DIFFONDI LA SOLIDARIETÀ CONTRO IL 41-bis!

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DIFFONDI LA SOLIDARIETÀ NO41-BIS!!

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APPELLO PER UNA MOBILITAZIONE INTERNAZIONALE: NON PERMETTIAMO L’ASSASSINIO DI ALFREDO

NON PERMETTIAMO L’ASSASSINIO DI ALFREDO COSPITO IN SCIOPERO DELLA FAME DAL 20 OTTOBRE
APPELLO PER UNA MOBILITAZIONE INTERNAZIONALE

Lo scorso 20 ottobre l’anarchico Alfredo Cospito, nel corso di un’udienza presso il tribunale di sorveglianza di Sassari, ha tentato di leggere un’articolata dichiarazione nella quale annuncia di essere entrato in sciopero della fame contro il regime detentivo di 41 bis a cui è sottoposto e contro l’ergastolo ostativo. Una battaglia che Alfredo non intende interrompere, fino al proprio decesso. Il compagno, che si trova in 41 bis dallo scorso 5 maggio con un decreto firmato dall’allora ministra della giustizia Marta Cartabia, è attualmente detenuto nel carcere di Bancali, in Sardegna.
Alfredo Cospito è un anarchico da sempre in prima linea nelle lotte, mai disposto a compromessi o ad arrendersi. È un compagno che ha lottato dalla fine degli anni Ottanta, periodo nel quale venne incarcerato come obiettore totale (per il rifiuto di svolgere il servizio militare obbligatorio) e che, dopo l’arresto avvenuto nel 2012, nel corso del processo che ne è seguito, ha rivendicato il ferimento del dirigente di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, realizzato dal Nucleo Olga / Federazione Anarchica Informale – Fronte Rivoluzionario Internazionale e avvenuto il 7 maggio dello stesso anno a Genova.
Alfredo è sempre stato attivo nella difesa dei compagni colpiti dalla repressione, in ogni angolo del mondo. La sua lotta oggettivamente riguarda tutti i detenuti, fra i quali ricordiamo particolarmente i tre militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente rinchiusi da oltre 17 anni in 41 bis (Nadia Lioce, Roberto Morandi. Marco Mezzasalma). Nel 2009 la compagna Diana Blefari, della stessa organizzazione, si tolse la vita, dopo la permanenza in questo duro regime carcerario.

Alfredo si trova in carcere ininterrottamente da dieci anni, trascorsi nelle sezioni di Alta Sicurezza fino al trasferimento in 41 bis. Nel 2016 è stato coinvolto nell’operazione Scripta Manent, accusato di associazione sovversiva con finalità di terrorismo e di molteplici attacchi esplosivi. A seguito della sentenza di Cassazione del luglio di quest’anno, è stata riformulata la condanna per lo stesso Alfredo e per Anna Beniamino in “strage politica”, la cui unica pena prevista è l’ergastolo. Lo Stato italiano che ha sempre protetto gli stragisti fascisti ora vuole condannare per strage due anarchici per un attacco che non ha provocato né vittime né feriti.

Alfredo da anni contribuisce con articoli, progetti editoriali e proposte al dibattito anarchico internazionale. Per questo motivo è stato più volte sottoposto a censura e divieto di comunicazione con l’esterno, venendo condannato per la pubblicazione del foglio anarchico rivoluzionario“KNO3” e dell’ultima edizione di “Croce Nera Anarchica” e attualmente indagato per la pubblicazione del giornale anarchico “Vetriolo”. Dopo questi provvedimenti, nel mese di maggio ad Alfredo è stato applicato il 41 bis e successivamente trasferito dal carcere di Terni a quello di Bancali, a Sassari. In questo modo gli viene impedito ogni contatto con l’esterno.

Il 41 bis serve per isolare completamente il detenuto dall’esterno. La misura viene disposta per quattro anni, ma di fatto l’unico modo per uscirne è quello di pentirsi e collaborare con le forze repressive. In altre parole, il 41 bis è tortura, in quanto ideato per indurre sofferenza allo scopo di estorcere confessioni o dichiarazioni.
Questo regime carcerario comporta un’ora di visita al mese con il vetro divisorio, sotto sorveglianza elettronica e con la registrazione audio e video. Solo se i familiari non hanno la possibilità di recarsi al colloquio, in alternativa alla visita in carcere è prevista la possibilità di una telefonata mensile di 10 minuti, ma per effettuarla il familiare del detenuto deve recarsi presso una caserma dei carabinieri o all’interno di un carcere. Inoltre è prevista una sola ora d’aria e una sola ora di socialità interna alla sezione, che avvengono in gruppi composti da un minimo di due a un massimo di quattro detenuti: la divisione in gruppi viene decisa direttamente dagli uffici dei burocrati a Roma e dura alcuni mesi.

