CPR DI MACOMER: PERQUISIZIONI, DENUNCE E FOGLI DI VIA

Diffondiamo

Oggi alcuni solidali si sono presentati di fronte al cpr di Macomer per portare un po’ di vicinanza ai reclusi. Al loro arrivo hanno trovato una jeep dei carabinieri e, ai tentativi di comunicazione con i reclusi, c’è stata una risposta, subito silenziata da una camionetta della celere già presente dentro.
Le forze dell’ordine hanno immediatamente bloccato i solidali, pretendendo di portarli in caserma per effettuare foto segnalazioni  e delle perquisizioni personali più accurate delle compagne presenti, nella ricerca di armi.
I solidali si sono negati di spostarsi in caserma e, dopo aver minacciato di trattenerli sino a notte,gli sbirri hanno proceduto alle perquisizioni personali e delle auto sequestrando diverso materiale, sono stati notificati fogli di via e diverse denunce.

Nel lager di Macomer sono al momento recluse una cinquantina di persone, la maggior parte portati da altri cpr per motivi punitivi. Si trova in un posto isolato, difficile da raggiungere e costantemente presidiato dalle forze dell’ordine, che impediscono a chiunque di avvicinarsi a meno di 500 metri. Alle persone recluse viene costantemente impedito di contattare avvocati, accedere al telefono, ricevere pacchi. Ad ogni saluto, la repressione e il tentativo di silenziare la solidarietà aumenta. Ma i legami si rafforzano, i cpr continuano a bruciare, e noi restiamo al fianco di chi lotta per la libertà.

SALUTO AL CARCERE DI TARANTO

Diffondiamo:

“Un manicomio di pazzi” così, il SAPPE nel 2018 definiva il carcere di Taranto.
“Un vero e proprio manicomio con detenuti pazzi con licenza d’uccidere poiché tanto non pagheranno nulla”, così continuava nella sua orribile descrizione.
Questi “pazzi” secondo il sindacato sarebbero la causa dei continui disordini che si registrano nel carcere di Taranto, uno tra i carceri di grandi dimensioni più affollati d’Italia, con 940 detenut* su una capienza di 500, di cui 720 definitiv*, costrette a scontare lunghe pene in condizioni di disagio.

Dal 2018 ad oggi non è cambiato molto, neanche le scuse usate dalle istituzioni per giustificare le condizioni disumane delle galere. Una relazione del Procuratore Generale della Corte d’appello di Lecce evidenzia come il sovraffollamento non è il problema principale, ma lo sarebbero appunto i cosiddetti pazzi dal Sappe. L* detenut* affett* da disturbi psichiatrici sono 52 secondo il report e l* detenut* in affidamento al serd intramurale, poiché (ex)consumatori di sostanze, sono 258.
Dal report sappiamo anche che dal 1 luglio 2023 al 20 giugno 2024 non si sono verificati suicidi ma ci sono stati ben 27 tentati suicidi, 18 aggressioni ai secondini e 12 risse tra detenut* e qui sentiamo un’ altra lagna dal sindacato: “Per la capienza regolare della struttura (500 posti) servirebbero 349 guardie, il personale in servizio attivo per 940 detenut* invece raggiunge solo 311 e, ancora più importante, l’età media è di 46 anni… chiedetevi: perché nessun* vuole fare l* sbirr*?

Hanno distrutto un territorio, il bello che è rimasto stanno cercando di svenderlo come stanno provando a fare col fiume Tara, dove l’Acquedotto Pugliese vuole costruire un “impianto di dissalazione delle acque salmastre delle sorgenti del fiume Tara” vendendolo come un progetto che porterà acqua potabile a 385.000 persone, ma che sappiamo bene che porterà solo speculazione e distruzione.
Siamo tossic*, delinquent* e pazz* per colpa vostra, siamo malat* per colpa vostra: secondo un report scientifico del 2020 pubblicato su Nature nel 2024, I bambini di età compresa tra 6 e 11 anni identificati nei comuni di Taranto/Statte avevano una prevalenza statisticamente significativa più alta di bambin* affett* da autismo (ASD) rispetto ai bambin* di altri comuni.

