BOLOGNA: CHI SI ARMA POI FA LA GUERRA

Diffondiamo:

Le guerre partono anche da qua, ragioniamo assieme su come contrastarle!
Esistono aziende e complicità sul territorio con chi finanzia stermini e genocidi, confrontiamoci per organizzare assieme una biciclettata contro chi arma la guerra, martedì 4 giugno alle 20 al Tribolo, in via Donato Creti 69/2 a Bologna.

“L’unica catena giusta è quella della bici”

GENOVA: PRESIDIO SOLIDALE AL CARCERE FEMMINILE DI PONTEDECIMO

Sabato 1 giugno 2024
ore 10.30

Torniamo a far sentire la nostra solidarieta attraverso le voci, le parole, la musica e tutte le emozioni che riusciamo a lanciare oltre quelle mura. E che ci tornano sempre amplificate dalla forza, dal coraggio e dall’umanità delle persone recluse.

Torniamo per ricambiare la solidarietà con cui le detenute hanno accolto le compagne recentemente arrestate, per ringraziarle della cura e del calore con cui le hanno fattivamente sostenute nei giorni di carcerazione. Il carcere è un luogo di restrizione perché questa società basata sullo sfruttamento e sull’oppressione incatena chi si arrangia per tirare a campare, chi non rispetta le regole del profitto e della proprietà privata, chi si ribella e lotta.

Ma è anche un luogo in cui le condizioni che si vivono portano a sentire nel profondo ogni ingiustizia che viene esercitata ai danni di qualcuna/o. Si conosce sulla propria pelle il valore della solidarietà e la necessità della lotta contro i soprusi della legge del più forte.

CONTRO TUTTE LE GALERE E OGNI FORMA DI RECLUSIONE
LIBERTÀ PER TUTTE E TUTTI

prexon@anche.no

TORINO: ALLA REPRESSIONE SI RISPONDE CON LA LOTTA [CORTEO 2 GIUGNO]

Dall’assemblea torinese contro il carcere e il 41 bis alcune riflessioni  a seguito dell’operazione city, per rilanciare il corteo del 2 giugno:

Il corteo del 2 giugno prossimo è una prima risposta all’operazione repressiva denominata “City” che ha colpito alcunx compagnx in merito ai fatti del 4 marzo 2023 a Torino. Pochi giorni prima di quella data, una sentenza di Cassazione che aveva stabilito la permanenza in 41bis del nostro compagno Alfredo Cospito pareva sancire la sua condanna a morte, dopo sei mesi di sciopero della fame. In quella giornata le strade della città sono state percorse dalla nostra rabbia e dalla nostra determinazione.

L’operazione della procura di Torino aspira in modo evidente a estendere il reato di devastazione e saccheggio a tutte le persone presenti, con l’implicito “Se eri lì, sei complice!”. L’intenzione è ovviamente quella di dividere e scoraggiare la partecipazione a future iniziative di piazza che prevedano di mettere in campo quelle pratiche conflittuali che da sempre sono patrimonio del movimento, nel tentativo di annullare i momenti in cui rabbia, lotta e istanze sociali si mischiano e rafforzano reciprocamente. Del resto, è risaputo che la repressione agisce anche cercando di spezzare i legami solidali tra le diverse sensibilità, con la chiara volontà di disincentivare la partecipazione e isolare per meglio colpire. Rendere inoffensivi gli attivisti, scoraggiare gli indecisi, criminalizzare idee e pratiche di scontro con lo Stato e il Capitale: ecco la ricetta per disinnescare il potenziale conflitto sociale in un momento in cui le contraddizioni generate – crisi, guerre e devastazione ambientale – pongono il sistema in una palese condizione di precarietà.

Cucendo l’abito del nemico pubblico addosso a chi si oppone con determinazione e criminalizzando chi non tace, anche con questa azione repressiva si tenta di evitare la contaminazione tra le varie modalità e istanze di lotta. Se infatti tra le cause dell’estendersi delle condizioni di oppressione c’è anche la nostra attuale incapacità di mettere in campo rapporti di forza favorevoli, è vitale per l’apparato poliziesco e repressivo inasprire l’attacco generalizzato alle classi approfittando delle loro separazioni e antagonismi, al fine del mantenimento dell’attuale sistema di sfruttamento e disciplinamento totale.

