NUOVO OPUSCOLO: CHI TENE ‘O MARE – L’IMPERO MSC E GLI IMPATTI SU NAPOLI

Riceviamo e diffondiamo

Msc (Mediterranean Shipping Company) è una compagnia leader del trasporto marittimo globale che, anche se si presenta sul mercato globale o locale con nomi diversi, è tra gli attori principali che veicolano questi processi.  Parlare di Msc significa allargare lo sguardo sulle logiche estrattive, di territori e del lavoro, che la velocità della merce impone: l’ampliamento della darsena di Levante a Napoli Est, finalizzata a duplicare il volume dei traffici di container, mentre fa crescere i profitti di pochi, devasta un intero territorio e sottrae tratti di costa alla città.

La navi da crociera (di cui Msc è ancora una volta leader di mercato), sono giganti del mare che restano accesi per tutto il tempo di ormeggio in porto, sprigionando emissioni tossiche per l’ambiente e la salute, inquinando e riversando orde di turisti in una città preda delle loro smanie di consumo.  Durante la pandemia, poi, Msc, attraverso Gnv (Grandi Navi Veloci), ha compensato le perdite del traffico passeggeri affittando i suoi traghetti come “navi quarantena” per rinchiuderci migranti, accaparrandosi appalti da milioni di euro.

A comandare, come disse una volta il proprietario Gianluigi Aponte, è la merce e chi la serve. Che si tratti di armi, turisti, dispositivi tecnologici, semi-componenti o scarpe da ginnastica.  Questo opuscolo prova a ricostruire una breve storia di chi controlla i flussi, dell’impero che ha creato e dell’impatto delle sue strategie espansive sul territorio
napoletano. Nella prospettiva, tutta da costruire, di contrastarli.

PDF OPUSCOLO  : chi tene o mare

NUOVO OPUSCOLO: DALL’INTERNAZIONALISMO ALLA SOLIDARIETÀ UMANITARIA

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DALL’INTERNAZIONALISMO  ALLA SOLIDARIETÀ UMANITARIA
o di come la solidarietà si è trasformata in un investimento economico neoliberista e in uno strumento di ricatto in Palestina e non solo

Questo testo nasce da un’iniziativa che si è svolta a Genova nell’ aprile 2024 e di cui porta il titolo. La discussione voleva abbozzare una breve riflessione critica sulla funzione della cooperazione allo sviluppo (ma anche degli enti caritatevoli, ONG, ecc.) come strategia ufficiale (o latente) della politica estera degli Stati imperialisti, senza la pretesa di esaustività, vista l’ampiezza della tematica.

Attraverso i contributi di un compagno del collettivo Hurriya! di Pisa e di una compagna di GPI, il testo prova a fornire alcuni spunti di riflessione e di approfondimento sulla solidarietà “umanitaria” quale fenomeno ampio, collaterale (e il più delle volte in combutta) alle politiche di predazione economica e di controllo del territorio.

Dalla quarta di copertina:

Con l’indebolimento della militanza internazionalista, il grosso della solidarietà praticata in Occidente si è progressivamente piegato ai progetti di cooperazione allo sviluppo capitalista. Si sono affermate nuove figure ibride (operatori umanitari,cooperanti “dal basso”, ecc) per cui carriera professionale e bisogno di reddito si fondono spesso con l’attivismo politico e che accettano le condizioni dei finanziatori e degli Stati (occupanti o meno) in qualsiasi tipo di intervento. La lotta contro il nemico comune per una trasformazione collettiva è stata sostituita con progetti di cooperazione economica completamente compatibile (e talvolta in sinergia) con le politiche di colonizzazione e predazione economica di Stati e Capitale. Se in Palestina la rinuncia al diritto al ritorno è una condizione necessaria per accedere agli aiuti internazionali, in Italia chi lavora nel sistema di accoglienza è costretto a collaborare al disciplinamento degli immigrati, alla società dello sfruttamento e dell’alienazione. Avere ceduto tanto terreno comporta, per chi sceglie di agire al di fuori della logica dei diritti umani che relega gli oppressi al ruolo di vittime, l’essere criminalizzato come nemico della democrazia.

pagine 26
1.50 euro a copia, 1 euro per i distributori (dalle 5 copie in su)
spese di spedizione 1,50 euro
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irregolari.noblogs.org

NUOVO OPUSCOLO: CORPI IN FUGA. UNA RIFLESSIONE SUL CONTATTO, LA DISCONNESSIONE E IL DESIDERIO

Riceviamo e diffondiamo

“Il corpo dell’altrx non è una risposta ai nostri vuoti. Il desiderio è sano solo quando è scelto. Quando nasce dalla lucidità, non dalla solitudine. Quando rispetta la distanza, senza scambiarla per freddezza. Quando sa dire: “ti vedo”, senza aggiungere: “ti voglio”. Il mio corpo non è un segnale stradale verso l’intimità. Non è una risposta automatica. È un luogo in cui entrare solo se si sa restare in ascolto. Il desiderio non è un diritto, ma un invito. E come ogni invito, può anche non essere accettato.”

