LA SUPERIORITÀ “RAZZIALE” EBRAICO-ISRAELIANA E LA PERSECUZIONE DEI PALESTINESI IN CISGIORDANIA DURANTE LA GUERRA DI GENOCIDIO E LA PULIZIA ETNICA

Riceviamo e diffondiamo:

Riportiamo, con un po’ di ritardo dovuti ai tempi di traduzione, una breve testimonianza e descrizione di quello che sta/stava succedendo in Cisgiordania, all’ 8 ottobre 2025 (ad oggi la situazione potrebbe essere peggiorata e i numeri presenti nel testo potrebbero risultare inesatti). Questo contributo è l’esperienza diretta di un palestinese che vive quei territori e l’occupazione sionista sulla sua pelle da tutta la vita, vedendone l’evoluzione e i cambiamenti. Se a Gaza la mira delle potenze sioniste è di eliminare Gaza, la sua popolazione e la sua memoria, poco più a nord in Cisgiordania l’occupazione israeliana avanza inesorabile, con la presa di sempre più terre da parte dei coloni israeliani e con la riduzione sempre maggiore degli spazi di agibilità e mobilità palestinesi. Non sentiamo la necessità di aggiungere un commento al testo, se non ribadire la nostra totale solidarietà al popolo palestinese che lotta per la sua liberazione e l’intento di dare spazio alle voci palestinesi che arrivano direttamente da quei territori e che molto spesso non giungono fino a noi.
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La superiorità “razziale” ebraico-israeliana e la persecuzione dei palestinesi in Cisgiordania durante la guerra di genocidio e la pulizia etnica

Dalle colline di Ramallah, la sera potevamo vedere le luci di Yafa, se il tempo era sereno potevamo vedere il mare. Abbiamo sempre detto che un giorno saremmo riusciti a raggiungere il mare. Ma ad oggi, dopo due anni di guerra genocida, non possiamo più stare sulle colline.
I Coloni e i gruppi estremisti come i “giovani delle colline” e “la terra promessa”, a volte indossando magliette con la scritta “la mia terra è ovunque posso occupare”, impediscono a chiunque di raggiungere le colline, usando le armi che gli sono state distribuite dal Ministro della Sicurezza Nazionale, Ben-Gvir. La possibilità di vedere il mare ci è stata negata.
Negli ultimi due anni, Ben-Gvir ha distribuito 40 mila armi ai coloni che vivono sulle colline della Cisgiordania. Ha distribuito centinaia di veicoli a quattro ruote motrici per facilitare il loro accesso ai terreni montuosi, che sono stati confiscati dello Stato sionista, e ha finanziato l’installazione di pannelli solari per ogni loro nuovo insediamento.
I coloni occupano la terra, le fonti d’acqua e i pozzi artesiani. Hanno rubato il bestiame e i trattori agricoli delle comunità beduine, distruggendo le loro case, espellendoli dalle loro terre e fondando insediamenti al loro posto.

I villaggi palestinesi sono stati attaccati da coloni sotto la protezione dell’esercito dell’occupazione israeliano. Case, auto e campi sono stati bruciati e alberi sono stati sradicati, come è successo a Turmus Ayya, al-Mughayyir, Khirbo Abu Falah, Huwara e Qaryut e a Kafar Malik, a 15 km da Ramallah, dove si trova il pozzo principale che fornisce il 40% dell’acqua necessaria alla città di Ramallah e al-Bireh. Lì, i coloni hanno sequestrato la fonte d’acqua e l’hanno trasformata in una piscina e in un luogo dove lavare il loro bestiame. Questi avvenimenti sono stati ripetuti in altri villaggi e province, in contemporanea alla pulizia etnica e alle scene di genocidio e uccisioni trasmesse in diretta al mondo intero.
Il campo profughi1 di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale, sta venendo silenziosamente sgomberato: oltre 100 famiglie hanno perso le loro case; le infrastrutture fognarie, elettriche e idriche sono state distrutte così che tante persone hanno perso i loro mezzi di sussistenza di base. La situazione non è diversa nei campi profughi di Nur Shams e di Tulkarem, nella provincia di Tulkarem. I campi profughi sono stati divisi, le strade sono state distrutte e, nel nord, stiamo assistendo a un’ondata di sfollamenti dai tre campi verso i centri delle due città.

Con il sostegno legale e politico del governo dell’occupazione sionista, le norme che regolano l’uso di armi da fuoco sono state modificate e ulteriore protezione è garantita ai coloni che commettono omicidi contro i palestinesi. Ciò consente l’uso letale di proiettili (n.d.t. ossia non più di gomma) contro i palestinesi, anche senza “giustificazione”. Ciò fornisce un chiaro riflesso nella profondità del disprezzo dello Stato Occupante per le vite dei palestinesi e costituisce un elemento fondamentale della struttura che consente a Israele di continuare a esercitare il suo controllo violento su milioni di palestinesi.

Oltre 14 milioni di persone vivono nelle terre tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, circa la metà delle quali sono israeliane e l’altra metà palestinesi. La percezione prevalente – nella sfera pubblica e giudiziaria, politica, mediatica e dei giornali – è che queste terre siano divise dalla Linea Verde: la prima metà si trova all’interno dei confini sovrani di Israele, è democratica e stabile e ospita circa nove milioni di persone “tutti cittadini israeliani”; la seconda metà si trova nei territori occupati da Israele nel 1967, il cui status definitivo dovrebbe essere determinato in futuri negoziati tra le due parti.

Circa cinque milioni di palestinesi vivono in queste aree sotto occupazione militare temporanea. Tuttavia, questa definizione è diventata sempre più irrilevante nel corso degli anni. Ignora il fatto che questa situazione persiste da oltre settant’anni, ossia praticamente dalla fondazione dello Stato di Israele, ma non tiene conto delle centinaia di migliaia di coloni ebrei residenti in Cisgiordania, il cui numero è aumentato drasticamente in questi due anni trascorsi dall’inizio della guerra di sterminio. Ma, cosa ancora più importante, questa distinzione ignora la realtà di un unico principio del governo applicato in tutto il territorio che si estende tra il fiume Giordano e il Mediterraneo: il rafforzamento e la perpetuazione della supremazia di un gruppo di persone – gli ebrei israeliani – su un altro – i palestinesi. Tutto ciò porta alla conclusione che non si tratta di due sistemi paralleli che operano casualmente secondo lo stesso principio, ma un sistema unico che governa l’intero territorio, controllando tutte le persone che vi risiedono e operando secondo il principio del governo israiliano.

