Qualche giorno fa, un ragazzo di 27 anni si è impiccato nella sua cella del carcere di Prato. Si tratta del 60esimo suicidio in carcere dall’inizio dell’anno.
Categoria: Carcere
BOLOGNA: MEZZ’ORA D’ARIA [RADIO]
Diffondiamo:
Domani sabato 20 luglio alle 17:30 su Mezz’ora d’aria, sulle frequenze di Radio Citta Fujiko (FM 103.1), una nuova puntata per rompere l’isolamento del carcere, raccontare e ascoltare le lotte dei e delle prigioniere, e cercare di sostenerle da fuori.
Uno spazio a disposizione delle persone private della libertà, e di chi gli è accanto : potere scrivere per fare dediche, proporre canzoni, comunicare quello che succede dentro.
Per scrivere a Mezz’ora d’aria: Mezz’ora d’aria, presso radio città Fujiko,
Via Zanardi 369, 40131, Bologna
E-mail: mezzoradiliberta@autistici.org
https://www.autistici.org/mezzoradaria/
Dopo questa puntata, si riprenderà a fine settembre/inizio ottobre.
TRIESTE: MORTO UN DETENUTO
Apprendiamo della morte di un detenuto nel carcere Ernesto Mari di Trieste, dove qualche giorno fa è scoppiata una rivolta: le persone recluse hanno protestato contro le scarsissime condizioni igieniche e sanitarie della struttura, il caldo insopportabile e il sovraffollamento. Quattro detenuti sono poi stati portati in ospedale, di cui uno con un’intossicazione dovuta al fumo dei lacrimogeni.
Pochi giorni fa, un detenuto è stato trovato morto nella sua cella. I media mainstream parlano di un’ “overdose di metadone” a seguito del saccheggio dell’infermeria durante la protesta: come per le rivolte che infiammarono le carceri di tutta Italia nel 2020 durante la pandemia di COVID-19, assistiamo al solito teatrino volto ad imputare ai detenuti stessi la causa della loro morte, e finalizzato a deresponsabilizzare guardie e dirigenti, perché al carcere è evidentemente riconosciuto il diritto di uccidere!
Sempre al fianco di chi lotta
IN CARCERE NON SI MUORE, SI VIENE UCCISI!
ACCANIMENTO SU UN DETENUTO NEL CENTRO CLINICO DI MILANO OPERA
Riceviamo e diffondiamo la testimonianza di una persona familiare di un detenuto, Gerardo Schettino, tra il 2018 e il 2023 in regime di 41 bis nella galera dell’Aquila, rimasto PARALIZZATO nel 2021 dopo la somministrazione del vaccino Astrazeneca, da dicembre 2023 declassificato ma tuttora rinchiuso e sottoposto ad accanimento nel famigerato “centro clinico” del carcere di Milano opera.
DIAMOCI DA FARE PER DARE VISIBILITÀ A QUESTA SITUAZIONE! LA MALASANITÀ IN CARCERE È TORTURA!
Assemblea permanente
contro il carcere e la repressione
del Friuli e di Trieste
liberetutti@autistiche.org
Associazione “Senza sbarre”
c.p.129, 34121 Trieste
GENOVA: PRESIDIO SOLIDALE AL CARCERE FEMMINILE DI PONTEDECIMO
Sabato 1 giugno 2024
ore 10.30
Torniamo a far sentire la nostra solidarieta attraverso le voci, le parole, la musica e tutte le emozioni che riusciamo a lanciare oltre quelle mura. E che ci tornano sempre amplificate dalla forza, dal coraggio e dall’umanità delle persone recluse.
Torniamo per ricambiare la solidarietà con cui le detenute hanno accolto le compagne recentemente arrestate, per ringraziarle della cura e del calore con cui le hanno fattivamente sostenute nei giorni di carcerazione. Il carcere è un luogo di restrizione perché questa società basata sullo sfruttamento e sull’oppressione incatena chi si arrangia per tirare a campare, chi non rispetta le regole del profitto e della proprietà privata, chi si ribella e lotta.
Ma è anche un luogo in cui le condizioni che si vivono portano a sentire nel profondo ogni ingiustizia che viene esercitata ai danni di qualcuna/o. Si conosce sulla propria pelle il valore della solidarietà e la necessità della lotta contro i soprusi della legge del più forte.