PDF OPUSCOLO: corpi in fuga ITA

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FUOCO ALLE URNE! – MANIFESTO ANTIELETTORALE

Riceviamo e diffondiamo

FUOCO ALLE URNE!

BRACCATX DALLO STATO E DALLE SUE GUERRE MORDEREMO SEMPRE LA MANO CHE CI NUTRE.

Avversx ad ogni colore politico rifiutiamo la democrazia e i suoi sgherri, fascisti o pseudo antifascisti che siano, per disertare una realtà di gerarchie, razzismi e gabbie, che proprio nel governo “eletto” trova la sua legittimazione autoritaria. Rafforzato da schiere di burattini che non vedono l’ora di imbracciare la loro scheda elettorale e crogiolarsi in un senso civico benpensante e immobile, lo stato italiano nel frattempo costruisce cpr, arma gli sbirri fino ai denti e deporta chi non è idoneo al suoi parametri di utilità. E allora con che volto ora gli stessi firmatari del memorandum libico urlano all’uguaglianza e all’integrazione?

Lo stato democratico è mandante e complice di ogni cadavere lungo le frontiere, di ogni tortura e pestaggio sbirresco, di ogni guerra e massacro anche quando avviene per mano dei suoi alleati. Mai riconosceremo lo stesso potere che perseguita e ingabbia le nostre compagnx.
Mai infileremo le dita nelle vostre urne, perché sappiamo che un martello usato con passione e fantasia è più efficace di mille riforme.
Contro ogni delega l’unico atto rivendicabile è quello di rivolta.
Ci lanciamo verso il profumo inebriante di un mondo diverso, un altrove senza eserciti e senza autorità, dove poter giocare e sperimentare.

NESSUNA URNA POTRÀ MAI CONTENERE I NOSTRI SOGNI

Astensioniste violente

IL PONTE SULLO STRETTO E IL DECRETO SICUREZZA

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VIETATO LOTTARE CONTRO LE GRANDI OPERE

Il decreto legge in materia di sicurezza è stato definito da moltx il decreto anti-no ponte. Vengono difatti inasprite le pene per i “danni di imbrattamento e danneggiamento di edifici pubblici durante manifestazioni e inserite aggravanti per chi protesta contro opere pubbliche e strategiche come il Ponte sullo Stretto o il Tav”. Sembra chiaro che una parte del decreto legge abbia come focus reprimere il dissenso che la lotta alle grandi opere porta nelle piazze.

LA REPRESSIONE DEL DISSENSO

Opporsi alla costruzione di ecomostri come questo diventa centrale in un territorio come la Sicilia, devastata dalla siccità, dagli incendi – come è successo a Stromboli – e dalla costante turistificazione e militarizzazione che pervade gli spazi urbani e rurali. Magari nella speranza che il ponte lo costruiscano sfruttando il sovraffollamento nelle carceri?

WE BUILD – TRA GRANDI OPERE E DETENZIONE

A trarne vantaggio saranno i potenti. We Build ad esempio, azienda che ha costruito 14 edifici nella base di Sigonella, che si sta occupando del raddoppio ferroviario in Sicilia e che ha firmato un protocollo di intesa con il Ministero della Giustizia per la formazione professionale e il reinserimento lavorativo dei detenuti. L’azienda si impegna a formare professionalmente detenuti selezionati dal DAP, con particolare attenzione a quelli in possesso di specifiche attitudini e con fine pena breve. Successivamente, i detenuti potranno essere assunti nei cantieri delle società collegate a Webuild.

IL RUOLO MILITARE

Che il Ponte sullo Stretto serva solo per agevolare i trasporti ed il commercio è chiaro. Quello che non è chiaro è quale commercio e quali trasporti agevolerà. Oltre al turismo sfrenato che già rovina l’Isola e impoverisce lx abitantx a favore di pochx, si dice che il Ponte potrà essere utilizzato per trasportare materiale bellico, nonostante i rapporti negativi al riguardo: non risulta poi così strano che il Ponte possa essere attraversato per raggiungere l’aeroporto militare di Trapani Birgi o la base Usa di Sigonella (base operativa utilizzata anche per commettere il genocidio palestinese).

DEVASTAZIONE E SACCHEGGIO

La lotta No Ponte è una lotta che parla dei problemi più evidenti del sistema in cui viviamo: devastazione ambientale, militarizzazione della città (1082 telecamere nella sola città di Messina), crisi abitativa, estrattivismo, carcere. L’imposizione di questo dispositivo funzionale alla messa a profitto e al controllo del territorio necessita di un organico che ha familiarità con le tattiche repressive più violente. Per questo vediamo investire personaggi legati agli abusi polizieschi G8 di Genova nelle cariche di dirigenza delle forze dell’ordine proprio nell’area di Messina e dintorni.