I risultati osservati in questo studio sono indicativi dell’associazione tra la vicinanza residenziale alle strutture industriali che emettono inquinanti atmosferici (Ilva) e una maggiore prevalenza di ASD.
Speriamo ci saranno sempre meno sbirri per le vostre carceri e purtroppo, tra zone rosse e repressione in aumento, ci saranno sempre più pazz*, tossic* e delinquent* in quei posti, le vostre carceri crolleranno e noi speriamo di essere ancora lì fuori a supportare chi si rivolta e combatte per farle crollare.
Per questo, la sera del 28 marzo, un gruppo di solidali ha voluto portare un po’ di sana pazzia fuori dal carcere di Taranto, con cori,fuochi e un piccolo discorso si è sovvertita la monotonia e distanza che regna sovrana nei luoghi di detenzione.
Un’ immediata risposta è arrivata dall’interno con cori e battiture, abbiamo sentito la gratitudine dellx reclusx che ci hanno anche avvisatx dell’arrivo delle guardie data la loro posizione di maggiore visibilità. Il loro calore ci ha ricordato ancora una volta quanta potenza, vicinanza e complicità può esplodere con un gesto così piccolo come un saluto.

Solidarietà a l* compagn* fermate e denunciate a Taranto la notte tra il 12 e il 13 marzo.
Tutt* Liber*
Pazz*, tossic* e delinquent* a volte anarchic

INTIMIDAZIONI POLIZIESCHE A BUSTO ARSIZIO

Diffondiamo

Volantini e locandine sequestrati, minacce e gomme dell’auto tagliate: cronaca di un fermo di Polizia a Busto Arsizio.

Nella notte di venerdì 28 marzo, intorno alle 01:15, tre compagni sono stati fermati nel centro di Busto Arsizio da una pattuglia della Polizia di Stato. Gli agenti sono arrivati in modo irruento, urlando dal finestrino prima ancora di scendere dall’auto e chiedere immediatamente i documenti.
Uno dei fermati non aveva con sé la carta d’identità, che si trovava all’interno di un’auto parcheggiata poco distante. Dopo l’arrivo di altre due pattuglie, due dei compagni (quello senza documenti e il conducente) sono stati accompagnati all’auto, mentre il terzo è stato portato al commissariato all’insaputa degli altri, non prima di essere perquisito corporalmente.
Raggiunta l’auto, i documenti sono stati consegnati, ma è seguita una perquisizione del veicolo e il sequestro di volantini e locandine inerenti al corteo contro la guerra del 5 aprile, oltre ad altro materiale informativo.
Terminata la perquisizione, alla quale hanno assistito quattro agenti, i due compagni sono stati fatti salire su una delle pattuglie presenti e portati al commissariato, dove hanno raggiunto il terzo compagno già trasferito in precedenza. Sono rimasti chiusi in una celletta per oltre un’ora, prima di essere rilasciati con verbali di sequestro del materiale e una denuncia per “porto di armi od oggetti atti ad offendere” a causa di un coltellino svizzero consegnato durante la perquisizione.
Ci teniamo a sottolineare come il semplice coltellino svizzero sia stato classificato nel verbale come un coltello con lama a scatto.

Dopo il rilascio, intorno alle 03:30, una volta tornati all’auto, ironia della sorte, si potevano notare le due gomme posteriori completamente a terra.
La mattina, il gommista al quale è stata portata l’auto ha confermato che le gomme presentavano tagli netti, compatibili anche con il taglio di un coltello con la lama piccola, simile a quella dei coltellini svizzeri multiuso.
Nonostante ciò, non ci faremo intimidire. Vogliamo rendere pubblico quanto accaduto, senza vittimismo, per evitare che questi fatti restino confinati tra chi li compie e chi li subisce.
Quanto accaduto è solo un tassello di un quadro più ampio, in cui le forze dell’ordine esercitano il monopolio della violenza con sempre maggiore impunità. Siamo immersi in un delirio securitario, dove ogni pretesto è buono per restringere le libertà, soffocare il dissenso e normalizzare l’abuso di potere. Il controllo capillare, la repressione crescente e questo tipo di intimidazioni non sono eccezioni, ma il sintomo evidente di un sistema che punta a limitare il più possibile ogni forma di dissenso e protesta.