Il 41 bis è un regime carcerario di annientamento, in quanto studiato per provocare danni fisici e mentali tramite la tecnica della deprivazione sensoriale; si tratta di una condanna alla morte politica e sociale, volta a recidere ogni forma di contatto con l’esterno. Il trattamento riservato ad Alfredo ci ricorda le parole attribuite a Benito Mussolini su Gramsci: bisogna impedire a questo cervello di funzionare per vent’anni.

Esemplificativo del buco nero nel quale si finisce una volta entrati in 41 bis è proprio quanto accaduto il 20 ottobre durante l’udienza presso il tribunale di sorveglianza di Sassari. In questa udienza è stato impedito ai solidali di entrare in aula, il compagno si trovava collegato in videoconferenza dal carcere come previsto dalle regole del 41 bis e quando ha tentato di leggere la propria dichiarazione gli è stata tolta la voce schiacciando un bottone. La dichiarazione è secretata dai giudici, se gli avvocati la diffondessero rischierebbero una pesante condanna penale.

La vicenda del compagno Alfredo Cospito si intreccia con un clima repressivo sempre più cupo nel Paese. Fuori dal movimento anarchico, assistiamo a una repressione sempre più opprimente anche contro gli operai, gli studenti, i movimenti sociali. Citiamo il caso più eclatante: questa estate la procura di Piacenza ha aperto un’inchiesta contro dei sindacalisti accusandoli di “estorsione” perché chiedevano, con una lotta “radicale” (picchetti e blocchi stradali), degli aumenti salariali al padrone.

Vogliamo che si comprenda anche all’estero che la china repressiva che sta prendendo lo Stato italiano riguarda tutti in prima persona, dato che un precedente di queste dimensioni nel cuore dell’Europa potrebbe essere foriero di ulteriori balzi repressivi anche ad altre latitudini. Tutto ciò sta accadendo mentre la crisi sociale e la crisi militare internazionale peggiorano di giorno in giorno. Sappiamo che questi sono i contesti ideali per mettere in atto svolte autoritarie da parte dei governi. Abbiamo poche settimane per salvare la vita di Alfredo Cospito, per evitare il suo assassinio, ma soprattutto per dare un segnale di contrattacco a quanto sta succedendo. Riteniamo lo Stato responsabile della vita e della salute del compagno. Mobilitiamoci in tutto il mondo, facciamo pressione sullo Stato italiano affinché Alfredo possa uscire dal 41 bis.

compagni e compagne
25 ottobre 2022

ROMA: OCCUPATA LA SEDE ITALIANA DI AMNESTY INTERNATIONAL IN SOLIDARIETÀ CON ALFREDO

Roma: occupata sede italiana di Amnesty International in solidarietà con Alfredo Cospito in sciopero della fame contro il 41 bis.

Oggi 25/10/2022 abbiamo occupato la sede italiana di Amnesty International a Roma, in solidarietà con il prigioniero anarchico Alfredo Cospito da sei giorni in sciopero della fame nel carcere di Sassari contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo. Il 41 bis è una forma di annientamento del prigioniero, per la prima volta utilizzato contro il movimento anarchico. Alfredo viene trasferito in 41 bis, dopo oltre dieci anni di prigionia in Alta Sicurezza, con l’obbiettivo dichiarato di tappargli la bocca, di silenziare il suo contributo al dibattito rivoluzionario.
Denunciamo quanto accaduto durante l’udienza del 20 ottobre presso il tribunale di sorveglianza di Sassari, come esemplificazione della brutalità della Caienna del 41 bis: durante l’udienza, che il giudice ha imposto a porte chiuse e con il compagno collegato in videoconferenza, Alfredo ha tentato di leggere una articolata memoria difensiva attraverso la quale esporre le ragioni dell’inizio della sua lotta. Il giudice ha interrotto il compagno, impedendogli di concludere il suo intervento nell’unica – e forse ultima – occasione di comunicare col resto del mondo da quanto è stato trasferito in 41 bis, semplicemente togliendo l’audio. Il suo contributo è stato secretato come tutto ciò che proviene dal buco nero del 41 bis. Se gli avvocati decidessero di divulgarlo, potrebbero andare incontro a conseguenze penali.
Una decisione senza precedenti che indica chiaramente come lo Stato abbia paura delle idee anarchiche e delle pratiche che queste idee ispirano. Tutto questo è inaccettabile. Vogliamo leggere immediatamente le parole del nostro compagno!
Alle associazioni umanitarie come quella contro la quale si rivolge l’iniziativa di questa mattina non abbiamo niente da chiedere: sappiamo che le loro doglianze a corrente alternata vanno a denunciare solo le malefatte di qualche regime esotico, preferibilmente avversario dell’imperialismo occidentale. Non vi stiamo chiedendo di dire qualcosa in proposito… volevamo solo sputarvi in faccia la vostra falsa coscienza!