Dall’inizio di questa guerra sono state registrate 1.048 uccisioni in Cisgiordania, di cui 260 bambini.
Il sionismo non si è accontentato di questo. Il controllo coloniale basato sull’isolamento e la sottomissione, ha trasformato il territorio palestinese in un arcipelago di isole separate, come se fossero “cantoni” chiusi, separati da cancelli di ferro, soggetti all’autorità assoluta dell’occupante. Migliaia di palestinesi sono stati e sono costretti ogni giorno a percorrere strade alternative, spesso sterrate, casuali e rischiose che a volte non esistono neanche. Queste chiusure delle strade ostacolano l’attività economica e l’accesso ai servizi sanitari e educativi, aumentano l’isolamento delle aree rurali e trasformano il semplice spostamento in un viaggio di sofferenza sistematica.
Alla luce di questa realtà, le porte di ferro installate dallo stato Israeliano lungo le strade palestinesi, sono un chiaro simbolo di punizione collettiva e parte di una politica più ampia, il cui obiettivo è: frammentare il tessuto sociale palestinese, spezzarne l’autodeterminazione e radicare la realtà dell’apartheid sul territorio.

Secondo un rapporto pubblicato dalla Commissione per la Resistenza contro il muro dell’apartheid, nel settembre 2025, il numero totale di posti di blocco militari e cancelli di ferro installati dall’esercito di occupazione in Cisgiordania ha raggiunto quota 910, di cui installati 83 dall’inizio del 2025. Mentre 247 cancelli di ferro sono stati installati dopo il 7 ottobre 2023.
D’altra parte, in un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari nei Territori Palestinesi Occupati del 20 marzo 2025, intitolato “Ultimo Aggiornamento Umanitario n. 274” | riguardo alla Cisgiordania dichiara: “Attualmente, ci sono 849 ostacoli che controllano, limitano e monitorano il movimento dei palestinesi in modo permanente e intermittente in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est e l’area di Al Khalil (Hebron) controllata da Israele”.
Un’indagine rapida condotta dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari a gennaio e febbraio 2025 ha rilevato che nei tre mesi precedenti erano sono stati messi 36 nuovi ostacoli al movimento, la maggior parte dei quali installati in seguito all’annuncio di un cessate il fuoco a Gaza a metà gennaio 2025, ostacolando ulteriormente l’accesso dei palestinesi ai servizi essenziali e ai luoghi di lavoro. Sono state documentate ulteriori chiusure, che si ritiene siano state messe nel 2024.

Vale la pena notare che fino ad oggi sono stati installati in totale 29 nuovi varchi stradali in tutta la Cisgiordania. Sono stati costruiti sia nuovi varchi di chiusura a sé stanti che varchi aggiuntivi nei posti di blocco già esistenti, portando il numero totale di varchi stradali aperti o chiusi in Cisgiordania a 288, costituendo un terzo degli ostacoli al movimento. Di questi, circa il 60% (172 su 288) viene chiuso frequentemente.
Oltre all’aumento del numero di ostacoli installati, l’aumento del controllo sulla circolazione ha portato interruzioni della circolazione per lunghi periodi, chiusure delle strade principali che collegano i centri abitati in Cisgiordania e un aumento del numero di varchi chiusi frequentemente. In totale, gli ostacoli includono 94 checkpoint con militari 24 ore su 24, 7 giorni su 7; 153 posti di blocco (con militari non sempre presenti) di cui 45 sono spesso chiusi, 205 cancelli stradali di cui 127 spesso chiusi, 101 posti di blocco costruiti con muri di terra e fossati, 180 fatti con cumuli di sacchi terra e 116 ostacoli di altro tipo posti lungo la strada2. Questi dati non includono i check-point lungo la Linea Verde e altre modalità di restrizione, come la chiusura del campo profughi di Jenin agli abitanti che vi facevano ritorno dopo lavoro e le segnalazioni di alcune aree come zone militari chiuse – che non sono sempre caratterizzate da barriere fisiche.

Settantasette prigionieri palestinesi sono martiri a causa delle torture nelle carceri israeliane in Cisgiordania, mentre sono stati registrati circa 20.000 arresti dall’inizio della guerra di sterminio due anni fa. I prigionieri sono stati privati del sonno e torturati nelle loro celle. Sono state negate loro le visite. I pasti sono stati limitati a un singolo pasto al giorno a malapena sufficiente per sopravvivere. Sono stati privati delle loro coperte e dei loro vestiti in inverno. Malattie della pelle si sono diffuse tra i prigionieri a causa del divieto di lavarsi e di pulire la loro cella. È stato inoltre negato loro qualsiasi tipo di assistenza medica durante la prigionia.

Lo Stato sionista però non si è fermato a queste vessazioni. Considerando che la maggior parte dei terreni agricoli si trova nell’Area C, ai palestinesi è stato vietato raccogliere i frutti dei loro alberi e qualsiasi tipo di prodotto delle loro terre. È stato negato l’accesso all’acqua.
I campi coltivati sono stati bruciati e, in alcuni casi, i coloni hanno liberato le loro pecore e mucche per distruggere i raccolti. Le serre che un tempo si estendevano nelle pianure di Tubas, Salfit e nella valle settentrionale del Giordano sono state demolite. Gli agricoltori sono stati fucilati, arrestati e maltrattati.

E nonostante ciò Israele non si è accontentato, difatti ha anche impedito alla cassa del Tesoro dell’Autorità Nazionale Palestinese di pagare i dipendenti pubblici, che non ricevono i loro stipendi da almeno nove mesi.

Alla luce di tutto ciò, i palestinesi non hanno smesso di riunirsi in gran numero per andare nei loro campi per proteggersi a vicenda. I giovani dei villaggi vicini spesso partecipano alla difesa del villaggio preso di mira dai coloni dopo aver sentito la chiamata dagli altoparlanti della moschea. I palestinesi si spostano tra villaggi, campi e città in gruppi per proteggersi a vicenda dagli attacchi dei coloni. Hanno inventato vari meccanismi di comunicazione, inclusi i gruppi Telegram che fornivano notizie di strada in tempo reale. La partecipazione ai gruppi Telegram è diventata, tuttavia, motivo di percosse e accuse se viene scoperto dell’esercito.

Tutta la comunità si mobilita per trovare cibo, alloggio e vestiti. Nessuno proveniente dai campi demoliti nella Cisgiordania settentrionale rimane senza un pezzo di pane o senza un riparo. Nonostante le ripetute incursioni dell’esercito, i palestinesi non hanno smesso di mandare i figli a scuola ogni giorno, né hanno impedito loro di svolgere le loro attività quotidiane. Un esempio: il villaggio beduino di Al-Araqib è stato demolito 200 volte e 200 volte ricostruito. Dei palestinesi rapiti dall’esercito che vengono rilasciati lontano dai loro villaggi per essere torturati, nessuno si trova a dormire senza un riparo, per il senso di comunità e solidarietà tra la gente palestinese.

