UN TESTO SUI SABOTAGGI AVVENUTI IN FRANCIA IN OCCASIONE DEI GIOCHI OLIMPICI

Di seguito un testo sui sabotaggi avvenuti in Francia in occasione dei Giochi Olimpici.

Nord-Sud-Est-Ovest

La sera dello scorso 25 luglio, a Parigi, l’eccitazione era alle stelle. (Quasi) tutti gli occhi erano puntati sulla Ville Lumière: l’indomani sarebbe stato il grande giorno, quello dell’apertura ufficiale della XXXIII edizione dei Giochi Olimpici. Gli organizzatori avevano pre-annunciato un’inaugurazione all’altezza della grandeur francese — una sfilata «audace, originale, unica» sulla Senna. Lo sgradevole ricordo della precedente edizione giapponese, rimandata di un anno causa morbo minore e tenutasi davanti agli spalti vuoti, doveva essere cancellato. Questa volta nulla e nessuno avrebbe potuto ostacolare lo sfarzoso ritorno dei Giochi  nella patria del loro creatore, il barone De Coubertin. Né un eco-sistema stremato da secoli di industrialismo, né un conflitto locale, possibile scintilla di una guerra mondiale nucleare, né un genocidio in atto.

«E se mai, per mala sorte, avvenisse in un modo o nell’altro qualche cosa di sgradevole, ebbene, c’è sempre il soma che vi permette una vacanza, lontano dai fatti reali. E c’è sempre il soma per calmare la vostra collera, per riconciliarvi coi vostri nemici, per rendervi pazienti e tolleranti»

Per garantire il regolare svolgimento della manifestazione sportiva, ovvero l’assunzione planetaria del soma sportivo, le autorità francesi avevano preso misure di sicurezza eccezionali: 45 mila agenti sparsi in tutta la città, 18 mila militari, 200 teste di cuoio (metà delle quali in ruolo di cecchini sui tetti della capitale francese), un centinaio di sommozzatori. E poi un dispiegamento di droni e barriere marittime atti ad impedire il transito illegale di piccole imbarcazioni attraverso La Manica, lo schieramento di unità di missili terra-aria per la sicurezza aerea, la chiusura dello spazio aereo sulla capitale sorvolato solo da elicotteri militari. E poi la collaborazione con i servizi segreti di 80 paesi, la presenza di agenti di polizia provenienti da decine di paesi, nonché 2 mila agenti di sicurezza privati. E poi il controllo delle acque reflue a caccia di virus, l’installazione di sonar acquatici, un sistema di videosorveglianza basato sugli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale. Questo tanto per dare idea dell’importanza dell’evento, tanto per far capire come fosse indispensabile che a partire da quel 26 luglio a Parigi non doveva, non deve e non dovrà accadere nulla.

«Adesso il mondo è stabile. La gente è felice; ottiene ciò che vuole, e non vuole mai ciò che non può ottenere. Sta bene; è al sicuro;… è condizionata in tal modo che praticamente non può fare a meno di condursi come si deve. E se per caso qualche cosa non va, c’è il soma…»

Eppure… merdre! — la mattina del 26 il clima era già rovinato. E non certo dal diluvio già previsto nella serata. No, il problema è un altro: se Parigi è il fulcro della Francia, la Francia non consiste nella sola capitale. Ogni centro, per definizione, ha la sua periferia. Recintare, presidiare, sorvegliare ogni metro quadro di un centro è ambizione a portata di tutte le arroganze. Ma non si può pretendere di poter fare altrettanto con una periferia che, in questo caso, si estende fino ai confini. Un territorio che, per comodità, si può suddividere in base ai quattro punti cardinali.
Ebbene, nella notte fra il 25 ed il 26 luglio, a poche ore dall’avvio dei moderni circenses, a Parigi stessa e nei quattro punti cardinali dell’esagono è accaduto qualcosa. Qualcosa di piccolo, ma dall’impatto enorme. Piccoli sabotaggi della linea ferroviaria dell’Alta Velocità — riusciti al centro, a nord, ovest ed est, fallito a sud — che hanno bloccato per lunghe ore la circolazione verso la capitale.
Incredibile, nevvero? Sono bastate poche bottiglie incendiarie, alcune lame taglienti ed una appassionata passeggiata notturna fra individui complici per spezzare l’incantesimo, anzi, la vera e propria stregoneria che rende accettabile l’aberrante condizione umana.

