BOLOGNA: DELMASTRO IN VISITA AL CARCERE DELLA DOZZA

Lunedì 31 luglio il carcere della Dozza di Bologna è stato visitato dal sottosegretario alla giustizia Delmastro, accompagnato dal deputato Galeazzo Bignami, dal senatore Marco Lisei e dal consigliere comunale Stefano Cavedagna, tutti di Fratelli di Italia.(1)

Fedelissimo della Meloni, al pari dei suoi colleghi Delmastro vanta una carriera di tutto rispetto: dal Fronte della gioventù del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale,  passando per Azione giovani di Alleanza Nazionale, il Popolo della libertà, ed infine Fratelli di Italia. Di recente lo ricordiamo come primo firmatario di un’interpellanza parlamentare al Ministero della giustizia per chiedere l’encomio solenne per i poliziotti coinvolti nei pestaggi a Santa Maria Capua Vetere, oltre che per il teatrino politico sulla pelle del compagno anarchico Alfredo Cospito.(2)

Ebbene proprio costui parlando del problema del sovraffollamento alla Dozza – circa 800 detenuti, a fronte di una capienza di 500 – ha affermato:

“Quando l’Europa parla di sovraffollamento penitenziario, la ricetta della sinistra è un bello svuota-carceri. E questa non sarà mai la ricetta della destra [..] Dobbiamo mettere in sicurezza i nostri istituti e lo si può fare solo assumendo penitenziaria e immaginando una nuova edilizia penitenziaria per contrastare il sovraffollamento”.

Tradotto: più carceri, più polizia. E in tema di “ricette” si sa, “destra” e “sinistra” si sanno alternare come due facce della stessa spregevole medaglia: a ben vedere è stata proprio la Cartabia ad approvare i finanziamenti verso la costruzione di nuovi padiglioni detentivi, la stessa che ha firmato il Decreto che ha disposto il regime di 41-bis per il compagno Alfredo Cospito.(3)

Ciò che è certo è che da una parte e dall’altra, chi continua a blaterare di “sovraffollamento” come se fosse un accidente naturale, è lo stesso che le galere le ha riempite fino a farle scoppiare, e su questa strada intende procedere.

Con i fondi del PNRR e del Piano Nazionale Complementare al PNRR saranno costruiti altri 8 nuovi padiglioni detentivi nelle città di Ferrara (dove verrà costruito un nuovo padiglione sull’area attualmente destinata ad attività all’aria aperta), Civitavecchia, Arghillà (Calabria), Rovigo (dove si parla di 240 posti ma il dato non è chiaro), Caserta (a S. Maria Capua Vetere è previsto un nuovo padiglione di 120 posti), Vigevano, Viterbo (120 posti) e Perugia.(4)

Per dare il contentino alla penitenziaria Delmastro ha annunciato anche l’arrivo alla Dozza di 10 nuovi agenti, un incremento che si inserisce nel piano del governo che prevede l’ingresso di 5 mila nuovi agenti negli istituti penitenziari, come soluzione per affrontare il sovraffollamento… col manganello.

A ciò si aggiunge l’acquisto di nuove dotazioni:

“10.200 scudi anti sommossa, 10.200 caschi, tute operative, divise, 20mila guanti antitaglio, perché mai più un agente dovrà affrontare a mani nude un detenuto con un pentolino di acqua bollente”

D’altronde, cosa possono contro un pentolino d’acqua bollente una pistola mitragliatrice Beretta M12, una Pistola Beretta 92 FS/SB, un fucile Benelli M4, una pistola mitragliatrice Heckler & Koch MP5 A5, un fucile Spas Franchi 12/70  un fucile Heckler & Koch G3-PSG1?(5)

Certo tutto in nome della “legalità” e della “sicurezza”. Non abbiamo alcun dubbio su quale sia la legalità di cui parla il sottosegretario: la stessa legalità nel nome della quale gli agenti umiliavano e torturavano i detenuti a Santa Maria Caputa Vetere e per cui sono morti 9 detenuti nel carcere di Modena a marzo 2020, la sicurezza della caserma Levante a Piacenza e delle torture in questura a Verona, per cui quotidianamente si consumano abusi e torture nelle celle di carceri, nei repartini psichiatrici e nei CPR.

Delmastro sottolinea quanto sia centrale il benessere psicofisico degli agenti (i reclusi e le recluse possono crepare) – tant’è che negli ultimi mesi è stato istituito il “corpo medici della polizia penitenziaria” – e quanto sia importante la formazione “affinche le guardie siano preparate ad affrontare circostanze critiche, sempre più frequenti vista la presenza massiccia di detenuti psichiatrici e con dipendenze.”

Ancora una volta di fronte la criminalizzazione di intere fasce di popolazione la soluzione non è depenalizzare, non è documenti, non è case, non è amnistia, non è accesso alla salute, non è stracciare la legge che continua a rappresentare il principale motivo di ingresso nel sistema giudiziario e di detenzione nelle carceri italiane (DPR n.309/1990, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), ma più carceri e più polizia.

