BOLOGNA: AGGIORNAMENTI SULLE ULTIME OPERAZIONI REPRESSIVE  AL SUD E CENA BENEFIT INGUAIATX NO PONTE E OPERAZIONE IPOGEO

Diffondiamo:

Mercoledì 26/11 ore 19:00 al Tribolo, via Donato Creti 69/2, Bologna.

– Il 9 settembre 2025 un’operazione della questura ha coinvolto diverse cittá con perquisizioni e arresti per colpire la lotta contro il ponte sullo stretto di Messina e tre compagnx, Andre, Bak e Gui, sono stati portati in carcere in via cautelare. Bak è statx arrestatx a Napoli e rinchiusx nel carcere di Poggioreale, Andre è statx trasferitx dal carcere di Bari a quello di Potenza come probabile ritorsione, mentre Gui è stato rinchiuso nel carcere di Varese. Tra le accuse, resistenza e lesioni gravissime. I fatti imputati si riferiscono al primo marzo 2025, giorno in cui un vivace corteo attraversò le strade di Messina per dire no al ponte sullo stretto. Dopo due settimane di detenzione preventiva in carcere ai tre compagnx sono stati riconosciuti i domiciliari con l’infame divieto di comunicazione con l’esterno e il braccialetto elettronico, in attesa del processo, previsto per il 17 dicembre.

– All’alba del 20 novembre con un’altra infame operazione, chiamata Ipogeo, la digos ha fatto irruzione nelle case di diversx compagnx a Catania, Palermo, Messina e Bari, compiendo perquisizioni a tappeto. Tredici compagnx sono stati denunciatx a piede libero, due compagnx, Luigi e Bak,  sono stati arrestati preventivamente e tradotti in carcere, rispettivamente a Brindisi e Catania. Unx compagnx è invece braccato da un  mandato di cattura europeo. Bak stava gia scontando una misura alternativa preventiva in relazione al corteo no ponte. Tutte le denunce si riferiscono al Corteo del 17 maggio a Catania contro il DDL sicurezza.

Su un’isola sempre più deserta che apre le sue porte solo a turisti e militari, con la base “americana” di Sigonella che non perde occasione di esportare democrazia a suon di droni, l’aeroporto di Trapani che si appresta ad accogliere a braccia aperte gli addestramenti dei piloti di caccia F-35, le due sedi di Leonardo S.p.a. a Palermo e Catania, il tutto condito e servito dal fantasma della grande opera strategica e militare del ponte, in un contesto di guerra aperta lo Stato colpisce con nuove operazioni repressive chiunque si oppone ai suoi piani di sfruttamento e dominio nella speranza di eliminare cosi ogni briciola di conflitto sociale al suo interno. Ci vediamo perciò mercoledi 26/11 al Tribolo per sostenere i/le compagnx colpitx, per condividere proposte e riflessioni e rilanciare le lotte.

Dalle 19:00 aggiornamenti sulle ultime operazioni repressive al Sud Italia, dalla lotta contro il Ponte, alla lotta contro il ddl sicurezza, l’economia di guerra e contro tutte le galere.

A seguire cena vegana benefit inguaiatx, birrette e tisanine.

Complici e solidali con lx arrestatx No ponte e operazione Ipogeo.

GUI, ANDRE, BAK E LUIGI LIBERX! TUTTX LIBERX, MORTE ALL’OPPRESSORE

Per scrivere ax compagnx reclusx:

Luigi Calogero Bertolani
C/o casa circondariale
Piazza Lanza 11
95123 Catania

Gabriele Maria Venturi
C/o Casa Circondariale
Via Appia 131
72100 Brindisi

FIORI, POMPELMI E GRANATE. Note sulla logistica di guerra a partire dal Mercato AgroAlimentare di Padova


Diffondiamo questa zine sul Mercato AgroAlimentare di Padova, uno studio della logistica del cibo legata a Israele e alcune necessarie riflessioni.

Troppo spesso sembra che la macchina bellica risieda in zone ben precise delle nostre città, spesso ben delimitate e controllate. Ma sappiamo bene che non è così. La macchina bellica è la nostra stessa città, i rapporti che essa ci costringe ad intrattenere, la repressione che disegna indisturbata il tracciato che le nostre vite devono seguire.
La guerra è un assetto che informa tutti i rapporti sociali, economici e relazionali, che ci colonizza ogni giorno: è nelle nostre vite che si gioca la guerra sociale, perché è nelle vite di tutti i giorni che viene intessuta la trama della guerra, delle alienazioni, delle dipendenze, delle piccole e grandi sconfitte.
Ci siamo direttx, con questa consapevolezza, al cuore di ciò che è sottratto alla vista, di quei luoghi (fisici, sociali o personali) che sono stati spersonalizzati, resi astratti, smaterializzati e dislocati in mille punti. Con la volontà di ridare consistenza alle cose a cui hanno tolto ogni concretezza abbiamo ritrovato quei potenziali punti d’attrito che erano stati strategicamente spezzettati a tal punto che le loro mille parti, prese per singole, non sembravano nemmeno tanto male. Seguendo queste intuizioni, calandole nella nostra geografia urbana, siamo arrivatx al cibo. Al Mercato AgroAlimentare di Padova.
E’ più facile che le persone si mobilitino contro Israele parlando di armi. Le armi rendono tutto più comprensibile, anche solo perché sollecitano empatia, ispirazioni umanitario, o qualche straccio di principio. Le armi sono brutte, uccidono i civili, mutilano i bambini, distruggono gli ospedali. Ma questo nesso non basta.
Appena perdiamo il contatto con i container pieni di componentistica o ci allontaniamo da una fabbrica della Leonardo, ecco che quelle persone che si erano mobilitate tornano alle loro vite, con quel velo di soddisfazione di aver fatto la loro parte in una sceneggiatura in cui facevano parte dellx buonx della storia.
Dobbiamo svincolarci dal solo distacco e dalla semplice disapprovazione emotiva degli orrori della guerra, per afferrare che quella guerra passa nella nostra quotidianità, nel cibo che mangiamo, nelle risorse che consumiamo, nei luoghi che attraversiamo. La guerra è qui, e se le persone afferrassero quanto sia ingombrante nei nostri giorni e nelle nostre città non sarebbero così tranquille e placide al ritorno da un corteo.
Un drone, una mina, è il frutto ultimo del complesso bellico, che si sostanzia del nutrimento delle radici di un sistema che è il nostro sistema, che è la nostra società. La costruzione di una granata non parte dalla fabbrica di granate, né dall’ufficio di un progettista o dal ministero che trova i fondi per le spese, ma inizia quando compriamo un fottuto pompelmo, quando accettiamo gli sbirri nei nostri quartieri, quando tolleriamo una molestia.
Il cibo sporco di sangue palestinese, coltivato su terreni espropriati dagli israeliani, è un veicolo immediato e spendibile per agganciare una consapevolizzazione diffusa più profonda e diretta sulla macchina bellica, che lega la guerra non a un post instagram, ma a un cibo che si ha in casa, che si mangia quotidianamente. La guerra è arrivata fin dentro i nostri frigoriferi, e nessunx se ne è accortx.