«Io non capisco nulla» rispose lei decisa, determinata a conservare intatta la sua incomprensione. «Nulla. E meno di tutto» continuò con un altro tono «perché non prendete il soma quando vi vengono queste vostre terribili idee. Le dimentichereste tutte. E invece di sentirvi infelice, sareste allegro. Tanto allegro!» ripeté…

Non ci capiscono nulla. Come è possibile che qualcuno abbia cercato di impedire a 800.000 potenziali spettatori di essere presenti e felici quel fine settimana, seduti negli stadi a sventolare bandierine della propria nazione, così vogliosi di cantarne l’inno? Come fa a venire in mente a qualcuno di rovinare le vacanze alle persone dabbene, agli onesti lavoratori che giorno dopo giorno fanno andare avanti questa infame società? Grandi e piccoli animatori dello Spettacolo non se ne capacitano. Perciò, dai protagonisti alle comparse, si sono indignati tutti.
Il ministro dei Trasporti francese, ad esempio, ha definito il sabotaggio delle linee ad alta velocità «un’azione criminale scandalosa», mentre per la sua collega ministro dello Sport si è trattato di un attacco diretto agli atleti e alla propria patria: «Questi Giochi sono per gli atleti che li sognano da anni e che lottano per il sacro Graal di salire sul podio e qualcuno li sta sabotando. Giocare contro i giochi è giocare contro la Francia, è giocare contro la tua squadra, è giocare contro il tuo Paese». Che sia configurabile l’accusa di alto tradimento lo sostiene anche il giovane leader del partito di estrema destra, il quale concorda inoltre con un’esperta in cantieri ferroviari che parla di «attentato contro la libertà di partire in vacanza». Concetto ribadito fra gli altri anche dallo stesso amministratore delegato della SNCF (le ferrovie francesi), secondo il quale «sono i francesi ad essere attaccati».
Ma da chi? Beh, a suo dire da… da… da una «banda d’illuminati, d’irresponsabili»! Una setta di pazzi, insomma. Mentre per il ministro degli Interni francesi, il taglio e l’incendio dei cavi di fibre ottiche che costeggiano i binari sono «un modo d’azione tradizionale dell’ultrasinistra». Ma c’è anche chi ha evocato l’ingerenza straniera, come ad esempio il ministro degli esteri israeliano la cui lingua batte sul dente dolente: a suo dire il sabotaggio «è stato programmato ed eseguito sotto l’influenza dell’asse del male dell’Iran e dell’islam radicale». Addirittura? Ma bisogna capire il delirio del pari israeliano di von Ribbentrop. Lui sa bene che lo scorso 26 luglio 2024 era il 294° giorno del genocidio dei palestinesi…

«Troppo orribile!» ripeteva; e tutte le consolazioni di Bernardo furono vane. «Troppo orribile! Quel sangue!». Fremeva. «Oh, se avessi il mio soma

Quando si parla di Olimpiadi, il coro è unanime: grande festa sportiva, amicizia e fratellanza tra i popoli, tregua olimpica, culto della dedizione e dello sforzo… Una conformità di pareri talmente radicata da rendere inimmaginabile che ci possa essere qualcuno che non solo rifiuta di pensare che l’importante è partecipare (alla competizione, alla ricerca di successo, alla misurazione del tempo, al culto della mera forza fisica, all’apologia del nazionalismo…), ma che ha l’ardire di interrompere questo zelante coro nella consapevolezza che l’importante è impedire di partecipare. Di partecipare alla riproduzione sociale.
Ed ecco che dalla notte del desiderio spuntano le ombre di chi non si presenta alle elezioni, di chi non frequenta salotti televisivi, di chi non lancia né dirige movimenti sociali o partiti politici, di chi non elargisce nessun sorriso compiacente. Perché disprezza qualsiasi pubblico, perché vuole mettere fine ad ogni rappresentazione. E per questo non esita a mettere in piedi nel piatto. Contro ogni ragionevolezza, contro ogni calcolo politico.

«Ma vi piace essere schiavi?» stava dicendo il Selvaggio quando essi entrarono nell’Ospedale. Era rosso in faccia, i suoi occhi mandavano lampi d’ardore e di indignazione. «Vi piace essere dei bambocci? Sì, dei bambocci che vagiscono, che sbavano» aggiunse, esasperato dalla loro bestiale idiozia al punto di lanciare degli insulti a coloro che era venuto a salvare. Le ingiurie rimbalzarono sulla spessa corazza della loro stupidità; essi lo guardarono con una vuota espressione di risentimento ebete e fosco negli occhi.
«Sì, bavosi!» gridò apertamente. Il dolore e il rimorso, la pietà e il dovere, tutto era dimenticato adesso, e, per così dire, assorbito in un odio intenso verso quei mostri meno che umani. «Non volete dunque esser liberi e uomini? Non comprendete neppure che cosa sia lo stato d’uomo e la libertà?» L’ira lo rendeva eloquente; le parole arrivavano facilmente, fluenti. «Non comprendete?» ripeté, ma non ricevette risposta alla domanda. «Ebbene, allora» riprese torvo «ve lo insegnerò io, vi costringerò a essere liberi, lo vogliate o no»