Chiudere il 41 bis! Rompere il silenzio!
Solidali con Alfredo in sciopero della fame!


ALFREDO COSPITO: ANARCHICHE E ANARCHICI OCCUPANO LA SEDE ROMANA DI AMNESTY INTERNATIONAL

41BIS: ALFREDO COSPITO IN SCIOPERO DELLA FAME

Oggi, 20 ottobre 2022, presso il tribunale di sorveglianza di Sassari, nel corso di una udienza riguardante il sequestro della corrispondenza, il compagno anarchico Alfredo Cospito ha dichiarato l’inizio di uno sciopero della fame contro il regime detentivo di 41 bis in cui è stato trasferito il 5 maggio. Il compagno, che ha fatto una dichiarazione, non era presente in aula ma collegato in videoconferenza dal carcere di Bancali. Seguiranno aggiornamenti. Morte allo Stato, viva l’anarchia.

RIFLESSIONI IN VISTA DELLA MANIFESTAZIONE DEL 29 OTTOBRE A SASSARI

Diffondiamo:

Contro il carcere e la società che lo rende necessario.

Il 5 maggio 2022 il compagno anarchico Alfredo Cospito è stato trasferito nel carcere di Bancali in Sardegna e rinchiuso nel regime di 41 bis. Il 6 luglio la Cassazione ha condannato nel processo “Scripta manent” Anna, Alfredo e Nicola per il reato di associazione sovversiva con finalità di terrorismo (articolo 270-bis c.p.). Inoltre, la Corte ha accolto la richiesta di riqualificare l’accusa verso Alfredo e Anna, dal reato di strage semplice al reato di strage politica (articolo 285 c.p.) – che prevede come pena l’ergastolo – in relazione ad un attentato esplosivo alla scuola allievi carabinieri di Fossano che ha provocato danni materiali alla struttura, senza conseguenze lesive.

Sempre a luglio Juan Sorroche, un altro compagno anarchico, è stato condannato in primo grado a 28 anni di reclusione per il reato di attentato con finalità di terrorismo (articolo 280 c.p.) per due ordigni, di cui uno inesploso, che danneggiarono il portone della sede della Lega Nord di Villorba (TV) nell’estate 2018.

Queste sentenze segnano un punto di svolta importante nella repressione da parte dello Stato italiano, non solo nei confronti del movimento anarchico, ma più in generale verso chiunque provi a lottare e a ribellarsi. Non è un caso che questo inasprirsi delle condanne e delle condizioni detentive per i prigionieri anarchici e le prigioniere anarchiche arrivi in un periodo di forte repressione che colpisce tutte le soggettività e gruppi che incrinano la pacificazione sociale perseguita dallo Stato.

Nello stato di emergenza perenne che ormai è diventato normalità, qualsiasi protesta verso le imposizioni dello Stato è marchiata come minaccia verso la società intera; se poi dalla protesta si passa all’azione concreta, l’accusa verso chi agisce deve essere esemplare. Ne sono un esempio i diversi tentativi di contestazione di reati associativi susseguitisi negli ultimi anni, ad esempio contro la lotta NO TAV, contro la presenza militare in Sardegna e più di recente contro i sindacati di base impegnati nella lotta dei lavoratori nel settore della logistica.