Anche per questo rilanciamo il corteo del 5 aprile a Busto Arsizio e invitiamo tutti e tutte a partecipare per dimostrare che, nonostante minacce e intimidazioni, continueremo a scendere in piazza e a lottare per un mondo libero da guerre, disuguaglianze sociali, sfruttamento e oppressione.

Contro la guerra e ciò che la rende possibile
NO REARM EUROPE – NO all’ECONOMIA di GUERRA – NO DDL1660 – NO alla NATO –
PALESTINA LIBERA!

Sabato 5 Aprile
ore 15:00
Piazza Garibaldi
CORTEO

Assemblea contro la guerra

BRINDISI: RESOCONTO DEL PRESIDIO AL CPR DI BRINDISI RESTINICO

Riceviamo e diffondiamo

Mercoledì 19 marzo un gruppo di solidali è stato fuori dal CPR di Brindisi Restinco per un breve saluto allx reclusx. Come altri cpr sul suolo italiano, il luogo si trova fuori dalla città, in un’area militarizzata, con alti muri di cinta e pali ancor più alti muniti di telecamere 360°.  La struttura detentiva si trova nello stesso vetusto complesso del CARA, separata all’interno da un altro muro. É paradigmatico del trattamento delle strutture detentive (non solo per soggetti migranti) in questo paese l’aver non solo relegato in remota periferia il CPR/CARA, ma anche la virtuale impossibilità di trovarne traccia sulle mappe, che riportano solo la dicitura “CARA”. Questo è per noi un ulteriore tassello dell’invisibilizzazione e marginalizzazione delle persone deportate in questi luoghi e, perché no, della loro disumanizzazione agli occhi della cosiddetta “società civile” tutta.

Lx solidalx hanno iniziato a gridare cori di solidarietà a cui subito è arrivata risposta da dentro, colpi sulle celle e grida che dicevano “libertà”, “aiuto” e “siamo bambini”. Si è provato a chiedere cosa intendessero con quest’ultima frase ma non si è ricevuta risposta e non si sa bene come interpretarla, probabilmente è in riferimento al fatto che ci sono persone molto giovani rinchiuse lì dentro. Lo scambio è durato poco e sono stati portati i saluti anche dallx compagnx di Napoli e tutta la solidarietà possibile ad M e A, che sono ora rinchiusi nel cpr di Brindisi. Loro vivevano a Napoli da decenni, prima di essere arrestati dopo un blitz nell’ex-chiesa in cui dormivano con altre persone, portati nella questura di Napoli e subito dopo nel cpr. Poco importano le situazioni personali e familiari di M e A: il giudice di pace ha da poco confermato la convalida delle loro detenzioni. L’obiettivo è sempre quello, rinchiudere e deportare chi non ha i “buoni” documenti, ancora di più se è poverx e non biancx. La storia di M e A mostra anche che i cpr sono utilizzati anche per quei territori, come Napoli, in cui non ci sono centri di espulsione. La logistica della detenzione e dell’espulsione funziona senza sosta e in ogni punto del territorio, bastano uno sbirro zelante, un controllo di documenti, una cella di sicurezza in una questura.

Questo avviene ancor di più nei centri urbani, attraverso l’ introduzione delle zone rosse, volte all’ allontanamento dei soggetti “pericolosi”, parcheggiatori abusivi, o comunque gente marginalizzata dalle piazze che ancora non sono turistiche, come stiamo vedendo accadere a Bari.

Per questa ragione,come rete attiva sul territorio contro ogni struttura detentiva, sentiamo la necessità di opporci all’inasprimento della repressione che tutela il mantenimento del divario fra la città vetrina e il ghetto, attraverso la costruzione di ponti e relazioni fra chi combatte ogni giorno per espandere il fuoco della solidarietà.

 

INDONESIA: RIVOLTE CONTRO LA LEGGE MILITARE E RIVENDICAZIONE DELL’ATTACCO INCENDIARIO CONTRO LA BANCA MONDIALE

Diffondiamo:

Migliaia di persone stanno protestando in Indonesia contro la legge che militarizza lo Stato. Secondo quanto riferito, sono in corso rivolte in tutto il Paese. Molti giovani scendono in strada portando simboli anarchici. La polizia antisommossa attacca il movimento e dirotta persino le ambulanze che trasportano attivisti feriti che dovrebbero essere curati in ospedale.