Alla destra, al di là di plateali ipocrisie, non interessa nulla della libertà; intende solo instaurare l’ordine. Ma la sinistra, soprattutto quella estrema, quando non è intenta ad asciugare lacrime e sudore esortando alla resilienza, si compiace di tanto in tanto di atteggiarsi a paladina della libertà. Basta che questa libertà sia coniugata rigorosamente al plurale, come opera strategica collettiva di conquista di maggiori diritti. Ebbene questa sinistra, tronfia di successo elettorale e assetata di composizione militante, come ha reagito ai sabotaggi avvenuti? Nei palazzi si va dall’indignazione socialista («Questa è destabilizzazione, è sabotaggio, è rimettere in discussione l’immagine della Francia») alla senilità indomita («Denunciamo questi atti dolosi e inviamo tutto il nostro sostegno ai ferrovieri mobilitati sul campo e che lavoreranno giorno e notte per garantire il ritorno alla normalità il prima possibile»). Nelle piazze, silenzi imbarazzati a parte, spiccano solo gli interessati e nauseabondi ammiccamenti di chi si precipita a precisare che il sabotaggio è «al servizio di un mondo migliore» (come insegnato da Mao ed imparato dagli odierni capibastone di movimento).

«Distribuzione di soma» gridò una voce forte. «In buon ordine, per favore. Spicciatevi laggiù»

Dopo gli atti di sabotaggio, il ministro dei Trasporti ha assicurato che sono stati messi in campo «mezzi considerevoli» per «rafforzare» la sorveglianza dei 28.000 km attraverso cui si dipana la rete ferroviaria francese: «un migliaio di agenti della manutenzione della SNCF», coadiuvati da «250 agenti della polizia ferroviaria», con l’appoggio di 50 droni e degli elicotteri della Gendarmeria, veglieranno «fino a nuovo ordine» sul ritorno alla normalità.
Ah, il ritorno alla normalità, ossessione di tutti i politicanti: che tutto torni a scorrere come prima, la sveglia al primo mattino e la fatica alla sera, lo sfruttamento sul lavoro e della vita, le chiacchiere idiote fra amici e colleghi, la devastazione di ecosistemi e di immaginari, le file ai semafori e alle casse dei supermercati, la repressione di proteste e desideri, l’intrattenimento televisivo e digitale, il massacro di popolazioni e di sogni, l’affitto da pagare e le bollette da saldare, la sorveglianza totale di spazi e di pensieri, la scelta del cinema o del locale dove andare, l’addomesticamento di ogni slancio e di ogni singolarità, le merci da vendere o da comprare, il rispetto e l’obbedienza per le istituzioni.
Ecco qual è la normalità da ripristinare. E chi osa sfidarla viene minacciato di possibili condanne fino a 20 anni di carcere!

«Improvvisamente dall’apparecchio di musica sintetica una voce prese a parlare. La Voce della Ragione, la Voce del Buon Senso. Il rullo d’impressioni sonore si dipanava per trasmettere il Discorso Sintetico numero Due contro le Sommosse (forza media). Sgorgando dal fondo di un cuore non esistente “Miei cari, miei cari!” disse la voce tanto pateticamente, con una nota di rimprovero così infinitamente tenera, che, dietro le loro maschere antigas, persino gli occhi dei poliziotti furono momentaneamente pieni di lacrime “cosa vuol dire questo? Per qual ragione non siete tutti insieme felici e buoni? Felici e buoni” ripeté la voce “in pace, in pace?” Tremò, si affievolì in un sospiro, disparve un attimo. “Oh, come desidero che siate felici!” riprese con calore di convinzione. “Come desidero che siate buoni! Vi prego, vi prego di essere buoni…”
In due minuti la voce e i vapori di soma avevano prodotto il loro effetto»

No, le chiacchiere stanno a zero. La normalità, già finita definitivamente con la pandemia di servitù volontaria, non risorgerà certo in mezzo ai bagni di sangue. Questa spietata civiltà di massacratori e di influencer non conoscerà nessuna pietà. Dopo aver puntato il coltello alla gola a chiunque ed aver iniziato con lo sgozzare i dannati della terra, i Signori e i loro tirapiedi pretendono pure di essere trattati con cortesia e buone maniere? La normalità, quella dell’autorità e del denaro, se la possono dimenticare per sempre.
Ed infatti, già nella notte fra il 28 ed il 29 luglio una nuova ondata di sabotaggi ha colpito la Francia. Questa volta ad essere tagliate sono state le autostrade digitali di fibra ottica in almeno dieci dipartimenti, a nord e a sud del paese, incrinando così una spina dorsale di internet: ovvero una rete backbone, in questo caso quella dell’operatore di infrastrutture SFR, utilizzata per connettere ad alta velocità di trasmissione molte reti all’interno di una più grande. Per questo motivo questi ultimi sabotaggi hanno avuto conseguenze anche su molti altri operatori delle telecomunicazioni.
Per la segretaria di Stato responsabile del Digitale si è trattato di «azioni vili e irresponsabili», mentre la Federazione Francese delle Telecomunicazioni «condanna fermamente questo caso di vandalismo che colpisce la vita dei francesi, nel momento in cui il mondo intero ha gli occhi puntati verso i Giochi Olimpici e Paraolimpici».

