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Di rivolte, scioperi della fame, tentativi di evasione e fughe. La normalità del campo di Gradisca
Cresciamo nei terreni incolti, nelle zone asciutte e sassose, ai bordi dei viottoli
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Ricordiamo a tuttx la puntata di Mezz’ora d’aria in onda oggi sabato 18 gennaio 2025 alle 17:30 sulle frequenze di Radio città Fujiko, FM 103.1.
In questa puntata parleremo dell’uccisione di Ramy a Milano, dello scudo penale per le forze dell’ordine e dell’istituzione di “zone rosse” all’interno di molte cittá. Infine, la collettiva anarcoerbana interverrá con la seconda pillola di erbacce anticarcerarie.
Di seguito i riferimenti della radio, a cui potete far arrivare dediche, pensieri ed esperienze:
– contatto whatsapp e telegram per chi volesse mandare con un messaggio i propri saluti dentro: 3501550853.
– per chi volesse scriverci una mail: info@mezzoradaria.com
– Per chi invece volesse inviarci una lettera: Mezz’ora d’aria, presso Radio Città Fujiko, via Zanardi 369, 40131 Bologna.
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A fine Dicembre 2024 e a seguito di istanze di revoca delle misure cautelari (applicate il 22 aprile 2024, in relazione al corteo del 4 Marzo 2023) queste sono state di fatto:
Ricordiamo che a Maggio 2025 inizierà il processo per i 19 imputatx di devastazione e saccheggio in merito a quella giornata di lotta al fianco di Alfredo e contro la tortura del 41bis e dell’ergastolo ostativo.
Inoltre, all’alba del 30 Dicembre sono state notificate ulteriori misure cautelari (stabilite in sede di appello cautelare ed eseguibili solo per coloro che non hanno fatto ricorso in Cassazione):
Paradossalmente, le stesse misure erano già state notificate e applicate a 3 di queste persone decorso il termine di 10gg dalla pronuncia d’appello per la presentazione del ricorso in Cassazione. Poi, ad una di queste tre, l’obbligo è stato sospeso “in attesa di atto esecutivo”, alle altre due le misure erano state revocate insieme alle cautelari dello stesso tipo relative al precedente troncone primaverile. La confusione derivante dalla doppia notifica e applicazione delle misure per tre degli indagati, si presume sia stata determinata dalle istanze della DIGOS che in data 25 Ottobre 2024 richiedeva con atto interno di notificare ed applicare le misure cautelari a sole 3 persone sul totale di 5, che – non promuovendo ricorso per Cassazione – avrebbero dovuto iniziare a essere sottopostx alle misure.
La data dell’udienza di Cassazione dell’ordinanza di appello richiesto dal PM per i e le restantx indagatx per le fasi preliminari del corteo (aka “carrellistx”) sarà il 30 Gennaio.
Tante sono state le persone che si sono mobilitate al fianco di Alfredo e contro la tortura di Stato in quei mesi di sciopero della fame, altrettante con il cuore e con la rabbia o con il proprio corpo e la propria determinazione sono scese in piazza il 4 Marzo e non solo.
Oggi, quei legami e quelle lotte continuano.
Contro ogni galera.
Contro il 41bis e l’ergastolo ostativo.
Libertà per tuttx!
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FUORI ALFREDO DAL 41 BIS
GIÙ LE MANI DALLA STAMPA ANARCHICA [PERUGIA, 15 GENNAIO]
Dopo il rinvio di quella prevista per il 10 ottobre, è fissata per il 15 gennaio l’udienza preliminare del procedimento Sibilla, che nel novembre 2021 portò a un’operazione repressiva mirata principalmente contro il giornale anarchico “Vetriolo”. La procura di Perugia sta chiedendo il rinvio a giudizio per 12 anarchici e anarchiche imputati per 19 capi d’accusa, quasi tutti aggravati dalla finalità di terrorismo.