Vengono attaccate stazioni di polizia e parlamenti regionali. La Camera dei Rappresentanti indonesiana ha approvato una revisione della Legge militare, che consente agli ufficiali militari di assumere più incarichi di governo e di assumere incarichi civili senza dimettersi dalle Forze armate nazionali indonesiane.

Per protesta, dal 20 marzo studentx, anarchicx e altrx antiautoritarix stanno organizzando manifestazioni di piazza simultanee in diverse città del Paese in risposta alla promulgazione della legge.

I critici sostengono che tale cambiamento potrebbe portare ad abusi di potere, violazioni dei diritti umani e impunità politica per il personale dell’esercito, ricordando l’era del dittatore Suharto, che ha lasciato l’incarico nel 1998.


RIVENDICAZIONE DELL’AZIONE INCENDIARIA DI RIFIUTO DELLA LEGGE SULL’ESERCITO NAZIONALE E CONTRO LA BANCA MONDIALE. SCRITTO DA UN GRUPPO DI AFFINITA’ INFORMALE.

Rifiutiamo la legge sull’esercito nazionale – Niente Regole, Solo Caos – Brucia la Banca Mondiale

Siamo responsabili dell’incendio di due bancomat della Hana Bank, dell’edificio degli uffici della Hana Bank, di un cartellone pubblicitario di proprietà di qualche capitalista e di un veicolo appartenente all’Esercito Nazionale Indonesiano. L’incendio doloso è avvenuto dopo una manifestazione contro l’approvazione della Legge sull’Esercito Nazionale Indonesiano (Legge TNI); il fuoco è stato appiccato a Bandung, Giava Occidentale, venerdì 21/03/2025.

L’azione condotta dai manifestanti davanti alla Camera dei rappresentanti regionale (DPRD) non è stata affatto ignorata dalla polizia antisommossa, nonostante il lancio di molotov, propano, pietre e petardi sulla terrazza dell’edificio. Finché, alla fine, abbiamo optato per un’azione diretta bruciando diversi punti della zona.

Siamo completamente al di là dell’autorità del linguaggio dello Stato e del capitalismo; siamo l’irrazionalità, siamo una forma illogica di fronte all’autorità del linguaggio stesso. Siamo una delle organizzazioni informali apocalittiche che non credono nell’avvento dell’illuminazione domani, perché per noi il futuro è una nuova forma di sofferenza. Siamo un fuoco che nella notte divora interi edifici cittadini. Non crediamo nella rivoluzione della sinistra o di altri anarchici sociali. Siamo scrittori e poeti; l’insurrezione è poesia, la poesia è insurrezione.

Morte allo Stato!
Morte all’esercito nazionale!
Morte a tutta la civilità!
Bruciate la Banca Mondiale!
Viva la Cospirazione delle Cellule di Fuoco!
Viva la Libera Associazione del Fuoco Autonomo!
Viva la FAI/FRI!
Viva l’anarchia!

PERQUISIZIONI A PISA E CARRARA

Diffondiamo

All’alba di mercoledì 26 marzo 2025 hanno avuto luogo, nelle città di Pisa e Carrara, due perquisizioni domiciliari per gli articoli 110, 56, 424 del cod. pen., aggravati dall’articolo 270 bis 1, in merito all’avvenuta collocazione di un ordigno incendiario presso il tribunale di Pisa rinvenuto dalle forze di difesa dello Stato italiano nel febbraio del 2023. Fatto quest’ultimo che si inseriva nella vasta mobilitazione in solidarietà con Alfredo Cospito contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo.

L’indagine, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Firenze, vuole, come d’altronde tutte le indagini contro il movimento anarchico, minacciare i rivoluzionari e lo spirito d’iniziativa che li contrassegna.

La lotta continua.