TERRITORI CHE RESISTONO

Alla luce di queste considerazioni: chi devasta e saccheggia il territorio? Quelli che si oppongono alle grandi opere o quelli che le costruiscono?
Noi non abbiamo dubbi, siamo No Ponte, ed è per questo che invitiamo chi parteciperà al corteo del 17 maggio “Liberiamoci dal Decreto Sicurezza” a raggiungere a Messina lx compagnx il giorno successivo, il 18 maggio!

Dopo il corteo a Catania ci vediamo a Messina! Non mancare!


Per maggiori info segui:
– Stretto LibertariA
– Contro il nulla che avanza
– Materiale Piroclastico

NUOVA PUBBLICAZIONE, REPRINT EDIZIONI: “MARA E LE ALTRE. LE DONNE E LA LOTTA ARMATA: STORIE, INTERVISTE, RIFLESSIONI”

Diffondiamo:

È uscito un nuovo testo del progetto reprinting, copie anastatiche di libri di un certo interesse per i contenuti e di difficile reperibilità. Dopo “La rivolta di piazza statuto”,  “I tupamaros in azione”, “I Nap”, “Com’è cominciata” e “Diritto all’odio”, questa volta abbiamo scelto il testo “Mare e le altre – Le donne e la lotta armata: storie interviste e riflessioni” di Ida Faré e Franca Spirito, edizioni Feltrinelli 1979, un testo introvabile e che riteniamo sia altamente interessante per le testimonianze che riporta. Una serie di racconti ed interviste ad alcune delle protagoniste di gruppi armati degli anni settanta in Italia ed in Germania. Dialoghi, scambi e riflessioni che vogliono indagare le scelte profonde che  le portarono nel percorso della lotta armata senza mitizzare né porre giudizi o accuse, ma un modo per comprendere come le donne hanno vissuto le loro scelte nell’intraprendere il loro percorso di azione diretta, in alcuni casi anche in contraddizione con il movimento femminista di quel periodo o del proprio vissuto. Ed infine,  “Mara e le altre” torna  ancora più attuale in questo periodo in cui viene riaperto il processo per la sparatoria a Cascina Spinotta, dove il 5 giugno 1975 Mara Cagol viene uccisa. La giustizia di stato si ostina nella sua ricerca di vendetta, vendetta in primis nei confronti di un’idea, quella coraggiosa e rivoluzionaria di riprendersi il presente per cambiare il futuro, e vendetta verso uomini e donne che hanno trascorso molti anni della propria vita privati della libertà nelle carceri, spesso il regimi duri e di isolamento, ai quali ed alle quali tornat@ in libertà è stato impedito di parlare o raccontare con le proprie testimonianze delle loro esperienze nella lotta armata. Noi invece riteniamo altamente interessante che di quella esperienza si sappia e si conoscano le storie, attraverso le parole delle sue protagoniste ed eccoci qui…

Per info e spedizioni:

reprintedizioni@autistici.org
Edizioni Reprint


Dalla quarta di copertina:

Scopo di questo libro non è analizzare le ragioni politiche che spingono le donne a entrare nella lotta armata. bensì rintracciare, attraverso le storie di alcune protagoniste, o, là dove il caso lo ha consentito, gli incontri e le interviste, quali sono le possibili motivazioni profonde, le spinte inconsce, che determinano una scelta cosi drammatica e nella maggior parte dei casi irreversibile. Una contraddizione tragica sembra segnare quella scelta poiché íl corpo della donna, la sua sessualità, la sua identità, tutti i nuovi valori che essa tonde a costruire, vengono violentemente e necessariamente cancellati da questo tipo di lotta politica. Eppure nell’atto assoluto, di ribellione totale, sembra agire un’identificazione (anche sognata, anche fantasticata) che riscuote e risveglia qualcosa che non appare estraneo alle donne. Lo conferma la loro partecipazione ai gruppi armati che, anche se non ben nota come percentuale, risulta significativa Si tratta dunque di indagare su questa contraddizione, in alcuni suoi aspetti specifici, il rapporto tra le donne e le istituzioni, di storica estraneità, il rapporto con la violenza esercitata direttamente (rapporto ambivalente, perché da un lato risulta assunzione di parametri maschili, dall’altro racchiude il fascino dell’apparentemente possibile e immediata rottura della subordinazione, fino al gioco liberatorio della clandestinità come illusione di essere fuori da tutte le regole); la realtà materiale in cui di fatto si svolge la pratica dell’azione armata, la condizione di quelle che “sono tornate indietro”: l’analisi della situazione quale appariva alla più “teorica” delle combattenti armate, Ulrike Meinhof, le lotte nelle carceri, in cui le donne dei gruppi armati hanno esercitato una funzione guida; il dibattito sulla violenza nel movimento delle donne, con particolare riferimento ai gruppi che esercitano e si riconoscono nell’azione diretta.
“Il gruppo clandestino si pone per definizione contro e fuori del sistema” — è una prima conclusione delle Autrici — “ma non ha la possibilità di pensarsi e di definirsi, nel senso che il suo ‘contro’ non può che trasformarsi in uguale, anche se contrario. Non riesce più a trovare la possibilità di costruirsi e di differenziarsi da quel sistema violento che vuole combattere e finisce per essere travolto e per indossare il vestito che lo stato gli dà. Si può dire allora che in una situazione come questa le donne rappresentano una contraddizione invisibile, e si sono andate a ficcare in un luogo ìn cui riconoscere la propria differenza e i propri specifici problemi risulta più impossibile che mai.”