L’intenzione di questa chiamata per una piazza nazionale a Torino proprio il giorno della “Festa della Repubblica” è quella di rilanciare un momento di strada che materializzi il senso del corteo di un anno fa, e della repressione che lo ha seguito, nel contesto dove quello si è dato e questa si sta dando. Vogliamo inquadrarlo nella complessità di una società stretta nella morsa di una retorica bellica che, mentre normalizza un genocidio algoritmico mandandolo in mondovisione, produce un discorso martellante sul nemico interno identificato non solo in chi lotta, disobbedisce e diserta, ma anche in coloro che abitano le oppressioni strutturali del capitalismo odierno, dove la detenzione amministrativa e penale si inserisce come tassello disciplinante diventando l’unico orizzonte di chi non può, o non vuole, sottostare a imposizioni sempre più stringenti.
Il sistema punitivo statale italiano vede la sua massima espressione nel regime di 41bis e nell’ergastolo ostativo, ma la macchina repressiva e detentiva si articola in forme molteplici, più o meno subdole, con l’identico fine persecutorio; e anche recentemente si è visto come ad esempio i CPR si pongano alla confluenza di molte tipologie di oppressione: usati come monito per i liberi, minaccia nei contesti lavorativi e ricatto in quelli di lotta, questi luoghi di invisibilizzazione per eccellenza ci mostrano continuamente quante forme possa assumere la brutalità dello Stato. Quando questa viene sconfitta non lo si deve certo ai commissariamenti della magistratura o alle preghiere riformiste (a volte avanzate perfino da chi quei luoghi li ha istituiti), bensì, sempre, alla rivolta e al fuoco dei ribelli.
Con questo spirito siamo scesi più volte in strada, e lo abbiamo fatto anche il 4 marzo.

E se quelle giornate sono riuscite a rompere il muro del silenzio riguardo a un circuito di tortura “bianca” in Italia e a mettere in evidenza come e quanto i tribunali applichino la vendetta dello Stato contro i suoi nemici interni, al di là di ogni fantasticheria sul diritto, lo sappiamo, la partita è ancora aperta. Non solo perché questo regime carcerario di tortura si sta palesando come strumento nelle mani della DNAA (Direzione Nazionale Antimafia-Antiterrorismo) come modello di repressione a monito di tutti i rivoltosi, ma anche perché questo regime è un dispositivo di guerra, e sarà ancora molto utile, contro il nemico interno, in questi tempi di guerra.

Negli ultimi due anni la guerra guerreggiata è alle porte. Dalle periferie del mondo occidentale, è dilagata avvicinandosi sempre di più alla fortezza Europa. Il controllo sui territori diventa serrato, militari e sbirri pattugliano ogni angolo, chi vive e attraversa i quartieri interessati da questa incessante militarizzazione rischia quotidianamente di finire dentro una galera o un CPR.

Ma quando inizia la guerra? Chi decide quando questa comincia? Inizia veramente, nel caso europeo, fuori dai confini dell’Unione? O è la stessa organizzazione sociale, anche in tempi che vengono descritti come tempi di pace, a incarnarla, alternando momenti più o meno feroci? L’Italia e l’UE si trovano di fatto in guerra. Da un lato sostengono il settore militare israeliano, come dimostrano i dati relativi all’invio di armi e munizioni verso Israele dell’ultimo trimestre del 2023, per un valore pari a 2,1 milioni di euro. Dall’altro, fin dai primi giorni del genocidio in Palestina, l’Italia ha trasformato la stazione aeronavale di Sigonella in Sicilia in una base di appoggio per gli aerei spia e per quelli che trasportano armi, e ha trasferito diverse unità navali nel mare di fronte a Gaza. Inoltre, dal 5 marzo 2024 ha ufficialmente preso parte alla missione “Aspides” nel Mar Rosso, a difesa del commercio internazionale, contro i ribelli Houthi e le azioni di sabotaggio da loro messe in campo contro le navi israeliane a sostegno della
resistenza a Gaza.