«Nel mondo nuovo l’uso del soma non era un vizio personale; era un’istituzione politica; era l’essenza stessa della Vita, della Libertà e del Perseguimento della Felicità, garantiti dalla Carta dei Diritti. Ma questo preziosissimo fra i privilegi inalienabili dei soggetti era al tempo stesso una delle armi più potenti dell’arsenale del dittatore. Il drogaggio sistematico degli individui per il bene dello Stato (e anche, naturalmente, per il piacere dei singoli) era una piattaforma fondamentale della politica dei Controllori del Mondo»

Se «gli schiavi felici sono i nemici più agguerriti della libertà», è fin troppo chiaro il motivo per cui questa loro felicità vada rovinata. Se le infrastrutture tecniche sparse su tutto il territorio sono i mezzi necessari per diffondere la voce del comando e l’algoritmo dell’obbedienza, è fin troppo esplicita l’urgenza della loro demolizione. Tutto ciò non ha nulla di politico, è vero, ma lasciamo che a battere le strade istituzionali siano i questuanti diritti costituzionali. Tutto ciò non abbisogna di alcun consenso popolare, è vero, basta un po’ di volontà ed il concorso delle stelle.
E non è ciò che resta di meraviglioso?

https://abirato.net/nord-sud-est-ovest/

GIOCHI OLIMPICI. LA PAROLA ALLA «DELEGAZIONE INATTESA»

Diffondiamo la traduzione della rivendicazione integrale (uscita sul blog «Reporterre») dei sabotaggi all’Alta Velocità in occasione dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici a Parigi. Nel giorno dell’inaugurazione dell’evento, infatti, diversi attacchi coordinati hanno mandato completamente in tilt la circolazione dell’Alta Velocità (TGV), mentre tra domenica e lunedì scorso sono state registrate azioni di sabotaggio ai cavi della fibra ottica.

La chiamano festa? Noi ci vediamo una celebrazione del nazionalismo, una gigantesca messa in scena dell’assoggettamento delle popolazioni da parte degli Stati. Dietro un’atmosfera giocosa e conviviale, i Giochi Olimpici offrono un campo di sperimentazione per la gestione poliziesca delle folle e il controllo generalizzato dei nostri movimenti.

Come ogni grande evento sportivo, le Olimpiadi sono ogni volta anche l’occasione per venerare i valori che fondano il mondo del potere e del denaro, della competizione generalizzata, del rendimento a tutti i costi, del sacrificio per l’interesse e la gloria nazionale.

L’ingiunzione di identificarsi con una comunità immaginaria e di sostenere il proprio presunto campo di appartenenza non è meno nefasta dell’incentivo permanente a vedere la propria salvezza nella buona salute della propria economia nazionale e nel potere del proprio esercito nazionale.

Oggi c’è bisogno di dosi sempre maggiori di malafede e di negazione per non riuscire a vedere tutto l’orrore che la società dei consumi e la ricerca del cosiddetto “benessere occidentale” generano. La Francia vorrebbe fare di questa grande messa la vetrina delle sue eccellenze. Essa potrà cullare d’illusioni sul suo ruolo virtuoso solo chi ha deciso di mettersi i paraocchi, e che vi si adatta. Madiamo loro il nostro più profondo disprezzo. L’influenza della Francia passa attraverso la produzione di armi, il cui volume di vendite la colloca come il secondo esportatore al mondo. Lo Stato è orgoglioso del suo complesso militare industriale e del suo arsenale “made in France”. Diffondere i mezzi del terrore, della morte e della devastazione in tutto il mondo per garantire la prosperità? Cocoricooo!

Senza offesa per gli ingenui che ancora credono alle favole democratiche, lo Stato francese usa la sua panoplia repressiva anche per affrontare la propria popolazione. Per sedare le rivolte dopo l’omicidio di Nahel da parte della polizia nel giugno 2023 o di recente per cercare di fermare la rivolta anticoloniale a Kanaky. Finché esisterà, lo Stato non smetterà mai di usarla per combattere coloro che sfidano la sua autorità.

Le attività delle imprese francesi nel mondo rendono sempre più manifeste le devastazioni sociali e ambientali che il sistema capitalista produce. Quelle necessarie a riprodurre l’attuale organizzazione sociale, e quelle inerenti al progresso scientifico e tecnologico. Progresso che percepisce la catena di catastrofi passate, presenti e future solo come un’opportunità per un balzo in avanti.

Total continua a saccheggiare e a spogliare nuove terre in cerca di petrolio e di gas di scisto (Africa orientale, Argentina, ecc.). Sotto la copertura della sua nuova etichetta verde, l’industria nucleare e l’esportazione delle conoscenze francesi in questo settore ci garantiscono, a più o meno breve termine, un pianeta irradiato, quindi letteralmente inabitabile. Nient’altro che un’altra crisi da gestire per i promotori dell’atomo. Loro che non possono fare a meno della cooperazione con lo Stato russo attraverso il colosso Rosatom e del sostegno del suo esercito per reprimere la rivolta nel 2022 in Kazakistan, importante paese fornitori di uranio. Questo materiale che alimenta i cinquantotto reattori francesi.