Qui un podcast con degli estratti dal libro realizzato dalle compagne di
porfido:

https://porfidotorino.it/2025/04/14/mara-e-le-altre-di-ida-fare-e-franca-spirito/

QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLO SCANDALO DELL’ESCLUSIONE

Riceviamo e diffondiamo questo contributo in risposta a dei testi usciti sulla Fiera dell’editoria e della propaganda anarchica di Roma  e, più in generale, al contesto anarchico e alla tendenza antifemminista portata avanti da qualche persona.

QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLO SCANDALO DELL’ESCLUSIONE

Da diversi anni giro nel contesto anarchico e sicuramente non sono estranea alla lettura di articoli su siti di movimento, né tantomeno al commentarli e confrontarmici su. Purtroppo capita che alcuni di questi, pur trovandoli di dubbio interesse in termini di contenuto, mi risultino poi utili a capire una tendenza oramai consolidata su cui penso sia arrivato il momento di soffermarsi.

Onestamente, sono convinta che non siamo d’accordo su quali siano le basi che dovrebbero accomunarci nell’ideologia anarchica e va bene discutere di questo, ma per favore facciamolo con quest’assunto. Io mi sento di rivendicare la scelta politica di organizzarmi per affinità e di scegliere in base a questa, come quella di diffondere contributi che considero interessanti in base al contenuto e alla persona che li produce. D’altra parte credo che ognun di noi si dia criteri più o meno definiti in questa direzione, altrimenti gli stessi blog non sarebbero più tali, ma piuttosto dei forum dove qualsiasi internetnauta direbbe la sua con o senza pertinenza con i concetti che si vorrebbe diffondere, o una “Fiera del Libro Anarchico” potrebbe trasformarsi in un “Salone dell’Editoria”, se vogliamo, indipendente. Ma diciamoci anche che di saloni del libro già uno ce n’è e basta e avanza. Io mi rivendico di scegliere di diffondere idee che condivido e di riunirmi con chi trovo affine nel voler distruggere ogni gabbia, sabotare la guerra, far fronte al suprematismo scientifico e l’avanzamento tecnologico e, sopratutto, riconoscere e abbattere il dominio umano, bianco e patriarcale. Non vedo dove sia il problema in questo e anzi ringrazio chi si impegna a creare situazioni in cui ciò sia possibile.

Il tema dell’esclusione, d’altra parte, è un tema che sembra essere davvero caro a molti e su cui c’è chi prova a batter chiodo da molto tempo. Che sia per un’insidiosa FOMO (Fear Of Missing Out: Paura di perdersi qualcosa – e spiego a chi è più avvezzo al latino che questo sì, è un anglicismo, mentre un testo scritto in inglese per un evento di taglio internazionale è una scelta di renderne accessibile il contenuto) che colpisce gli umani con tendenza più sociale, o per una mera questione di principio, a me purtroppo ancora non è chiaro perché risulti una punizione così feroce e sopratutto un gesto irrivendicabile. D’altra parte non mi sono mai posta il problema vedendo cacciare infami o gente che si è intascata soldi da casse benefit. E allora qua la domanda che mi sorge spontanea è: non siamo d’accordo sull’esclusione o sui motivi che spingono a questa? E se fosse la seconda ipotesi, perché allora non si parla di questo?

Trovo che la scelta di dirottare la discussione sui metodi, piuttosto che sul contenuto, sia fin troppo forviante. E quasi mi viene il sospetto che non sia un caso. Quel che sto riconoscendo in determinate argomentazioni è la tendenza a portare delle narrazioni di fatti in maniera già ben veicolata in termini di concetti da divulgare. Un tipo di narrazione oserei dire sfacciatamente mendace che credevo di attribuire all’informazione di regime e che mi imbarazza riconoscere in quella antagonista. Posso fare l’esempio di testi che han girato nell’internet che si riferiscono a psicosette transfemministe che avrebbero minacciato e aggredito fisicamente i loro oppositori, o a diffusioni di volantini raccontate come violenti blitz femministi. Mi sembra un po’ come quando la Stampa descrive un presidio sotto al carcere con qualche slogan e due torce come un’incursione armata in cui decine di poliziotti restano feriti. Non saremo mica troppo abituati a leggere le carte dei nostri P.M.? Questa necessità di inventar storie, ingigantirle o diffonderle, mi lascia davvero allibita.
Immaginarmi, poi, intere collettività riunirsi a discutere attorno a queste fandonie mi fa rendere conto di quanto sia scarsa la capacità di certi individui di sviluppare un proprio pensiero critico, o comunque, di quanto sia forte questo senso di appartenenza, questa voglia di esser parte “del giro”.
Personalmente inorridisco quando vedo l’unione fare la forza a discapito del pensiero individuale e sono disgustata dagli atteggiamenti gregari e omertosi che ho visto mettere in atto negli anni. Mi dispiace davvero che il dibattito anarchico si trovi così povero di argomenti e contenuti.