CONTRO TUTTE LE GALERE E OGNI FORMA DI RECLUSIONE
LIBERTÀ PER TUTTE E TUTTI
prexon@anche.no
TORINO: ALLA REPRESSIONE SI RISPONDE CON LA LOTTA [CORTEO 2 GIUGNO]
Dall’assemblea torinese contro il carcere e il 41 bis alcune riflessioni a seguito dell’operazione city, per rilanciare il corteo del 2 giugno:
Il corteo del 2 giugno prossimo è una prima risposta all’operazione repressiva denominata “City” che ha colpito alcunx compagnx in merito ai fatti del 4 marzo 2023 a Torino. Pochi giorni prima di quella data, una sentenza di Cassazione che aveva stabilito la permanenza in 41bis del nostro compagno Alfredo Cospito pareva sancire la sua condanna a morte, dopo sei mesi di sciopero della fame. In quella giornata le strade della città sono state percorse dalla nostra rabbia e dalla nostra determinazione.
L’operazione della procura di Torino aspira in modo evidente a estendere il reato di devastazione e saccheggio a tutte le persone presenti, con l’implicito “Se eri lì, sei complice!”. L’intenzione è ovviamente quella di dividere e scoraggiare la partecipazione a future iniziative di piazza che prevedano di mettere in campo quelle pratiche conflittuali che da sempre sono patrimonio del movimento, nel tentativo di annullare i momenti in cui rabbia, lotta e istanze sociali si mischiano e rafforzano reciprocamente. Del resto, è risaputo che la repressione agisce anche cercando di spezzare i legami solidali tra le diverse sensibilità, con la chiara volontà di disincentivare la partecipazione e isolare per meglio colpire. Rendere inoffensivi gli attivisti, scoraggiare gli indecisi, criminalizzare idee e pratiche di scontro con lo Stato e il Capitale: ecco la ricetta per disinnescare il potenziale conflitto sociale in un momento in cui le contraddizioni generate – crisi, guerre e devastazione ambientale – pongono il sistema in una palese condizione di precarietà.
Cucendo l’abito del nemico pubblico addosso a chi si oppone con determinazione e criminalizzando chi non tace, anche con questa azione repressiva si tenta di evitare la contaminazione tra le varie modalità e istanze di lotta. Se infatti tra le cause dell’estendersi delle condizioni di oppressione c’è anche la nostra attuale incapacità di mettere in campo rapporti di forza favorevoli, è vitale per l’apparato poliziesco e repressivo inasprire l’attacco generalizzato alle classi approfittando delle loro separazioni e antagonismi, al fine del mantenimento dell’attuale sistema di sfruttamento e disciplinamento totale.
L’intenzione di questa chiamata per una piazza nazionale a Torino proprio il giorno della “Festa della Repubblica” è quella di rilanciare un momento di strada che materializzi il senso del corteo di un anno fa, e della repressione che lo ha seguito, nel contesto dove quello si è dato e questa si sta dando. Vogliamo inquadrarlo nella complessità di una società stretta nella morsa di una retorica bellica che, mentre normalizza un genocidio algoritmico mandandolo in mondovisione, produce un discorso martellante sul nemico interno identificato non solo in chi lotta, disobbedisce e diserta, ma anche in coloro che abitano le oppressioni strutturali del capitalismo odierno, dove la detenzione amministrativa e penale si inserisce come tassello disciplinante diventando l’unico orizzonte di chi non può, o non vuole, sottostare a imposizioni sempre più stringenti.
Il sistema punitivo statale italiano vede la sua massima espressione nel regime di 41bis e nell’ergastolo ostativo, ma la macchina repressiva e detentiva si articola in forme molteplici, più o meno subdole, con l’identico fine persecutorio; e anche recentemente si è visto come ad esempio i CPR si pongano alla confluenza di molte tipologie di oppressione: usati come monito per i liberi, minaccia nei contesti lavorativi e ricatto in quelli di lotta, questi luoghi di invisibilizzazione per eccellenza ci mostrano continuamente quante forme possa assumere la brutalità dello Stato. Quando questa viene sconfitta non lo si deve certo ai commissariamenti della magistratura o alle preghiere riformiste (a volte avanzate perfino da chi quei luoghi li ha istituiti), bensì, sempre, alla rivolta e al fuoco dei ribelli.
Con questo spirito siamo scesi più volte in strada, e lo abbiamo fatto anche il 4 marzo.