I giovani nei villaggi, nelle città e nei campi profughi non hanno altro che pietre per affrontare la repressione dell’occupazione in Cisgiordania, che viene perpetrata con una forza letale. Nessun scontro con l’occupazione avviene senza caduti e feriti. Il nostro obiettivo ora è rimanere nella nostra terra, nonostante la corruzione politica delle autorità al potere in Cisgiordania, che a volte partecipa alla repressione delle proteste, perchè nonostante il loro controllo sulle risorse governative, la loro preoccupazione principale è diventata la salvaguardia dei loro interessi materiali, che sono legati all’esistenza dell’occupazione sionista stessa.


1 Quando si parla di campi profughi, non bisogna immaginarsi una distesa di tende, ma agglomerati di case e palazzine, strade e vicoli – dei veri e propri villaggi che vengono comunque nominati come campi profughi perché creati e costruiti laddove si stabilirono i palestinesi dislocati dalle loro case a cui gli è stato impedito di ritornare durante e dopo la Nakba.

2N.d.T: I dispositivi che regolano la libertà di movimento dei/delle palestinesi in Cisgiordania hanno varie forme. Quando si parla di ostacoli, oltre ad immaginarsi veri e propri checkpoint, bisogna immaginarsi anche sacchi di terra, barriere in cemento, dossi (anche chiodati) posti lungo le strade percorribili con i mezzi, che inevitabilmente rallentano o impediscono gli spostamenti. Per chiusura totale o parziale, inoltre si intende, che è impossibile attraversare il posto di blocco e che a destinazione non si arriva.

CONTRO LEONARDO, IL SISTEMA-GUERRA E I SUOI SERVI

Riceviamo e diffondiamo questo testo relativo al corteo del 13/09 contro lo stabilimento di Leonardo S.P.A di Ronchi e alla cacciata di un giornalista della Rai dal corteo (e alle successive prese di posizione di giornalai e sindacati vari):

Non è necessario indossare l’uniforme, la tenuta anti-sommossa e il distintivo (e/o il borsello) per appartenere allo schieramento degli apparati di controllo e repressione dello Stato, è sufficiente esercitare una certa funzione “pubblica” e soprattutto esprimerne insieme la legittimità. Può bastare un tesserino di giornalista.

Ma cosa fanno questi “professionisti dell’informazione che spesso operano in un clima di tensione”? Ti piantano in faccia le loro arroganti telecamere e quando cerchi di spiegare loro che non possono farlo contro la tua volontà e che no vuol dire no, si appellano alla legge che loro rispetterebbero e continuano imperterriti a mancarti di rispetto, poi quando la contestazione al loro operato diventa collettiva, allora si lamentano e invocano conseguenze penali per chi ha osato contestarli. Ecco, questi difensori della libertà di parola e della democrazia, svolgono una precisa funzione, quella di servi dello Stato.

E infatti sono sempre pronti a consegnare alla Digos i loro filmatini (alla faccia della libertà di espressione e di opinione!).
E infatti, anche in occasione di questa mobilitazione contro la Leonardo spa di Ronchi e in solidarietà con la Resistenza del popolo palestinese contro il genocidio portato avanti dallo Stato di Israele, mobilitazione auto-organizzata da parte di varie realtà del territorio riunite nell’Assemblea no Leonardo, senza partiti, padrini e né padroni, chi intercettano questi campioni dell’informazione?
Politicanti d’assalto che si fanno largo e per avere il loro momento di visibilità “radicale” e si permettono valutazioni sulla mobilitazione confrontandola con quella del dicembre 2023, notabili riformisti, mitomani provocatori in odor di sionismo. Chiunque pur di non andare al cuore delle questioni, chiunque pur di sminuire e stigmatizzare le proteste e di mantenere e difendere lo schifo esistente.
E infatti, a titolo di esempio paradigmatico, che cosa hanno fatto questi sinceri professionisti, millantatori dell’attività di informare, durante le stragi nelle carceri italiane dell’8-9 marzo 2020? Naturalmente hanno riportato solo le versioni dei carcerieri, questo sanno fare i servi del potere e questo fanno!

Non possiamo non rispondere al comunicato della Rai del Friuli-Venezia Giulia perché non porre argine alla falsificazione degli avvenimenti si tradurrebbe per noi in una accettazione delle manipolazioni ai nostri danni e nel consentire al trionfo della passività sul mondo e siccome non siamo un ammasso di docili pezzi di carne inerti in attesa di essere macinati per gli spettatori, ci rivoltiamo.

Riportiamo le parole del giornalista inviato di guerra Chris Hedges dal blog Invicta Palestina:
“I giornalisti occidentali sono complici a pieno titolo del genocidio. Amplificano le menzogne israeliane che sanno essere menzogne, tradendo i colleghi palestinesi che vengono calunniati, presi di mira e uccisi da Israele”.
Usigrai, RAI, coordinamento CdR della RAI regionale FVG, hanno manifestato solidarietà attiva nei confronti degli oltre 250 giornalisti palestinesi uccisi a Gaza da Israele?

Nella tragedia di Pasolini I Turcs tal Friûl, scritta a ridosso del 1945 e ispirata alle invasioni turche del ‘500, le persone di una periferia remota e dimenticata discutono ed elaborano piani di autodifesa di fronte al pericolo imminente di un’invasione e alla prospettiva di una minaccia concreta al loro vivere quotidiano. Emergono due atteggiamenti, l’uno rinunciatario e rassegnato, l’altro combattivo e vitale, destinato a soccombere. Sono personificati nei due fratelli Colùs, Paolo e Meni, il secondo andrà a combattere e non ritornerà, come un eroe tragico, e i turchi alla fine risparmieranno misteriosamente il villaggio.

Partecipare al corteo di Ronchi del 13 settembre ha fatto pensare ai turchi in duplice senso, nel primo, alla lettera, ovvero nel fatto che nei prossimi mesi dallo stabilimento Leonardo di Ronchi usciranno droni micidiali concepiti in Turchia dalla Baykar; nel secondo, più allegorico, ovvero che questo fatto non viene percepito in loco come un pericolo imminente, come una minaccia concreta alla comunità, ma si preferisce una pseudo-normalità fatta di quieto vivere. Allo stesso modo questo atteggiamento di pseudo-normalità si è riproposto anche in alcune componenti che hanno partecipato al corteo del 13 settembre, quelle “istituzionali-pacifiste”, che non perdono occasione per prendersi uno spazio di parola, sottraendolo agli altri. Quello spazio che faticosamente si è cercato di costruire, con la ricerca e l’agitazione, nei pochi mesi trascorsi da quando è scaturita, tra i collettivi e le individualità che si sono incontrati, la proposta di fare qualcosa. Allo stesso modo, cioè con fatica, gli interventi al microfono e gli slogan lanciati durante il corteo hanno voluto esprimere ai residenti lo sgomento e la paura, oltre che il merito, oltre a denunciare il fatto cioè che il tessuto industriale della zona si sta rapidamente rivolgendo verso il settore difesa e il dual-use1; ma insieme a ciò hanno voluto esprimere anche una scelta chiara, quella di reagire al fatalismo.