L’inasprirsi delle pene è rivolto verso tutte quelle azioni che mettono in crisi la pacificazione funzionale a Stato e capitale. Basti pensare alla riesumazione del reato di devastazione e saccheggio (che prevede fino a 15 anni di reclusione) nell’ambito di cortei, a carico degli ultras e dei reclusi/e in carceri o CPR. Oppure pensiamo all’aggravamento della pena prevista per il reato di “blocco stradale” (pratica da sempre appartenente ai più svariati ambiti di lotta) che oggi prevede sino a 12 anni di reclusione.

Sotto attacco non ci sono solo le azioni, ma anche le idee. Diversi, ad esempio, sono i musicisti che di recente si sono trovati accusati di istigazione a delinquere e vilipendio, semplicemente per il contenuto dei loro testi inneggianti all’ostilità contro le forze dell’ordine, i militari o le autorità più in generale. In ambito anarchico invece, sempre più spesso, il reato di istigazione a delinquere viene affiancato dall’aggravante di terrorismo ed utilizzato per costruire ipotesi associative. Si pensi alle pubblicazioni messe sotto accusa per aver sostenuto la necessità della violenza rivoluzionaria e per aver dato voce al contributo alla lotta che Alfredo non ha mai smesso di portare, anche da dietro le sbarre delle sezioni di alta sicurezza. Proprio per questo motivo si è visto trasferire a maggio 2022 in 41-bis a Bancali, regime che prevede il blocco pressoché totale della corrispondenza.

Evidentemente le idee di Alfredo sono scomode perché, coerentemente all’azione che nel 2012 lo ha portato in carcere – la gambizzazione dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare – spiegano con semplicità lo slancio etico che sta dietro all’agire. Questa azione riconosce chiaramente come dietro allo sfruttamento della terra e dei popoli, non ci sono solo dei nomi di multinazionali o di società per azioni ma uomini e donne che ogni giorno prendono decisioni che rendono l’esistenza sempre più invivibile alla maggior parte della popolazione mondiale.

In una società neoliberale come quella in cui viviamo è sempre più evidente che le condizioni di salute e benessere sono garantite a una ristretta fascia di popolazione, mentre per la restante parte lo sfruttamento lavorativo, l’insicurezza abitativa e relazionale, il malessere fisico e psicologico sono la quotidianità. In questo contesto il carcere si configura come un “ghetto sociale” in cui vengono rinchiuse le persone che per scelta, o semplicemente per necessità, si trovano a non rispettare le leggi dello Stato e che non posseggono le risorse economiche per pagarsi una difesa né tanto meno la copertura delle istituzioni concessa a chi ricopre posizioni di potere.

É interessante notare come più della metà delle persone recluse abbia una condanna per reati legati alla legge sugli stupefacenti o contro la proprietà (furto, rapina), che il 15% dei carcerati sia classificato come tossicodipendente e che oltre il 30% non abbia la cittadinanza italiana. La funzione riabilitativa del carcere rimane una dichiarazione della propaganda di Stato per rendere più accettabile una situazione che di riabilitativo non ha nulla. Come può essere riabilitativo un luogo dove si vive in 3 metri quadrati di cella, dove l’assistenza medica è garantita solo quando si tratta di psicofarmaci, dove si muore per mancanza di cure adeguate e per suicidio (67 i suicidi da inizio 2022)?

Se dentro come fuori dalle carceri le condizioni degli oppressi e delle oppresse sono sempre peggiori, è chiaro come per lo Stato diventi fondamentale recidere ogni potenziale legame di solidarietà. Lo vediamo nel nostro quotidiano dove, da anni, qualsiasi dimensione collettiva o comunitaria viene continuamente posta sotto attacco. Dalla precarietà e dal ricatto che caratterizzano ogni condizione lavorativa, passando al massivo ricorso della tecnologia per mediare ogni forma di comunicazione e scambio, alla soppressione pressoché totale di spazi fisici di aggregazione che non rispondono alla logica del profitto, sino alla puntuale costruzione di “nemici pubblici” contro cui, ci vien detto, ogni strumento repressivo è lecito.