E se quelle giornate sono riuscite a rompere il muro del silenzio riguardo a un circuito di tortura “bianca” in Italia e a mettere in evidenza come e quanto i tribunali applichino la vendetta dello Stato contro i suoi nemici interni, al di là di ogni fantasticheria sul diritto, lo sappiamo, la partita è ancora aperta. Non solo perché questo regime carcerario di tortura si sta palesando come strumento nelle mani della DNAA (Direzione Nazionale Antimafia-Antiterrorismo) come modello di repressione a monito di tutti i rivoltosi, ma anche perché questo regime è un dispositivo di guerra, e sarà ancora molto utile, contro il nemico interno, in questi tempi di guerra.
Negli ultimi due anni la guerra guerreggiata è alle porte. Dalle periferie del mondo occidentale, è dilagata avvicinandosi sempre di più alla fortezza Europa. Il controllo sui territori diventa serrato, militari e sbirri pattugliano ogni angolo, chi vive e attraversa i quartieri interessati da questa incessante militarizzazione rischia quotidianamente di finire dentro una galera o un CPR.
Ma quando inizia la guerra? Chi decide quando questa comincia? Inizia veramente, nel caso europeo, fuori dai confini dell’Unione? O è la stessa organizzazione sociale, anche in tempi che vengono descritti come tempi di pace, a incarnarla, alternando momenti più o meno feroci? L’Italia e l’UE si trovano di fatto in guerra. Da un lato sostengono il settore militare israeliano, come dimostrano i dati relativi all’invio di armi e munizioni verso Israele dell’ultimo trimestre del 2023, per un valore pari a 2,1 milioni di euro. Dall’altro, fin dai primi giorni del genocidio in Palestina, l’Italia ha trasformato la stazione aeronavale di Sigonella in Sicilia in una base di appoggio per gli aerei spia e per quelli che trasportano armi, e ha trasferito diverse unità navali nel mare di fronte a Gaza. Inoltre, dal 5 marzo 2024 ha ufficialmente preso parte alla missione “Aspides” nel Mar Rosso, a difesa del commercio internazionale, contro i ribelli Houthi e le azioni di sabotaggio da loro messe in campo contro le navi israeliane a sostegno della
resistenza a Gaza.
I media nostrani hanno invece costruito l’idea di questo possibile inizio, questo emergere della prossimità bellica, datandolo all’azione russa del febbraio 2022 e il suo allargamento a partire dalla responsabilità di Hamas (e indirettamente dell’Iran) del 7 ottobre 2023. Questa visione non è solo faziosa e non si limita a scaricare la responsabilità bellica sulla controparte, retorica più che scontata da parte di ogni Stato, ma soprattutto è inaccettabile perché mette in campo l’idea che tutto si giochi sul piano geopolitico. Se invece dobbiamo ravvisare un periodo in cui alcune istanze della società-guerra si sono violentemente palesate e possono essere considerate gli antefatti di questo ultimo biennio, dovremmo tornare agli attentati parigini del 13 novembre 2015 che hanno portato in Francia, e in tutta l’Europa occidentale, un susseguirsi di normative sull’ordine pubblico che hanno segnato un punto di svolta della militarizzazione interna e
delle politiche di controllo sociale. Ci pare evidente che non esiste un’anormalità da una lato, la guerra come eccezione, e una normalità, la politica, dall’altro. Non è facile capire cosa sia realmente la guerra oggi, visto il proliferare nel nuovo millennio di nomenclature come “guerra ibrida”, “guerra infinita”, “guerra mondiale a pezzi”, ma quello che possiamo affermare con certezza è che siamo entrati in un periodo in cui si è ben oltre la militarizzazione degli spazi pubblici, fisici o simbolici che siano. L’economia di guerra e il richiamo alle esigenze di arruolamento paventati senza mezzi termini dai governanti, il potenziamento del riarmo industriale, la stretta su qualunque tipo di opposizione, la censura attraverso i mezzi di comunicazione tradizionali e social, evidenziano il processo di mobilitazione delle società verso la guerra che gli stati europei hanno innescato come ormai unico mezzo per dirimere il ginepraio delle politiche neoliberali, la corsa all’accaparramento delle risorse naturali e la gestione degli esseri umani considerati come mera eccedenza, anche all’interno del territorio UE.
Se questo è quanto sta succedendo in Europa, quello che sta succedendo nell’altrove guerreggiato ci parla di centinaia di migliaia di morti, di persone mandate al macello sull’altare del profitto e dell’accaparramento. La guerra là è più feroce, senza limiti, ma ha gli stessi scopi di quella non guerreggiata qua. La guerra asimmetrica che lo stato di Israele sta conducendo dal 7 ottobre contro Gaza ne è summa ed esempio: la migliore democrazia in tempi bellici, un modello per gli altri stati. In un connubio fra high tech e sterminio, rimozione della memoria e costruzione di una sempre nuova narrazione della storia, laboratorio a cielo aperto di meccanismi sociali. Lo stato di Israele rappresenta sicuramente la migliore risposta alle necessità di una società in guerra.