PDF:  FIORI, POMPELMI E GRANATE. Note sulla logistica di guerra a partire dal Mercato AgroAlimentare di Padova

MONTASICO: ECHI DAL SUDAN IN LOTTA

Diffondiamo:

Dal 2023 in Sudan è in corso una guerra civile tra l’esercito e le milizie RSF. Nelle0 ultime settimane la città di El-Fasher, nel Darfur, è stata conquistata dalle milizie RSF con massacri e pulizia etnica. Una guerra che ha fatto decine di migliaia di morti e milioni di sfollatx, e che ha soffocato nel sangue i movimenti che dal 2019 occupavano le piazze del paese contro il regime militare islamista, distribuendo pasti, medicinali e provando a immaginare un superamento del settarismo religioso, etnico e tribale. Ne parliamo il 30 novembre dalle 18, in collegamento con compagnx dal Sudan e dalla Francia. A seguire cena benefit per le compagnx in Sudan. Alla Bisaboga, Montasico, Marzabotto.


AGGIORNAMENTI SUL SUDAN: CHE LA RIVOLUZIONE SIA UN PUGNALE AVVELENATO NEL CUORE DEI TIRANNI

TRENTO: PRESENTAZIONE DI “RITORNO A GAZA” – SCRITTI DI DONNE ITALO-PALESTINESI SUL GENOCIDIO

Diffondiamo

SABATO 22 NOVEMBRE – Spazio Piera (Via Lavisotto 9, Trento)

Ore 15
Presentazione del libro Ritorno a Gaza (scritti di donne italo palestinesi) con una delle autrici, Sara Rawash

A seguire, dj set con Fragmental, castagne e brûlé benefit per Anan Yaeesh, prigioniero politico palestinese

Per tutto il tempo ci sarà anche un angolo swap e uno con banchette di autoproduzioni (tuttx benvenutx a partecipare con le proprie!)

Femminismo e anticolonialismo non sono due percorsi distinti. Sono la stessa lotta. PALESTINA LIBERA!

AGGIORNAMENTI SUL SUDAN: CHE LA RIVOLUZIONE SIA UN PUGNALE AVVELENATO NEL CUORE DEI TIRANNI

Riceviamo e diffondiamo questo aggiornamento sulla guerra in Sudan e sulla complicità del governo italiano. In fondo all’articolo trovate i link a varie risorse per saperne di più, tra cui l’intervista a un compagno anarchico sudanese.

A fine ottobre le forze di supporto rapido (RSF), una delle due fazioni della guerra civile che infiamma il Sudan dal 2023, hanno conquistato la città di El-Fasher dopo un assedio durato oltre 500 giorni. Questo fatto è salito agli onori delle cronache anche in Italia, a causa della brutalità con cui è stato compiuto: le immagini satellitari mostrano campi divenuti rossi per il sangue che vi è stato versato, e le stime sono di decine di migliaia di sfollat*, e migliaia di morti.

L’esercito sudanese, che governa ciò che resta del Sudan in seguito ad un colpo di stato nell’aprile 2023, e che è guidato dal generale Al-Berhan (sostenuto dall’ucraina, l’egitto, l’iran, l’arabia saudita e la turchia), si batte contro le forze di supporto rapido (con, tra le altre, le milizie Janjaweed, sostenute dalla russia e gli emirati arabi uniti) del generale Hamdan. Le due fazioni commettono massacri indiscriminati, stupri, pulizia etnica e seminano terrore, contendendosi il territorio e il controllo delle risorse, tra cui oro e petrolio, le sorgenti del Nilo, oltre che la posizione strategica sul mar Rosso.

Il colpo di stato, l’ennesimo di una lunga serie nella storia degli ultimi 60 anni del Sudan, ha avuto come primo effetto quello di soffocare il vento rivoluzionario che soffiava sul Sudan: nel dicembre 2018 la popolazione si rivolta al grido di “pace, libertà, giustizia”, la piazza Al-Qayda a Khartoum viene occupata. Nel giugno del 2019 l’esercito attacca la piazza facendo centinaia di morti (700 secondo alcune stime), i cui corpi vengono buttati nel Nilo. Alla base del sollevamento, troviamo i Comitati di Resistenza. Questi raggruppamenti per quartieri, riorganizzano spontaneamente la vita in modo antiautoritario. Non c’è dunque nessun leader autoproclamato, nessun interlocutore per lo stato… fatto che ha permesso alla rivoluzione di durare, secondo le anarchiche in loco. E ciò mostra come l’anarchismo non sia soltanto un’idea occidentale, e che spesso venga messo in atto spontaneamente quando c’è un’insurrezione.

Secondo un compagno, la critica dell’islam si è diffusa enormemente tra la gioventù durante la rivoluzione, molto al di là delle cerchie anarchiche. Le anarchiche sono state parte integrante dell’insurrezione, dei comitati di resistenza, hanno organizzato discussioni, hanno distribuito pasti gratuiti, prodotti di prima necessità e farmaci in diverse città. Diverse anarchiche che svolgono lavori sanitari hanno fornito supporto medico essenziale. La maggior parte delle anarchiche organizzate sono donne e giovani, in un paese dove prima della guerra civile c’erano 18 milioni di student*.
Con l’inizio della guerra civile nell’aprile 2023 molte compagne hanno perso i contatti tra loro, tentando di sopravvivere ed essendo degli obiettivi privilegiati, essendosi esposte in precedenza nel movimento di rivolta.

Durante la rivoluzione sono morti i compagni Abu Al-Rish, Qusay Mudawi e Omar Habbash.

La compagna Sarah è stata stuprata e uccisa dalle milizie Janjaweed a Madani nel dicembre 2023.

Dall’aprile 2023, 12 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case.
Tra 25 ooo e 150 ooo  persone sono state uccise.
Si stima che il 95% delle persone non riesca a consumare neanche un pasto al giorno, mentre 40 milioni di persone non mangiano tutti i giorni.
Il 75% delle strutture sanitarie non sono in funzione, e un’epidemia di colera si sta diffondendo nel paese.

Il 2 novembre, un compagno sudanese scriveva:

“Oggi piangiamo il martirio dei nostri compagni d’El-Fasher,
caduti difendendo la loro città, le loro famiglie e la loro stessa vita.
Si tratta di: Faisal Adam Ali,   Radwan Abdel Jabbar (« Kahraba »), Adam Kibir Musa, Abdel Ghaffar Al-Tahir (« Al-Sini »).