Nel corso degli ultimi mesi sono stati notificati degli atti riguardanti l’avvio di un procedimento con cui la questura di Perugia intende emettere una serie di fogli di via dalla città, motivandoli con la presenza solidale tenutasi il 10 ottobre davanti al tribunale. Predisporsi a emettere dei provvedimenti del genere per un momento come quello, in cui senza particolari turbolenze è accaduto ciò che solitamente avviene in tutte le circostanze di questo tipo (affissione di striscioni, un volantinaggio, qualche intervento, ecc.), assume un significato palese: allontanare i solidali, impedire qualsiasi manifestazione di solidarietà in occasione delle udienze nei confronti degli inquisiti e particolarmente di Alfredo Cospito, recluso in regime di 41 bis nel carcere di Bancali in Sardegna e tra i 12 imputati di questo procedimento.
Mentre gli Stati si attrezzano per la guerra e i profitti per gli armamenti crescono a dismisura, mentre si sprecano le parole a giustificazione del genocidio a Gaza – il primo genocidio automatizzato della storia, dove l’intelligenza artificiale gioca un ruolo determinante –, mentre assistiamo alle consuete chiacchiere sulle stragi sul lavoro a difesa degli interessi dei padroni, mentre è in esame al senato un decreto sicurezza con cui viene preparato un ulteriore attacco contro il conflitto sociale… questi signori si affrettano nuovamente a processare gli anarchici, un “nemico interno” da debellare perché da sempre in lotta contro lo Stato e il capitale.
Pur di attaccare gli anarchici e i percorsi rivoluzionari, lo Stato farnetica di capacità “istigatorie” e “orientative” in un ambito come quello del movimento anarchico, da sempre fautore di un’ostinata e radicale autonomia di pensiero e di azione. Un’affermazione che fa il paio con l’aver sostenuto nel processo Scripta Manent delle condanne per “strage politica” nel paese in cui le stragi, quelle vere, le hanno perpetrate sempre gli apparati statali.
Assieme a quel processo, l’operazione Sibilla è stata determinante nel trasferimento in 41 bis di Alfredo Cospito. Con l’intensa mobilitazione contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo del 2022-‘23 abbiamo impedito che da Scripta Manent – per via dell’imputazione di “strage politica” – derivassero condanne fino all’ergastolo. Oggi come ieri, con l’approssimarsi di un potenziale processo Sibilla, non è quindi un mero esercizio retorico esprimere solidarietà con gli inquisiti e specialmente con Alfredo, recluso in uno tra i più afflittivi regimi detentivi esistenti in Europa.
CI VEDIAMO MERCOLEDÌ 15 GENNAIO 2025 ALLE ORE 09:30 DAVANTI AL TRIBUNALE DI PERUGIA IN PIAZZA MATTEOTTI.
Diffondiamo:
Non puoi fermare il suono.
Prontx a farla finita con divieti e imposizioni? Raggiungereteci a Bologna in via Stalingrado angolo via Calzoni, al vecchio Oz. Salutiamo l’anno vecchio e diamo il benvenuto al nuovo aprendo insieme una breccia su altri mondi possibili!
Contro la legge antirave, una legge volta a colpire la possibilità di aggregazione di individui e comunità con la scusa arbitraria e strumentale della salute e della sicurezza, contro il DDL sicurezza in fase di approvazione, che segnerebbe un ulteriore avvitamento repressivo in questo paese, una festa con tuttx, per tuttx! Per dirlo sfacciatamente e insieme: nessuna legge e autorità potrà mai impedirci di unirci, esprimerci, ballare e organizzarci in autogestione!
Per noi free party è sinonimo di libertà di espressione, libertà di azione, autodeterminazione, solidarietà. L’unico limite è l’immaginazione.
Chi mette a rischio la sicurezza e la salute delle collettività è chi crea confini e frontiere, chi specula sulla vita degli individui, chi si arricchisce sulla pelle di territori e comunità, non chi crea occasioni di incontro, festa e socialità, oltre i ruoli, gli stereotipi e le barriere quotidianamente imposte.