Io, di mio, di fronte a giornalisti di ogni sorta e a chi si atteggia come tale, posso dire quel che ho pensato tante volte leggendo carte o giornali e cioè che, ancor più se la reazione è così spropositata, tanto vale farsi sempre meno remore: vendetta feroce e violenta contro oppressori di ogni tipo, sbirri e stupratori.

Per l’anarchia.


Link di riferimento:

POSITIONING TEXT

https://ilrovescio.info/2025/04/02/lettera-aperta-sullinvito-alla-fiera-delleditoria-e-propaganda-anarchica-di-roma-di-juan-sorroche/

https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/04/07/la-disputa-del-sacramento/

NUOVA PUBBLICAZIONE: CARTE FORBICI SASSI. SFIDE DA E CONTRO LE PRIGIONI E IL PATRIARCATO

Riceviamo e diffondiamo:

CARTE FORBICI SASSI. Sfide da e contro le prigioni e il patriarcato

Questo libro è una sfida. Sfida a noi stesse nel partire da sé
attraverso il racconto autobiografico di prigioniere. Sfida
all’immaginario comune sul carcere femminile. Sfida alle logiche carcerarie e patriarcali.

LIBRO 222 pag, 8 euro (per le distro 5 euro) benefit prigionierx per info, copie e presentazioni: forbici @ riseup . net

Un insieme di voci di compagne che, ognuna partendo dai suoi interessi ed esperienze personali, possa contribuire alla narrazione di cosa è, oggi, concretamente, il carcere femminile, e di cosa è nello specifico per le compagne anarchiche. Vorremmo creare uno strumento di conoscenza che rompa l’isolamento e ci possa rendere più forti e preparate.
Sappiamo che non esistono ricette né verità assolute, ed è per questo che riteniamo interessante vedere il carcere femminile dagli occhi delle compagne. Perché tutte si sono opposte, in varie forme, al suo potere di coercizione, ed è lì che si capisce cos’è, non descrivendolo in sé ma guardandolo nelle forme della sua ristrutturazione di fronte alla resistenza.

Condivisione di esperienze intorno all’universo carcerario che reputiamo ancor più urgente se pensiamo alla detenzione femminile. L’immaginario carcerario a cui abbiamo avuto più facilmente accesso – attraverso preziosi racconti orali, autobiografie, analisi e forme artistiche -riguarda la sua parte maschile. Ma le nostre esperienze nelle istituzioni totali hanno delle specificità che è necessario nominare per non cadere nell’appiattimento attorno al soggetto maschile inteso come universale. Vorremmo anche andare oltre all’intendere il femminile come una semplice specificità, come se fosse una sottocategoria del genere carcere. Ci sembra invece che proprio perché nel carcere femminile sia più evidente il volto patriarcale del potere, comprendendolo si possa anche gettare luce su questo aspetto del dominio che permea anche il carcere maschile, e tutta la società occidentale.

Non è stato facile per nessuna scrivere queste parole; mettersi al tavolo e ripensare, rivivere, chiedersi di tutto quel magma esperienziale cosa potesse essere utile, cosa controproducente, cosa troppo intimo, cosa troppo banale. Questi testi sono autobiografici e parlano di momenti nelle vite di ognuna anche difficili e dolorosi; in diversi dei testi che presentiamo ciò non viene nascosto. Questo per noi è un motivo in più per trovare l’ispirazione nelle parole di chi ha attraversato la paura e l’ha saputa trasformare: troviamo doppiamente validi questi racconti perché sanno non minimizzare le emozioni difficili da vivere, quelle che ci fanno sentire deboli, e al contempo condividerle, per ricordarci che possiamo essere forti. Il fatto stesso che queste compagne abbiano deciso di scrivere questi testi per noi significa che anche attraverso l’esperienza del carcere è possibile trovare la forza di affrontarlo dentro di noi con le nostre idee e il nostro amore per la libertà.

AL MERCATO DELLE RICONVERSIONI BELLICHE

Riceviamo e diffondiamo da PiccoliFuochiVagabondi:

Nella chiave della competizione inter-imperialistica per il dominio dei mercati e la spartizione delle risorse, in un quadro che vede mutare gli assetti geopolitici globali, si afferma la corsa al riarmo europeo. Mentre si cerca di abituare l’opinione pubblica al fatto compiuto, e cioè che in guerra ci siamo già anche se i missili ancora non esplodono sulle nostre case; mentre gli Stati europei – dai Paesi scandinavi alla Francia – forniscono ai loro cittadini dépliant con le informazioni su cosa fare in caso di conflitto o guerra nucleare; e mentre alcune nazioni stanno pensando di accrescere il numero dei loro riservisti e di ricorrere nuovamente alla leva militare… si sta affermando l’idea che anche le aziende in crisi debbano essere riconvertite alla produzione bellica.