E allora qual è il costo umano, sociale e ambientale che garantisce a qualche privilegiato di spostarsi velocemente e lontano in TGV? Infinitamente troppo alto. La ferrovia non è d’altronde un’infrastruttura banale. È sempre stato un mezzo per la colonizzazione di nuovi territori, un passo preliminare per la loro devastazione e un percorso ben tracciato per l’estensione del capitalismo e del controllo statale. Il cantiere della linea denominata Tren Maya in Messico, al quale collaborano Alstom e NGE, ne è un buon esempio.

E le batterie elettriche indispensabili alla pretesa “transizione energetica”? Parlatene, ad esempio, con i lavoratori della miniera di Bou-azeer e con gli abitanti delle oasi di questa regione marocchina che stanno subendo le conseguenze della corsa all’ora del XXI secolo. Renault vi estrae i minerali necessari a fornire una coscienza pulita agli ecologisti delle metropoli a scapito delle vite sacrificate. Parlatene con i “popoli delle foreste” dell’isola di Halmahera, nel nord-est dell’Indonesia, con gli Hongana Manyawa che disperano di veder distrutta la foresta in cui vivono sull’altare della “transizione ecologica”. Lo Stato francese, attraverso la società Ermet, partecipa alla devastazione delle terre finora risparmiate. Allo stesso modo, non molla la Nuova Caledonia per continuare a strapparle il prezioso nichel.

Ci fermeremo qui nell’impossibile inventario delle attività mortali e predatorie proprie di ogni Stato e di ogni economia capitalista. Del resto, ciò non aiuterebbe a rompere con una vita insipida e deprimente, con una vita di sfruttamento, e a fronteggiare la violenza di Stati e leader religiosi, capifamiglia e pattuglie di polizia, patrioti e milizie padronali, così come quella di azionisti, imprenditori, ingegneri, progettisti e architetti della devastazione in corso. Per gran fortuna, l’arroganza del potere continua a scontrarsi con la rabbia degli oppressi/e ribelli. Di sommosse in insurrezione, durante le manifestazioni offensive, attraverso le lotte quotidiane e le resistenze sotterranee.

Che dunque oggi risuonino, attraverso il sabotaggio delle linee TGV che collegano Parigi ai quattro angoli della Francia, il grido “donna, vita, libertà” dall’Iran, le lotte degli amazzonici, i “fotti la Francia” che provengono dall’Oceania, il desiderio di libertà che giunge dal Levante e dal Sudan, le battaglie che continuano dietro i muri delle prigioni e l’insubordinazione dei disertori del mondo intero.

A coloro che rimproverano a questi atti di rovinare il soggiorno dei turisti e di perturbare le partenze per le vacanze, rispondiamo che è ancora così poco. Così poco se paragonato a quell’evento al quale desideriamo partecipare e che auspichiamo con tutto il cuore: il crollo di un mondo basato sullo sfruttamento e sul dominio. Allora sì che avremo qualcosa da festeggiare.

Una delegazione inattesa

SUI MOTI IN KENIA E SULLA RIAPERTURA DEL CPR DI CORSO BRUNELLESCHI A TORINO

Condividiamo due approfondimenti andati in onda su Harraga, trasmissione su Radio Blackout. Il primo riguarda i moti in Kenya, il secondo  si concentra sulla riapertura del CPR di Corso Brunelleschi a Torino.

Un racconto sui moti di piazza in atto in Kenya

Se il video delle fiamme che avvolgono la sede del Parlamento del Kenya a Nairobi è – di per certo – stato visto da moltx; meno sono stati i momenti in cui si è riusciti a contestualizzare quell’attacco al cuore del potere dentro una cornice di senso che racconti come ha potuto crescere una consapevolezza talmente chiara, in una larga fetta della popolazione kenyana, tale da non avere dubbi sui propri passi e sui termini delle priorità di lotta.

E’ difficile, a queste latitudini, comprendere i moti di piazza e i gesti materiali di chi, all’altezza dell’equatore attacchi il potere con letture dell’esistente alquanto differenti dalle categorie a cui siamo abituati a riferirci.

Nel tentativo di cogliere la potenza di questo momento abbiamo chiesto, a chi vive le piazze del Kenya, di raccontare ai microfoni di Harraga – trasmissione contro frontiere e CPR in onda su Radio Blackout – cosa sta succedendo.

Le fiamme che si alzano da quegli edifici e il coraggio di chi sfida i proiettili della polizia in Kenya parlano di un bisogno di distruggere sia i resti violenti della Colonia che fu, sia i presenti immanenti della neo-colonia di oggi. Non si possono leggere quei gesti e quella capacità di restare in strada dinanzi alla violenza spietata della controparte, senza parlare del lascito brutale, inoculato e lacerante del passato coloniale e – men che meno – della spietata predazione avida delle potenze neo-coloniali occidentali oggi.

Ancora una volta con le orecchie tese ad ascoltare le parole di chi – oppresso lungo la linea del colore e della classe – in un mondo asfissiante, attacca responsabili, simboli ed esecutori materiali della miseria che viene imposta a larga parte della popolazione mondiale – ai microfoni di Harraga tre vocali direttamente dal Kenya ci raccontano cosa sta succedendo.