A chi ci vorrebbe ridottx ad utenti, consumatori, paganti e obbedienti, rispondiamo con la cosa che sappiamo fare meglio, esistere e resistere!
L’unico muro che ci piace è il muro di casse!
NO 633 bis! NO DDL SICUREZZA
Il posto è raggiungibile anche con bus e a piedi
Bar, cucina, banchetti e autoproduzioni!
Stand RDR e zona chillout
Porta cibo e acqua in abbondanza, non trascurare vestiario, giacche e coperte!
No fascismo, no sessismo, no razzismo, no omolesbobitransfobia
Prenditi cura del posto, di te stessx e delle altrx!
SI PARTE E SI TORNA INSIEME!!
Traduciamo e diffondiamo
Negli ultimi anni, il capitalismo e gli Stati di tutto il mondo hanno intensificato il massacro dellx sfruttatx nelle loro guerre e, a loro volta, hanno assistito a vasti movimenti di popolazioni costrette a emigrare come conseguenza di questa escalation bellica, sommata ad altri fattori dell’ordine mondiale internazionale. Il nazionalismo è riemerso con prepotenza, diventando uno strumento efficace per i potenti tramite il quale unire oppressx e oppressori sotto le stesse bandiere nazionali, distogliendo l’attenzione dal nemico comune, il nemico di classe.
L’industria militare ha raggiunto livelli di sviluppo senza precedenti, creando nuove tecnologie di morte, mentre la militarizzazione della nostra vita quotidiana avanza rapidamente. Le società democratiche contemporanee sono sempre più governate da criteri in cui qualsiasi pretesto (crisi sanitarie, crisi climatiche, la “minaccia del terrorismo”…) viene utilizzato per giustificare la presenza militare nelle strade, normalizzando la sorveglianza e il controllo dello Stato attraverso le forze armate.
Le recenti tensioni geopolitiche sono solo un capitolo di un conflitto più ampio tra blocchi di Paesi capitalisti in lotta per il controllo del mondo. La guerra è stata storicamente uno strumento di ristrutturazione economica per il capitalismo in crisi. Oggi, anche se offuscata dall’edulcorazione del capitalismo sotto una facciata democratica, con la sinistra del capitale che comanda quella fazione ideologica del sistema, la guerra è all’ordine del giorno, e rimane la forma più estrema di oppressione che gli Stati e i capitalisti esercitano sullx sfruttatx. Per questo consideriamo l’attuale conflitto un attacco a tutti lx proletarix, in Palestina, Ucraina, Nagorno-Karabakh, Siria, Libano… o in qualsiasi altro angolo del pianeta.
Da parte loro poverx e oppressx, nei paesi occidentali, si trovano di fronte a un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita, giustificato dalla guerra e dallo “sforzo” che ricadrà sempre su chi sta in basso. Lo sfruttamento si intensifica, mentre i politici hanno già una nuova storiella da aggiungere ai soliti messaggi che ci dicono “fottiti e accetta la tua vita di merda”, ora chiamata sforzo bellico di fronte al panorama di tensioni belliche internazionali. Chissà che i nostri politici e capi non si stiano preparando a un nuovo massacro internazionale, e che le scene delle forze di polizia che trascinano la gente al fronte viste in Ucraina non diventino parte della nostra realtà del qui e ora. I palloni sonda sul servizio militare obbligatorio e una serie di altri indizi ci fanno capire dove questi bastardi vogliono andare a parare, di nuovo.
La gente fugge dalla guerra, e ciò si aggiunge a una nuova causa delle emigrazioni forzate provocate dal capitalismo a livello globale, che hanno spinto centinaia di milioni di persone ad attraversare mari, deserti, muri e fili spinati, affrontando persecuzioni e razzismo. I centri di internamento per stranieri (CIES), le frontiere militarizzate, i muri, i controlli e la violenza della polizia fanno parte della vasta industria del controllo e della militarizzazione che gli Stati hanno sviluppato e implementato.
