LA LOTTA CONTRO IL 41-BIS NON È FINITA

CON DOMENICO PORCELLI IN SCIOPERO DELLA FAME

Domenico Porcelli ha 49 anni ed è della provincia di Bari. Dal 2018 si trova in stato di detenzione, condannato a 26 anni e mezzo di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso con una sentenza ancora non definitiva. Da quattro anni si trova recluso in regime di 41-bis nel carcere di Bancali, nei pressi di Sassari, lo stesso regime e lo stesso carcere dove il compagno anarchico Alfredo Cospito ha portato avanti uno sciopero della fame durato oltre sei mesi contro il 41-bis e l’ergastolo ostativo, e dov’è attualmente detenuto.

Dal 28 febbraio scorso anche Domenico Porcelli ha intrapreso uno sciopero della fame contro la tortura del 41-bis, la sua è una protesta contro il decreto di proroga della misura emesso quest’anno dal Ministro della Giustizia, un provvedimento che lo vede ancora recluso in questo duro regime (la legge prevede la reclusione in 41-bis per 4 anni, rinnovabile e prorogabile per altri 2 anni di volta in volta). Nonostante il lungo sciopero della fame non ci sono state passerelle “dem” a Bancali per Domenico Porcelli, la sua situazione, lontana dai riflettori e inutile ai fini di propaganda e strumentalizzazione politica, come molte altre dietro le sbarre, è rimasta sepolta pressochè nel silenzio.

A luglio il magistrato di sorveglianza di Sassari ha respinto la richiesta – presentata d’ufficio – di differimento della pena per motivi di incompatibilità con il regime carcerario a causa della sua situazione di salute aggravata dallo sciopero della fame. La richiesta è stata respinta nonostante l’Asl di Sassari abbia fornito dettagli specifici riguardanti le condizioni critiche in cui versa.

Ad agosto Domenico attraverso i suoi avvocati ha affermato di voler richiedere il suicidio assistito, ovviamente cosa non possibile poiché in Italia è reato. Questo ricorda quanto fatto nel 2007 da un gruppo di ergastolani ostativi, tra cui Carmelo Musumeci, che chiese di convertire l’ergastolo in pena di morte per bucare il silenzio intorno a questa condizione.

I legali di Domenico hanno presentato un reclamo al Tribunale di Sorveglianza di Roma per chiedere l’annullamento del decreto di proroga del 41-bis. La giurisprudenza prevederebbe che ogni provvedimento di questo tipo contenga una motivazione specifica e autonoma sulla persistenza del pericolo per l’ordine e la sicurezza, senza utilizzo di formule stereotipate che giustifichino automatismi o si basino su giudizi presuntivi. Secondo il reclamo presentato dagli avvocati il decreto impugnato non indica invece alcun elemento preciso in tal senso.

L’udienza si è tenuta venerdì 20 ottobre e sembra sia andata molto male. Il relatore, che era anche presidente, non ha dato possibilità all’avvocata di parlare. Il presidente ha asserito che non si tratta di sciopero della fame, dal momento che ingerisce latte, tisane e the. Come già dimostrato nei mesi scorsi, lo Stato non esita ad ignorare totalmente la salute di un detenuto che non sta ingerendo cibo da mesi per soffocare qualsiasi messa in discussione del regime di 41-bis.

Intanto la situazione di salute fisica, e inevitabilmente anche psichica, di Domenico è sempre più compromessa: già a fine agosto accettava un po’ di latte ma gli venivano somministrate delle flebo perché, con pressione molto bassa, battiti cardiaci lentissimi e 55 kg di peso, non si reggeva in piedi.

L’avvocata Pintus riporta che al momento ha smesso di ingerire anche il latte per bere soltanto acqua, the e tisane, e che i valori sono preoccupanti, ha la pelle disidratata e un piede addormentato con formicolio ormai costante.

Recentemente Domenico ha affermato che se l’udienza del 20 ottobre a Roma riguardo la discussione sulla revoca del 41bis, fosse andata male, avrebbe incominciato anche lo sciopero della sete.

DUE PAROLE SU MAFIA E ANTIMAFIA

Tutti i regimi si sono serviti e si servono della costruzione di un nemico comune per manipolare le persone e ottenere consenso. La repressione e la tortura sono sempre state al servizio e a difesa del potere dominante, mai della giustizia sociale.

