TREVISO: SENTENZA DI PRIMO GRADO PER LE PROTESTE NEL CENTRO DI ACCOGLIENZA EX CASERMA SERENA

Diffondiamo:

Sentenza di primo grado per le proteste nel centro di accoglienza Ex Caserma Serena (Treviso): solidarietà a Mohammed, Abdou e Amadou!

Il 20 ottobre il Tribunale di Treviso ha pronunciato la sentenza di primo grado nei confronti di Mohammed, Amadou e Abdourahmane, per le proteste avvenute l’11 e 12 giugno 2020 dentro il centro di accoglienza Ex Caserma Serena di Treviso, di cui i tre erano accusati.
L’accusa di devastazione e saccheggio è caduta, ma è rimasta quella di sequestro di persona per i fatti del 12 giugno. Il PM aveva inizialmente chiesto condanne di 6 anni, ma al termine di questa udienza due di loro sono stati condannati a 1 anno e 8 mesi, e l’altro a 2 anni.

La repressione che i tre hanno subìto ha voluto fin da subito essere esemplare: si voleva punire una rivolta per dare un segnale a tutte le altre, in un’estate in cui le proteste si moltiplicavano in tutti i luoghi di reclusione per persone immigrate in Italia.
Il quarto imputato di questo processo, Chaka Ouattara è morto in isolamento nel carcere di Verona il 7 novembre 2020 nel silenzio e nell’indifferenza generale.

Abdou, Mohammed e Amadou hanno passato tre anni tra carcere, arresti domiciliari e obblighi di firma. A tutto questo si aggiunge il ricatto quotidiano di non riuscire più a ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno, di non avere abbastanza mezzi economici e reti di relazioni per sostenere le spese legali e tutto il peso della repressione.
Per questo è importante tenere viva la solidarietà nei confronti dei tre e di tutt* quell* che spesso nell’isolamento più totale lottano per la propria libertà.

Venerdì mentre il Tribunale di Treviso pronunciava la sua sentenza, c’è stato un presidio solidale davanti al tribunale e diversi striscioni di solidarietà sono apparsi in diverse città d’Italia: a Torino, a Roma in occasione del corteo per la Palestina nelle strade di Torpignattara, e anche a Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, per ribadire ancora una volta che chi lotta non è mai solo.

Per Chaka, in solidarietà con Abdou, Mohammed e Amadou, TUTT LIBER!

DUEMILA EURO PER ACCEDERE AL SERVIZIO SANITARIO

I cittadini extracomunitari residenti in Italia dovranno versare un contributo di 2mila euro all’anno per iscriversi al Servizio sanitario nazionale. L’importo sarà ridotto solo per chi ha il permesso di soggiorno per motivi di studio.

Link: https://www.osservatoriorepressione.info/manovra-bilancio-migranti-dovranno-pagare-2000-euro-accedere-al-servizio-sanitario/


Aggiornamento:

In merito al contributo di duemila euro per l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, qui un’avvocata specifica cosa prevede il provvedimento e quali  categorie di permesso saranno coinvolte.

CENTRI DI DETENZIONE PER MIGRANTI: DAGLI ANNI 90 AL 2023

Radio Ondarossa: puntata di lunedì 16 ottobre 2023

Insieme a 3 compagne e compagni del fu Asilo occupato, che per 15 anni hanno portato avanti un percorso di lotta contro i Cpt-Cie-Cpr per il quale l’occupazione fu sgomberata e loro accusati di associazione sovversiva contro lo Stato, processo che a breve entra nel vivo del secondo grado di giudizio e con Gianluca Vitale dell’ASGI parliamo di centri di detenzione per migranti.

Nella prima parte del redazionale facciamo un excursus storico sulla nascita della detenzione amministrativa dei migranti, dai primi sbarchi di massa in Puglia provenienti dai Balcani, fino ai CIE e ai CPR, passando per il ruolo di Frontex. Parliamo inoltre delle lotte dei migranti dentro ai centri, che hanno portato a chiusure ripetute di diversi di essi, e del sostegno a queste lotte di solidali in tutta Italia.

Nella seconda parte approfondiamo dal punto di vista giuridico l’approccio tenuto fino ad oggi dal governo di destra attuale, con il DL Cutro e le successive disposizioni ministeriali sul tema delle migrazioni, che prevedono l’inasprirsi di una vera e propria lotta ai migranti, visti come invasori e nemici da tenere lontani dalle frontiere di una fortezza Europa che continua a fare il conto dei cadaveri nel mediterraneo e delle vite recluse dentro centri di accoglienza e di detenzione, per la sola ragione di non avere il corretto foglio di carta fra le mani, o di 5000 da corrispondere allo stato italiano.