Per tutte queste ragioni, chiamiamo una settimana di agitazione e di lotta contro le guerre del capitale e le frontiere. Vogliamo fare un passo in avanti in questa lotta costante, quotidiana e internazionalista. La guerra inizia qui e le imprese che vi collaborano, così come la produzione di armi, fanno parte della nostra realtà quotidiana. Un piccolo contributo alla guerra in corso.
Invitiamo tuttx a partecipare e a organizzare incontri, dibattiti, azioni… e a riprendersi le strade. Questo appello è aperto a qualsiasi gruppo, collettivo o individuo che desideri unirsi e contribuire in qualsiasi modo gli venga in mente.
CONTRO LE FRONTIERE, CONTRO LA GUERRA
PER LA RIVOLUZIONE SOCIALE
Diffondiamo:
Isolamento e repressione? Uniamo le forze davanti a chi pensa di addomesticarci e intimidirci.
A seguito della recente TAZ a Bologna alcune persone identificate intorno all’area quel giorno sono state denunciate per 633 bis, mentre molte altre stanno ricevendo avvisi di apertura indagine per invasione di terreni ed edifici (art 633 c.p.).
Il famigerato 633 bis fa riferimento alla legge cosiddetta anti-rave. Una legge creata sull’onda di un’emergenza che non esiste, che intende colpire raduni autogestiti con la scusa arbitraria e strumentale della sicurezza e della salute.
Sappiamo bene come questi tentativi di attaccare e isolare singole e singoli, siano volti a scoraggiare l’autodeterminazione di intere comunità e collettività.
Per quanto ci riguarda, si parte insieme, si torna insieme!
Se hai ricevuto notifiche di procedimenti in corso su di te riferiti a quel giorno, se non sai come muoverti, DON’T PANIC! Alla mail solidarietaz@autistici.org puoi ricevere supporto, unitx anche alle altre persone colpite come te alla TAZ, per difenderci insieme dalle politiche proibizioniste e repressive del governo.
10, 100, 1000 TAZ!
Da Galipettes Milano
Domenica notte Ramy Elgaml muore dopo esser caduto dallo scooter su cui viaggiava con un amico inseguiti dai carabinieri per diversi chilometri.
Ramy era un ragazzo di 19 anni che viveva in Corvetto.
Da quando si è saputo della sua morte numerosi ragazzi e ragazze, suoi amici e amiche, si sono trovati in strada sul luogo dello schianto, accanto alla sua famiglia.
Presto il dolore per la sua morte si è trasformato in rabbia e sete di verità rispetto all’accaduto.
La notte fra domenica e lunedì ci sono stati momenti di scontro con le forze dell’ordine nelle strade del quartiere popolare in cui abitava dove qualcuno aveva iniziato ad incendiare cassonetti e rifiuti.
Anche lunedì sera, per qualche ora la normalità si è fermata e al suo posto sono comparse barricate incendiate e gruppi di persone che si scontravano con la polizia che ha risposto lanciando numerosi lacrimogeni nel tentativo di disperdere la gente che invece non si è lasciata intimorire.
La morte di Ramy è probabilmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Chi viene dai quartieri popolari ha a che fare con la polizia tutti i giorni, per un motivo o per un altro. Conosce l’arroganza e la violenza degli sbirri e sa bene cosa significa un fermo di polizia.
Ed è così che la rabbia aumenta.
Alla fine di lunedì sera un ragazzo di 21 anni è stato arrestato e portato a San Vittore mentre a Corvetto restano la collera e la plastica sciolta dei cassonetti sull’asfalto.
Ramy vivrà nei cuori della sua famiglia e dei suoi amici, nella rabbia che incendierà le strade
Fuori gli sbirri dai quartieri.