Ci è rimasto impresso un aneddoto di un compagno, molto istruttivo. Ai tempi delle lotte antimilitariste alla base NATO di Comiso nei primi anni ‘80, il prefetto di Ragusa lo fece prelevare dalla polizia con altri compagni, si informò sulle loro intenzioni. Alla risposta che volevano entrare nella base per distruggerla, il prefetto rispose che “Se venite con la gente, potete farlo, se siete da soli, non ve lo consiglio”2.

Il prezioso suggerimento, per non soccombere, è quello di prepararsi, concretamente, con il ragionamento e con l’azione.

Udine 18 settembre 2025

Qualcuno che c’era


1 Adriatronics cambia proprietà, salvi trecentotrenta posti di lavoro, “Il Piccolo”, 12/9/25; Difesa, fra Trieste, Pordenone e Gorizia in “distretto” del militare, “Tgr Rai Friuli Venezia Giulia”, 31/7/25. Sono solo due esempi eclatanti.

2 A.M.BONANNO, Errico Malatesta e la violenza rivoluzionaria, Trieste, 2023, pp.51-52

LEONARDO S.P.A. FABBRICA DI MORTE [CORTEO 13/9/25]

Riceviamo e diffondiamo:

A Ronchi dei Legionari sotto la bandiera dello Stato italiano vengono progettati e prodotti strumenti di morte, venduti all’estero senza alcuno scrupolo. Acclamato come eccellenza locale, lo stabilimento di Leonardo S.p.A. di Ronchi è specializzato in veicoli privi di pilota. Spesso spacciati alla stampa come dispositivi dalle mille possibilità di utilizzo, di fatto lo scopo di questi droni è quello di uccidere.

Con l’obiettivo di incrementare la produzione di queste armi, nel marzo 2025 è stata avviata una joint venture tra Leonardo e Baykar, azienda turca e fiore all’occhiello di Erdogan, che rifornisce principalmente Qatar, Emirati ed esercito ucraino. Fra gli stabilimenti coinvolti in questo accordo c’è anche quello di Ronchi.

Tra i vari prodotti di Leonardo troviamo sistemi di puntamento per caccia, venduti all’entità sionista e genocida, utilizzati da ormai quasi 2 anni per bombardare indiscriminatamente il popolo palestinese a Gaza e aggredire i popoli circostanti che si oppongono alla prepotenza coloniale e sanguinaria di Israele. Lo Stato italiano difende gli interessi di chi sta portando avanti il genocidio dei palestinesi.

Il capitalismo crea crisi di cui si nutre, gli investimenti bellici sono fra i più redditizi a livello globale. Più di 60 aziende tra Pordenone, Gorizia e Trieste si sono dichiarate pronte ad una conversione ad industria per la produzione bellica.

Contro l’orrore di Gaza e l’oppressione che si diffonde ovunque, resistiamo come i palestinesi, organizziamoci, mobilitiamoci anche qui, fermiamo questa fabbrica, non restiamo complici!

Assemblea No Leonardo / leonardo.assassina@proton.me

MARZABOTTO: AZIONE PER LA FINE DELL’ASSEDIO A GAZA

Riceviamo e diffondiamo:

RESOCONTO della giornata di sabato 9 agosto dall’Appennino

Il 9 agosto, un gruppo di una ventina di persone ha effettuato un’azione spontanea sulla strada Porrettana, all’altezza di Marzabotto, rallentando il traffico per un ora esponendo striscioni e bandiere palestinesi e distribuendo volantini alle persone in auto. L’azione rispondeva alla chiamata di una giornata di mobilitazione internazionale per la fine dell’assedio di Gaza da parte dell’esercito sionista con il sostegno economico militare e morale dei governi occidentali. Dopo 40 minuti di azione sono arrivate tre volanti dei carabinieri che hanno intasato ancora di più il traffico. Le manifestanti si sono allontanate nei boschi, con i carabinieri che si aggiravano nella zona come vespe infastidite fermando passanti e chiedendo i documenti per alcune ore. Le reazioni da parte delle persone incolonnate sono state per lo più di sostegno e solidarietà. Non ci facciamo illusioni: quest’azione è poco, troppo poco. L’auspicio è che possa servire da invito e spinta, che dia forza e coraggio: bloccare gli ingranaggi della guerra è possibile e necessario.

Ecco il testo del volantino distribuito durante l’azione

GIORNATA GLOBALE DELL’AZIONE 9 AGOSTO

Il governo italiano continua a fornire armi a Israele: una scelta che lo rende complice, come gli Stati Uniti, nel genocidio in corso a Gaza. Mentre ipocritamente il governo italiano annuncia che da oggi 9 agosto comincerà a lanciare aiuti umanitari su Gaza, dagli stessi cieli piovono bombe e proiettili venduti dallo stesso governo e prodotti da aziende italiane. Oltre a Leonardo, colosso della produzione e vendita di sistemi d’arma, rappresentata nel nostro territorio dalle aziende N.P.C. Srl di Imola e dalla ITRES Srl di Casalecchio di Reno, nella provincia di Bologna sono presenti altre aziende che vendono armi al governo israeliano, come la Riva Calzoni Spa di Calderara di Reno, la Poggipolini Spa di San Lazzaro di Savena. Queste aziende traggono profitto economico del genocidio in atto!
È il momento di rompere il silenzio. Di agire, contro l’assedio di Gaza e la complicità dei governi.
CHIEDIAMO:
cessate il fuoco immediato
fine dell’assedio
fine della complicità internazionale
sanzioni
libertà e giustizia per la Palestina

Dalla sabbia di Gaza fino ai nostri territori:
LA LIBERTA’ è IL NOSTRO ORIZZONTE COMUNE

BARI: CORTEO PER LA PALESTINA

Riceviamo e diffondiamo

Sabato 14 giugno, ore 17
Piazza Umberto (Bari)

Ultimamente la causa del popolo palestinese sta venendo sbandierata a destra e a manca: ogni giorno, dai social alla televisione, assistiamo ad un genocidio, ad una violenza rumorosa e brutale. Contemporaneamente l’unica cosa che la politica è in grado di fare, quando non reprime per conto d’Israele, sono azioni puramente simboliche. Non si vuole mai fare qualcosa di concreto. Diventa una gara a chi è più ipocrita e qui in Puglia dovremmo sapere che significa.

Chi è con la Palestina non può non riconoscere la complicità delle istituzioni della città di Bari e della regione Puglia nell’occupazione e nella guerra quotidiana al popolo palestinese. Non basta pronunciare slogan, cari Leccese ed Emiliano. Se volete sostenere il popolo palestinese bisogna interrompere i finanziamenti e i rapporti con lo stato illegittimo di Israele, le aziende belliche che continuano a fornirgli armi e le banche che continuano a dare soldi.