Gli indagati

AGGIORNAMENTI DAL CPR DI TRAPANI MILO

Continuiamo a diffondere gli aggiornamenti della rete siciliana contro il confinamento, chiedendo la chiusura immediata di tutti i CPR !

Violenza strutturale, grida di aiuto, rivendicazioni di dignità e libertà: voci dal CPR di Trapani

Circa 150 persone si trovano trattenute in queste ore nelle gabbie del CPR di Trapani.
Il CPR è uno strumento di deterrenza e tortura volto a soggiogare le persone, minarne i desideri, impedire la libertà di movimento.

Ieri le persone trattenute hanno iniziato uno sciopero della fame, contro la detenzione e contro le condizioni disumane in cui sono costrette nella vita quotidiana. Chiedono libertà e dignità.

A fronte di una sistematica privazione dei telefoni cellulari, della distruzione delle telecamere dei dispositivi talvolta concessi, e della soppressione violenta dei tentativi di queste persone di documentare la vita in questi luoghi, alcune di loro sono riuscite a farci arrivare le loro voci, i loro pensieri, le loro grida di aiuto.

h.18,00 – 24 Marzo 2025

M.
„Vogliono prenderci il telefono per non farci raccontare cosa succede. Siamo in sciopero della fame. Non ce la facciamo più a stare qui. Non ce la facciamo più. Abbiamo cominciato oggi 24 marzo.”

A.
“Un tunisino ed un egiziano una settimana fa hanno fatto la corda [ndr. hanno provato ad impiccarsi] perché sono da tanti anni in Italia, e piuttosto che il rimpatrio è meglio la corda.”

M.
“Ora sono qui fuori con caschi e manganelli per picchiarci. Tra poco ci toglieranno anche questo telefono che usiamo in 40. Hanno rotto il video del telefono, prima di darcelo. Ora vogliono togliercelo. Perchè?
Ecco stanno entrando con i bastoni per menarci.
Aiuto. Abbiamo bisogno di aiuto. Perché tutto questo?
BASTA. Basta. Aiuto. Aiutateci.”

h. 2.00 – 25 Marzo 2025

A.
“Ci hanno riempito di botte. Ci sono 9 feriti. Qui ci sono tanti “piccoli”, ragazzi di 19, 20 anni. Dormono adesso. Sono tutti stanchi.
Siamo trattati peggio degli animali. Peggio dei cani.
Abbiamo letti di cemento e lenzuola di carta.
Ci danno un rotolo di carta igienica per 15 giorni.
Fate vedere dove viviamo e come viviamo.”

https://sicilianoborder.noblogs.org

RIAPERTURA DEL CPR DI TORINO: A SORPRESA PER LE VIE DELLA DETENZIONE AMMINISTRATIVA

Diffondiamo

L’apertura del CPR di Torino, prevista per il 24 Marzo, non poteva e non potrà passare nel silenzio.

A 2 anni dalle rivolte che ne hanno determinato la chiusura, 70 nuovi posti di detenzione amministrativa, in 2 sezioni delle 6 a disposizione nella struttura, verranno messi a regime da un ente gestore torinese – Sanitalia Service – che promette condizioni dignitose e progetti di sostegno con cui provare a mascherare il volto razzista dei centri di permanenza per il rimpatrio.

Se poco ci importa delle promesse e dei propositi di chi guadagna e si accanisce sulla pelle delle persone senza “giusti” documenti, riteniamo invece sia fondamentale immaginare e praticare azioni che possano mettersi di traverso al razzismo di Stato, che nei CPR e nelle deportazioni trova una delle sue massime espressioni.

Coordinarsi per cogliere di sorpresa le guardie, trovare obiettivi comuni e puntare alle parti sensibili delle strutture detentive e della macchina che le manda avanti è il minimo che possiamo fare per non lasciare che la solidarietà sia un mero slogan.
Quelle mura e quelle gabbie, quelle reti e quelle telecamere – come ci ha insegnato chi da dentro i CPR da Torino a Bari e da Trapani a Gradisca si è ribellato e continua a farlo – sono meno indistruttibili e invalicabili di quanto non sembri.

Con questa consapevolezza abbiamo attraversato le vie attorno al CPR ieri e nei mesi precedenti.