L’emarginazione dell’individuo passa dunque anche dal carcere, strumento per eccellenza finalizzato ad annichilire l’individuo attraverso l’isolamento dalla sua comunità di riferimento (che sia quella affettiva, politica o altra). Al suo interno, nel corso degli anni, sono nati circuiti pensati per determinati reati, come quelli di Alta Sicurezza (AS), e il regime di carcere duro del 41bis. Quest’ultimo è stato istituito sulla scia della cosiddetta lotta alla mafia e sull’onda emotiva della strage di Capaci. Il clima di paura e il mostro da annientare sono stati la cornice che ha reso questo strumento socialmente accettabile. Isolamento totale per anni, discrezionalità totale e possibilità di rinnovare continuamente questo stato detentivo, limitazione nel tenere beni personali (come la foto di un proprio caro) in cella, divieto di
ricevere libri dall’esterno, censura della posta e così via. Queste sono solo alcune delle condizioni imposte per legge ai prigionieri e alle prigioniere in 41 bis, ma ad esse si aggiungono quelle “discrezionali”: schermatura delle finestre con pannelli di plexiglas, sezioni poste sotto terra come quella del carcere di Bancali, primi due anni in totale isolamento. L’obiettivo del regime è duplice: da un lato indurre il prigioniero a denunciare altre persone, a “collaborare” per riguadagnare un po’ di vivibilità purché si getti nelle segrete medievali qualcun altro. Dall’altro, isolare in modo totale l’individuo, spezzare ogni legame sociale sia dentro che fuori le mura, renderlo disumano e annientarlo.

Come sempre, l’applicazione di nuovi e più gravosi strumenti repressivi riguarda inizialmente chi già rientra nella classificazione di “nemico pubblico” e poi, una volta passati nell’assetto legislativo e nell’immaginario sociale, viene estesa anche ad altri. E così il 41 bis è stato esteso nel 2005 ai prigionieri/e politici delle BR-PCC Morandi, Mezzasalma, Lioce e Blefari, quest’ultima uccisa proprio dalle pesanti condizioni di questo regime. Ora, come dimostra il caso di Alfredo, tocca agli anarchici. E domani chissà.

Un altro tassello dell’annientamento del singolo e della sua possibilità di essere parte di una comunità umana è l’ergastolo ostativo, strumento con cui lo Stato condanna l’individuo a un fine pena mai, senza se e senza ma. Tra i tanti ergastolani, ricordiamo Mario Trudu, morto di carcere in Sardegna dopo una vita rinchiusa tra le sbarre. A chi è sottoposto all’ergastolo ostativo sono negati tutti i benefici, in nome di una valutazione sulla “pericolosità” del soggetto basata sul rifiuto di collaborare con lo Stato, su legami veri o presunti con la criminalità organizzata o con la lotta politica, o sulla mancata partecipazione all’opera “rieducativa”. L’isolamento, tuttavia, si configura anche quando non vengono applicati strumenti particolarmente afflittivi di cui abbiamo parlato; ci riferiamo ad esempio all’utilizzo di strumenti punitivi interni al carcere, quali l’applicazione del regime 14 bis, o le svariate condizioni di isolamento de facto.

L’ultimo tassello che vogliamo aggiungere è quello della distanza fisica. La scelta attuata con il piano carceri del 2009 di costruire le 4 nuove strutture detentive in Sardegna (Bancali, Uta, Massama, Nuchis), così come di trasferirvi numerosi prigionieri nelle sezioni speciali provenienti prevalentemente dal Sud Italia e infine il trasferimento di Alfredo, si inscrivono nel processo di atomizzazione di cui stiamo parlando. L’isolamento dei detenuti diventa ancora più ampio perché di mezzo c’è il mare che allunga le distanze con la propria comunità.

La storia della Sardegna, oltre a essere storia di conquista e colonizzazione, è anche storia di carcerazione. L’introduzione del carcere avviene nel XVIII secolo con l’avvio della cosiddetta modernità, la sua affermazione passa attraverso la definizione del banditismo come piaga sociale ed endemica della Sardegna.
Con il Regno d’Italia la Sardegna diviene il luogo in cui chiudere “gli irregolari”, cioè tutti coloro che non accettano le leggi del nuovo Stato o che, ridotti in miseria, cercano fuori dalla legge spazi di sopravvivenza.
Ancora, con la ristrutturazione del sistema penitenziario degli anni ‘70 del Novecento, essa diventa il luogo di detenzione e tortura prima per i detenuti accusati di reati di mafia poi per i prigionieri politici e ribelli. Con l’istituzione delle “carceri speciali”, ben due delle prime cinque strutture individuate a tal fine si trovano sull’isola.