I media nostrani hanno invece costruito l’idea di questo possibile inizio, questo emergere della prossimità bellica, datandolo all’azione russa del febbraio 2022 e il suo allargamento a partire dalla responsabilità di Hamas (e indirettamente dell’Iran) del 7 ottobre 2023. Questa visione non è solo faziosa e non si limita a scaricare la responsabilità bellica sulla controparte, retorica più che scontata da parte di ogni Stato, ma soprattutto è inaccettabile perché mette in campo l’idea che tutto si giochi sul piano geopolitico. Se invece dobbiamo ravvisare un periodo in cui alcune istanze della società-guerra si sono violentemente palesate e possono essere considerate gli antefatti di questo ultimo biennio, dovremmo tornare agli attentati parigini del 13 novembre 2015 che hanno portato in Francia, e in tutta l’Europa occidentale, un susseguirsi di normative sull’ordine pubblico che hanno segnato un punto di svolta della militarizzazione interna e
delle politiche di controllo sociale. Ci pare evidente che non esiste un’anormalità da una lato, la guerra come eccezione, e una normalità, la politica, dall’altro. Non è facile capire cosa sia realmente la guerra oggi, visto il proliferare nel nuovo millennio di nomenclature come “guerra ibrida”, “guerra infinita”, “guerra mondiale a pezzi”, ma quello che possiamo affermare con certezza è che siamo entrati in un periodo in cui si è ben oltre la militarizzazione degli spazi pubblici, fisici o simbolici che siano. L’economia di guerra e il richiamo alle esigenze di arruolamento paventati senza mezzi termini dai governanti, il potenziamento del riarmo industriale, la stretta su qualunque tipo di opposizione, la censura attraverso i mezzi di comunicazione tradizionali e social, evidenziano il processo di mobilitazione delle società verso la guerra che gli stati europei hanno innescato come ormai unico mezzo per dirimere il ginepraio delle politiche neoliberali, la corsa all’accaparramento delle risorse naturali e la gestione degli esseri umani considerati come mera eccedenza, anche all’interno del territorio UE.

Se questo è quanto sta succedendo in Europa, quello che sta succedendo nell’altrove guerreggiato ci parla di centinaia di migliaia di morti, di persone mandate al macello sull’altare del profitto e dell’accaparramento. La guerra là è più feroce, senza limiti, ma ha gli stessi scopi di quella non guerreggiata qua. La guerra asimmetrica che lo stato di Israele sta conducendo dal 7 ottobre contro Gaza ne è summa ed esempio: la migliore democrazia in tempi bellici, un modello per gli altri stati. In un connubio fra high tech e sterminio, rimozione della memoria e costruzione di una sempre nuova narrazione della storia, laboratorio a cielo aperto di meccanismi sociali. Lo stato di Israele rappresenta sicuramente la migliore risposta alle necessità di una società in guerra.

Ma proprio partendo dal modello perfetto di Israele e dalla resistenza palestinese possiamo iniziare a pensare che questo sistema possa essere
disarticolato. Israele per continuare a mantenersi in vita ha bisogno di spietate complicità e collaborazioni che attraversano il capitale in ogni sua
forma: i luoghi di lavoro, della cultura e della formazione. Le atrocità che stanno avvenendo a Gaza sono possibili grazie al contesto geopolitico strutturato dall’Occidente fin dall’avvento degli stati-nazione: secoli di colonialismo di insediamento, accordi e collaborazioni occidentali che hanno permesso il massacro di chi in quei territori ha sempre vissuto. Un esempio per tutti sono le università, che rappresentano uno strumento di normalizzazione, legittimazione e complicità rispetto al genocidio in corso a Gaza, oltre che del colonialismo di insediamento e della pulizia etnica perpetrata da Israele ai danni del popolo palestinese da più di 75 anni. Attraverso accordi e partnership, vengono sviluppate tecnologie belliche e securocratiche che prima vengono testate sulla pelle del popolo palestinese e poi riversate nel mercato globale, per essere usate contro il nemico interno ed esterno. Attraverso accordi e collaborazioni con l’università, aziende belliche come Leonardo, Thales-Alenia o Elbit, si stanno espandendo, generando nuovo profitto garantito dall’utilizzo di infrastrutture pubbliche e conoscenze del mondo universitario: ostacolare il loro ingresso e la loro normalizzazione contrattuale significa evidentemente opporsi alla militarizzazione sempre più pervasiva della nostra società e può proporsi come una delle modalità effettive di resistenza alla guerra totale che questo sistema genera e alimenta.