Con questa consapevolezza abbiamo attraversato le vie attorno al CPR ieri e nei mesi precedenti.

Così vogliamo continuare a fare, ricordando a gran voce che:
I CPR si chiudono col fuoco e s’è successo una volta può succedere di nuovo!

GIULIANOVA, CAMPETTO OCCUPATO: SOLIDARIETÀ CONTRO LA REPRESSIONE!

Diffondiamo questi due testi riguardanti la raffica di avvisi di conclusione indagini che in queste settimane hanno raggiunto lx compagnx del campetto occupato di Giulianova. Contro sgomberi e repressione, la solidarietà è la nostra arma!

In questi giorni stanno notificando a diversi di noi, la conclusione indagini per vari reati, per i tre anni di occupazione del Campetto Occupato all’Annunziata.
Per chi anche un minimo segue le nostre vicende si sarà accorto che ormai le denunce, e tutto il corollario repressivo, si susseguono senza soluzione di continuità.
Il tentativo fin troppo netto, da parte delle autorità, è quello di dare una spallata decisiva, in questo momento di difficoltà, all’esperienza di autogestione, autorganizzazione e lotta che, pur tra mille difficoltà e contraddizioni che interessano chi ha a che fare con la realtà, è stata viva nel territorio provinciale nell’ultimo decennio.
In questa inchiesta, nelle centinaia di pagine che ci riguardano, c’è di tutto.
C’è l’accusa di reato recidivo per gli anziani che avevano ritrovato un tetto all’Annunziata. E poi si parla delle innumerevoli iniziative che al Campetto venivano fatte: dibattiti, cene benefit, musica, feste, presentazioni, spettacoli, laboratori… Il tutto coinvolgendo centinaia di persone, da ogni dove, dicono le carte.
Perché ad essere perseguito non è la giustezza o meno di quel che si faceva, ma il fatto che si ponesse al di fuori del sistema.
Parola forse desueta e che ricorda la nostra adolescenza… ma tanto è!
Una società ridotta al controllo capillare ed asfissiante in ogni aspetto, che non tollera ciò che si colloca al di fuori.
E lo deve schiacciare.
A maggior ragione se ciò che è al di fuori, continua ad alzare la testa, lotta e si organizza contro le ingiustizie.
«La dittatura perfetta avrà sembianza di democrazia, una prigione senza muri nella quale i prigionieri non sogneranno mai di fuggire. Un sistema di schiavitù dove, grazie al consumo e al divertimento, gli schiavi ameranno la loro schiavitù».
Si scriveva qualche decennio fa.
I tempi moderni, ne sono triste riprova.
Per quanto ci riguarda, questo controllo capillare emerge anche nelle centinaia di pagine di questa ultima inchiesta.
Episodi come striscioni piazzati in città, in cui vengono monitorate tutte le telecamere del quartiere per risalire agli autori, e, non riuscendo a riconoscerli, iniziano le ricostruzioni fisiognomiche dei “soggetti”.
Fino ad arrivare alle telecamere piazzate davanti ai due ingressi del Campetto Occupato, il monitoraggio costante e la richiesta di intercettazioni telefoniche ed ambientali a sette di noi…
Compresi, lo diciamo per fare capire il “livello”, agli anziani che vivevano al Campetto.
Potremmo continuare, ma il quadro è fin troppo chiaro e delineato.
Di sicuro, tutte le persone indagate, denunciate o che subiranno conseguenze, nessuna verrà lasciata sola!
Si parte e si torna insieme, sempre.
E per far ciò, vista anche la mole enorme di procedimenti a nostro carico, chiediamo anche una mano a tutte le persone di buon cuore che in questi anni abbiamo incontrato.
O che non abbiamo incontrato ed hanno il nostro stesso sentire.
Un sentire che, ancora una volta, ci fa dire che abbiamo fatto quello che andava fatto. Che era ed è giusto. E ne siamo fieri ed orgogliosi.
E non abbiamo niente di cui pentirci.
E nessuna Repressione potrà mai farci cambiare idea.