Ma proprio partendo dal modello perfetto di Israele e dalla resistenza palestinese possiamo iniziare a pensare che questo sistema possa essere
disarticolato. Israele per continuare a mantenersi in vita ha bisogno di spietate complicità e collaborazioni che attraversano il capitale in ogni sua
forma: i luoghi di lavoro, della cultura e della formazione. Le atrocità che stanno avvenendo a Gaza sono possibili grazie al contesto geopolitico strutturato dall’Occidente fin dall’avvento degli stati-nazione: secoli di colonialismo di insediamento, accordi e collaborazioni occidentali che hanno permesso il massacro di chi in quei territori ha sempre vissuto. Un esempio per tutti sono le università, che rappresentano uno strumento di normalizzazione, legittimazione e complicità rispetto al genocidio in corso a Gaza, oltre che del colonialismo di insediamento e della pulizia etnica perpetrata da Israele ai danni del popolo palestinese da più di 75 anni. Attraverso accordi e partnership, vengono sviluppate tecnologie belliche e securocratiche che prima vengono testate sulla pelle del popolo palestinese e poi riversate nel mercato globale, per essere usate contro il nemico interno ed esterno. Attraverso accordi e collaborazioni con l’università, aziende belliche come Leonardo, Thales-Alenia o Elbit, si stanno espandendo, generando nuovo profitto garantito dall’utilizzo di infrastrutture pubbliche e conoscenze del mondo universitario: ostacolare il loro ingresso e la loro normalizzazione contrattuale significa evidentemente opporsi alla militarizzazione sempre più pervasiva della nostra società e può proporsi come una delle modalità effettive di resistenza alla guerra totale che questo sistema genera e alimenta.
Ma per mettere in atto questa resistenza, e perché sia possibile condurla ancora a lungo, per affrontare la lotta contro la generale oppressione di classe e razza, di cui la repressione rappresenta un aspetto, dobbiamo costruire la solidarietà più larga e duratura possibile intorno a chi viene colpito.
Le forme di ribellione e lotta che si danno dentro le prigioni a cielo aperto e in quelle chiuse delle mura sono una testimonianza importante che non solo disvela le efferatezze dello Stato e la brutalità della sua violenza, ma rilancia il coraggio di chi, stretto nella morsa più asfissiante e totalizzante del potere coercitivo, ricorda ai liberi il coraggio della rivolta.
Per la creazione di complicità tra chi viene colpito dalla violenza di Stato e Capitale. Per rivendicare la presenza auto-organizzata in strada. Per ribadire che la risposta alla repressione è continuare la lotta!
MILANO: RIVOLTE E PROTESTE AL CARCERE DI SAN VITTORE
Domenica sera verso le 23 da dentro il carcere di San Vittore si sono uditi forti rumori, e grida che si sono protratte per tempo. Una cella sembra essere andata a fuoco. Quattro mezzi dei vigili del fuoco sono entrati dentro le mura del carcere insieme ad ambulanze e auto medica.
Un gruppo di solidali si è ritrovato sotto le mura per esprimere solidarietà alla rabbia dei detenuti!
SEMPRE CONTRO OGNI GALERA! NE VOGLIAMO SOLO MACERIE!
BOLOGNA: MEZZ’ORA D’ARIA [RADIO]
Diffondiamo:
Di seguito la puntata di Mezz’ora d’aria, trasmissione per un mondo libero da tutte le gabbie sulle frequenze di Radio Citta Fujiko (FM 103.1), andata in onda sabato 11 maggio alle 17:30. Si tratta della prima di una serie di puntate per rompere l’isolamento del carcere e cercare di superare le mura che ci dividono tra dentro e fuori. Uno spazio a disposizione delle persone private della libertà, e di chi gli è accanto.