Tra le prime, Volkswagen ha mostrato crescente interessamento. Pur riconoscendo che una completa conversione alla produzione bellica richiederà anni, l’azienda tedesca vuol tornare a fornire motori e trasmissioni per veicoli militari collaborando con la conterranea Rheinmetall, come aveva già fatto durante la seconda guerra mondiale quando collaborò coi nazisti.
Aziende come Rheinmetall, leader in Europa nella produzione di munizioni e armamenti terrestri tra cui i carri armati Panther, e KNDS Group, joint venture franco-tedesca specializzata in veicoli corazzati ed esplosivi con un fatturato di 3 miliardi di euro, stanno già riconvertendo impianti civili, non solo automobilistici, in linee di produzione bellica.

Il CEO di Rheinmetall, Armin Papperger, ha indicato che lo stabilimento di Osnabrück di Volkswagen sarebbe “molto adatto” per la produzione di veicoli blindati Lynx, a condizione di ricevere ordini per almeno 1.000 unità. Proprio Rheinmetall ha realizzato una joint venture con l’italiana Leonardo per fornire 280 nuovi carri armati Panther e oltre mille veicoli blindati Lynx all’Esercito italiano, una commessa da 23,2 miliardi di euro. Metà della produzione sarà fatta da Leonardo in Italia. Parteciperà a questo progetto, con un contratto di fornitura per circa il 15% del valore, anche Iveco Defence Vehicles (IDV) controllata da Exor, la finanziaria olandese della famiglia Agnelli.
Leonardo e Rheinmetall vorrebbero partecipare al progetto per il futuro carro armato pesante europeo, detto Mbt o Mgcs, un progetto lanciato da Francia e Germania, che si scontra però con gli interessi anche della franco-tedesca KNDS, holding che unisce la francese Nexter e la tedesca Krauss-Maffei Wegmann.

Un’altra società tedesca, la Helsoldt, che si occupa di elettronica per la difesa, di cui è azionista Leonardo con il 22,8%, ha comprato una fabbrica di elettrodomestici Bosch con 400 lavoratori annessi per riconvertirla.
La franco-tedesca KNDS, che produce il carro armato Leopard e il veicolo da combattimento Puma, ha recentemente acquisito un’ex fabbrica ferroviaria a Görlitz, in Germania, per espandere la sua capacità produttiva.

Anche l’ex insediamento Winchester di Anagni (Frosinone), nella Valle del Sacco in Ciociaria, verrà riconvertita da KNDS Ammo Italy (ex Simmel Difesa) in una fabbrica per produrre nitro-gelatina e polveri di lancio per proiettili. 11 nuovi capannoni su un’area di circa 2500 metri quadri per potenziare la filiera delle armi1. Il paradosso sta che fino ad ora nell’ex stabilimento laziale di Anagni si provvedeva al disinnesco dei proiettili scaduti. Tra Anagni e la vicina Colleferro – dove KNDS possiede già uno dei più importanti stabilimenti per il caricamento, per la produzione e per i test di munizioni e bombe – arriverà a fabbricare fino a 3 tonnellate di esplosivo ogni giorno. Nel 2023 vi era stata la visita del commissario europeo al mercato interno, Thierry Breton, allo stabilimento dei Colleferro, che aveva espressamente richiesto di incrementare la produzione per missili e proiettili con cui riempire gli arsenali europei. La riconversione dello stabilimento di Anagni, che dovrebbe iniziare la produzione a partire dalla primavera 2026, si inserisce pienamente nel quadro del piano “ReArm EU” ma ha anche ricevuto un finanziamento europeo di 41 milioni di euro dopo l’approvazione dell’ASAP (Act Support Ammunition Production)2. L’ASAP è la legge europea, varata nel maggio 2023 e confermata a marzo 2024 con l’impegno di 500 milioni di euro del bilancio UE, per potenziare la produzione di esplosivi, polvere da sparo e munizioni dopo l’invasione russa dell’Ucraina. L’ASAP ha calcolato che entro la fine del 2025 saranno 2 milioni i proiettili che dovranno essere prodotti all’anno dalle industrie europee. 4,300 tonnellate l’anno gli esplosivi.

Attraverso l’ASAP la Commissione Europea ha selezionato una trentina di progetti per sostenere l’industria bellica europea della produzione di polveri e munizioni. In un primo tempo il maxiappalto riguardava solo le imprese europee, ma a causa del mancato raggiungimento del numero previsto di munizioni da parte dell’industria europea, ora i fondi UE possono essere usati per comprare munizioni anche da Paesi terzi, con gli Stati Uniti ovviamente a farla da padrone (con la seconda elezione di Trump, gli Stati Uniti non solo pretendono che la UE acquisti il loro gas GNL ma anche le loro armi).