Libertà per tutti e tutte.
Milano. Accertamenti in corso sul possibile impatto tra l’auto dei carabinieri e lo scooter con a bordo i due giovani che, nella notte tra sabato e domenica, si è schiantato contro un muretto in via Quaranta, zona viale Ripamonti, dopo un inseguimento durato diversi chilometri, pare per un mancato fermo. Così è morto Ramy Elgaml, ragazzo di origini egiziane di 19 anni, mentre un amico, alla guida, è rimasto ferito e ora è piantonato in ospedale.
La mossa della Procura segue le denunce di amici e famigliari, che dietro lo striscione “Verità per Ramy” si sono ritrovati a centinaia già domenica nel luogo dell’incidente.
Lunedì sera, 25 novembre, altre proteste e scontri di piazza, stavolta al Corvetto, il quartiere del giovane, con petardi, cassonetti in fiamme, estintori aperti in strada, un bus – il 93 – bloccato. Ci sono state anche diverse cariche della polizia, arrivata con i reparti in antisommossa, con manganelli e lacrimogeni, in viale Omero. Arrestato un 21enne, accusato di resistenza e lancio di oggetti.
La corrispondenza su Radio Onda d’Urto Alfredo, compagno e storico residente nel quartiere Corvetto di Milano. Ascolta o scarica
Le riflessioni di Stefano Nutini, della Rete per il diritto all’abitare e di Rifondazione comunista Zona 4 di Milano sull’abbandono delle politiche abitative e sociali in questi quartieri popolari Ascolta o scarica
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Domenica scorsa, per la prima volta dopo anni, un nutrito presidio davanti al centro di detenzione di Sofia-Busmantsi ha rotto per un pomeriggio l’isolamento dei e delle detenute immigrate che lì sono recluse. Nonostante i tentativi delle guardie di tenere lontane le persone dalle finestre e i trasferimenti di prima mattina per svuotare le stanze da cui si sarebbe più facilmente potuto comunicare con l’esterno, da dentro hanno potuto sentirci, seguirci e contattarci. E’ stata una boccata d’aria fresca nel soffocante silenzio che circonda i lager bulgari per persone immigrate, di cui solo ora si inizia a parlare, grazie alle lotte da dentro e alla solidarietà da fuori.
Il presidio è stato organizzato in solidarietà alle numerose proteste nei centri di detenzione e di accoglienza bulgari dell’ultimo mese. A Busmantsi (il centro di detenzione nella periferia della capitale), le persone hanno protestato contro nuove arbitrarie restrizioni sulle visite e sui pacchi e si sono rifiutate per qualche ora di entrare nelle loro stanze in segno di protesta. Nei giorni successivi, a molte persone sono stati sequestrati i telefoni cellulari (che possono regolarmente avere, a patto che siano senza fotocamera).
Nel centro di accoglienza di Harmanli, che si trova nel sud del paese e vicino al confine con la Turchia, i rifugiati siriani stanno protestando da settimane contro i respingimenti di massa delle loro richiesta di asilo. Nel centro ci sono attualmente circa 900-1000 persone che, dopo aver fatto richiesta di asilo, sono in attesa dei colloqui e di ricevere una decisione sulla loro domanda. Tra settembre e ottobre però sono state respinte la maggior parte delle richieste asilo degli uomini soli. Solo le famiglie continuano (a stento) a ricevere la protezione internazionale. Il 18 ottobre hanno iniziato una protesta e dichiarato uno sciopero della fame.
La risposta dell’amministrazione è stata che ora la Siria è un Paese sicuro, con riferimento al fatto che chi fugge dai bombardamenti israeliani nel sud del Libano si rifugia in Siria. Questa logica perversa e nuova preoccupante tendenza non è ovviamente solo una sadica invenzione dell’Agenzia di Stato bulgara per i rifugiati: negli ultimi anni anche altri Paesi europei stanno iniziando a respingere chi proviene dalla Siria come già fanno sistematicamente con le persone provenienti da altre aree devastate dalla guerra.