Link: http://www.ondarossa.info/redazionali/2023/10/centri-detenzione-migranti-dagli-anni-90

MODENA: STREET RAVE PARADE

SMASH REPRESSION/MODENA – 28 OTTOBRE 2023

Ad un anno esatto dal rave di Modena nord e dalla legge anti-rave, un anno di sgomberi, repressione e ostilità, per le strade e nei quartieri, nella città che ha visto la strage al carcere Sant’Anna, contro la società del proibizionismo, delle gabbie e dei CPR, in solidarietà ai rave, alle TAZ, agli spazi sociali e a chi lotta… tuttx a Modena il 28 ottobre! 🏴‍☠️

SOSTENIAMO LA SOLIDARIETÀ PER I CONDANNATI/E DEL BRENNERO

Condividiamo da Oltre il ponte l’appello alla solidarietà per le/i condannati del Brennero:

Una cassa di solidarietà per i condannati/e del Brennero

La sentenza d’appello nel processo per la manifestazione al Brennero del 7 maggio 2016 ha distribuito più di 120 anni di carcere. Se le condanne fossero confermate in Cassazione, una trentina tra compagne e compagni potrebbero finire dietro le sbarre, vari altri avranno bisogno di una casa dove svolgere i domiciliari e in tutti i casi non mancheranno le spese da sostenere.

Collettiva è stata la manifestazione “Abbattere le frontiere” e più collettivo possibile vorremmo che fosse il modo di affrontare la repressione, affinché nessuno/a si ritrovi solo/a.

Per questo abbiamo deciso di creare un’apposita Cassa di solidarietà.

Non solo un numero di conto a cui far arrivare contributi economici, ma anche un contatto per avere materiale informativo, concordare eventuali interventi a concerti o altre iniziative di solidarietà, uno spazio in cui confrontarsi.

Mentre continuano le stragi di immigrati in mare, si allargano i recinti della detenzione amministrativa e aumenta il terrore poliziesco verso chi non ha in tasca i documenti giusti; mentre i lavoratori della logistica e delle campagne si organizzano e resistono contro il razzismo di Stato e lo sfruttamento padronale; mentre s’intensificano i piani di riarmo e di guerra, che sradicano milioni di umani dal loro mondo e colpiscono chi non si allinea; mentre il controllo tecnologico separa sempre di più gli inclusi dagli esclusi, le ragioni per cui siamo andati/e al Brennero quel 7 maggio non hanno fatto che moltiplicarsi. Se è soprattutto nella continuazione della lotta contro guerra e frontiere che si esprime la solidarietà ai condannati/e per quella giornata, una cassa di sostegno è un piccolo – ma necessario – pezzo.

I contributi economici possono essere versati sull’IBAN:

IT04H3608105138216260316268

intestato a Kamilla Bezerra (specificando “solidarietà Brennero”).

Per contatti: cassasolidarietabrennero@riseup.net


Qui alcuni link utili sui motivi, le modalità e le conseguenze della manifestazione del Brennero:

https://abbatterelefrontiere.blogspot.com/p/documenti.html

https://abbatterelefrontiere.blogspot.com/2016/05/7-maggio-una-giornata-di-lotta.html

https://ilrovescio.info/2021/05/16/manifestazione-al-brennero-condanne-per-166-anni/

https://ilrovescio.info/2023/02/03/dichiarazione-al-processo-dappello-per-la-manifestazione-del-brennero/

https://ilrovescio.info/2023/03/19/sentenza-dappello-del-processo-brennero

BOLOGNA: PIANTEDOSI DI NUOVO IN CITTÀ 

Dopo le maxi operazioni securitarie e repressive intraprese nei quartieri Bolognina e Pilastro nei mesi scorsi, inaugurate con la stretta di mano a inizio anno tra Lepore e Piantedosi, e l’ormai tristemente celebre “Lo Stato c’è e si deve vedere”, dopo il bagno di ipocrisia con la presenza del ministro al corteo del 2 agosto per la strage di Bologna del 1980, dai media apprendiamo che ieri Piantedosi è tornato nuovamente in città per un “vertice a tema migranti” in prefettura. Presenti anche Bonaccini e alcuni sindaci fra i quali quelli di Modena e Ravenna, oltre che Matteo Lepore. L’incontro ha istituito un tavolo permanente in prefettura a Bologna, valido per tutta la Regione, con la partecipazione del commissario per l’immigrazione Valenti, per quanto riguarda le recenti indicazioni di governo in tema di migrazioni, ascoltabili qui:

[Attenzione, potrebbe urtare la sensibilità]

Piantedosi parla di “ricognizione” per l’individuazione di “luoghi idonei” per la costruzione di nuovi CPR e “la gestione di questo problema” anche “in riferimento ad alcuni episodi di cronaca” legati a persone  “con un percorso di irregolarità e di pericolosità accertata”. La strumentalizzazione di alcuni episodi di cronaca accompagna l’equazione riduzionista securitaria e razzista di governo della “pericolosità sociale” per cui la costruzione di nuovi CPR lager e la detenzione preventiva della popolazione migrante “irregolare” sarebbe utile alla “prevenzione di reati” e alla “sicurezza nazionale”.