Quando il potere politico istituzionalizza la repressione e la tortura, il meccanismo per legittimarli agli occhi dell’opinione pubblica è quello di mostrificare chi la subisce, ed esaltare gli aguzzini che la eseguono.

I pronunciamenti marziali dei tanti politici e campioni della legalità che esortano una guerra santa alla mafia, difendono proprio la stessa democratica barbarie che la necessita e la produce.

Mafia e Stato sono indistricabili, gli interessi che li legano sono profondi e molteplici, sin dal principio. La convinzione binaria che l’antimafia rappresenti la legalità e la giutizia suprema, e che il Bene coincida con lo Stato è parte di una propaganda volta a mistificare la realtà e ad alimentare sfruttamento e oppressione. Ad oggi la mafia è colta, inserita, legata a doppio filo al capitale finanziario, agli interessi legati alle grandi opere, alla gestione del sistema degli appalti ecc. L’epitaffio inciso sulla tomba di Peppino Impastato non a caso recita: “Rivoluzionario e militante comunista – Assassinato dalla mafia democristiana.”

ESTENSIONE AI PRIGIONIERI POLITICI

E infatti dal pretesto della “lotta alla mafia” dal 2002 il regime di 41-bis è stato esteso a prigioniere e prigionieri politici e rivoluzionari e alle associazioni cosiddette eversive, perfezionando così l’armamentario della repressione preventiva.

In questo senso ricordiamo la compagna Diana Blefari che si tolse la vita dopo la permanenza in questo duro regime. Ricordiamo Nadia Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, tutti militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente, che vi resistono da oltre 17 anni.

TORTURA E PENA DI MORTE DEMOCRATICA

Concepito come una vera e propria tomba per vivi, il regime di 41-bis mira a recidere i legami e i contatti con il mondo esterno di chi vi è ristretta/o col proposito di costringerla/o a collaborare con la giustizia. L’isolamento totale e l’annichilimento della personalità che subisce chi vi è internata/o si aggiunge ad una quotidianità carceraria fatta di privazioni, umiliazioni e sofferenze. Un mezzo di pressione pari ai metodi dell’inquisizione, costruito per provocare danni fisici e mentali tramite la tecnica della deprivazione sensoriale allo scopo di indurre al pentimento, estorcere confessioni e dichiarazioni.

Attualmente lo Stato non solo detiene oltre 700 persone in questa tomba per vivi ma sta procedendo all’aumento dei posti disponibili, come al carcere di Uta, nella provincia di Cagliari, dove si sta procedendo nella realizzazione di un nuovo padiglione per detenuti in regime di 41 bis.

UNA LETTERA DEI DETENUTI DI BANCALI
“Vi raccontiamo cosa succede davvero”

A fine settembre dopo la morte in cella di un detenuto di soli 26 anni, i detenuti del carcere di Bancali hanno scritto una lettera:

Raccontano come “non è possibile accedere ai benefici penitenziari come le misure alternative e la liberazione anticipata che, nostro malgrado, viene istituita in condizioni talmente minime che non permettono neanche ad un qualsiasi detenuto con pena in scadenza ormai prossima a pochi mesi, di uscire prima per raggiungere i nostri famigliari. Ciò nonostante la buona condotta, perché la liberazione anticipata, che per ogni semestre è di 45 giorni, non viene istruita dalla stessa area trattamentale. Parimenti si verificano le stesse condizioni su tutti i detenuti, che con i requisiti e i termini di legge raggiunti con buona condotta, ed essendo, in possesso altresì di accettazione e destinazione, nonché di lavoro con contratto e tutto il necessario, non vengono messi in condizioni di accedere al beneficio o alla misura alternativa”. Idem per i detenuti vulnerabili, in condizioni di fragilità psichica o tossicodipendenti, i quali si trovano di fronte al “diniego, in quanto l’Area educativa relaziona detenuti compatibili al carcere.”

“Ci sono persone con disabilità anche gravi, con età superiore ai 75 anni e patologie fisiche e psichiatriche”

Tra i tanti reclusi dentro Bancali con residui di pena di pochissimi anni e addirittura mesi c’è un giovane straniero, raccontano, che da diversi mesi attende la liberazione anticipata “E’ stata più volte sollecitata all’area educativa, ma mai inoltrata all’apposito ufficio di sorveglianza, nonostante il fine pena sia previsto poco prima della fine dell’anno. Tutto ciò è vergognoso e ci sono numerose persone in queste condizioni”.