Non basta litigare sui social con il console d’Israele in Puglia “Luigi De Santis”. Il consolato israeliano va chiuso. Questo testo allora è rivolto a chi è stancx di sentire parole vuote, di essere presx per il culo. Vediamoci in piazza e lottiamo al fianco del popolo palestinese, assieme a tutti i popoli e le persone oppresse.

AL MERCATO DELLE RICONVERSIONI BELLICHE

Riceviamo e diffondiamo da PiccoliFuochiVagabondi:

Nella chiave della competizione inter-imperialistica per il dominio dei mercati e la spartizione delle risorse, in un quadro che vede mutare gli assetti geopolitici globali, si afferma la corsa al riarmo europeo. Mentre si cerca di abituare l’opinione pubblica al fatto compiuto, e cioè che in guerra ci siamo già anche se i missili ancora non esplodono sulle nostre case; mentre gli Stati europei – dai Paesi scandinavi alla Francia – forniscono ai loro cittadini dépliant con le informazioni su cosa fare in caso di conflitto o guerra nucleare; e mentre alcune nazioni stanno pensando di accrescere il numero dei loro riservisti e di ricorrere nuovamente alla leva militare… si sta affermando l’idea che anche le aziende in crisi debbano essere riconvertite alla produzione bellica.

Tra le prime, Volkswagen ha mostrato crescente interessamento. Pur riconoscendo che una completa conversione alla produzione bellica richiederà anni, l’azienda tedesca vuol tornare a fornire motori e trasmissioni per veicoli militari collaborando con la conterranea Rheinmetall, come aveva già fatto durante la seconda guerra mondiale quando collaborò coi nazisti.
Aziende come Rheinmetall, leader in Europa nella produzione di munizioni e armamenti terrestri tra cui i carri armati Panther, e KNDS Group, joint venture franco-tedesca specializzata in veicoli corazzati ed esplosivi con un fatturato di 3 miliardi di euro, stanno già riconvertendo impianti civili, non solo automobilistici, in linee di produzione bellica.

Il CEO di Rheinmetall, Armin Papperger, ha indicato che lo stabilimento di Osnabrück di Volkswagen sarebbe “molto adatto” per la produzione di veicoli blindati Lynx, a condizione di ricevere ordini per almeno 1.000 unità. Proprio Rheinmetall ha realizzato una joint venture con l’italiana Leonardo per fornire 280 nuovi carri armati Panther e oltre mille veicoli blindati Lynx all’Esercito italiano, una commessa da 23,2 miliardi di euro. Metà della produzione sarà fatta da Leonardo in Italia. Parteciperà a questo progetto, con un contratto di fornitura per circa il 15% del valore, anche Iveco Defence Vehicles (IDV) controllata da Exor, la finanziaria olandese della famiglia Agnelli.
Leonardo e Rheinmetall vorrebbero partecipare al progetto per il futuro carro armato pesante europeo, detto Mbt o Mgcs, un progetto lanciato da Francia e Germania, che si scontra però con gli interessi anche della franco-tedesca KNDS, holding che unisce la francese Nexter e la tedesca Krauss-Maffei Wegmann.

Un’altra società tedesca, la Helsoldt, che si occupa di elettronica per la difesa, di cui è azionista Leonardo con il 22,8%, ha comprato una fabbrica di elettrodomestici Bosch con 400 lavoratori annessi per riconvertirla.
La franco-tedesca KNDS, che produce il carro armato Leopard e il veicolo da combattimento Puma, ha recentemente acquisito un’ex fabbrica ferroviaria a Görlitz, in Germania, per espandere la sua capacità produttiva.

Anche l’ex insediamento Winchester di Anagni (Frosinone), nella Valle del Sacco in Ciociaria, verrà riconvertita da KNDS Ammo Italy (ex Simmel Difesa) in una fabbrica per produrre nitro-gelatina e polveri di lancio per proiettili. 11 nuovi capannoni su un’area di circa 2500 metri quadri per potenziare la filiera delle armi1. Il paradosso sta che fino ad ora nell’ex stabilimento laziale di Anagni si provvedeva al disinnesco dei proiettili scaduti. Tra Anagni e la vicina Colleferro – dove KNDS possiede già uno dei più importanti stabilimenti per il caricamento, per la produzione e per i test di munizioni e bombe – arriverà a fabbricare fino a 3 tonnellate di esplosivo ogni giorno. Nel 2023 vi era stata la visita del commissario europeo al mercato interno, Thierry Breton, allo stabilimento dei Colleferro, che aveva espressamente richiesto di incrementare la produzione per missili e proiettili con cui riempire gli arsenali europei. La riconversione dello stabilimento di Anagni, che dovrebbe iniziare la produzione a partire dalla primavera 2026, si inserisce pienamente nel quadro del piano “ReArm EU” ma ha anche ricevuto un finanziamento europeo di 41 milioni di euro dopo l’approvazione dell’ASAP (Act Support Ammunition Production)2. L’ASAP è la legge europea, varata nel maggio 2023 e confermata a marzo 2024 con l’impegno di 500 milioni di euro del bilancio UE, per potenziare la produzione di esplosivi, polvere da sparo e munizioni dopo l’invasione russa dell’Ucraina. L’ASAP ha calcolato che entro la fine del 2025 saranno 2 milioni i proiettili che dovranno essere prodotti all’anno dalle industrie europee. 4,300 tonnellate l’anno gli esplosivi.

Attraverso l’ASAP la Commissione Europea ha selezionato una trentina di progetti per sostenere l’industria bellica europea della produzione di polveri e munizioni. In un primo tempo il maxiappalto riguardava solo le imprese europee, ma a causa del mancato raggiungimento del numero previsto di munizioni da parte dell’industria europea, ora i fondi UE possono essere usati per comprare munizioni anche da Paesi terzi, con gli Stati Uniti ovviamente a farla da padrone (con la seconda elezione di Trump, gli Stati Uniti non solo pretendono che la UE acquisti il loro gas GNL ma anche le loro armi).

I 31 progetti industriali finanziati dall’UE coinvolgono Grecia, Francia, Polonia, Norvegia, Italia, Germania, Finlandia, Slovacchia, Lettonia, Romania, Repubblica Ceca, Spagna e Slovacchia. Oltre la KNDS Ammo Italy, tra questi 31 progetti finanziati dall’UE vi è anche quello presentato dalla bolognese Baschieri&Pellagri, del gruppo della Fiocchi Munizioni Spa di Lecco. Il progetto della Baschieri&Pellagri è stato finanziato con 3,7 milioni di euro e consiste nella produzione di polvere da sparo per i proiettili.