D’altronde l’espandersi e l’evolversi del sistema carcerario sardo è da sempre legato a doppio filo con i momenti chiave della sua colonizzazione da parte dello Stato.
Si pensi alla strenua opposizione contro l’esportazione della proprietà privata da parte dei sabaudi nei primi dell’800, al susseguirsi degli scioperi dei minatori nei primi del Novecento, passando alle lotte contro l’imposizione delle industrie petrolchimiche nel secolo scorso, oppure contro le servitù militari.

L’ultima pagina di questa politica è stata, come già accennato, il Piano Carceri del 2009 che oltre ad aumentare notevolmente la capacità detentiva dell’isola, per la prima volta ha predisposto la costruzione di un carcere appositamente progettato per l’applicazione del 41 bis: Bancali.
In totale ad oggi ci sono 10 strutture detentive di cui 5 carceri speciali; 3 differenti 41 bis sparsi nel territorio e un quarto in costruzione.

Perché abbiamo sentito la necessità di scrivere tutto questo in vista della manifestazione di fine ottobre in solidarietà ad Alfredo e tutti i prigionieri e le prigioniere? Perché pensiamo che oggi più che mai sia necessario inserire la lotta contro il carcere all’interno della nuova cornice politica e sociale nella quale stiamo vivendo. Un mondo dove il controllo è sempre più pervasivo e dove l’isolamento del prigioniero è speculare all’isolamento di ogni individuo. Gli strumenti messi in campo sono molteplici, ma l’obiettivo sembra comune: distruggere la dimensione comunitaria dell’individuo, annichilire ogni possibilità di deviazione rispetto
all’ordine costituito.

A chi quell’ordine costituito ha messo in discussione nelle parole e nei fatti va tutta la nostra solidarietà. Con chi lotta con ogni mezzo necessario contro la disumanizzazione dell’individuo saremo al fianco.

Per Anna, Alfredo, Juan e tutte le prigioniere e i prigionieri che lottano saremo in strada il 29 Ottobre e oltre.

Fuori Alfredo dal 41 bis! Chiudere il 41 bis! Liberi tutti, libere tutte!

SASSARI: CORTEO IN SOLIDARIETÀ AD ALFREDO, CONTRO IL 41 BIS E TUTTE LE GALERE

Dal 5 maggio Alfredo Cospito è detenuto in 41 bis nel carcere di Bancali. Ancora una volta la Sardegna, da sempre colonia di Stato, diventa il luogo di detenzione e tortura per gli indesiderati. Sui nostri compagni anarchici Alfredo, Anna, Juan gravano richieste per oltre 20 anni di carcere. Un monito per tutte e tutti coloro che non hanno mai smesso di credere nella pratica dell’azione diretta e della solidarietà rivoluzionaria. L’attacco contro di loro è un attacco a tutti coloro che non vogliono e non possono arrendersi ad un sistema basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sull’arricchimento di pochi a discapito di molti, sulla distruzione dell’individuo, dei legami comunitari e del pianeta. Questa è la società che il carcere, la tortura legale del 41bis e dell’ergastolo ostativo vorrebbero a tutti i costi preservare. Questo il sistema contro cui lottare.

FUORI ALFREDO DAL 41-BIS! CHIUDERE IL 41-BIS! LIBERE TUTTE, LIBERI TUTTI!