I 31 progetti industriali finanziati dall’UE coinvolgono Grecia, Francia, Polonia, Norvegia, Italia, Germania, Finlandia, Slovacchia, Lettonia, Romania, Repubblica Ceca, Spagna e Slovacchia. Oltre la KNDS Ammo Italy, tra questi 31 progetti finanziati dall’UE vi è anche quello presentato dalla bolognese Baschieri&Pellagri, del gruppo della Fiocchi Munizioni Spa di Lecco. Il progetto della Baschieri&Pellagri è stato finanziato con 3,7 milioni di euro e consiste nella produzione di polvere da sparo per i proiettili.

Ritornando all’industria dell’automotive, non possiamo non citare il caso dell’italo-olandese Stellantis (ex Fca-Fiat) del presidente John Elkann, della famiglia Agnelli, che vive una crisi acuta, con un forte calo della produzione automobilistica nazionale, e che potrebbe essere interessata da un piano di riconversione sostenuto dai ministeri della Difesa e dell’Economia. Annunciato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, un piano per rilanciare la filiera dell’auto prevede un finanziamento di 2,5 miliardi di euro con fondi pubblici entro il 2027, con l’obiettivo di diversificare la produzione coinvolgendo il settore auto nel cosiddetto “dual use”, ovvero l’utilizzo delle stesse infrastrutture per scopi civili e militari.
Per Stellantis si parla di un ruolo di consulenza ingegneristica, ma forse anche della riconversione di uno o più stabilimenti per la produzione di mezzi militari o componentistica. Fra le ipotesi alla studio, per intercettare la pioggia di miliardi del riarmo UE, c’è la riconversione dello stabilimento di Termini Imerese (Palermo).

Per facilitare l’intesa il governo Meloni vuole superare il cosiddetto piano green deal lanciato nel 2019 dalla Commissione europea, almeno per quanto riguarda il settore auto. Le regole europee oggi impongono la riduzione della produzione delle auto a combustione per ridurre le emissioni di gas serra e contenere il riscaldamento globale entro +1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Il che significa riconvertire il settore auto nell’elettrico, settore nel quale l’Italia (ma anche la stessa Europa) è piuttosto indietro rispetto a Paesi come la Cina. Anche i dazi minacciati da Trump sui prodotti importati dai Paesi europei hanno giocato un ruolo sulla decisione di sospendere le regole europee per il green deal, dato che tra i settori colpiti da questa nuova guerra commerciale c’è senz’altro il mercato dell’automotive. Ma la vera ragione della sospensione del green deal è un’altra. Come ha ricordato molto chiaramente l’ex ministro dell’ambiente e della transizione ecologica nel governo Draghi, Roberto Cingolani, oggi amministratore delegato della più grande società bellica italiana, la Leonardo, società che stima ordini per 118 miliardi fino al 2029 con l’obiettivo di raggiungere ricavi superiori a 26 miliardi entro la fine del decennio, “il Green Deal era importante in tempi di pace, ora ci sono altre priorità”.

Ricordiamo, sempre della famiglia Agnelli, anche il ruolo di Iveco Defense. Già pienamente operativa nel settore militare, lo è ancora di più dopo un accordo con Leonardo siglato a novembre 2024.

Non sarebbe certo la prima volta che l’industria civile si presta alle esigenze militari. A Bolzano nel 1939 l’allora stabilimento Fiat si convertì alla produzione di autocarri militari. E non è l’unico caso. A ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, i nomi che ritornano sono sempre quelli: Famiglia Agnelli, Volkswagen, Krupp.

Le riconversioni verranno giustificate – è la facile previsione – con il pretesto di impedire la chiusura di stabilimenti e la perdita di posti di lavoro. É la giustificazione che è stata usata, per esempio, a castelfranco Veneto (Treviso) per la riconversione in industria bellica della Faber, che ha cominciato a produrre bossoli e ogive, mentre prima produceva bombole d’ossigeno e a gas.

A questo punto con buona probabilità anche i sindacati confederali collaboreranno alla militarizzazione del lavoro, cosa che stanno già facendo nel caso proprio della Faber, con la Fim Cisl di Treviso che ha sostenuto apertamente il progetto di riconversione bellica, fino al punto di proporre la riconversione ad uso militare anche delle vicine industrie della Berco, azienda del gruppo tedesco dell’acciaio Thyssenkrupp (quest’ultimo attivo anche nel settore bellico), che produce cingolati per trattori e che vuole ridimensionare, con procedure di licenziamento aperte, le sedi produttive italiane di Castelfranco Veneto, Copparo e Bologna. Secondo i giornali locali veneti gli operai di Castelfranco Veneto, in cassa integrazione da molti mesi, sarebbero persino favorevoli, pur di non perdere il posto di lavoro e mettere un pezzo di pane a tavola. Dai cingolati per i trattori a quelli per i carri armati è un attimo. Tra l’altro gli stabilimenti veneti sia della Berco che della Faber nascono dallo scorporo dell’azienda bellica Simmel Difesa e le macchine per produrre armamenti pare si trovino ancora all’interno degli stabilimenti.