Piangiamo ugualmente numerosi giovani volontari uccisi dalla milizia terrorista delle Forze di supporto rapido, quando il loro solo “crimine” era di portare cibo agli abitanti della città.

Noi, membri del Gruppo Anarchico, facciamo appello a tutti i compagni:
è arrivato il momento di avvicinarci e unirci contro questa guerra autoritaria e distruttrice. Dobbiamo allertare il mondo intero sullo sterminio di massa perpetrato dalle milizie delle Forze di supporto rapido, sostenute dagli Emirati Arabi uniti. Queste milizie attuano una pulizia etnica e un genocidio fondato sulla “razza”, al servizio d’interessi imperialisti perversi che cercano di controllare le risorse e l’oro al prezzo del sangue. Il mondo non può restare con le braccia incrociate. I rivoluzionari del mondo intero devono conoscere i nostri sacrifici e la nostra lotta contro il terrore capitalista selvaggio, contro il potere e contro la pulizia etnica sistematica.

All’interno del Gruppo anarchico del Sudan, abbiamo perso dei compagni;
alcuni dei nostri membri sono stati feriti, altri sono morti; altri ancora sono confrontati al pericolo imminente della guerra.
Le nostre famiglie soffrono la fame, la mancanza di medicine e di nutrimento.
Abbiamo creduto nell’Anarchia in un paese dove l’autorità è onnipresente, e abbiamo combattuto per difenderci, difendere i nostri ideali e preservare la nostra unità. Oggi, abbiamo bisogno di voi: tendeteci la mano e sosteneteci affinchè possiamo resistere alle autorità e ai Janjawid.

Che la rivoluzione continui! Che sia una lama avvelenata piantata nel cuore dei tiranni”

                                                                                       – Ali Abdel Moneim

In totale, più di 3800 euro sono stati mandati alle compagne dalle anarchiche di francia, ma anche da anarchiche curde, di cina e altre parti d’Asia, e dall’inghilterra. Un anarchico ha in seguito scritto: “Abbiamo potuto mettere al riparo sei compagne. Si trovano ora al sicuro, in etiopia, in ruanda e in kenya. Siamo in un po’ ad essere ancora in sudan. Ci stiamo coordinando per continuare le nostre attività di liberazione dall’estero (perché qui la situazione è troppo pericolosa). Ci avete sostenuto fortemente, avete salvato la vita delle nostre compagne che erano in delle regioni molto pericolose. Speriamo che il vostro supporto non si fermerà. Ogni giorno soffriamo, ma il mio attaccamento alle idee e per l’anarchismo non cessa di crescere. Viva la solidarietà!”

Infine, due parole sulla complicità dell’italia.
Nel 2014 l’unione europea, su impulso del governo italiano, ha stretto un  patto, il processo di Karthoum, in cui si impegnava a “finanziare lo sviluppo” in sudan, in cambio di una stretta sul controllo dei migranti. Nel 2016, ai tempi del governo Renzi, è stato firmato un memorandum d’intesa tra il dipartimento di pubblica sicurezza del viminale e la polizia del presidente Omar Al-Bashir, poi deposto. L’accordo prevedeva, ancora una volta, soldi in cambio del controllo delle rotte migratorie, oltre che l’addestramento delle milizie locali. Tra queste milizie c’erano le forze di supporto rapido e i janjaweed. Inoltre, è stato provato che le armi che Leonardo vende agli emirati arabi vengono inviate in sudan.

ROMPIAMO IL SILENZIO SUL GENOCIDIO IN SUDAN!

BASTA COMPLICITà CON LE GUERRE COLONIALI!

BASTA PADRONI CHE SI INGRASSANO VENDENDO ARMI!

SOLIDARIETà INTERNAZIONALISTA!

 


Per saperne di più:

1. Traduzione del primo numero del foglio “le feu meurt”, bollettino anarchico francese

2. Intervista a un compagno anarchico del Sudan

3. La tribù e lo Stato: un tentativo di analizzare il conflitto autoritario in Sudan

4. Perché diventare anarchico in Sudan?

5. Dichiarazione del Gruppo Anarchico in Sudan : genocidio in Sudan

BLOCCARE TUTTO, PURE LA RABBIA (PENSIERI SULLE MOBILITAZIONI DELLA GLOBAL SUMUD FLOTILLA)

Riceviamo e diffondiamo

Testo in PDF

A distanza di 77 anni dall’inizio dell’occupazione sionista in Palestina e del genocidio del popolo palestinese il periodo storico corrente è caratterizzato da una consapevolezza dell’oppressione dello stato fascista di israele globale e senza precedenti. Mobilitazioni di ogni genere hanno interessato il globo palesando l’ inequivocabile condizione di apartheid vissuta dal popolo autoctono palestinese. L’utilizzo dei social da parte delle stesse persone di Gaza e Cisgiordania protagoniste del massacro, ha permesso una massiccia raccolta di materiale multimediale, foto, video e racconti che rendono imbarazzanti e ridicoli i tentativi dei complici di israele di insabbiare la realtà.

Eppure, in questo clima di apparente presa di coscienza popolare, le varie narrative portate avanti da chi ha cominciato a schierarsi hanno un ampio spettro di interpretazioni che vanno dal condannare Hamas in quanto carnefice del popolo palestinese all’allontanare la radicalità nelle piazze avvolgendosi nella bandiera della “pace” come vessillo per una giusta soluzione, suggerendo di fatto che quello che sta accadendo è un conflitto e non uno sterminio.
Il 7 ottobre 2023, l’ ennesimo disperato tentativo del popolo palestinese di autodeterminarsi attraverso la lotta armata, per moltx è stato l’ inizio dell’ incubo che sta vivendo Gaza, costruendo in questo modo l’ immagine che il problema sia la sproporzionata risposta del governo sionista e non l’esistenza stessa di uno stato occupante e fascista.

Intanto la storia degli incalcolabili massacri compiuti da israele dal ’48 ad oggi rimane ignota e silente, vive soltanto nelle memorie dellx palestinesi che diventano protagonistx delle testate giornalistiche del democratico occidente soltanto quando la disperazione evolve in rabbia e la consapevolezza di essere abbandonatx anche dai vicini governi arabi si trasforma in riscatto attraverso la lotta.
Questa retorica che vede Israele come stato aggressore rischia spesso di giustificarne l’ esistenza ma di condannarne i modi coi quali reprime lx palestinesx, che diventeranno quindi vittime ma soltanto finché non imbracciano le armi per riscattarsi.
Chissà se quest’immagine nel pensiero di questa gente funziona bene anche quando viene paragonata al movimento partigiano che ha agito contro il nazifascismo adottando la lotta armata come unico strumento per delegittimarne l’ esistenza.

