzi pesanti di Protezione Civile, Vigili del Fuoco ed Esercito di circolare più liberamente. Ciò che veniva narrato, ovvero un grande traffico di mezzi pesanti delle autorità nei luoghi colpiti, si è rivelato falso. Le strade, sia quelle principali che le secondarie all’interno delle campagne, erano libere. Il traffico regolare e i mezzi pesanti in circolazione pochi. L’accesso ai paesi alluvionati era libero. Mi è capitato di trovare dei posti di blocco in entrata a Sant’Agata sul Santerno, che vietavano ai non residenti l’ingresso in paese. I Carabinieri e la Polizia Locale avevano però una certa difficoltà a fermare le persone che, con determinazione, sostenevano che dovevano circolare liberamente. Qualche solidale si faceva intimidire, oppure credeva ai Carabinieri che affermavano che in quel paese “tutto era a posto e non c’era bisogno di volontari”, così tornava indietro. La maggior parte delle persone però passava lo stesso. O a piedi, o cambiando strada, oppure inventandosi qualche scusa. Visto il gran numero di solidali accorsi, era molto difficile per le forze di polizia poter controllare tutti, nonostante in alcuni casi ci fossero due filtri per l’ingresso ai paesi.

Due parole anche sull’applicazione VolontariSOS… A quanto detto dalle autorità, solo chi era registrato a questa applicazione poteva recarsi ad aiutare la popolazione ed entrare nelle zone rosse. Questo per motivi di assicurazione in caso di incidenti, di controllo e organizzativi. In questa applicazione il volontario doveva inserire i suoi dati e prenotarsi un “turno”. Nella realtà, la maggior parte delle persone che ho incontrato non si erano affatto registrate. Alcuni erano contrari alla registrazione in sé e vedevano in questa applicazione un tentativo di controllo e tracciamento. Chi invece si era registrato, raccontava di come questa applicazione fosse totalmente fallimentare, dal momento che i “turni” risultavano tutti occupati. Nonostante ciò, queste persone si sono recate sul posto lo stesso, pensando fosse più semplice passare casa per casa a chiedere se c’era bisogno, piuttosto che affidarsi ad una piattaforma digitale.

 Si può affermare quindi che in questi paesi la circolazione dei solidali fosse abbastanza fuori controllo per le autorità. Lo stesso si può dire anche in merito alla gestione di alcuni hub di smistamento merci. A Conselice, su ordine del Comune, vi era un grande hub dedicato solo alla ricezione degli aiuti. La merce smistata doveva poi essere portata ai singoli punti di distribuzione, dove la popolazione si recava a prendere ciò di cui aveva bisogno. Nella realtà in questo hub venivano direttamente le persone a prendersi la merce che serviva e da lì partivano macchine cariche che, strada per strada, distribuivano merce a chi chiedeva. Ciò grazie al buon senso delle persone che attraversavano quel luogo e che, di comune accordo, avevano convenuto che aveva più senso distribuire direttamente, piuttosto che accumulare merce nell’hub centrale e lasciare le persone a secco, come il Comune aveva ordinato di fare.

A tal proposito va segnalato come, ad un certo punto, il Prefetto di Ravenna ha fatto pubblicamente degli appelli affinché i volontari abbandonassero le zone alluvionate, perché di intralcio alle operazioni delle autorità.

A proposito di Angeli del fango

La composizione delle persone accorse ad aiutare si è rivelata un mix interessante. Complottisti, no vax, animalisti di tutte le età, no green pass… Persone che, per un motivo o un altro, avevano da tempo maturato una coscienza critica e una pratica, non necessariamente sotto la bandiera di qualche gruppo o organizzazione. Molti infatti sono accorsi individualmente, diffidando di grandi organizzazioni accentratrici, caricandosi la macchina di quanto poteva essere utile (idropulitrice, cibo per animali, vestiti, coperte) e girando nei paesi offrendo la propria disponibilità, anziché presentarsi ai coordinamenti gestiti dalle autorità.

La retorica degli angeli del fango proposta dai media, veniva derisa dalla maggior parte delle persone e sentirne parlare non era una bandiera di vanto, piuttosto faceva innervosire. Tanti volontari erano persone alluvionate che, una volta sistemata la loro abitazione dove “l’acqua era arrivata alla gola”, si sono recati da chi aveva ancora bisogno, mettendo in pausa le proprie attività quotidiane tra cui il lavoro. Ho respirato un clima di collaborazione e amicizia, privo di pregiudizi (per esempio legati al genere) e ho incontrato persone con una sensibilità particolare. Un pomeriggio, ero con altre persone ad aiutare una famiglia che stava vivendo un forte disagio psicologico a causa dell’alluvione. Ad un certo punto qualcuno dal Comune ha ben pensato di mandare due guardie della Polizia Locale. Sono corsa fuori per vedere cosa volessero ma, prima di me, una donna era uscita e stava dicendo alle guardie di andarsene immediatamente, perché la situazione era tranquilla e loro avrebbero solo creato problemi.