Nella lettera i detenuti hanno anche messo in luce la condizione ancora più difficile degli stranieri extracomunitari “Queste persone, che escono per permessi premio per buona condotta, devono lavorare come degli schiavi per produrre economia, chissà per chi. Altro che permesso premio, questo si chiama caporalato”.

La morte del giovane di 26 anni non è stata l’unica all’interno del carcere di Bancali, nella lettera i detenuti ricordano un detenuto morto nel settembre 2022 per overdose “Nonostante avesse scontato 7 anni ed era oltre la metà della pena, gli è stata negata la possibilità di accedere ai permessi premio e lo stesso, facendo una riflessione e vedendosi privato di ogni speranza, si è tolto la vita. Come Erik Masala, che, considerata l’età poteva essere il figlio o il fratello di ognuno di noi”.

I detenuti di Bancali hanno organizzato una donazione per sostenere i familiari e le spese del funerale “non doveva più nemmeno essere detenuto a Bancali in quelle condizioni”.

Contro ogni carcere e la tortura del 41 bis, continueremo a lottare!

Testo PDF: Con Domenico Porcelli in sciopero della fame


Link:

Carcere di Bancali (Sassari): Domenico Porcelli in sciopero della fame dal 28 febbraio. 70 indagati per il presidio di solidarietà per Cospito

Al 41 bis e in sciopero della fame da 5 mesi, adesso chiede l’eutanasia

 

https://www.infoaut.org/divise-e-potere/la-lettera-dei-detenuti-dal-carcere-di-bancali-sassari-vi-raccontiamo-cosa-succede-davvero

[È “consuetudine”, non solo a Bancali, che i detenuti scontino pene oltre la detenzione o si vedano precluso l’accesso a misure alternative perché i magistrati di sorveglianza sono in ferie o non ci sono, e non rispondono a nessuna richiesta. Anche l’accesso al lavoro, allo studio o a visite specialistiche è spesso complicato se non impossibile. Tanti detenuti inoltre non vedono mai nessuno, non fanno colloqui con nessuno. Chi ha fragilità psichiche o è gravemente malato viene lasciato senza cure o assistenza. Moltissimi non hanno nessuna disponibilità economica per pagarsi la difesa o una rete per difendere le proprie istanze. Chi ha pene pari o inferiori a tre anni inoltre non può accedere a benefici o a misure alternative a causa delle condizioni ostative.]

https://www.sassarioggi.it/cronaca/morto-in-carcere-bancali-erik-masala-verita-20-settembre-2023/

https://www.reportsardegna24.it/cronaca/3-giugno-presidio-al-carcere-di-uta-no-alla-nuova-sezione-41bis/

ALESSANDRIA: PRESIDIO SOLIDALE SOTTO AL CARCERE

PRESIDIO SOLIDALE AL CARCERE DI ALESSANDRIA – SAN MICHELE
Mercoledì 1 novembre dalle ore 15

L’estensione dei regimi detentivi speciali ai reati contro la libera espressione di pensieri sovversivi, conferma la natura politica della differenziazione penitenziaria. Una prigionia politica che per alcuni rivoluzionari dura da più di 40 anni.

Da qualche settimana il compagno anarchico Gino Vatteroni – accusato di avere violato le prescrizioni della detenzione domiciliare a cui era sottoposto – è rinchiuso nella sezione AS2 del carcere di Alessandria – San Michele. Gino si trovava ai domiciliari perché accusato di aver collaborato alla pubblicazione del giornale anarchico internazionalista Bezmotivny.

PER UN MONDO SENZA GALERE
PER LA LIBERTA’

TORINO: CORTEO CONTRO IL CARCERE

CORTEO SABATO 11 NOVEMBRE
DALLE ORE 15
Angolo via Val della Torre/corso Cincinnato (Torino)


GOVERNARE (DA)I MARGINI:
CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ’ CHE NE HA BISOGNO