La recente spedizione della Global Flottilla non è stata la prima a cercare di sbarcare in Palestina forzando il blocco navale sionista, già nel 2008 riuscirono a toccare le spiagge di Gaza le imbarcazioni della Freedom Flottilla con a bordo diversx attivistx tra cui Arrigoni, spedizione che non ha avuto la stessa attenzione mediatica nonostante il periodo storico fosse altrettanto teso essendo il loro arrivo alla vigilia dell’operazione “piombo fuso” che ha messo a ferro e fuoco Gaza per diversi mesi contando diverse centinaia di palestinesi uccisx.
Questo suggerisce svariate chiavi di lettura, una più raccapricciante dell’altra, che orbitano attorno alla riflessione su quanto la sensibilità attiva dell’opinione pubblica (anche quella militant/ politicamente attiva) sia direttamente proporzionale a quanto è di tendenza la questione stessa in quel preciso momento storico. A quanto sia facile schierarsi di fronte a un genocidio senza poi però avere troppa necessità di un contesto politico o di una panoramica storica sui fatti, rendendo macchinosa la possibilità di avere un pensiero critico sensato.
Addirittura alla quantità di vite umane necessarie a svegliare le coscienze, come se superata una certa cifra di vittime si accenda la spia dell’indignazione, disumanizzando le persone che vivono da decenni quei massacri di una o di mille persone, come se si trattasse di numeri, come se il loro dolore sia quantificabile da chi dall’altra parte osserva.

Le mobilitazioni che sono seguite in supporto all’iniziativa della Global Flottilla trascinano con se l’ inquietante dato che schierarsi con una tale forza di partecipazione è possibile ma quando bisogna solidarizzare con attivistx che hanno il privilegio di un passaporto made in west che ha dunque il potere di riportare tuttx a casa nel giro di qualche telefonata tra ambasciate, con qualche brutta storia da raccontare e qualche livido da mostrare.
Salvo poi addormentare quella rabbia una volta che tutte le persone coinvolte nell’iniziativa sono riuscite serenamente a rimpatriare con l’aiuto dei loro rispettivi governi complici di israele, credendo all’ennesima favola
del cessate il fuoco mai iniziato dal’48 e lasciandosi piacevolmente anestetizzare dai racconti dei carnefici, con la sola possibilità di nascondersi dietro agli slogan del”blocchiamo tutto” e a qualche post sui social in solidarietà a chi è statx colpitx dalla repressione.

Piazze confuse, impiallacciate da emozioni e intenti differenti.
La rabbia, quell’emozione genuina sprigionata dalle disarmanti e quotidiane immagini che generano abitudine e vengono perciò normalizziate e categorizziate in distinti livelli di gravità a seconda di quanto crude possano essere.
La rabbia che dà i contorni a un dolore figlio della consapevolezza che questo genocidio è solo una delle espressioni del sistema del capitale, una che in qualche modo le racchiude tutte.
La rabbia, quel sentimento che sempre di più viene demonizzato in quanto sintomo di instabilità emotiva piuttosto che di sana canalizzazione della frustrante indifferenza che dilaga.

Quella stessa rabbia viene spesso bloccata dal perbenismo pacifista di piazza, soffocata dal terrore di essere consideratx violentx da sbirri e borghesi, domata da collettivi politici che organizzando le piazze vogliono avere il controllo su quello che accade, da individualità che isolano chi si copre il volto e lx addita come infiltratx, aggressivx, in piazza solo per spaccare ogni cosa (che anche se così fosse tanta roba..).
La definizione stessa di “infiltratx” suggerisce estraneità a chi non si conforma alle direttive delle realtà che chiamano le piazze, presupponendo che la mobilitazione debba necessariamente rientrare nei limiti dettati, diversamente si diventa automaticamente nemicx internx, avere il volto coperto anche solo per tutelarsi dalle infinite fotocamere di digos/giornalistx/militonti poser che vogliono il ricordino per le stories instagram è rischioso in cortei dove c’è una consapevolezza sempre più bassa.

E mentre le bombe su Gaza continuano a cadere il distacco delle masse che hanno riempito le piazze qualche settimana fa sale, inebriate dalla convinzione che la speranza di un cessate il fuoco sia reale, stupendosi ancora una volta che le promesse non sono state mantenute, nelle piazze ormai silenziose le attivistx della Global Flottilla al sicuro nei loro rispettivi stati partecipano a iniziative per raccontare l’ esperienza della detenzione in israele.
E Gaza continua a bruciare, il capitalismo continua a corrodere ogni piano dell’esistenza con l’ ambizione di collezionare premi Nobel, il dissenso è taciuto da una morsa repressiva sempre più stretta e l’ ombra dell’oppressione si allarga sempre più.

I cortei non sono sfilate che servono a raccontare quanta rabbia c’è
La rabbia non ha bisogno di essere rappresentata, va coltivata ogni giorno e scatenata nella lotta
La pace non esiste se non scardina i meccanismi del sistema
La pace è dellx oppressx, la guerra agli oppressori

FORLÌ: DUE INIZIATIVE CONTRO LA GUERRA E CONTRO LA CITTADELLA DELL’AEROSPAZIO DI THALES/LEONARDO

Diffondiamo:

FORLÌ, LA CITTADELLA DELL’AEREOSPAZIO È UNA CITTÀ DELLA GUERRA!
Sul progetto di Leonardo e Thales nel quartiere Ronco.

Come spesso accade nel nostro mondo digitalizzato, gli eventi della vita ci appaiono come immagini, astrazioni da schermo, completamente scollegate dalle cause o dai responsabili materiali. Così la guerra, che pure tragicamente è un tema ricorrente nella società in cui viviamo, viene presentata quasi fosse un evento atmosferico avverso, qualcosa che non si può prevedere né tantomeno fermare.
Invece, esattamente come per il genocidio in Palestina o la guerra tra NATO e Federazione Russa sul suolo ucraino, qualsiasi tipo di conflitto armato necessita di soldati che, obbedendo, le combattano; di ufficiali e strateghi che le dirigano; di politici che le approvino; di banche e ricchi imprenditori che le finanzino; di tecnici e centri di ricerca che sviluppino le armi; di aziende e fabbriche che le costruiscano.