Per quanto riguarda le condizioni di detenzione Piantedosi arriva a dire che laddove all’interno dei CPR siano emerse situazioni “non pienamente soddisfacenti” in tema di dignità umana, questo sarebbe riconducibile alle azioni delle persone migranti trattenute, alle ribellioni e ai diversi  danneggiamenti posti in essere, non alla natura stessa dei CPR e alle condizioni inumane cui le persone sono costrette al loro interno.

Il sindaco di Bologna chiede più agenti.

NO ALLA COSTRUZIONE DI NUOVI CPR! FUOCO ALLE FRONTIERE!

 

MUSTAFA FANNANE, UCCISO DAI CPR

Affinché il suo nome viva nelle nostre lotte, ritorniamo sulla storia di Mustafa Fannane, ucciso dai CPR.

Da Napoli Monitor, testo a cura di Luna Casarotti – Yairaiha ets.*

Mustafa Fannane non è morto in carcere, ma dopo tre settimane dall’uscita da un Centro di permanenza per rimpatri, uno di quei luoghi dove i migranti vengono  trattenuti e reclusi senza aver commesso alcun reato, per scontare una detenzione amministrativa in quanto privi di permesso di soggiorno.

Un’amica di Mustafa ci ha raccontato la sua storia.

Lo ha conosciuto nell’estate del 2020 nel quartiere Torpignattara, a Roma. Era seduta su una panchina ad ascoltare musica e un ragazzo sconosciuto le si avvicinò con gentilezza chiedendole di poter sentire una canzone marocchina che gli piaceva tanto, intitolata Mamma non piangere. La canzone parla di un ragazzo che ha avuto sfortuna e non è riuscito a realizzare i propri sogni, a differenza dei suoi amici; in seguito alle proprie vicissitudini è rimasto solo, al freddo, senza nessuno che potesse aiutarlo o proteggerlo.

Mustafa aveva trentotto anni, era in Italia dal 2007, arrivato come tanti in cerca di un futuro migliore, con un visto per motivi lavorativi. Era originario di Fquih Ben Salah, comune marocchino a meno di duecento chilometri da Casablanca e Marrakech, dove ancora abita la sua famiglia, che provava ad aiutare. Per anni ha lavorato, soprattutto come ambulante, alzandosi prestissimo al mattino. Nel 2014 ha perso il lavoro, e dopo poco, come conseguenza, la casa. Ha cominciato un percorso di progressiva marginalizzazione, è rimasto solo e si è visto negare il rinnovo del permesso di soggiorno. Nel 2015 è stato raggiunto da un decreto di espulsione. Nel 2019 ha trascorso tutti i sei mesi previsti dalla legge Salvini all’interno del Cpr di Roma. Durante l’estate 2020, nonostante le condizioni di salute precarie, il disagio psicologico ed economico, è stato nuovamente condotto nel Cpr di Torino, per poi uscire dopo novanta giorni. Secondo la ricostruzione di DinamoPress, in quelle settimane Mustafa diviene vittima di una vera e propria campagna di espulsione dal quartiere romano in cui viveva, caldeggiata da partiti e difensori del decoro vari, come il Movimento 5 stelle, Fratelli d’Italia e il giornale Il Tempo.

Il 31 agosto viene nuovamente arrestato: il quotidiano on-line Roma Today racconta di un marocchino classe ’84 accusato di aver minacciato un passante con un coltello per avere il suo cellulare. Mustafa viene portato ancora una volta in Cpr, a Ponte Galeria. Viene ritenuto idoneo al trattenimento nonostante i numerosi segni di autolesionismo che ne evidenziano le condizioni problematiche e la tendenza a cercare pratiche estreme e suicidarie. Chi è fuori non ha sue notizie per un po’, la stessa amica con cui parliamo scoprirà dopo un mese, grazie a una telefonata di Mustafa, della sua detenzione.