Mentre non si riesce più a contare il numero di gente massacrata e la cui vita è in scacco per via di necessità e imperativi di guerra che bussano alle porte di questa Europa apparentemente prossima al collasso sia economico che ecologico; mentre i giornali imperversano in una retorica schiacciante in cui terrorista è nominato colui che lotta, si organizza e risponde – colpo su colpo – alla violenza degli Stati, alla violenza delle colonie e all’ingiustizia strutturale dei sistemi differenziati del capitalismo neo-liberale (ossia la produzione, da parte del capitalismo, di categorie di persone sfruttabili, ricattabili e reprimibili a seconda delle sue necessità); mentre tutto questo succede, il carcere – essenza materiale e simbolica, della dirompenza del sistema di controllo, punizione e messa a valore delle classi oppresse – diventa un nodo centrale contro cui lottare. Non solo per ribadire come il potere si materializzi sulle vite di sfruttati e sfruttabili, ma anche per sottolineare quali alleanze vogliamo ribadire, scoprire e valorizzare nel nostro bisogno di organizzarci contro un’esistenza invivibile e inaccettabile.

Il momento storico in cui ci troviamo a vivere ci impone la necessità di ampliare lo sguardo sul fenomeno carcerario, legandolo non solo a un dispositivo fisico repressivo, ma capendo come la diluizione del sistema carcere al di fuoridelle patrie galere coinvolga inevitabilmente i diversi strati sociali e informi il tessuto sociale tutto. Il governo Meloni e le sue politiche, marcatamente classiste, razziste e securitarie, mostra una continuità a ritmo sostenuto, in rapporto con gli esecutivi precedenti nel creare supposti “soggetti criminali” e nemici da cui difenderci. La tendenza è quella giustizialista che continua a materializzarsi nell’uso della decretazione d’urgenza, sia riguardo al fenomeno della cosiddetta “devianza giovanile” sia a quello della migrazione. Decreti che hanno il medesimo obiettivo politico: privazione della libertà personale e di movimento. Un vero e proprio strapotere penale, e carcerario, quello che si sta sviluppando oltre il perimetro dell’istituzione totale per eccellenza, dove a farne le spese sarà la parte più sfruttabile e ricattabile del tessuto sociale.

Il mito collettivo, secondo cui la prigione protegge (da cosa esattamente?) e quindi sia un male necessario, non è altro che un mito utilizzato per giustificare, quando ancora ce ne sia bisogno, l’istituzione carcere in sé, luogo ove confinare la miseria e soffocare la protesta contro l’ordine stabilito e creare cittadini obbedienti. E questo mito è di sovente ancorato all’idea, quasi religiosa, del “chi ha peccato deve pagare”. Ma invece è ovvio che le carceri, essendo per essenza strutture coercitive, non possono che avere come unico scopo la disciplina e la sicurezza. Questo controllo sociale totalizzante viene esercitato al di là delle mura del carcere, attraverso la paura che esso incute, ma anche per mezzo delle cosiddette pene alternative, ovvero ulteriori strumenti per aumentare la carcerazione diffusa. La prigione è il luogo di punizione per eccellenza, in cui la società capitalista neoliberale rinchiude coloro che dichiara dannosi, per contenere qualsiasi slancio di rivolta sociale e mantenere così al suo interno valori morali basati sulla disuguaglianza, sullo sfruttamento, sul rispetto dell’autorità e sulla sottomissione alla violenza dello Stato.

Le rivolte, gli scioperi della fame, le lotte dei reclusi che caratterizzano la quotidianità delle carceri, sono l’evidenza di una rabbia irriformabile. Una rabbia relegata, dagli organi governamentali, a una totale silenziazione delle sue rivendicazioni, in cui si vuole privare di significato qualsiasi atto di protesta con la conseguente invisibillazione delle condizioni detentive.

Le parole del ministro della Giustizia Nordio, in visita al carcere Lorusso e Cotugno, lo scorso mese in risposta alla morte di due detenute, non fanno altro che speculare sull’accaduto e portare avanti i calcoli politici di governo, di fronte all’evidenza strutturale che il carcere uccide. Lo scopo delle istituzioni penitenziarie è dunque chiaro: controllare, monitorare, punire, uccidere, poiché la necropolitica è parte integrante della logica carceraria.