E così, nella placida e tutto sommato privilegiata Forlì, il Comune e la Fondazione Cassa dei Risparmi (onnipresente dove c’è da far soldi!), unite nella “Fondazione Mercury”, assieme al consorzio ERiS (Emilia Romagna in Space), promosso da Thales Alenia Space con sette imprese emiliano romagnole, vogliono impiantare una cittadella della guerra, per farci capire da vicino cosa significhi essere parte integrante della logistica della morte.
2000mq di terreno (che in futuro potrebbero diventare molti di più) di proprietà del Comune di Forlì, nel quartiere Ronco (non bastava la caserma De Gennaro!?), per l’esattezza in via Montastro, a due passi dal Polo Tecnologico Aeronautico-Spaziale dell’Università, in cui dovrebbe sorgere un “polo” di produzione altamente tecnologico nell’ambito delle antenne satellitari “dual-use”, ossia doppio utilizzo in ambito sia civile che militare. La cessione del terreno al consorzio ERiS è già stata approvata a metà ottobre all’unanimità: la riprova che su militarizzazione e soldi, centro destra e centro-sinistra vanno d’accordissimo.

Cosa c’entra questo con la guerra!? Purtroppo il curriculum delle aziende che partecipano al consorzio ERiS parla da solo: la multinazionale capofila Thales Alenia Space, partecipata da Thales (67%) e Leonardo (33%), rappresenta un tassello chiave del complesso militare-industriale che alimenta i conflitti in tutto il mondo, realizzando componenti strategici per i sistemi di comunicazione, sorveglianza e difesa. I satelliti prodotti da Thales Alenia Space forniscono gli “occhi” a droni e tecnologie militari per colpire i loro obiettivi.
Leonardo (azienda compartecipata dallo Stato italiano) e la francese Thales, collaboratrice di primo piano della israeliana Elbit System, a cui ha fornito i componenti per i droni dell’IDF, sono tra le principali fornitrice di tecnologie militari allo Stato d’Israele per massacrare la popolazione palestinese. Senza contare che Leonardo è la terza azienda di armi in Europa per fatturato.
Nel consorzio ERIS partecipa, tra le altre, anche la ditta Curti di Castelbolognese, già al centro di proteste per il suo ruolo di fornitrice di componenti militari per elicotteri alla Leonardo.

Il “doppio” utlizzo, civile e militare, che viene sbandierato per far sembrare che ci sia una sorta di “valore sociale” della tecnologia prodotta è puro fumo negli occhi: il fatto che queste antenne satellitari possono ANCHE essere usate per altro non ci fa dimenticare il loro scopo principale. Per fare un esempio dell’utilizzo dei servizi internet satellitari nei conflitti odierni, basti ricordare il ruolo che le costellazioni di satelliti e di ricevitori come Starlink di Elon Musk hanno avuto e stanno avendo nella guerra in Ucraina, diventando un elemento chiave per le telecomunicazioni e l’osservazione terrestre, guidando i droni e i sistemi di puntamento dell’artiglieria sugli obiettivi prescelti. Non a caso proprio Starlink é il modello dichiarato per la realizzazione di una costellazione europea di satelliti dual use, che vede in prima fila l’alleanza tra Thales, Leonardo e Airbus (progetto Bromo).

Le macerie della striscia di Gaza e le decine di migliaia di morti ammazzati in Palestina (o in Sudan, Congo, Yemen, Ucraina…) portano la firma, tra le altre, di Leonardo e di Thales.
Se questo progetto dovesse andare in porto, anche Forlì potrebbe figurare come uno dei centri italiani di produzione di morte. E per cosa? Per la solita sanguinaria sete di profitto di padroni, fondazioni e aziende private e la smania di potere e riconoscimento dei politici locali e regionali.
La “creazione di posti di lavoro”, eterno mantra per far ingollare ogni schifezza, potrà anche stavolta farci dimenticare ogni scrupolo morale? Il lato “istruttivo” di questa bruttissima faccenda è che ci viene mostrato che le guerre vengono alimentate a pochi km da dove abitiamo, nelle nostre città, indicandoci che i produttori di morte hanno nomi, cognomi, indirizzi, e che li possiamo fermare! Li dobbiamo fermare!

NESSUNA CITTADELLA DELLA GUERRA, NÉ A FORLÌ NÉ ALTROVE!
SABOTIAMO, DISERTIAMO, BOICOTTIAMO IL MILITARISMO!
PALESTINA LIBERA IN UN MONDO LIBERO!

Collettivo Samara


PROGRAMMA:

➡️ GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE.
Approfondimento ed assemblea aperta sul traffico d’armi globale e gli snodi romagnoli coinvolti.
* Ore 19.00 buffet vegan
* Ore 20.00 avremo con noi Linda Maggiori (giornalista e attivista) che ci parlerà della filiera della produzione delle armi in Emilia-Romagna, con un occhio particolare al contesto forlivese, dove avanza il progetto della cittadella dell’aerospazio di Thales e Leonardo prevista nel quartiere Ronco. L’iniziativa si terrà al “E’ Circulét” (Circolo Arci Asyoli), in via Garibaldi 280 a Forlì.

➡️ VENERDÌ 28 NOVEMBRE CORTEO.
in occasione del nuovo sciopero generale lanciato dai sindacati di base contro la finanziaria di guerra e in solidarietà con la Palestina, a Forlì ci sarà un CORTEO contro riarmo, guerra e contro il progetto ERiS, ovvero la cittadella dell’aerospazio di Thales-Leonardo prevista nel quartiere Ronco per produrre ed assemblare antenne satellitari dual use (civile e militare). Il concentramento della manifestazione è previsto in piazzale della Vittoria alle ore 9.00

SABOTIAMO LA GUERRA E IL MILITARISMO.
CON LA PALESTINA NEL CUORE.

Collettivo Samara


MANIFESTI:

 

LA SUPERIORITÀ “RAZZIALE” EBRAICO-ISRAELIANA E LA PERSECUZIONE DEI PALESTINESI IN CISGIORDANIA DURANTE LA GUERRA DI GENOCIDIO E LA PULIZIA ETNICA

Riceviamo e diffondiamo:

Riportiamo, con un po’ di ritardo dovuti ai tempi di traduzione, una breve testimonianza e descrizione di quello che sta/stava succedendo in Cisgiordania, all’ 8 ottobre 2025 (ad oggi la situazione potrebbe essere peggiorata e i numeri presenti nel testo potrebbero risultare inesatti). Questo contributo è l’esperienza diretta di un palestinese che vive quei territori e l’occupazione sionista sulla sua pelle da tutta la vita, vedendone l’evoluzione e i cambiamenti. Se a Gaza la mira delle potenze sioniste è di eliminare Gaza, la sua popolazione e la sua memoria, poco più a nord in Cisgiordania l’occupazione israeliana avanza inesorabile, con la presa di sempre più terre da parte dei coloni israeliani e con la riduzione sempre maggiore degli spazi di agibilità e mobilità palestinesi. Non sentiamo la necessità di aggiungere un commento al testo, se non ribadire la nostra totale solidarietà al popolo palestinese che lotta per la sua liberazione e l’intento di dare spazio alle voci palestinesi che arrivano direttamente da quei territori e che molto spesso non giungono fino a noi.
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Testo in PDF