Da Busmantsi ci è invece arrivata una lettera aperta che recita: “76 siriani, tra cui 8 bambini, stanno soffrendo condizioni dure durante la loro detenzione a Sofia. Sono state date loro due opzioni: Un anno e mezzo di prigione per aver minacciato la sicurezza nazionale della Bulgaria, oppure firmare un ordine di deportazione in Siria. Un rappresentante dell’ambasciata siriana li ha già visitati minacciando di deportarli entro 21 giorni una volta che il numero di persone che accettano di essere deportate sarà pieno *(probabilmente, quando ci saranno abbastanza persone per organizzare una deportazione di massa)*.
I rifugiati vivono in condizioni di vita difficili, non hanno accesso alle cure mediche e si vedono negare le più elementari necessità della vita quotidiana. Sono sfruttati dalle guardie del campo, perché sono costretti a pagare grandi somme di denaro per piccole quantità di cibo; pagano fino a 100 euro per una piccola quantità di verdure”. Notizie simili ci arrivano dall’altro centro di detenzione bulgaro, a Lyubimets.
Le terribili condizioni di vita all’interno dei campi aperti e chiusi per migranti in Bulgaria sono oggetto di rapporti e dibattiti a livello europeo da anni ormai.
A settembre, una delegazione del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) del Consiglio d’Europa ha effettuato una visita ad hoc in Bulgaria, a causa delle preoccupazioni “legate alle inadeguate condizioni materiali, alle attività e all’assistenza sanitaria, nonché alla mancanza di informazioni sui diritti e di accesso all’interpretazione”.
Non abbiamo bisogno di queste inutili mascherate, che fanno finta che ci sia uno standard da raggiungere, affinché le persone in questi lager possano vivere decentemente. Al presidio è stato gridato in ogni lingua: i centri di Busmantsi e Lyubimets non sono “Case speciali per la sistemazione temporanea degli stranieri”. Sono prigioni a tutti gli effetti, il cui scopo è controllare, reprimere e sfruttare le persone immigrate in transito in Bulgaria.
Ne è dimostrazione il fatto che una parte delle persone è detenuta con l’accusa di costituire una “minaccia alla sicurezza nazionale”. Questo è il pretesto per detenere ed espellere gli individui scomodi, come molti curdi provenienti dalla Turchia e ricercati dal regime di Erdogan, o i dissidenti politici in fuga da Iran, Bielorussia, Russia. C’è anche chi, come il nostro amico Nidal Hassan, è sopravvissuto al genocidio in corso a Gaza e ora si trova detenuto in Europa. Lo stesso pretesto con cui il nostro compagno e dissidente saudita Abdulrahman Al-Khalidi è detenuto da quattro anni. Quattro anni di ricorsi e tribunali per ricevere la protezione internazionale che non arriva mai a causa delle pressioni dell’Arabia Saudita, che ne chiede l’estradizione per poterlo punire per i suoi crimini d’opinione contro il regime.
Anche la criminalizzazione delle persone immigrate è una politica a impronta UE che lo Stato bulgaro applica con zelo, senza preoccuparsi troppo delle superficiali accuse di non rispettare le convenzioni sui diritti umani. Era la moneta di scambio per entrare nell’UE e ora per entrare nell’area Schengen. Di conseguenza, la detenzione amministrativa assume tutte le forme di quella penale. Formalmente è una detenzione temporanea finalizzata all’identificazione e all’espulsione. In realtà, è una punizione.
Non vogliamo rimanere in silenzio di fronte a questa vergogna, come fanno tutti i media mainstream in questo Paese. Continueremo a sostenere le spinte verso la libertà di chi sta fuori e dentro i centri di detenzione e di accoglienza, alle frontiere e per le strade delle nostre città.