Ritornando all’industria dell’automotive, non possiamo non citare il caso dell’italo-olandese Stellantis (ex Fca-Fiat) del presidente John Elkann, della famiglia Agnelli, che vive una crisi acuta, con un forte calo della produzione automobilistica nazionale, e che potrebbe essere interessata da un piano di riconversione sostenuto dai ministeri della Difesa e dell’Economia. Annunciato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, un piano per rilanciare la filiera dell’auto prevede un finanziamento di 2,5 miliardi di euro con fondi pubblici entro il 2027, con l’obiettivo di diversificare la produzione coinvolgendo il settore auto nel cosiddetto “dual use”, ovvero l’utilizzo delle stesse infrastrutture per scopi civili e militari.
Per Stellantis si parla di un ruolo di consulenza ingegneristica, ma forse anche della riconversione di uno o più stabilimenti per la produzione di mezzi militari o componentistica. Fra le ipotesi alla studio, per intercettare la pioggia di miliardi del riarmo UE, c’è la riconversione dello stabilimento di Termini Imerese (Palermo).

Per facilitare l’intesa il governo Meloni vuole superare il cosiddetto piano green deal lanciato nel 2019 dalla Commissione europea, almeno per quanto riguarda il settore auto. Le regole europee oggi impongono la riduzione della produzione delle auto a combustione per ridurre le emissioni di gas serra e contenere il riscaldamento globale entro +1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Il che significa riconvertire il settore auto nell’elettrico, settore nel quale l’Italia (ma anche la stessa Europa) è piuttosto indietro rispetto a Paesi come la Cina. Anche i dazi minacciati da Trump sui prodotti importati dai Paesi europei hanno giocato un ruolo sulla decisione di sospendere le regole europee per il green deal, dato che tra i settori colpiti da questa nuova guerra commerciale c’è senz’altro il mercato dell’automotive. Ma la vera ragione della sospensione del green deal è un’altra. Come ha ricordato molto chiaramente l’ex ministro dell’ambiente e della transizione ecologica nel governo Draghi, Roberto Cingolani, oggi amministratore delegato della più grande società bellica italiana, la Leonardo, società che stima ordini per 118 miliardi fino al 2029 con l’obiettivo di raggiungere ricavi superiori a 26 miliardi entro la fine del decennio, “il Green Deal era importante in tempi di pace, ora ci sono altre priorità”.

Ricordiamo, sempre della famiglia Agnelli, anche il ruolo di Iveco Defense. Già pienamente operativa nel settore militare, lo è ancora di più dopo un accordo con Leonardo siglato a novembre 2024.

Non sarebbe certo la prima volta che l’industria civile si presta alle esigenze militari. A Bolzano nel 1939 l’allora stabilimento Fiat si convertì alla produzione di autocarri militari. E non è l’unico caso. A ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, i nomi che ritornano sono sempre quelli: Famiglia Agnelli, Volkswagen, Krupp.

Le riconversioni verranno giustificate – è la facile previsione – con il pretesto di impedire la chiusura di stabilimenti e la perdita di posti di lavoro. É la giustificazione che è stata usata, per esempio, a castelfranco Veneto (Treviso) per la riconversione in industria bellica della Faber, che ha cominciato a produrre bossoli e ogive, mentre prima produceva bombole d’ossigeno e a gas.

A questo punto con buona probabilità anche i sindacati confederali collaboreranno alla militarizzazione del lavoro, cosa che stanno già facendo nel caso proprio della Faber, con la Fim Cisl di Treviso che ha sostenuto apertamente il progetto di riconversione bellica, fino al punto di proporre la riconversione ad uso militare anche delle vicine industrie della Berco, azienda del gruppo tedesco dell’acciaio Thyssenkrupp (quest’ultimo attivo anche nel settore bellico), che produce cingolati per trattori e che vuole ridimensionare, con procedure di licenziamento aperte, le sedi produttive italiane di Castelfranco Veneto, Copparo e Bologna. Secondo i giornali locali veneti gli operai di Castelfranco Veneto, in cassa integrazione da molti mesi, sarebbero persino favorevoli, pur di non perdere il posto di lavoro e mettere un pezzo di pane a tavola. Dai cingolati per i trattori a quelli per i carri armati è un attimo. Tra l’altro gli stabilimenti veneti sia della Berco che della Faber nascono dallo scorporo dell’azienda bellica Simmel Difesa e le macchine per produrre armamenti pare si trovino ancora all’interno degli stabilimenti.

Condotte come quelle della Cisl trevigiana non sono casi isolati. Già nel 2021 i responsabili locali della Fiom-Cgil palermitana dichiararono che la costruzione di navi da guerra, motovedette e portaerei nei Cantieri Navali di Fincantieri a Palermo “avrebbe portato ulteriore lavoro, stabilità lavorativa e benefici economici per tutta la città”. Sindacalisti per la guerra.

PiccoliFuochiVagabondi


UDINE: PRESENTAZIONE DELL’OPUSCOLO “O LA GUERRA O LA VITA” CON IL COLLETTIVO SUMUD

Riceviamo e diffondiamo

Domenica 27 aprile ore 11
Spazio autogestito V. De Rubeis 42 (Udine)

LOTTA ALLA GUERRA

Incontro con il collettivo SUMUD e presentazione dell’opuscolo “O la guerra o la vita! Breve dossier sullo stabilimento di LEONARDO spa a Tessera, nel comune di Venezia”

A seguire aperitivo e spuntino benefit

CATANIA: APPELLO PER UNA MOBILITAZIONE UNITARIA CONTRO LEGGI REPRESSIVE E STATO DI GUERRA

Assemblea regionale per una mobilitazione unitaria contro leggi repressive e stato di guerra
6 aprile ore 15.30
Palestra Lupo (Catania)


Di seguito il testo dell’appello:

La repressione nel territorio

La repressione in Sicilia si snoda tra una cinquantina di nodi nevralgici sparsi su tutto il territorio: carceri, CPR, CPA e basi militari. L’isola, ospitando 23 carceri sulle 94 presenti nel territorio italiano e 4 istituti penali per minorenni su 17, detiene il triste primato del maggior numero di detenuti per abitante. Solamente nel 2022 in Sicilia, ci sono stati 5 tentativi di suicidio negli istituti penali per minorenni (su un totale nazionale di 12); nelle carceri, nello stesso anno, sono “state suicidate” dallo stato 11 persone (su 85 totali in Italia); 8 i morti nel 2023. Le carceri siciliane si distinguono per la violenza sistematica utilizzata contro i detenuti, oltre che per l’inumano sovraffollamento. Nel 2025 sono stati imposti dei nuovi divieti che proibiscono l’ingresso di alcune tipologie di abiti e di alimenti.(1)

Questo ha provocato una serie di proteste come battiture e scioperi del carrello che hanno visto picchi di partecipazioni altissimi, soprattutto a Siracusa e Palermo (700 al Cavadonna e 400 al Pagliarelli). Il nostro territorio è in prima linea nella guerra ai migranti ospitando 3 CPR su 8(2), 5 Hotspot su 6(3) e 2 CPA su 9(4). A completare il complesso mosaico repressivo sono le strutture militari segno tangibile della natura coloniale dell’isola, in prima linea nella sempre più vicina guerra “guerreggiata”. Sono presenti nel territorio, oltre ai presidi militari dell’Esercito Italiano anche la Stazione aeronavale dell’esercito statunitense a Sigonella; il MUOS presso la Sughereta di Niscemi(5); l’Aeroporto Militare di Trapani Birgi(6); il Porto di Augusta(7); RADAR a Lampedusa, Noto, Marsala(8)