Ascolta il podcast qui:

https://nocprtorino.noblogs.org/post/2024/07/23/podcast-di-harraga-un-racconto-sui-moti-di-piazza-in-atto-in-kenya/


Sulla riapertura del CPR di corso Brunelleschi

È passato poco più di un anno da quando l’inverno torinese fu scaldato dal fuoco che portò alla chiusura del CPR di Corso Brunelleschi e ad oggi la riapertura di quel luogo di vessazioni e tortura è imminente.

Dal bando di gara relativo alla gestione e al funzionamento del centro di permanenza e rimpatrio di Torino, consultabile alla sezione amministrazione trasparente del sito della Prefettura sabauda, l’apertura sembra essere prevista per il 1° di Novembre 2024. L’importo stimato dell’appalto è di € 8.517.432,00 relativi a 24 +12 mesi, aggiudicabile, come sempre al ribasso, da quelle aziende che proporranno l’offerta tecnica più vantaggiosa. I lavori di ristrutturazione sono iniziati il 5 Febbraio 2024 e ad ora le aree ultimate o in fase di ultimazione sono 2, l’area rossa e l’area blu, per una capienza di 70 posti. Il bando prevede la possibilità di un ampliamento della capacità detentiva da 70 a 150 posti ossia per una totalità di 4 aree.

In questa puntata di Harraga, in onda su Radio Blackout, abbiamo provato a ripercorrere alcuni passaggi di quelle giornate di lotta del Febbraio 2023 che hanno scosso il capoluogo piemontese, dimezzando la capacità detentiva dei CPR del nord Italia.

Ascolta il podcast qui:

https://nocprtorino.noblogs.org/post/2024/07/23/podcast-di-harraga-sulla-riapertura-del-cpr-di-corso-brunelleschi/

BOLOGNA: MEZZ’ORA D’ARIA [RADIO]

Diffondiamo:

Domani sabato 20 luglio alle 17:30 su Mezz’ora d’aria, sulle frequenze di Radio Citta Fujiko (FM 103.1), una nuova puntata per rompere l’isolamento del carcere, raccontare e ascoltare le lotte dei e delle prigioniere, e cercare di sostenerle da fuori.

Uno spazio a disposizione delle persone private della libertà, e di chi gli è accanto : potere scrivere per fare dediche, proporre canzoni, comunicare quello che succede dentro.

Per scrivere a Mezz’ora d’aria: Mezz’ora d’aria, presso radio città Fujiko,
Via Zanardi 369, 40131, Bologna
E-mail: mezzoradiliberta@autistici.org
https://www.autistici.org/mezzoradaria/

Dopo questa puntata, si riprenderà a fine settembre/inizio ottobre.

TRIESTE: MORTO UN DETENUTO

Apprendiamo della morte di un detenuto nel carcere Ernesto Mari di Trieste, dove qualche giorno fa è scoppiata una rivolta: le persone recluse hanno protestato contro le scarsissime condizioni igieniche e sanitarie della struttura, il caldo insopportabile e il sovraffollamento. Quattro detenuti sono poi stati portati in ospedale, di cui uno con un’intossicazione dovuta al fumo dei lacrimogeni.

Pochi giorni fa, un detenuto è stato trovato morto nella sua cella. I media mainstream parlano di un’ “overdose di metadone” a seguito del saccheggio dell’infermeria durante la protesta: come per le rivolte che infiammarono le carceri di tutta Italia nel 2020 durante la pandemia di COVID-19, assistiamo al solito teatrino volto ad imputare ai detenuti stessi la causa della loro morte, e finalizzato a deresponsabilizzare guardie e dirigenti, perché al carcere è evidentemente riconosciuto il diritto di uccidere!

Sempre al fianco di chi lotta

IN CARCERE NON SI MUORE, SI VIENE UCCISI!

ACCANIMENTO SU UN DETENUTO NEL CENTRO CLINICO DI MILANO OPERA

Riceviamo e diffondiamo la testimonianza di una persona familiare di un detenuto, Gerardo Schettino, tra il 2018 e il 2023 in regime di 41 bis nella galera dell’Aquila, rimasto PARALIZZATO nel 2021 dopo la somministrazione del vaccino Astrazeneca, da dicembre 2023 declassificato ma tuttora rinchiuso e sottoposto ad accanimento nel famigerato “centro clinico” del carcere di Milano opera.

DIAMOCI DA FARE PER DARE VISIBILITÀ A QUESTA SITUAZIONE! LA MALASANITÀ IN CARCERE È TORTURA!

Assemblea permanente
contro il carcere e la repressione
del Friuli e di Trieste
liberetutti@autistiche.org

Associazione “Senza sbarre”
c.p.129, 34121 Trieste

ARGENTINA: SUL MASSACRO DI BARRACAS

Riceviamo e diffondiamo. Da scaricare, distribuire e stampare.