A metà novembre il volto di Mustafa inizia a gonfiarsi e il suo spirito a divenire apatico. Le cartelle cliniche del Cpr evidenziano un peggioramento delle condizioni fisiche e dei parametri vitali (frequenza cardiaca e pressione arteriosa). Alla sua amica dice: «Non sono ingrassato, sono ancora uguale a prima. Eppure quando mi vedrai non mi riconoscerai!». Il 28 novembre viene rilasciato. Il 2 dicembre quattro testimoni dichiareranno che era molto gonfio, probabilmente imbottito di psicofarmaci, in particolare una delle caviglie era gonfissima. A distanza di tre settimane dall’uscita dal Cpr Mustafa viene rinvenuto privo di conoscenza per strada e troverà poco dopo la morte, in ospedale, per arresto cardiocircolatorio. La polizia lo manda in obitorio come “paziente ignoto” cosa che complica anche il riconoscimento della salma, effettuato successivamente dai parenti contattati dall’amica del giovane. Un procedimento viene aperto dal procuratore aggiuntivo e un’autopsia viene disposta.

Tuttavia, molti aspetti di questa vicenda non sono stati ancora chiariti, neppure nella documentazione consegnata ai legali. Persino le dimissioni dalla struttura non sono state registrate, né viene indicata con sufficiente chiarezza la gestione del piano terapeutico a base di Diazepam, uno psicofarmaco il cui uso è praticamente di routine, ormai, all’interno dei Cpr (lo testimonia bene l’inchiesta Rinchiusi e sedati. L’abuso di psicofarmaci nei Cpr italiani, di Luca Rondi e Lorenzo Figoni).

L’avvocatessa nominata dal fratello di Moustafà, e naturalmente tutta la sua famiglia, e le persone che gli volevano bene, chiedono ora che siano accertati i fatti e le responsabilità per il mancato intervento a soccorso di una persona che non era in alcun modo nelle condizioni di poter affrontare quell’assurda detenzione che chiamano Cpr.

Il 7 settembre, il governo Meloni ha allungato, nell’ambito del decreto legge cosiddetto “per il Sud”, fino a diciotto mesi il periodo in cui è possibile trattenere persone all’interno dei Cpr, e ha aumentato i posti disponibili per il loro trattenimento in questo tipo di strutture.

 


* Il Gruppo di supporto psicologico per i familiari dei detenuti che si sono tolti la vita o che sono deceduti per altre cause in carcere nasce nel mese di luglio, dopo un contatto tra alcuni attivisti e attiviste e i familiari di un ragazzo che si sarebbe suicidato inalando il gas del suo fornelletto, nel carcere di Modena.

È possibile seguire le riunioni del gruppo ogni venerdì, dalle 17:45 alle 20:00. Le riunioni avvengono tramite una piattaforma on-line, con il supporto del dottor Vito Totire, psichiatra, attivista e portavoce del circolo “Chico Mendez” di Bologna. Durante gli incontri ognuno può raccontare la propria storia, parlare del proprio dolore e confrontarsi con altre persone che hanno vissuto la tragica esperienza di familiari morti all’interno delle carceri. Il link per accedere alla riunione settimanale viene pubblicato qualche giorno prima dell’incontro sul gruppo Telegram “Morti in carcere” e su quello Whatsapp “Sportello di supporto psicologico per i familiari dei morti in carcere” .

È possibile ricevere informazioni, ma anche raccontare in forma scritta la storia propria e del proprio familiare, anche scrivendo all’indirizzo e-mail dell’associazione Yairahia Ets (yairaiha@gmail.com).

TRIESTE: CHE SI RIVOLTINO TUTTE LE FRONTIERE!

Riceviamo e diffondiamo da La Burjana, canale Telegram Sulla Breccia:

È morta un’altra vita, Moussa, un giovane guineano, mentre la speranza gli muoveva le gambe tra gli ultimi ostacoli del tritacarne, sulla frontiera del Monginevro, lunedì.

Sta morendo un’altra vita, un giovane pakistano caduto in un cantiere, trasportato come macerie da nascondere mentre lavorava sfruttato a Trieste, martedì.

All’atrofia della conta asettica delle morti, alla catatonia dell’impotenza e della paura, rispondiamo con la passione, le lacrime e la rabbia: rifacciamo scorrere l’esigenza di giustizia nelle vene, il coraggio per cui anche sotto regime si può rispondere, la generosità che il privilegio ci concede di usare.

Rispondiamo unite e determinate sull’origine di tutto ciò: la frontiera. Rispondiamo per noi stesse, per la nostra umanità. Rispondiamo perché è intollerabile che esista questo tritacarne fatto per fornire vita esauste e sfruttabili al capitalismo occidentale.

Che tutte sentano il momento, perché il numero determina la portata: per la prima volta ci troviamo a disturbare la frontiera orientale.

Visibilizziamo quel simbolo di morte, aperto solo a merci e documenti accettabili, chiuso alla speranza di un’esistenza migliore. Per la vita, per l’umanità, perché unite si deve e si può reagire.

Venerdì 11/08 ore 19:00 // piazza Libertà, assemblea pubblica

Domenica 13/08 ore 18:00 // parcheggio della frontiera di Fernetti, presidio