Ma per mettere in atto questa resistenza, e perché sia possibile condurla ancora a lungo, per affrontare la lotta contro la generale oppressione di classe e razza, di cui la repressione rappresenta un aspetto, dobbiamo costruire la solidarietà più larga e duratura possibile intorno a chi viene colpito.

Le forme di ribellione e lotta che si danno dentro le prigioni a cielo aperto e in quelle chiuse delle mura sono una testimonianza importante che non solo disvela le efferatezze dello Stato e la brutalità della sua violenza, ma rilancia il coraggio di chi, stretto nella morsa più asfissiante e totalizzante del potere coercitivo, ricorda ai liberi il coraggio della rivolta.

Per la creazione di complicità tra chi viene colpito dalla violenza di Stato e Capitale. Per rivendicare la presenza auto-organizzata in strada. Per ribadire che la risposta alla repressione è continuare la lotta!⁩

BOLOGNA: ALLA BASE DEL VULCANO [26 MAGGIO – PIAZZA DELL’UNITÀ]


Diffondiamo:

Cosa accomuna l’aggressione a un ragazzo da parte dei carabinieri nel contesto di una lotta contro un piano speculativo locale, le manganellate che piovono su chi protesta contro la guerra e il genocidio di un popolo, l’inasprimento del rischio repressivo per chi protesta fuori dalle carceri, la repressione che si abbatte silenziosa su chi ha sostenuto un compagno anarchico in sciopero della fame, con tanto di misure cautelari a seguito (le ultime solo in ordine di tempo a Torino e Bologna)? Il contesto bellico in cui ciò sta avvenendo. Un contesto in cui economia, città e territori sono in fase di ristrutturazione e in cui chi domina non aspira più a un’ipocrita pace sociale, ma all’ordine puro e schietto. E il vulcano sotto ribolle. Presentiamo la rivista aperiodica “Lahar” per avere un punto di partenza per chiarirci le idee, discutere assieme e trovare delle possibili vie d’uscita.

Programma:

DOMENICA 26 MAGGIO, PIAZZA DELL’UNITÀ

Dalle 16: distro, serigrafia, birrette

Dalle 17: presentazione della rivista anarchica aperiodica “LAHAR”

Dalle 19: cibo benefit a sostegno di Ali, Anan e Mansour prigionieri palestinesi dello stato italiano.

SOLIDALI CON CHI E’ COLPITO DALLA REPRESSIONE PER ESSERE STATX A FIANCO DI ALFREDO

CONTRO IL 41BIS E L’ERGASTOLO OSTATIVO

AL FIANCO DI CHI LOTTA PER UN MONDO SENZA GUERRE NE’ GALERE

https://tribolo.noblogs.org/dom-26-mag-presentazione-di-lahar-in-pza-dellunita/

BOLOGNA: LA LIBERTÀ NON SI MISURA

Diffondiamo:

PRESENZA SOLIDALE  DAVANTI AL TRIBUNALE IN VIA D’AZEGLIO 56

A fine aprile 3 compagnx sono state sottoposte a misure cautelari (obbligo di firma per due di loro, firme, obbligo di dimora e rientro notturno per una terza). I fatti loro contestati fanno principalmente riferimento alla campagna che si è svolta a Bologna lo scorso anno, in solidarieta ad Alfredo contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo. Come se ciò non fosse abbastanza il pm ha fatto appello: chiede che venga riconosciuta l’aggravante di terrorismo e che lx 3 compagnx siano messe ai domiciliari. Oggi 20 maggio si sta tenendo l’udienza.

Sempre al fianco di chi lotta!