[testo del 13 marzo]
Sono state notificate ad una decina di compagne/i la conclusione indagini per l’occupazione di settembre in viale dello Splendore. Occupazione, violenza, deturpamento ed altre amenità, in concorso, ad un paio di noi con la recidiva. Mentre una compagna è stata denunciata per le fantomatiche minacce al sindaco fuori al comune il giorno dello sgombero.
Dalle carte emergono alcune questioni significative.
La prima, che la Questura per tale inchiesta aveva fatto richiesta di misure cautelari nei confronti di un compagno.
Richiesta che, fortunatamente, non è andata in porto.
Ma un altro dato che si evidenzia dalle carte dell’inchiesta, è che la giornata dello sgombero in Viale dello Splendore nel settembre scorso – un presidio “pacifico” della proprietà che si è trasformato in degli esaltati con la bava alla bocca, con protagonisti, il sindaco Costantini, l’assessore Giorgini e la presidente dell’Asp 2 Giulia Palestini – esula totalmente dalle regole del vivere democratico.
Si badi bene, non diciamo ciò perché ne siamo difensori o perché ci sentiamo vittime di chissà che cosa…
Siamo compagni/e che hanno scelto, pur rischiando sulla propria pelle, di cambiare questa società e sappiamo le conseguenze.
Diciamo ciò come evidenza dei fatti e come contraddittorio a chi, in tutti questi anni ci ha fatto la guerra, in nome di un “vivere civile”, che in realtà lorsignori sono stati i primi e i più cruenti a non rispettare.
Infatti, nelle carte si evince come le istituzioni locali, in barba ad ogni procedimento giuridico in corso (per quella occupazione era già partito l’iter a seguito di denuncia), mettevano in campo azioni che avrebbero seriamente potuto provocare danno a qualcuno.
Pensiamo ai ragazzi con disabilità “portati” in quella situazione e a quali pericoli siano stati esposti, anche emotivamente. Pensiamo alla presidente dell’Asp 2 che si arrampicava sul cancello, lo stesso il sindaco che ingiuriando tutto e tutti metteva in scena il peggio della sua esaltazione di cui è turbato, fino ad arrivare all’assessore con la mola.
L’abbiamo detto e lo ripetiamo, non scriviamo ciò come nostra difesa, ma come constatazione di fatti, in cui le carte hanno evidenziato ci sia stata una sostanziale “sospensione della democrazia”.
Crediamo lo stesso sia avvenuto per lo sgombero di qualche settimane prima all’Annunziata, ma per la conferma attendiamo anche lì gli atti.
Per concludere, abbiamo ben poco da stupirci, ma crediamo che quando l’evidenza dei fatti si palesa in modo così netto, sia giusto che tutte/i siano messi al corrente.
D’altronde, l’abbiamo sempre saputo che chi ha passato questi anni con l’unico intento di distruggerci, avrebbe usato ogni mezzo.
Fateci almeno la cortesia, di levare l’ipocrisia dalla narrazione dei fatti.
Perché siete solo bestie, con la bava alla bocca, che non volete sentir alcun dissenso…
Ma, purtroppo per voi, continueremo a ridervi in faccia.
Potrebbe essere un'immagine in bianco e nero raffigurante 12 persone, bambino e il Muro Occidentale

TRENTO: STECCO CONDANNATO A 3 ANNI E 6 MESI

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Ieri [il 21 marzo] si è svolto, presso il tribunale di Trento, il processo di primo grado contro il nostro amico e compagno Stecco, accusato di aver favorito la latitanza dell’amico e compagno Juan e di aver contraffatto dei documenti di identità. Stecco è stato condannato – con rito abbreviato – a 3 anni e 6 mesi di carcere (una pena più alta di quella chiesta dallo stesso PM). Questa sentenza sembra decisamente un monito: chiunque aiuti fuggiaschi e latitanti, la pagherà cara. La condanna di ieri fa il paio con il dispiegamento davvero impressionante di uomini e mezzi che ha portato all’arresto dello stesso Stecco. Su quest’ultimo aspetto, per come emerge dai faldoni dell’operazione “Diana”, uscirà una sintesi di ciò che è utile che compagne e compagni sappiano dell’armamentario del nemico.

Fuori dal tribunale, si è svolto un presidio di solidarietà con Juan e Stecco, in particolare contro l’ennesima imposizione della videoconferenza.