Essa si basa sul fare della violenza-tortura-morte uno strumento di controllo e deterrenza per gli internati, verso il mondo dei liberi e in particolare verso quegli strati del tessuto sociale che, in diverse forme, escono dagli schemi costruiti attorno ad essi. Grazie allo sciopero della fame di 181 giorni portato avanti da Alfredo Cospito e alla mobilitazione contro il 41bis e l’ergastolo ostativo al suo fianco, è oggi forse maggiormente noto come lo stato utilizzi la tortura, annientando psico-fisicamente le persone detenute nelle carceri per estorcere informazioni, richiedere il pentimento o la dissociazione. Questi sono i meccanismi brutali di cui si avvalgono le istituzioni per il re-inquadramento di massa della società tutta.

Quando il sistema carcerario esplica la sua funzione violenta e mortifera, l’opinione pubblica tende a polarizzarsi in due correnti non dualistiche tra di loro: da una parte si consolida l’approccio giustizialista, dove si criminalizza e si condanna alla responsabilità individuale dell’espiazione della colpa, discorso accettato da un ampia fetta della società. Dall’altra, invece, il paradigma garantista, abbandonate le proprie velleità di assicurazione dello stato di diritto – come il principio di proporzionalità e funzione rieducativa della pena – si riduce alla mera richiesta di più controllo e sorveglianza negli istituti penitenziari, tramite l’assunzione massiccia di guardie, militari e personale sanitario. Nello specifico i sindacati di polizia avanzano rivendicazioni bastate sulla richiesta di più organico con l’obbiettivo di aumentare la loro capacità di coercizione e violenza nei confronti dex detenutx,soprattutto dex rivoltosx.

Entrambi gli approcci danno voce quindi ad un unicum securitario. Un discorso che nel suo complesso va smascherato. La violenza statale si perpetua nell’ordine carcerario anche attraverso il sovraffollamento, la mancanza di cure sanitarie e i pestaggi della polizia. Pensare di riformare le carceri non è un’orizzonte politico desiderabile perché non può esserci una vera emancipazione senza la distruzione totale dei luoghi di reclusione e della società che li necessita.

CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ CHE NE HA BISOGNO
Rendiamo tangibile la solidarietà a chi resiste e lotta contro la violenza quotidiana della detenzione, attraversando le strade di Vallette per arrivare fino alle mura del carcere Lorusso Cotugno.

ARRESTATO STECCO

 

Il 20 ottobre è stato arrestato a Bordighera il compagno anarchico Luca Dolce, detto Stecco, nel contesto di un’operazione del Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza (NOCS) della polizia derivata da un’indagine della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, che ha coordinato le DIGOS di Trento, Trieste, Treviso, Genova e Brescia. Il compagno è stato tradotto prima nel carcere di Imperia, poi in quello di Sanremo. Contestualmente, sono state perquisite le case di alcuni compagni a Rovereto. La perquisizione era stata disposta il 16 ottobre a carico di Stecco, per i processi “No name” e “Diana”: gli sbirri hanno sequestrato dispositivi informatici e telefoni ed inoltre si sono presentati a casa della madre e della sorella di Stecco, a Trieste.

Il compagno – irreperibile alle forze dell’ordine dal 2021 – era ricercato per via di un cumulo di condanne definitive a 3 anni e 6 mesi e per un mandato di cattura derivato dalla cosiddetta “operazione senza nome” del 25 febbraio 2022 (per cui sono già stati condannati due compagni e una compagna, tra cui Juan Sorroche, attualmente recluso a Terni). In quest’ultimo procedimento Stecco è accusato di avere favorito la latitanza di Juan con l’uso di documenti falsi. Il compagno, arrestato nel 2019 per l’operazione Renata, aveva già avuto nel successivo processo una condanna a 2 anni sempre per fabbricazione di documenti falsi. Inoltre, ha ricevuto in appello una condanna a 3 anni e 8 mesi nell’ambito del processo sulla manifestazione “Abbattere le frontiere”, tenutasi al valico del Brennero il 7 maggio 2016, e per cui non vi è ancora un pronunciamento definitivo sulla sessantina di compagni e compagne imputati.

Da parte nostra, non possiamo che solidarizzare con chi si rende irreperibile o si sottrae all’infame giustizia borghese.

Con rabbia e con amore
Stecco libero


Per scrivere a Stecco:

Luca Dolce
c/o Casa circondariale Sanremo
Strada Armea 144
18038 Sanremo

FUORI ALFREDO DAL 41-BIS! FUORI TUTTX DAL 41-BIS!

La Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e gli organi centrali di polizia, nell’udienza di ieri davanti al tribunale di sorveglianza di Roma hanno chiesto la revoca del 41 bis per Alfredo Cospito. Il tribunale si è riservato di decidere.