**QUESTO TESTO CONTIENE VIOLENZA FISICA ESPLICITA E LESBODIO\FOBIA*

Fonte: https://lazarzamora.cl/?p=12429

È stato lo scorso 5 Maggio alle 23:30 a Barracas ( Argentina ) l’assassino lesbicida e aggressore, Justo Fernando Barrientos di 67 anni, compie un esecuzione lesbo odiante contro le sue vicine:
Pamela Cobbas e Mercedes Roxana Figueroa, coppia che condivideva la stanza con Andrea Amarante y Sofía Castro Riglos altra coppia di lesbiche che stava vivendo temporaneamente con loro nel hotel/dormitorio di Barracas. Quella notte l’aggressore, apre la porta della stanza, butta combustibile, e lancia dentro un esplosivo artigianale mentre dormivano, dando fuoco e provocando un grande incendio.

Dopo l’attacco le donne sono state ospitalizzate. Pamela e Mercedes sono morte nelle ore successive all’attacco. Andrea è morta domenica. Sofía è fuori pericolo di vita -resta ospedalizzata con bruciature sul viso e le mani. Secondo i medici risponde bene alle cure.

UCCISE PERCHÈ LESBICHE

Secondo le dichiarazioni dei vicini: Pamela 52 anni, vendeva cosmetici e dolci, viveva apertamente il suo lesbismo, visibilizzando sui social  la lotta le lotte delle dissidenze sessuali. Viveva con Roxana Mercedes anche lei 52 anni, e entrambe “se la cavavano come potevano vendendo cosette”.

Andrea, la terza a morire aveva 43 anni, era sopravvissuta al massacro nel locale República di Cromañón ( concerto del gruppo Callejeros nel quale un incendio aveva ucciso 194 persone e fatto 1400 feriti nel 2004). La “Coordinadora Cromañón” ha denunciato che Andrea non aveva mai potuto beneficiare del “Programma per le vittime di Cromañón” ne di nessun aiuto dopo il massacro. Evidenziano anche che Andrea aveva vissuto in strada una parte della sua vita, vivendo povertà e precarizzazione, cosa che inevitabilmente l’asposta alla violenza.

Il femminicida, secondo i vicini, esprimeva apertamente la sua rabbia ” perchè erano lesbiche”. Altre volte, aveva già agito violenza su un uomo in quanto gay, che aveva finito per andarsene del dormitorio. Nella stessa maniera il lesbicida le aveva già aggredite verbalmente in precedenza, con isulti lesbodianti, grassodianti\fobici, e minacce di morte.

(…)

Sofía, oggi è l’unica sopravvissuta al massacro brutale e lesbodiante in Barracas e ha bisogno del massimo aiuto possibile per poter guarire, ricostruirsi e trovare un nuovo posto dove vivere. Se volete supportare infondo trovate i dati per i bonifici.

Le organizzazioni e\o attiviste della diversità sessuale e di genere di Puelmapu sostengono che ci sono varie angoli e intersezioni in questo orribile e brutale crimine e triplo lesbicidio. Per nominarne qualcuna, la classe, la povertà, la precarizzazione  nel quale si trovano i corpi esclusi dal sistema e dai loro familiari. Il silenzio e la banalizzazione di questo tema nei mezzi di comunicazione ( questo caso come quello del massacro in Palestina dovrebbero essere un putiferio ed uno scandalo mondiale) oltre che essere la conseguenza del rinforzarsi dei discorsi di odio grazie al governo di Javier Milei, conservatore, ultraneoliberale e odiatore delle diversità. Nel corso della sua presidenza è salito del 10% il numero di crimini di odio contro le donne, dissidenti sessuali e di genere, rispetto all’anno precedente.

Lo stato ha storicamente denigrato e scartato i corpi che non riproducono l’eterosessualità, sia progressiste o fascista come è il caso del governo argentino, che concentra i suoi obbiettivi nel rinfozare il capitalismo esterno, l’eterosessualità obbligatoria e l’eteronorma, mettendo a rischio le donne e tutte le persone lgbtiqa+.

A prima vista si nota come il conservatori e il fondamentalismi religiosi tornano ad apparire, dopo anni di lotta e resistenza dei gruppi marginalizzati, come nel caso dei corpi lesbici, delle donne e della dissidenza sessuale. In questo caso il corpo lesbico resta completamente invisibilizzato e categorizzato nella scala più bassa della società per via dei discorsi patriarcali macisti e retrogradi, qualificando come “inrazionali”, malatx,(…).

Collettività, individalità e organizzazioni argentine hanno manifestato in differenti territori per dare visibilità al massacro, denunciando la complicità dello stato con la violenza patriarcale. In altre parti del mondo come: Bolivia e $ile stanno organizzando incontri e manifestazioni per denunciare l’orrendo attacco. Chiamiamo ad agire in tutti i territori e con differenti forme.

Abbiamo bisogno di dire che le lesbiche e lesbichx esistono, che dietro ogni vita ci sono dei sogni, figlx, progetti, amori, tristezza. È necessario mantenerci organizzate, organizzare la nostra autodifesa, esprimersi, appoggiarsi, incontrarci e ritualizzare tanto la morte come la vita, condividere possibilità di sussistenza, coordinandoci contro la precarizzazione delle nostre vite senza mendicare allo sato.