Questo il volantino distribuito:

Un calcolo sbagliato

Questo è il tuo segreto, Butch. Continuano a sottovalutarti.

Pulp fiction

Oggi il nostro amico e compagno Stecco (in carcere a Sanremo) è a processo qui a Trento perché accusato di aver fabbricato dei documenti falsi per un altro nostro amico e compagno, Juan (in carcere a Terni), quando quest’ultimo era latitante. La cosa in sé non richiede grandi parole. Se Stecco ha fabbricato quei documenti, ha fatto bene, perché servivano ad evitare il carcere a un compagno ricercato. Sottrarsi alla polizia politica è una necessità che accompagna da sempre chi lotta per la libertà e per la giustizia sociale. La differenza è che oggi – con la fine dell’“asilo politico” su cui hanno potuto contare per decenni gli esuli e gli oppositori, e il drastico aumento delle forme di controllo tecnologico – è sempre più difficile riuscirci. Una volta introdotti, i dispositivi di sorveglianza possono colpire chiunque (come si è visto, su scala di massa, con il green pass), per cui è necessario non farsi abbindolare dai pretesti con cui vengono giustificati.

Oggi Stecco non sarà fisicamente in aula perché gli è stata imposta la videoconferenza. Quest’ultima, un tempo riservata ai detenuti in 41 bis e poi agli accusati di “terrorismo”, dal Covid in poi è stata estesa praticamente a tutti i prigionieri. In tal modo, il detenuto non può vedere facce amiche in tribunale, non può difendersi adeguatamente (il confronto con l’avvocato avviene solo per telefono) e può dire la sua solo se il giudice non decide di premere un pulsante e tagliare il collegamento audio e video. Nemmeno l’inquisizione era riuscita a far sparire il corpo e la voce degli accusati. Quello di risparmiare sulle spese di trasferimento dal carcere al tribunale è uno sfacciato pretesto: ci sono detenuti che vengono portati in altri carceri dotati dei collegamenti per la videoconferenza invece di essere portati direttamente nei tribunali della stessa regione. Se poi – questa è la tendenza – in futuro le sentenze verranno stabilite dagli algoritmi, le macchine giudicheranno degli umani che aspetteranno la loro sorte dietro gli schermi: un indubbio risparmio di tempo e di carta. Al totalitarismo non si arriva mai tutto d’un colpo, né è mai esistito un potere che affermi di perseguire dei fini apertamente malvagi. La guerra viene promossa in nome della “pace”; la repressione si chiama “sicurezza”; chi si ribella è un “terrorista”.

C’è però un aspetto con cui Stato, padroni e tecnocrati non hanno fatto i conti: la variante umana. Questa si esprime in mille modi: i corpi dei detenuti che si prendono lo spazio con le proteste e le rivolte; i disertori che si rifiutano di diventare carne da cannone; le disfattiste e i disfattisti che sabotano la macchina della guerra; i lavoratori e le lavoratrici che scioperano; il popolo palestinese che resiste. Il prigioniero palestinese Anan Yaeesh (in carcere insieme a Juan), accusato di “terrorismo” da uno Stato italiano complice del sistema genocida israeliano, ha scritto in una sua commovente dichiarazione di sentirsi privilegiato, lui chiuso in una cella, rispetto al suo popolo costretto a vivere tra le macerie, sotto le bombe, senza acqua né elettricità; un popolo imprigionato in un campo di concentramento high tech, ma che la strapotenza israeliana non riesce a domare.

Se i partigiani palestinesi sono “terroristi”, allora diventa motivo di orgoglio essere inquisiti per “terrorismo”, come la polizia politica e la Procura stanno facendo per l’ennesima volta contro anarchiche e anarchici trentini (tra cui Stecco e Juan).

Lo sbaglio dei potenti è pensare che lo spirito di rivolta e l’umano gesto di rifiuto possano essere previsti e impediti dalla smisurata potenza di calcolo delle loro macchine.

Libertà per Juan e Stecco

Basta videoconferenza, vogliamo vedere i nostri compagni in aula!

Con Gaza nel cuore, contro guerra e repressione

anarchiche e anarchici