Condotte come quelle della Cisl trevigiana non sono casi isolati. Già nel 2021 i responsabili locali della Fiom-Cgil palermitana dichiararono che la costruzione di navi da guerra, motovedette e portaerei nei Cantieri Navali di Fincantieri a Palermo “avrebbe portato ulteriore lavoro, stabilità lavorativa e benefici economici per tutta la città”. Sindacalisti per la guerra.

PiccoliFuochiVagabondi


CAGLIARI: PER UN 25 APRILE CONTRO LE GALERE – PRESIDIO AL CARCERE DI UTA

Riceviamo e diffondiamo

PRESIDIO DI FRONTE AL CARCERE DI UTA
PER UN 25 APRILE CONTRO LE GALERE
CONTRO LO STATO E LE SUE ISTITUZIONI
CHIUDERE UTA, TUTTE LE GALERE E TUTTI I CPR

Noi il 25 aprile andremo a portare la nostra solidarietà a chi resiste, ai prigionier* dello Stato fascista, certi che lo Stato si abbatte e non si cambia e le galere si chiudono con il fuoco.

Per questo il 25 aprile lasciamo la piazza a coloro che decidono deliberatamente di condividerla con personaggi con cui non vogliamo avere niente a che fare.

Non possiamo vedere in una piazza antifascista il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, che, con la stessa logica securitaria della destra, prepara le zone rosse per allontanare dal centro città migranti e disagio, al fine di favorire lo sviluppo del turismo, lo sfruttamento della manodopera precaria e ostacolare l’accesso alla casa.
Non possono essere antifascisti né gli esponenti di organizzazioni a favore del riarmo, della guerra imperialista, della presenza delle industrie di morte (RWM, LEONARDO, TELIT, etc.) e delle basi militari in Sardegna né politici responsabili della devastazione della nostra terra da parte delle multinazionali dell’energia.
Non sono antifascisti i sindacati che voltano la faccia dall’altra parte quando i lavoratori muoiono a centinaia, che santificano il lavoro precario e lo sfruttamento, che scelgono di non vedere le migliaia di persone senza casa perché preferiscono esaltare il turismo che sviluppa un’economia di precariato e sfruttamento selvaggio.
Non possiamo stare né a fianco di coloro che pensano ipocritamente che basti una passeggiata al mese o un flash mob nel centro di Cagliari per fermare il genocidio in Palestina o la violenza fascista né di coloro che disponendo di spazi e/o fondi per l’accoglienza, esprimono il loro razzismo impedendo a migranti e senzatetto di accedere ad un alloggio.
Infine non possiamo considerare antifascista chiunque giustifichi il 41 bis con la storiella dell’emergenza mafia, chiunque finga di non accorgersi che a Macomer esiste un lager dove i migranti vengono torturati sino alla morte, pensato e creato quando al governo erano i partiti che organizzano la manifestazione ufficiale, chiunque giustifichi l’esistenza di strutture come il lager di Uta, in cui centinaia di donne e uomini vengono ammassati per essere umiliati e torturati nel tentativo di farli impazzire per annientarli definitivamente.

Tutti questi antifascisti da operetta non meritano nessuna contestazione perché ne trarrebbero un modo per utilizzare ancora una volta il proprio presunto antifascismo per difendere i loro interessi di classe e il sistema.

Gli Stati garantiscono l’ordinato sviluppo del sistema capitalistico attraverso istituzioni parlamentari, magistratura, esercito e forze dell’ordine. Quando il sistema, come in questo momento, attraversa una crisi, gli Stati, al fine di favorirne il rilancio, sostituiscono la maschera democratica con la maschera fascista più autoritaria e repressiva. Un cambiare tutto per non cambiare niente per i proletar*, per chi è e sarà, per scelta o per forza, fuori dai giochi. In questo senso la guerra diventa utilissima per promuovere lo spirito capitalista, per fare ripartire la produzione di massa, per riorganizzare il lavoro, per eliminare i “rifiuti” sociali e chi viene individuato come “nemico”: il sovversiv*, il migrant*, il pover*, chi soffre di qualunque disagio.

Gli Stati e le loro istituzioni sono per loro natura fascisti e non possono cambiare. Nelle carceri non si è mai smesso e mai si smetterà di torturare, nei tribunali non si è mai smesso e mai si smetterà di giudicare in favore dei potenti e le forze armate non hanno mai smesso di cercare l’annientamento del nemico interno. La pratica antifascista è pratica antiautoritaria, anticapitalista, antirazzista, antimilitarista, antimperialista, è pratica del rifiuto dello Stato e delle sue istituzioni.

LIBERTÀ PER ANNA, ALFREDO, JUAN, STECCO, GIULIO, GHESPE,
ANAAN, PAOLO, JOAN

ORE 19 presidio di fronte al carcere di Uta; appuntamento ORE 18 nei
parcheggi del mercato di via Quirra

Anarchicx contro carcere e repressione

 Testo PDF: 25aprileanticarcerario (2)