E continuare a prendere parola per quelle, quellx e quelli che non ci sono più.

Per solidarizzare economicamente con Sofía.
Alias transferencia: ACIVIL.NIUNA.MENOS
Asunto: lesbianas.
CBU: 1910027855002701341732
Numero de CC 191027013417/3
Da fuori dal paese:  paypal pcortesntref.edu.ar.
PER ULTERIORI INFORMAZIONI @presenteslatam instagram

Ascolta anche l’approfondimento radio: https://www.ondarossa.info/redazionali/2024/06/triplo-lesbicidio-e-sopravvissuta

BOLOGNA: SU RESISTENZA E REPRESSIONE AL PARCO DON BOSCO

Con un po’ di ritardo ma ancora attuali, riceviamo e diffondiamo queste riflessioni su resistenza e repressione al Parco Don Bosco.

Commento acido al video https://kolektiva.media/w/wYBrSUUKwcG7Fiod7rc5xa

La messa in sicurezza dei cantieri secondo le giunte di sinistra attraverso l’intervento di squadroni di speciali “sostituti tecnici” i quali strizzando le palle e tirando per le tette lavorano strenuamente quali difensori dell’ordine pubblico nonostante le fastidiose interruzioni del servizio da parte dell’inaudita violenza di pericolose frange antagoniste, la stessa “melassa” (o come viene identificata la galassia anarcoide) che pur girando disarmata ancora osa abitare / vivere / ripensare i quartieri dal basso, intromettendosi così in questioni lobbistiche, e ciò addirittura spaziando, come si faceva per le grandi opere, dalla stesura minuziosa di controperizie fino a ingiuriose minacce vandaliche. Per ovviare a questo senso di solidarietà tra generazioni non arrese ed al travalicare della precarietà dell’autogestione tanto da minare la tranquilla mafia degli appalti “metropolitanizzati”, va da sé che a chi protesta contro l’estensione di simili cantieri inutili e non voluti si dovranno accollare esarcerbanti minchiate penali che fungano da deterrente, non tanto delle sollevazioni ecologiste e lotte affini e storicamente intrecciate, ma, in primis, per continuare a disinnescare la coscienza critica dei lettori/elettori, o di quel che resterebbe della cosiddetta “massa popolare” secondo spazi e tempi di pianificazione economica che la vorrebbe silente, passiva, ..conforme. Invece, la comunità di quartiere – e non solo – che si è spontaneamente ritrovata a presidiare il Parco Don Bosco da gennaio, giorno e notte, lasciando qualche traccia più definita dei propri intenti come Comitato Besta, ha da offrire molto di più degli investitori stessi:

e proprio perché va dritta ai nostri cuori – oltre che abbracciando gli ultimi polmoni verdi rimasti – diviene l’ennesima esperienza non vendibile da abbattere senza badare a spese, onde evitare che riesca ad espandere la propria radicalità.

Non cambierà forse la percezione ormai normativizzata dunque, quella alla quale pur quando si riesca ad informarsi sul proprio contesto di vita e sulle prospettive rimaste, non rimangono appigli interpretativi ..se non il finire a recepire le vicende soltanto per il capovolgimento infame che ne fanno le pagine di giornale. Tuttavia, qualche ripresa degli accadimenti in certe situazioni di “scontro” secondo una prospettiva non mediata dagli interessi locali, la si ha da diffondere pure noi..! In questo caso, dall’estrapolato non retribuito si può osservare lo strattonamento di compagnx per tirarlx giù dagli alberi senza mezzi termini, appena arrivati gli esperti del manganello con gli operai, nonché lo sfilamento in altezza delle loro corde tramite motoseghe, il resto del tempo azionate tutti’intorno e nondimeno sotto i punti di imbragatura e appoggio dex compagnx…

[warning, disclaimer, wtf : la professionalità delle truppe da cantiere è tutta merito dell’attenta supervisione nei pestaggi di Marotta e delle promesse di un sindaco che quando ancora fingeva di volere essere conciliante con gli ultimi scorci di lotte ancora aperte già lavorava per conservare la linea del superamento a destra, la decennale politica delle ruspe in salsa bolognese. Ecco perché ci scappa della triste ironia: solo una supercazzola su simili muffe amministrative potrebbe rendere retta(l)mente la descrizione storica di cotanto impegno consiliare]. Ci si augura che certe scene possano smuovere qualcosa dentro.. eppure non dovrebbe essere così necessario documentare, tantomeno dover comprovare le distorsioni operate delle autorità nei confronti della nostra realtà quotidiana, per capire come si svolgono determinati processi urbanistici.

Ma per quanto servi e mandanti cerchino di trasformare molteplici approcci alla resistenza in “tentati delitti” pur di togliere presa all’autodeterminazione collettiva.. si può ancora scegliere da che parte stare.

#lovepeacefuckpolice (cit)