Link: https://www.osservatoriorepressione.info/la-direzione-nazionale-antimafia-antiterrorismo-chiede-la-revoca-del-41-bis-alfredo-cospito/

AGGIORNAMENTI SU NASCI, COMPAGNO PRIGIONIERO NEL CARCERE DI TRENTO

Diffondiamo da Il Rovescio:

Qualche notizia in più sul nostro amico Nasci e sulle vicende che hanno portato alla sua carcerazione a Spini di Gardolo.

Nasci è stato arrestato dalla DIGOS la mattina dello scorso martedì 10 ottobre per un cumulo di un anno e due mesi di condanne per tre diversi episodi: l’occupazione, nel febbraio 2017, del Municipio di Mori (un paese di circa 10.000 anime vicino a Rovereto), nel corso di una partecipata e vivace mobilitazione contro un progetto – purtroppo poi realizzato – di devastazione ambientale; una scritta vergata su un muro di Firenze nell’agosto di quell’anno, durante un’iniziativa in solidarietà agli arrestati e arrestate dell’Operazione Panico; i fatti del 9 febbraio 2018 a Trento, quando compagni e compagne contestarono con modalità creative (tra le quali dei seri danni al negozio di abbigliamento di un fascista accoltellatore) la consueta kermesse di Casapound in occasione della “Giornata delle Foibe”.

Determinante, nello spedire in galera il nostro compagno, è stato il rifiuto di ogni misura alternativa al carcere (che normalmente avrebbe dovuto ottenere, dato che il cumulo di condanne rientrava nei termini di legge) da parte del Tribunale di Sorveglianza di Trento, opportunamente istruito dall’UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) che ha preteso e non ottenuto da Nasci la cosiddetta “revisione” delle sue idee e scelte di vita. Ancora una volta, dopo l’Operazione Renata e i casi di Poza e Rupert (e quello di Sasha, tuttora in detenzione domiciliare solo perché madre di una bambina piccola): o l’abiura, o la galera.

Dalla visita del suo avvocato sappiamo che Nasci sta bene. Uscito dai “nuovi giunti”, si trova adesso in sezione, in cella con un ragazzo giovane e tranquillo.
Ha sentito il partecipato e rumoroso presidio tenuto sotto al carcere nella serata di martedì 10 ottobre. Sa dell’ampia solidarietà che sta ricevendo (non solo da compagni in senso stretto) e ne è molto felice. Ha ricevuto regolarmente i telegrammi che gli sono stati spediti.

Solidarietà, complicità e affetto a Nasci!
Libertà per tutti e tutte!

Per scrivere al compagno:

Matteo Nascimben

CC di Spini di Gardolo

Via Cesare Beccaria, 13
38121 Località Produttiva, Trento (TN)

CARCERE DI TRAPANI: DETENUTI OCCUPANO UN PIANO DELLA SEZIONE

“Protesta di un gruppo di detenuti della casa circondariale Pietro Cerulli di Trapani”

Dai media apprendiamo di una sollevazione la sera del 12 ottobre al carcere di Trapani: un gruppo di detenuti della Sezione Tirreno (dove sono reclusi i detenuti rivoltosi o ritenuti “aggressivi”) avrebbero occupato un intero piano della sezione per diverse ore.

https://www.lasicilia.it/cronaca/rivolta-nel-carcere-di-trapani-una-ventina-di-detenuti-asserragliati-per-ore-1920900/

CUNEO: TORTURE SUI DETENUTI

Quando qualcuno assimila il carcere al manicomio non lo fa per esercizio di retorica: se a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 il Dottor Coda torturava i “malati” applicando elettrodi alle tempie, procurando infinite scariche e insopportabile dolore – un  “trattamento” praticato di fronte a tutti, perché tutti vedessero cosa li aspettava se… – nel 2023 nelle carceri i detenuti vengono pestati e torturati allo stesso modo, a Cuneo, anche con l’ausilio del taser.

https://www.osservatoriorepressione.info/torture-carcere-cuneo-indagati-23-agenti-penitenziari

https://www.lastampa.it/cronaca/2023/10/12/news/lispettore_aguzzino_le_torture_nel_carcere_di_cuneo_dietro_il_blitz_cera_il_capo_degli_agenti-13778215/