SASSARI, SABATO 29 OTTOBRE, P.ZZA EMICICLO H. 16

MESSINA: SALUTO AI DETENUTI DEL CARCERE DI GAZZI

Riceviamo e diffondiamo con un po’ di ritardo

Veniamo tuttx addestratx, con una violenza tanto piu’ feroce quanto piu’ difficile da riconoscere, a sopravvivere sempre piu’ (de)privatx di legami solidali, isolatx da contesti e relazioni la cui intensita’ potrebbe far vacillare la dipendenza degli individui dallo stato e dal mercato: vietato battere sentieri alternativi, vietato cercare – lottando e arraggiandosi – un’altra maniera di vivere. Veniamo da due anni nei quali e’ stato possibile, per chiunque non sia accecato dalla propaganda stregonesca dei padroni, vedere di cosa sia capace il Potere pur di rinsaldare le redini del proprio
dominio proprio nel momento in cui il suo impianto vacilla su tutti i fronti rischiando di portare il pianeta e gli umani alla catastrofe. Le armi di cui dispone si sono affinate sopra e contro i nostri corpi lungo il corso dei secoli: se oggi ad una rivolta nelle carceri si risponde ripristinando la pena
di morte, come avvenuto nel carcere di Modena e altri istituti detentivi durante il primo lockdown, quando 15 persone sono state brutalmente massacrate dalla polizia, o chiedendo l’introduzione del taser come strumento nelle mani dei secondini per impedire sul nascere ogni ribellione, come avvenuto a Noto qualche settimana fa, ieri si sono messe sul rogo le streghe, si sono poste le basi della ricchezza occidentale sulle macchie di sangue del colonialismo e dello sterminio, si sono soppressi i saperi meno funzionali alla logica della valorizzazione capitalistica, per spianare la strada a un ordine sociale patriarcale e gerarchico: il regno delle merci e dei signori degli eserciti. Per quanto potenti siano i mezzi di cui dispone, la storia delle persone che cercano con ogni mezzo necessario di autodeterminare la propria esistenza, e’ ricca di resistenze, rivolte, battaglie di difesa e di attacco illuminate dall’ardore dei propri cuori – incapaci di adeguarsi alla pressione sociale che imporrebbe di sopprimerne il battito ogni volta che ascoltarlo significa invece mettere in discussione la morale dominante che pretende di regolare (servendosi ieri dei preti, oggi degli psichiatri e dei giudici) i rapporti affettivi, sessuali, proprietari e di cura vigenti tra gli individui. Se dal profilo tracciato da forze dell’ordine ed “esperti” risulta che io sia “pericolosx socialmente”, posso vedermi applicata una misura disciplinare come la sorveglianza speciale pur in totale assenza di prove di reato: il pericolo, il crimine che li contiene tutti, per lo stato e’ cio’ che sono. E questo vale per le individualita’ anarchiche, cosi’ come per chi ha la sola colpa di non avere documenti, di aver varcato una frontiera. Galere e cpr sono il volto piu’ vero e piu’ rimosso dell’ordine sociale in cui viviamo. Chi, come Alfredo, Anna, Juan, ha dedicato la sua vita a mettere negli ingranaggi dell oppressione quanta piu’ sabbia possibile, paga oggi un prezzo altissimo: 28 anni di condanna e l’accusa di attentato con finalita’ di terrorismo per un ordigno alla sede della lega (azione che non ha fatto alcun ferito, nel paese di piazza fontana, portella della ginestra, stazione di bologna), la richiesta di ergastolo per azioni dello stesso tenore, il 41 bis per chi si e’ rivendicato le pratiche rivoluzionarie, tra cui la gambizzazione del manager dell’ansaldo nucleare, dimostrano il pugno di ferro che lo stato e’ disposto ad usare; ma anche, a saperla vedere, la paura che i potenti hanno di un incontro tra la rabbia che cova nel petto di moltissime persone comuni e la minoranza che agisce coscientemente mossa da un desiderio di sovvertimento radicale. Il recente processo ai militanti del SI cobas in seguito alle lotte nel settore della logistica e’ il segno visibile che la posta in palio e’ per tutte e tutti il restringimento degli spazi di agibilita’ esistenziale.
Il 41 bis e’ un regime detentivo che merita un’attenzione particolare – e alla cui soppressione generalizzata dovremo orientare molte delle nostre forze. Si tratta di una vera e propria tortura, di una dichiarazione di guerra rivolta verso il nemico interno. Applicato inizialmente con l’intento proclamato di stroncare e assestare il colpo di grazia alle organizzazioni mafiose, e’ stato via via esteso a reati di terrorismo – provando sempre piu’ ad integrare in questa categoria le forme non spettacolari di conflitto sociale. Noi che abbiamo conosciuto, nei nostri territori, la mafia come garante della riproduzione di rapporti sociali e codici di produzione di forme di coscienza totalmente funzionali alla logica del capitale; noi che sappiamo quantx compagnx siano statx repressx e uccisx per avere occupato le terre dei latifondisti insieme ai contadini, diciamo col cuore in gola che questa menzogna della lotta alla mafia da parte dello stato non ce la beviamo.  Ci battiamo insieme contro la mafia, contro il carcere e il 41 bis, contro lo stato e tutte le sue gabbie.
Si accorgeranno, provando a seppellirla in carcere, che la rivolta e’ un seme che non smettera’ mai di germogliare.

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