La corsa al riarmo

L’accelerazione della morsa repressiva dello Stato è ancora più tangibile in questi ultimi mesi. La comunità internazionale assiste complice del genocidio in Palestina, lo Stato Italiano e l’Unione Europea continuano ad appoggiare il criminale governo di Israele e si lanciano in una sfrenata corsa agli armamenti a livello globale. Attraverso ReArm Europe sono previsti 800 miliardi di investimenti per l’ampliamento delle spese belliche a discapito delle spese sociali, trasformando il welfare europeo in un warfare. Oggi l’Italia spende per la difesa 33 miliardi di euro (sono evidenti gli aumenti nell’ultima finanziaria); con il piano
europeo il nostro Paese, entro quattro anni dovrebbe spendere circa 70 miliardi, intorno al 3% del Pil che spingerebbe il disavanzo pubblico dal 3,4% registrato nel 2024 al 5%. Queste risorse andranno drenate da altre voci di spesa (pubblica amministrazione, aiuti allo sviluppo, sostegno della cooperazione e delle fragilità, sanità e istruzione) contribuendo a demolire le ultime tracce di welfare.

Il fronte interno

Il conflitto tra Russia e Ucraina dimostra come sia essenziale la capacità di controllo, la manipolazione delle coscienze, la pacificazione di ogni forma di conflitto interno. Lo strumento strategico ideato dal governo per neutralizzare ogni forma di dissenso è il ddl 1236 (ex ddl 1660), ormai di fatto approvato al Senato che a breve sarà legge dello stato. Include una serie di provvedimenti che colpiscono penalmente ogni forma di lotta; segna una nuova fase nel processo di invisibilizzazione dei migranti e peggiora i luoghi di detenzione amministrativa, trasformandoli in lager fuori dal diritto penale; rende ancora più critica la situazione nelle carceri; criminalizza ulteriormente i salvataggi in mare equiparando navi della guardia Costiera a navi da guerra; favorisce l’aumento delle armi possedute dagli agenti di pubblica sicurezza, creando di fatto attorno a loro uno scudo legale e penale. Il disegno di legge contiene la “norma anti-No ponte” integrato nell’art. 19, un emendamento che introduce aggravanti per tutti gli atti finalizzati all’impedimento della realizzazione di infrastrutture ritenute strategiche tra cui il TAV e il Ponte sullo Stretto. Il Ponte, presentato dal governo come un’opera strategica necessaria alla vita dex sicilianx, è una devastante truffa sociale e ambientale. Andrebbe edificato in un’area ad alto rischio sismico costantemente instabile. Costerebbe più di 14 miliardi di euro, fondi che andrebbero destinati a reti ferroviarie, strade e porti. Fino ad ora è già costato centinaia di migliaia di euro, prelevati dai Fondi di Coesione e Sviluppo di Calabria e Sicilia, originariamente pensati per ridurre divari socio-economici che avrebbero dovuto supportare la micro impresa e finanziare la tutela dell’ambiente, la promozione della cultura, dell’istruzione, della formazione e il miglioramento della salute. Di contro, sono stati il salvadanaio del malaffare siciliano. L’opera determinerebbe un irrimediabile impatto ambientale, modificando irreversibilmente l’ecosistema, distruggendo la bellezza paesaggistica. Andrebbero demoliti interi paesi, con relativo spostamento coatto dei residenti e chiusure delle attività economiche esistenti. Nonostante ci siano, ormai da decenni, possibili alternative alla promozione della mobilità (dal potenziamento dei porti all’apertura di nuovi aeroporti), il governo insiste nel progetto eco-mostro, ai danni della popolazione di Sicilia e Calabria.

STUDENTƏ REPRESSƏ

Secondo il nuovo art 31 del ddl, se studentx o docente dovessero partecipare a un movimento politico o fossero attivistx di una associazione, l’Università dovrebbe comunicarlo su richiesta dei Servizi Segreti. Lo stesso avverrà se un professore insegna in aula argomenti ritenuti “pericolosi” o sovversivi. Purtroppo già è stato eclatante il caso del professor Raimo, sanzionato e sospeso, per aver criticato il ministro Valditara. Il governo vuole limitare le possibilità degli studenti di apprendere di più su temi di attualità, di sviluppare un pensiero critico e soprattutto di esprimere il proprio dissenso e ribellarsi. Per gli studenti, come per tutte le altre soggettività, sarà più difficile manifestare visto il rafforzamento dei controlli e l’aumento del potere garantito alle forze di polizia, ormai legittimate a intervenire sempre. Chi partecipa a manifestazioni non autorizzate, rischia multe che possono variare da 2.000 a 10.000 euro; queste sanzioni sono applicabili alle proteste che vengono giudicate “minacciose” per l’ordine pubblico, anche senza episodi di violenza diretta. Se la manifestazione sfocia in episodi di violenza o danneggiamenti a persone o cose, le pene possono essere la reclusione da 1 a 4 anni. L’intento è di intimorire i giovani, che spesso sono protagonistx di proteste su temi come l’ambiente, l’istruzione, i diritti civili o le strutture scolastiche fatiscenti nelle quali quotidianamente si tengono le lezioni senza alcuna sicurezza. Ciò solleva una domanda cruciale: fino a che punto un governo può limitare il diritto di protestare per garantire “l’ordine pubblico”? Il ddl sicurezza propone una serie di modifiche giuridiche liberticide per punire i soggetti che non abbassano la testa di fronte alle ingiustizie e protestano per chiedere giustizia climatica, contro le “grandi opere” o che si oppongono al PCTO. A Catania, ad esempio, all’istituto tecnico aeronautico Arturo Ferrarin è OBBLIGATORIO partecipare alle attività tenute nella base NATO di Sigonella(9). Chi prende posizione contro le ingiustizie sociali e politiche, rischia di essere privato della propria libertà di espressione e penalizzato.