La superiorità “razziale” ebraico-israeliana e la persecuzione dei palestinesi in Cisgiordania durante la guerra di genocidio e la pulizia etnica

Dalle colline di Ramallah, la sera potevamo vedere le luci di Yafa, se il tempo era sereno potevamo vedere il mare. Abbiamo sempre detto che un giorno saremmo riusciti a raggiungere il mare. Ma ad oggi, dopo due anni di guerra genocida, non possiamo più stare sulle colline.
I Coloni e i gruppi estremisti come i “giovani delle colline” e “la terra promessa”, a volte indossando magliette con la scritta “la mia terra è ovunque posso occupare”, impediscono a chiunque di raggiungere le colline, usando le armi che gli sono state distribuite dal Ministro della Sicurezza Nazionale, Ben-Gvir. La possibilità di vedere il mare ci è stata negata.
Negli ultimi due anni, Ben-Gvir ha distribuito 40 mila armi ai coloni che vivono sulle colline della Cisgiordania. Ha distribuito centinaia di veicoli a quattro ruote motrici per facilitare il loro accesso ai terreni montuosi, che sono stati confiscati dello Stato sionista, e ha finanziato l’installazione di pannelli solari per ogni loro nuovo insediamento.
I coloni occupano la terra, le fonti d’acqua e i pozzi artesiani. Hanno rubato il bestiame e i trattori agricoli delle comunità beduine, distruggendo le loro case, espellendoli dalle loro terre e fondando insediamenti al loro posto.

I villaggi palestinesi sono stati attaccati da coloni sotto la protezione dell’esercito dell’occupazione israeliano. Case, auto e campi sono stati bruciati e alberi sono stati sradicati, come è successo a Turmus Ayya, al-Mughayyir, Khirbo Abu Falah, Huwara e Qaryut e a Kafar Malik, a 15 km da Ramallah, dove si trova il pozzo principale che fornisce il 40% dell’acqua necessaria alla città di Ramallah e al-Bireh. Lì, i coloni hanno sequestrato la fonte d’acqua e l’hanno trasformata in una piscina e in un luogo dove lavare il loro bestiame. Questi avvenimenti sono stati ripetuti in altri villaggi e province, in contemporanea alla pulizia etnica e alle scene di genocidio e uccisioni trasmesse in diretta al mondo intero.
Il campo profughi1 di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale, sta venendo silenziosamente sgomberato: oltre 100 famiglie hanno perso le loro case; le infrastrutture fognarie, elettriche e idriche sono state distrutte così che tante persone hanno perso i loro mezzi di sussistenza di base. La situazione non è diversa nei campi profughi di Nur Shams e di Tulkarem, nella provincia di Tulkarem. I campi profughi sono stati divisi, le strade sono state distrutte e, nel nord, stiamo assistendo a un’ondata di sfollamenti dai tre campi verso i centri delle due città.

Con il sostegno legale e politico del governo dell’occupazione sionista, le norme che regolano l’uso di armi da fuoco sono state modificate e ulteriore protezione è garantita ai coloni che commettono omicidi contro i palestinesi. Ciò consente l’uso letale di proiettili (n.d.t. ossia non più di gomma) contro i palestinesi, anche senza “giustificazione”. Ciò fornisce un chiaro riflesso nella profondità del disprezzo dello Stato Occupante per le vite dei palestinesi e costituisce un elemento fondamentale della struttura che consente a Israele di continuare a esercitare il suo controllo violento su milioni di palestinesi.

Oltre 14 milioni di persone vivono nelle terre tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, circa la metà delle quali sono israeliane e l’altra metà palestinesi. La percezione prevalente – nella sfera pubblica e giudiziaria, politica, mediatica e dei giornali – è che queste terre siano divise dalla Linea Verde: la prima metà si trova all’interno dei confini sovrani di Israele, è democratica e stabile e ospita circa nove milioni di persone “tutti cittadini israeliani”; la seconda metà si trova nei territori occupati da Israele nel 1967, il cui status definitivo dovrebbe essere determinato in futuri negoziati tra le due parti.

Circa cinque milioni di palestinesi vivono in queste aree sotto occupazione militare temporanea. Tuttavia, questa definizione è diventata sempre più irrilevante nel corso degli anni. Ignora il fatto che questa situazione persiste da oltre settant’anni, ossia praticamente dalla fondazione dello Stato di Israele, ma non tiene conto delle centinaia di migliaia di coloni ebrei residenti in Cisgiordania, il cui numero è aumentato drasticamente in questi due anni trascorsi dall’inizio della guerra di sterminio. Ma, cosa ancora più importante, questa distinzione ignora la realtà di un unico principio del governo applicato in tutto il territorio che si estende tra il fiume Giordano e il Mediterraneo: il rafforzamento e la perpetuazione della supremazia di un gruppo di persone – gli ebrei israeliani – su un altro – i palestinesi. Tutto ciò porta alla conclusione che non si tratta di due sistemi paralleli che operano casualmente secondo lo stesso principio, ma un sistema unico che governa l’intero territorio, controllando tutte le persone che vi risiedono e operando secondo il principio del governo israiliano.

Dall’inizio di questa guerra sono state registrate 1.048 uccisioni in Cisgiordania, di cui 260 bambini.
Il sionismo non si è accontentato di questo. Il controllo coloniale basato sull’isolamento e la sottomissione, ha trasformato il territorio palestinese in un arcipelago di isole separate, come se fossero “cantoni” chiusi, separati da cancelli di ferro, soggetti all’autorità assoluta dell’occupante. Migliaia di palestinesi sono stati e sono costretti ogni giorno a percorrere strade alternative, spesso sterrate, casuali e rischiose che a volte non esistono neanche. Queste chiusure delle strade ostacolano l’attività economica e l’accesso ai servizi sanitari e educativi, aumentano l’isolamento delle aree rurali e trasformano il semplice spostamento in un viaggio di sofferenza sistematica.
Alla luce di questa realtà, le porte di ferro installate dallo stato Israeliano lungo le strade palestinesi, sono un chiaro simbolo di punizione collettiva e parte di una politica più ampia, il cui obiettivo è: frammentare il tessuto sociale palestinese, spezzarne l’autodeterminazione e radicare la realtà dell’apartheid sul territorio.