Durante la giornata si alternavano momenti di lavoro duro a momenti di discussione a 360°. Un’esigenza condivisa era proprio quella di parlare insieme: del Covid, della guerra, di queste continue emergenze che sembrano non finire mai, dei responsabili di tutto questo.

Un altro aspetto importante è stata la condivisione del dolore e della sofferenza. Condivisione fortemente “richiesta” dalle persone alluvionate che, spesso, ti fermavano per la strada per scambiare due chiacchiere, per piangere, per sfogarsi. Dietro questi sfoghi, la consapevolezza che l’alluvione non è stata semplicemente una catastrofe naturale improvvisa. Ma una catastrofe provocata e non annunciata, o annunciata con grande ritardo, con dei responsabili precisi: Protezione Civile, Consorzi di bonifica, amministrazioni comunali e regionali.

Insomma questa esperienza è stata, nonostante il dramma, in termini umani un vento d’aria fresca. Forse l’umanità è ancora un rischio da correre.

Quale protocollo?

Troppo facile sarebbe sostenere che lo Stato era impreparato a questa alluvione, come anche dire che non è stato in grado di gestire la situazione a causa della mancanza di mezzi, della troppa burocrazia o dell’incompetenza. Il suo operato è frutto di un insieme di circostanze e di scelte. Sicuramente la popolazione locale e i solidali hanno dato del filo da torcere alle autorità. Il tentativo di controllare i movimenti (tramite app e posti di blocco), di evacuare intere zone, di centralizzare la distribuzione di beni, di vaccinare la maggior parte della popolazione… da come ho visto non è riuscito molto. D’altra parte, però, lo stato di abbandono di questi paesi mi ha dato da pensare. Evidentemente si tratta di una scelta voluta e ragionata. Sinceramente non riesco ad oggi a darmi delle risposte definitive. Mi vengono in mente delle ipotesi, ma ritengo sia necessario avviare un dibattito sulle modalità con le quali lo Stato affronta queste emergenze locali. Visto l’ormai prossimo collasso a cui la società industriale ci sta conducendo, queste catastrofi saranno sempre più frequenti. Forse lo Stato vuole abituare le persone al fatto che possa mancare per giorni l’acqua, l’elettricità, il gas e i beni di prima necessità? Oppure trascura completamente la popolazione di modo che quest’ultima reclami “più Stato”? O ci sono degli interessi, che non conosciamo, a sgomberare nello specifico questi territori colpiti dall’alluvione?

Credo sia urgente riflettere insieme, soprattutto con chi ha vissuto più da vicino l’alluvione. Avendo l’esperienza della pandemia, mi sono recata in questi luoghi aspettandomi di trovare un determinato dispositivo (militarizzazione, controllo degli spostamenti, impossibilità di accedere alle zone rosse), nella realtà ho trovato tutt’altro e ciò, devo dire, mi ha spiazzato. Allora, forse, diventa importante continuare a ragionare sugli stati di emergenza che ci vengono continuamente imposti, al fine di orientare il nostro agire. Per trasformare una piccola crepa nel sistema in una voragine.

un’anarchica

1 Alluvione, la mia solidarietà è selettiva, “Betzmotivny”, anno III, numero 10

2 Con questo termine intendo quella fase in cui, defluita l’acqua, arriva il momento di reperire il materiale, spalare il fango, gettare tutto ciò che è stato danneggiato ed eseguire i lavori di pulizia.

70 INDAGATI PER I PRESIDI AL CARCERE DI BANCALI IN SARDEGNA

70 fra compagne e compagni indagati per i presidi tenuti fra Novembre e Gennaio fuori al carcere di bancali, dove era detenuto Alfredo Cospito in regime di 41bis. Le accuse sono per manifestazione non autorizzata. Inoltre nelle settimane scorse è uscito un articolo di giornale, firmato dalla giornalista Nadia Cossu, con elencati i nomi e i cognomi di tutti e 70 gli indagati. I compagni sardi proseguono, nonostante le denunce, a portare avanti presidi sotto le carceri e i cpr sardi, dove proseguono le lotte di alcuni detenuti come Alessio Attanasio in sciopero del vitto, o di un altro detenuto in 41bis che è in sciopero della fame da 2 mesi e ha perso 13 kg.

http://www.ondarossa.info/newsredazione/2023/05/70-indagati-presidi-al-carcere-bancali