La Rete No DDL Sicurezza Catania

In continuità con i lavori del ddl al Senato, il Ministro degli Interni, quale segno tangibile della nuova politica di governo, ha promosso anche l’istituzione delle “Zone Rosse”, aree sottoposte a controlli intensificati di pubblica sicurezza, in tantissime città italiane, anticipando i dispositivi e le logiche del ddl. La prefetta di Catania ha subito risposto alla sollecitazione decretandone sei. L’opposizione alle Zone Rosse è stata un tratto fondante della neo costituita Rete No DDL Sicurezza Catania, un soggetto politico eterogeneo, autoconvocato, animato da militanti e attivisti di gruppi organizzati e soggettività autonome, nato lo scorso novembre, attraverso una prassi di organizzazione orizzontale ben definita: le assemblee cittadine pubbliche itineranti sono state unico luogo di discussione e decisione politica; settimanalmente sono state costruite iniziative informative, supportate da volantinaggi e affissioni. Ogni evento ha segnato un momento di riappropriazione temporanea di uno spazio pubblico (piazza, strada, giardino, ville). Sono stati numerosi i momenti di lotta, per allargare la partecipazione alla mobilitazione, non solo in modo quantitativo ma anche qualitativo. I cortei e le azioni dirette, unite ad una massiccia opera di contro informazione che ha coinvolto le strade e le piazze oltre che i canali social, hanno permesso alla mobilitazione di crescere e di porsi nuovi obiettivi come il contrasto del modello Caivano che dovrebbe essere applicato nel centrale quartiere di San Cristoforo; la mobilitazione del fronte cittadino in difesa di produzione, distribuzione e uso della Canapa light; il contrasto di logiche di gentrificazione e turistificazione selvaggia, imposte alla popolazione come unico modello di sviluppo economico possibile, difese attraverso misure di controllo poliziesco e retorica del decoro.

L’appello

Il carattere marcatamente repressivo presente nel ddl 1236, ma anche nel dl “Caivano” della direttiva “Zone Rosse” e persino nelle modifiche al codice della strada tende, non solo, a risolvere ogni questione sociale attraverso misure penali(10), ma sposta il soggetto del diritto: dalla tutela della collettività verso la tutela dell’autorità pubblica scivolando in direzione della legge marziale. Legge emergenziale d’eccellenza, che qui, presuppone l’intento specifico di colpire, anche preventivamente, là dove le lotte si intersecano con il disagio e lo organizzano proponendo soluzioni militanti. Perseguendo un’alleanza con le forze di polizia, protagoniste dell’avvitamento repressivo e destinatarie di robuste politiche di sostegno. Crediamo che un aspetto della lotta, fondamentale per sbaragliare i piani del nemico, sia la solidarietà, bersaglio principe del disegno di legge 1236. In quanto ricorrono nel testo veri e propri tentativi di colpire individui e disarticolare reti sociali, sanzionando chi supporta gli occupanti di edifici pubblici a scopo abitativo, cercando di spezzare la solidarietà all’interno delle carceri tra i detenuti (e con chi sta fuori) e attraverso il neonato “reato di parola”, volto a colpire lo scambio e la diffusione d’informazioni. Per rilanciare la complicità e la solidarietà tra sfruttatx/oppressx, pensiamo sia necessario provare a costruire insieme in Sicilia una mobilitazione unitaria, che possa affinare legami e pratiche, utili a combattere la repressione nel nostro specifico territorio. Vogliamo ribaltare la narrazione di una Sicilia disomogeneamente abitata e vissuta, una terra d’emigrazione, talvolta deserta, arretrata, abbandonata, perfetta unicamente per edificare basi militari e strutture detentive, come cattedrali nel deserto, isolate, mute ed occultate alla vista.

Riteniamo necessario che proprio dalla Sicilia si alzi una voce contraria, forte ed unita per contrastare i progetti repressivi e guerrafondai previsti dallo Stato Italiano per quella che considera una debole colonia periferica e silenziosa. Sappiamo quanto sia necessario che la mobilitazione esondi fuori dai circuiti militanti cittadini. Crediamo non si possa più indugiare. Ci appelliamo pubblicamente a organizzazioni, realtà politiche, individualità che condividono le analisi trattate in questo appello a partecipare alla costruzione di una mobilitazione regionale contro leggi repressive e stato di guerra.

Con il nostro cuore rivolto al genocidio palestinese, forma repressiva più estrema ed
espressione massima di brutalità e annichilimento di una intera popolazione. Stop Genocide! Free Palestine!

No ddl Sicurezza Catania.


1 come salumi, pesce, formaggi (solo se stagionati), farina, lievito, vino e birra.
2 Centri di detenzione per le persone senza permesso di soggiorno, quindi deportabili nei paesi detti
“di origine”.
3 Centri di identificazione e confinamento per coloro che sono appena sbarcatx.
4 Centri Governativi di Prima Accoglienza di trattenimento coatto, per coloro che riescono a
presentare una domanda di protezione internazionale.
5 Mobile User Objective System è un sistema di comunicazioni satellitari (SATCOM) militari ad alta
frequenza(UHF).
6 stazione di rifornimento delle Forze di Mobilità Aerea statunitensi che ospita gli aerei-radar AWACS
e i caccia della NATO.
7 stazione di rifornimento della marina militare italiana e statunitense.
8 avamposti dell’aeronautica militare italiana in cui sono installati dispositivi di ultima generazione,
fabbricati dalla Leonardo SPA, presente con varie dislocazioni sul territorio.
9 pensate per indurre a scegliere un percorso di addestramento militare piuttosto che un percorso di
studi civile, svolte e finanziate dalla Leonardo, azienda leader nella produzione di armi.
10 cd. panpenalismo già ampiamente utilizzato nei cd. Pacchetti di sicurezza degli ultimi 25 anni.

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MODENA: UN’ECONOMIA DI GUERRA?

Diffondiamo:

“Un’economia di guerra?”. Pranzo benefit e discussione insieme ai curatori della rivista libertaria “Collegamenti” (Modena, 23 febbraio 2025)

Un’economia di guerra?

Le guerre non sono incidenti di percorso che spezzano una quotidianità di finta pace sociale, ma fenomeni connaturati al modo di produzione capitalistico, una delle possibili forme di espressione dello scontro tra borghesie nazionali e rispettivi Stati perennemente in competizione e conflitto nella corsa alla valorizzazione delle merci e all’accumulazione di capitale.
Come si ridefiniscono le economie in periodo di guerra, come si riconfigura il rapporto tra capitale e Stato e tra questo e gli schiavi salariati?

Ne parleremo domenica 23 febbraio coi compagni della rivista libertaria “Collegamenti”, a partire dalle 15:30.

Apertura e pranzo benefit dalle ore 12:30. Ligèra, Viale della Pomposa 8, Modena

FORLÌ: IL RUOLO DELLA PSICHIATRIA NELL’OCCUPAZIONE DELLA PALESTINA

Diffondiamo:

FORLì SABATO 22 febbraio 2025 al Circolo arci Asyoli c.so Garibaldi n.280

Ore 17:30 – Presentazione dell’opuscolo “IL RUOLO DELLA PSICHIATRIA NELL’OCCUPAZIONE DELLA PALESTINA” – Autoproduzione Robin Book (Luglio 2024). Leggere criticamente la psichiatria come pilastro del sionismo, smantellare la visione strutturale occidentale della salute mentale e de-patologizzare la Resistenza.

Ne parleremo con il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa.

A seguire Buffet Vegan. Troverai un banchetto di materiale informativo.