Secondo un rapporto pubblicato dalla Commissione per la Resistenza contro il muro dell’apartheid, nel settembre 2025, il numero totale di posti di blocco militari e cancelli di ferro installati dall’esercito di occupazione in Cisgiordania ha raggiunto quota 910, di cui installati 83 dall’inizio del 2025. Mentre 247 cancelli di ferro sono stati installati dopo il 7 ottobre 2023.
D’altra parte, in un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari nei Territori Palestinesi Occupati del 20 marzo 2025, intitolato “Ultimo Aggiornamento Umanitario n. 274” | riguardo alla Cisgiordania dichiara: “Attualmente, ci sono 849 ostacoli che controllano, limitano e monitorano il movimento dei palestinesi in modo permanente e intermittente in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est e l’area di Al Khalil (Hebron) controllata da Israele”.
Un’indagine rapida condotta dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari a gennaio e febbraio 2025 ha rilevato che nei tre mesi precedenti erano sono stati messi 36 nuovi ostacoli al movimento, la maggior parte dei quali installati in seguito all’annuncio di un cessate il fuoco a Gaza a metà gennaio 2025, ostacolando ulteriormente l’accesso dei palestinesi ai servizi essenziali e ai luoghi di lavoro. Sono state documentate ulteriori chiusure, che si ritiene siano state messe nel 2024.

Vale la pena notare che fino ad oggi sono stati installati in totale 29 nuovi varchi stradali in tutta la Cisgiordania. Sono stati costruiti sia nuovi varchi di chiusura a sé stanti che varchi aggiuntivi nei posti di blocco già esistenti, portando il numero totale di varchi stradali aperti o chiusi in Cisgiordania a 288, costituendo un terzo degli ostacoli al movimento. Di questi, circa il 60% (172 su 288) viene chiuso frequentemente.
Oltre all’aumento del numero di ostacoli installati, l’aumento del controllo sulla circolazione ha portato interruzioni della circolazione per lunghi periodi, chiusure delle strade principali che collegano i centri abitati in Cisgiordania e un aumento del numero di varchi chiusi frequentemente. In totale, gli ostacoli includono 94 checkpoint con militari 24 ore su 24, 7 giorni su 7; 153 posti di blocco (con militari non sempre presenti) di cui 45 sono spesso chiusi, 205 cancelli stradali di cui 127 spesso chiusi, 101 posti di blocco costruiti con muri di terra e fossati, 180 fatti con cumuli di sacchi terra e 116 ostacoli di altro tipo posti lungo la strada2. Questi dati non includono i check-point lungo la Linea Verde e altre modalità di restrizione, come la chiusura del campo profughi di Jenin agli abitanti che vi facevano ritorno dopo lavoro e le segnalazioni di alcune aree come zone militari chiuse – che non sono sempre caratterizzate da barriere fisiche.

Settantasette prigionieri palestinesi sono martiri a causa delle torture nelle carceri israeliane in Cisgiordania, mentre sono stati registrati circa 20.000 arresti dall’inizio della guerra di sterminio due anni fa. I prigionieri sono stati privati del sonno e torturati nelle loro celle. Sono state negate loro le visite. I pasti sono stati limitati a un singolo pasto al giorno a malapena sufficiente per sopravvivere. Sono stati privati delle loro coperte e dei loro vestiti in inverno. Malattie della pelle si sono diffuse tra i prigionieri a causa del divieto di lavarsi e di pulire la loro cella. È stato inoltre negato loro qualsiasi tipo di assistenza medica durante la prigionia.

Lo Stato sionista però non si è fermato a queste vessazioni. Considerando che la maggior parte dei terreni agricoli si trova nell’Area C, ai palestinesi è stato vietato raccogliere i frutti dei loro alberi e qualsiasi tipo di prodotto delle loro terre. È stato negato l’accesso all’acqua.
I campi coltivati sono stati bruciati e, in alcuni casi, i coloni hanno liberato le loro pecore e mucche per distruggere i raccolti. Le serre che un tempo si estendevano nelle pianure di Tubas, Salfit e nella valle settentrionale del Giordano sono state demolite. Gli agricoltori sono stati fucilati, arrestati e maltrattati.

E nonostante ciò Israele non si è accontentato, difatti ha anche impedito alla cassa del Tesoro dell’Autorità Nazionale Palestinese di pagare i dipendenti pubblici, che non ricevono i loro stipendi da almeno nove mesi.

Alla luce di tutto ciò, i palestinesi non hanno smesso di riunirsi in gran numero per andare nei loro campi per proteggersi a vicenda. I giovani dei villaggi vicini spesso partecipano alla difesa del villaggio preso di mira dai coloni dopo aver sentito la chiamata dagli altoparlanti della moschea. I palestinesi si spostano tra villaggi, campi e città in gruppi per proteggersi a vicenda dagli attacchi dei coloni. Hanno inventato vari meccanismi di comunicazione, inclusi i gruppi Telegram che fornivano notizie di strada in tempo reale. La partecipazione ai gruppi Telegram è diventata, tuttavia, motivo di percosse e accuse se viene scoperto dell’esercito.

Tutta la comunità si mobilita per trovare cibo, alloggio e vestiti. Nessuno proveniente dai campi demoliti nella Cisgiordania settentrionale rimane senza un pezzo di pane o senza un riparo. Nonostante le ripetute incursioni dell’esercito, i palestinesi non hanno smesso di mandare i figli a scuola ogni giorno, né hanno impedito loro di svolgere le loro attività quotidiane. Un esempio: il villaggio beduino di Al-Araqib è stato demolito 200 volte e 200 volte ricostruito. Dei palestinesi rapiti dall’esercito che vengono rilasciati lontano dai loro villaggi per essere torturati, nessuno si trova a dormire senza un riparo, per il senso di comunità e solidarietà tra la gente palestinese.

I giovani nei villaggi, nelle città e nei campi profughi non hanno altro che pietre per affrontare la repressione dell’occupazione in Cisgiordania, che viene perpetrata con una forza letale. Nessun scontro con l’occupazione avviene senza caduti e feriti. Il nostro obiettivo ora è rimanere nella nostra terra, nonostante la corruzione politica delle autorità al potere in Cisgiordania, che a volte partecipa alla repressione delle proteste, perchè nonostante il loro controllo sulle risorse governative, la loro preoccupazione principale è diventata la salvaguardia dei loro interessi materiali, che sono legati all’esistenza dell’occupazione sionista stessa.


1 Quando si parla di campi profughi, non bisogna immaginarsi una distesa di tende, ma agglomerati di case e palazzine, strade e vicoli – dei veri e propri villaggi che vengono comunque nominati come campi profughi perché creati e costruiti laddove si stabilirono i palestinesi dislocati dalle loro case a cui gli è stato impedito di ritornare durante e dopo la Nakba.

2N.d.T: I dispositivi che regolano la libertà di movimento dei/delle palestinesi in Cisgiordania hanno varie forme. Quando si parla di ostacoli, oltre ad immaginarsi veri e propri checkpoint, bisogna immaginarsi anche sacchi di terra, barriere in cemento, dossi (anche chiodati) posti lungo le strade percorribili con i mezzi, che inevitabilmente rallentano o impediscono gli spostamenti. Per chiusura totale o parziale, inoltre si intende, che è impossibile attraversare il posto di blocco e che a destinazione non si arriva.