IMOLA/FAENZA: DUE GIORNI BENEFIT PER LA CASSA ANTIREPRESSIONE CAPITANO A.C.A.B. [24-25 MAGGIO]

Diffondiamo:

* 2 GIORNI BENEFIT PER LA CASSA ANTIREPRESSIONE CAPITANO A.C.A.B. *

24 MAGGIO AL BRIGATA PROCIONA v. Riccione 4 – Imola: SULL’ANTIMILITARISMO.

Ore 19:00
Presentazione della due giorni.
Ore 19:30
Cena con il Piatto Unico del Vascello Vegano
Ore 20:00
Presentazione dell’opuscolo “GUERRA IN UCRAINA. IL DIBATTITO IN CAMPO ANARCHICO”
di e con Piccoli Fuochi Vagabondi.
Ore 20:30
Proiezione della Video/intervista “VOCI ANARCHICHE DALLA RUSSIA”
Ore 22:00
Sul palco: Autotomia (Hc & smoken words remembering from le colline contese tra Emilia e Romagna)
M.A.I. (HC da nessun luogo)
KLAVA (Cavemen riffs da Bologna)

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25 MAGGIO AL C.S.A. CAPOLINEA v. Volta 9 – Faenza: SULL’ANTISPECISMO.

Ore 13:00
Strozzapreti del Vascello Vegano
Ore 15:30
Presentazione della due giorni
Ore 16:00
Proiezione del documentario “FOOD FOR PROFIT”.
A seguire riflessioni e confronto sulle vecchie campagne di liberazione animale.
Ore 19:30
Presentazione della MOSTRA FOTOGRAFICA “FISH – LA STRAGE INVISIBILE” di e con Stefano Belacchi.

…..a seguire SI BALLA!!!
Sul palco, i migliori DJ di DISCOSCARICA si alterneranno ai piatti:
Dj Teschio, Dj Niggy, Dj Rigoletto, Dj Scortese, ….

PER TUTTA LA GIORNATA:
– Pizza al forno a legna
– Banchetti informativi

Il Capolinea è abitato da gattx, se porti il cane stacci in occhio.

MODENA: BENEFIT INGUAIATX

Riceviamo e diffondiamo:

Venerdì 17 maggio allo Stella Nera in via Silvino Folloni 67 a  Modena: benefit inguatx con la legge. Dalle ore 20 discussione con alcunx compagnx colpitx dalla repressione su nuovi strumenti coercitivi. Dalle 22 concerti.

Tempi di guerra. Il linguaggio del dominio chiama alle armi, smobilita mezzi e corpi, identifica, indirizza e colpisce attraverso le sue forze repressive. Fronti esterni e fronte interno, la guerra diviene totalizzante, assorbendo ogni aspetto della società, della quotidianità, delle nostre vite. Il nemico deve essere distrutto e sradicato, il suo discorso zittito, represso.
Nulla di nuovo, già si sa. La macchina statale, con tutto il suo calderone di boia, servi e aguzzini, tenta di sbrogliare la matassa dell’anarchismo, ma non trovando né capo né coda, si rifà al solito, e a volte non tanto solito, ritornello repressivo: misure cautelari, arresti, 41 bis, mastodontiche operazioni repressive, prelievo coatto del DNA, l’onnipresente accusa di associazione e di istigazione a delinquere. E’ l’Anarchia ad essere messa sotto processo.
Ma non si è ancora visto tribunale che possa annientare la gioia dell’attacco, della solidarietà e della cospirazione. Ogni tentativo su questo piano si è sempre rivelato fallimentare.
E in mezzo alla desertificazione emozionale e sociale, è necessario continuare a fare della parola un mezzo sovversivo, un’arma per fare breccia nel reale; continuare nel conflitto, pezzo dopo pezzo, perimetro per perimetro .
Ed è dalla solidarietà che vorremmo ripartire; prendiamo l’occasione di questa serata, mettendo in analisi le esperienze di alcunx compagnx attaccati dalla repressione, per discuterne, conoscere, confrontarsi e continuare ad alimentare questa tensione verso la distruzione dell’esistente.

Alcune individualità anarchiche