Per scrivere a Mezz’ora d’aria:
Via Zanardi 369, 40131, Bologna
E-mail: mezzoradiliberta@autistici.org
PRESIDI ALLE CARCERI IN SARDEGNA DAL 12 MAGGIO AL 7 LUGLIO
AGGIORNAMENTI SULLE INDAGINI IN CORSO A BOLOGNA A SEGUITO DELLA MOBILITAZIONE IN SOLIDARIETA’ AD ALFREDO COSPITO, CONTRO IL 41BIS E L’ERGASTOLO OSTATIVO
Nei giorni scorsi abbiamo appreso che per 3 compagne/i sono state disposte delle misure cautelari – obbligo di firma per due compagne/i, obbligo di dimora, firme e rientro notturno per una compagna -nell’ambito delle indagini per 270 bis, condotte dalla procura di Bologna e inerenti la mobilitazione in solidarietà ad Alfredo, contro il 41 bis ed ergastolo ostativo.
Ricordiamo che lo scorso novembre erano state perquisite 19 persone tra Bologna e il Trentino e per tutte era stato successivamente richiesto il prelievo del DNA. All’epoca delle perquisizioni, per 11 persone l’ipotesi di reato era di associazione con finalità di eversione dell’ordine democratico, e vari fatti specifici ovvero: il tentato danneggiamento di alcuni mezzi della MARR, l’incendio di alcuni ripetitori, l’interruzione di una messa, l’occupazione di una gru e il blocco di una via con dei cassonetti incendiati (qualificato come art. 280).
Altre 8 persone tra i/le perquisiti/e risultano indagati/e unicamente per la partecipazione al presidio solidale svoltosi in occasione dell’occupazione di una gru nel centro di Bologna. La richiesta di misure cautelari, depositata dal PM Gustapane l’11 gennaio, prevedeva domiciliari per 4 compagne/i individuati come promotori dell’associazione e responsabili a vario titolo dell’occupazione della gru, dell’interruzione della messa e dell’incendio dei ripetitori. Per altri 11 veniva invece richiesto l’obbligo di dimora e di firma con rientro notturno per favoreggiamento nell’occupazione della gru.
Possiamo dire che tale impianto accusatorio viene ampiamente ridimensionato dalla GIP: ritenuta non sussistente l’ipotesi associativa e le aggravanti di terrorismo contestate per i fatti specifici, le misure trovano fondamento solo nei fatti specifici imputati ai 3 compagni: “attentato ad impianti di pubblica utilità” (art. 420 c.p.) per il danneggiamento dei ripetitori e “danneggiamento in occasione di manifestazioni pubbliche” (art. 365 c4 c.p.) relativamente alla rete che sarebbe stata tagliata in occasione dell’occupazione della gru. Per il momento tra i vari indizi a carico nessuno ha a che vedere con i prelievi del DNA, effettuati in gran parte dopo la richiesta di misure di gennaio. Tuttavia le indagini sono ancora aperte. Rispetto ad un passato non troppo lontano è evidente che la procura abbia richiesto misure atte a non creare troppo scalpore e che la GIP si sia spesa addirittura in considerazioni di merito, ridimensionando ulteriormente quanto richiesto dal PM sia rispetto ai reati contestati che alle misure cautelari disposte. Probabilmente i buchi nell’acqua su ipotesi associative, collezionati da diverse procure d’Italia negli ultimi anni, hanno portato ad una rimodulazione delle strategie repressive.
Come già avvenuto in passato, un effetto immediato di questo tipo di approccio è quello di fare poco rumore, mitigando il moto solidale che negli ultimi anni ha invece accompagnato le operazioni e i conseguenti arresti di compagni/e. Crediamo che se questa strategia inizia a diventare la norma, come sembra indicare anche l’Operazione City per cui numerosi compagni/e sono sottoposti/e a varie misure cautelari, diventa altrettanto necessario dal canto nostro trovare nuovi modi per mantenere alta l’attenzione e non lasciare indietro nessunx.
Ogni azione a sostegno della campagna in solidarietà ad Alfredo contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo, in Italia e nel resto del mondo, ci ha scaldato il cuore. Quel 4 marzo a Torino c’eravamo tuttx.
Oggi la tortura del 41bis è ancora realtà per Alfredo e centinaia di detenuti, la tortura rimane quotidianità nelle carceri nostrane. La guerra che ci avvolge e coinvolge sempre di più, nonché il massacro del popolo palestinese appartengono allo stesso orizzonte di un mondo dominato da Stati e Padroni.
Ora come allora, sta a noi invertire questa rotta e non lasciare indietro nessunx è il primo passo per ricordare al nemico che la ferita e il conflitto sono ancora aperti.
PER UN MONDO SENZA GUERRA NE’ GALERE! SEMPRE A FIANCO DI CHI LOTTA! TUTTX LIBERX!
Anarchiche e anarchici