CONTRO LEONARDO, IL SISTEMA-GUERRA E I SUOI SERVI

Riceviamo e diffondiamo questo testo relativo al corteo del 13/09 contro lo stabilimento di Leonardo S.P.A di Ronchi e alla cacciata di un giornalista della Rai dal corteo (e alle successive prese di posizione di giornalai e sindacati vari):

Non è necessario indossare l’uniforme, la tenuta anti-sommossa e il distintivo (e/o il borsello) per appartenere allo schieramento degli apparati di controllo e repressione dello Stato, è sufficiente esercitare una certa funzione “pubblica” e soprattutto esprimerne insieme la legittimità. Può bastare un tesserino di giornalista.

Ma cosa fanno questi “professionisti dell’informazione che spesso operano in un clima di tensione”? Ti piantano in faccia le loro arroganti telecamere e quando cerchi di spiegare loro che non possono farlo contro la tua volontà e che no vuol dire no, si appellano alla legge che loro rispetterebbero e continuano imperterriti a mancarti di rispetto, poi quando la contestazione al loro operato diventa collettiva, allora si lamentano e invocano conseguenze penali per chi ha osato contestarli. Ecco, questi difensori della libertà di parola e della democrazia, svolgono una precisa funzione, quella di servi dello Stato.

E infatti sono sempre pronti a consegnare alla Digos i loro filmatini (alla faccia della libertà di espressione e di opinione!).
E infatti, anche in occasione di questa mobilitazione contro la Leonardo spa di Ronchi e in solidarietà con la Resistenza del popolo palestinese contro il genocidio portato avanti dallo Stato di Israele, mobilitazione auto-organizzata da parte di varie realtà del territorio riunite nell’Assemblea no Leonardo, senza partiti, padrini e né padroni, chi intercettano questi campioni dell’informazione?
Politicanti d’assalto che si fanno largo e per avere il loro momento di visibilità “radicale” e si permettono valutazioni sulla mobilitazione confrontandola con quella del dicembre 2023, notabili riformisti, mitomani provocatori in odor di sionismo. Chiunque pur di non andare al cuore delle questioni, chiunque pur di sminuire e stigmatizzare le proteste e di mantenere e difendere lo schifo esistente.
E infatti, a titolo di esempio paradigmatico, che cosa hanno fatto questi sinceri professionisti, millantatori dell’attività di informare, durante le stragi nelle carceri italiane dell’8-9 marzo 2020? Naturalmente hanno riportato solo le versioni dei carcerieri, questo sanno fare i servi del potere e questo fanno!

Non possiamo non rispondere al comunicato della Rai del Friuli-Venezia Giulia perché non porre argine alla falsificazione degli avvenimenti si tradurrebbe per noi in una accettazione delle manipolazioni ai nostri danni e nel consentire al trionfo della passività sul mondo e siccome non siamo un ammasso di docili pezzi di carne inerti in attesa di essere macinati per gli spettatori, ci rivoltiamo.

Riportiamo le parole del giornalista inviato di guerra Chris Hedges dal blog Invicta Palestina:
“I giornalisti occidentali sono complici a pieno titolo del genocidio. Amplificano le menzogne israeliane che sanno essere menzogne, tradendo i colleghi palestinesi che vengono calunniati, presi di mira e uccisi da Israele”.
Usigrai, RAI, coordinamento CdR della RAI regionale FVG, hanno manifestato solidarietà attiva nei confronti degli oltre 250 giornalisti palestinesi uccisi a Gaza da Israele?

Nella tragedia di Pasolini I Turcs tal Friûl, scritta a ridosso del 1945 e ispirata alle invasioni turche del ‘500, le persone di una periferia remota e dimenticata discutono ed elaborano piani di autodifesa di fronte al pericolo imminente di un’invasione e alla prospettiva di una minaccia concreta al loro vivere quotidiano. Emergono due atteggiamenti, l’uno rinunciatario e rassegnato, l’altro combattivo e vitale, destinato a soccombere. Sono personificati nei due fratelli Colùs, Paolo e Meni, il secondo andrà a combattere e non ritornerà, come un eroe tragico, e i turchi alla fine risparmieranno misteriosamente il villaggio.

Partecipare al corteo di Ronchi del 13 settembre ha fatto pensare ai turchi in duplice senso, nel primo, alla lettera, ovvero nel fatto che nei prossimi mesi dallo stabilimento Leonardo di Ronchi usciranno droni micidiali concepiti in Turchia dalla Baykar; nel secondo, più allegorico, ovvero che questo fatto non viene percepito in loco come un pericolo imminente, come una minaccia concreta alla comunità, ma si preferisce una pseudo-normalità fatta di quieto vivere. Allo stesso modo questo atteggiamento di pseudo-normalità si è riproposto anche in alcune componenti che hanno partecipato al corteo del 13 settembre, quelle “istituzionali-pacifiste”, che non perdono occasione per prendersi uno spazio di parola, sottraendolo agli altri. Quello spazio che faticosamente si è cercato di costruire, con la ricerca e l’agitazione, nei pochi mesi trascorsi da quando è scaturita, tra i collettivi e le individualità che si sono incontrati, la proposta di fare qualcosa. Allo stesso modo, cioè con fatica, gli interventi al microfono e gli slogan lanciati durante il corteo hanno voluto esprimere ai residenti lo sgomento e la paura, oltre che il merito, oltre a denunciare il fatto cioè che il tessuto industriale della zona si sta rapidamente rivolgendo verso il settore difesa e il dual-use1; ma insieme a ciò hanno voluto esprimere anche una scelta chiara, quella di reagire al fatalismo.

Ci è rimasto impresso un aneddoto di un compagno, molto istruttivo. Ai tempi delle lotte antimilitariste alla base NATO di Comiso nei primi anni ‘80, il prefetto di Ragusa lo fece prelevare dalla polizia con altri compagni, si informò sulle loro intenzioni. Alla risposta che volevano entrare nella base per distruggerla, il prefetto rispose che “Se venite con la gente, potete farlo, se siete da soli, non ve lo consiglio”2.

Il prezioso suggerimento, per non soccombere, è quello di prepararsi, concretamente, con il ragionamento e con l’azione.

Udine 18 settembre 2025

Qualcuno che c’era


1 Adriatronics cambia proprietà, salvi trecentotrenta posti di lavoro, “Il Piccolo”, 12/9/25; Difesa, fra Trieste, Pordenone e Gorizia in “distretto” del militare, “Tgr Rai Friuli Venezia Giulia”, 31/7/25. Sono solo due esempi eclatanti.

2 A.M.BONANNO, Errico Malatesta e la violenza rivoluzionaria, Trieste, 2023, pp.51-52