Ricordiamo alcuni dati: “circa il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, ed oltre il 40% di chi finisce in cella in Italia fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione. Questo è accaduto grazie a leggi razziste, discriminatorie e liberticide come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini. Politiche repressive il cui bersaglio non è mai stato il grande narcotraffico – un giro miliardario che allo Stato e alle sue mafie fa evidentemente comodo così – ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di sostentamento, reti sociali o non è spendibile in termini di profitto.”(6)

Infine, citando le micidiali ondate di calore di giugno e luglio, Delmastro dice:

“Le ondate di calore accadono, ma non possono e non devono mettere in crisi le regole carcerarie. Dobbiamo fare il possibile per rendere la pena meno inumana e meno degradante possibile, ma non penserò mai che con le ondate di calore vadano immaginate regole carcerarie diverse”. Confermando di fatto come la pena SIA GIA’ inumana e degradante.

Mentre i reclusi ammassati crepano di caldo, e tecnici e politici blaterano di “eventi critici” in aumento da contenere e sedare, alla Dozza, dopo la ristrutturazione dell’Articolazione Tutela Salute Mentale femminile (repartino psichiatrico) con l’istituzione di un “asilo nido” proprio accanto (7), non sappiamo che tipo di ristrutturazioni si stanno svolgendo al suo interno e a che punto è il progetto del nuovo padiglione che prevederebbe addirittura di estendere il carcere a 200 posti in più.(8)

PIÙ FORTE DELL’AMORE PER LA LIBERTÀ C’È SOLO L’ODIO PER CHI CE LA TOGLIE


Note

(1) https://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/carcere-dozza-delmastro-10-agenti-0c0bb622

https://www.bolognatoday.it/cronaca/dozza-visita-delmastro-bignami.html

(2) https://ristretti.org/santa-maria-capua-vetere-ce-pestaggi-in-carcere-fdi-chiede-di-premiare-gli-agenti

(3) https://ilmanifesto.it/cartabia-nel-pnrr-fondi-per-ledilizia-carceraria

https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/07/21/cospito-delmastro-a-processo-per-aver-difeso-il-41-bis-e-donzelli-attacca-il-m5s-la-replica-bufale-doveva-dimettersi-mesi-fa/7236982/

(4) https://www.giustizia.it/giustizia/page/it/pnrr_piano_nazionale_complementare

(5) Armi in dotazione alla polizia penitenziaria, ognuna assegnata a un particolare reparto
https://www.leduecitta.it/index.php/7-rivista/2150-le-armi-del-mestiere#:~:text=Le%20armi%20in%20dotazione%20alla,Heckler%20%26%20Koch%20G3%2DPSG1.

(6) https://www.osservatoriorepressione.info/bolognina-un-deserto-chiamato-sicurezza/

(7) https://brughiere.noblogs.org/post/2022/01/19/per-un-mondo-senza-psichiatria-senza-carcere-e-senza-frontiere/

BOLOGNA: GIORNATA ANTIPSICHIATRICA. MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO

(8) https://bologna.repubblica.it/cronaca/2018/10/27/news/il_carcere_di_bologna_si_allarga_nuovo_padiglione_da_200_posti-210116804/

https://www.bolognatoday.it/cronaca/carcere-dozza-nuovo-padiglione-protocollo-2019.html

AGGIORNAMENTO SULLA SITUAZIONE DI ALFREDO COSPITO E APPELLO ALLA SOLIDARIETÀ

Diffondiamo:

Abbiamo avuto notizia che Alfredo in carcere a bancali (Sassari) fisicamente sta bene e ha ripreso peso dopo i sei mesi di sciopero della fame. Purtroppo riceve pochissima posta, quasi niente, e anche quando il carcere trattiene lettere, cartoline o telegrammi, non sempre lui ne riceve comunicazione. Si trova così sottoposto a una censura ancora più alta e arbitraria di quella già durissima del 41 bis.
Facciamo quindi appello per non fargli mancare la nostra solidarietà e invitiamo tutte e tutti a scrivergli lettere o cartoline utilizzando la raccomandata con ricevuta di ritorno, per aumentare le possibilità che gli venga consegnata o se gli viene trattenuta, che ne abbia notizia.

Alfredo Cospito
Casa Circondariale di Sassari
Località Bancali
07100 Sassari SS
Italia

Contro tutte le galere!
Cassa Antirepressione delle Alpi Occidentali

BOLOGNA: GIOVANE DETENUTA MUORE AL CARCERE DELLA DOZZA

Dai media locali apprendiamo del decesso di una giovane detenuta al carcere della Dozza.

“Una giovane detenuta di 29 anni, che si trovava reclusa nel carcere bolognese della Dozza, è morta, mercoledì, all’ospedale Maggiore dove era ricoverata da qualche giorno dopo un malore accusato in carcere. La madre ha presentato una denuncia e la procura ha disposto l’autopsia per far luce sulla vicenda. Patricia Bonora Mos, nata in Romania nel 1994 e residente a Piacenza, era da qualche mese alla Dozza per piccoli reati. Il 12 agosto è stata ricoverata d’urgenza all’ospedale, a causa di un malore accusato dopo aver mangiato della carne.”

NAPOLI: RIVOLTA NEL CARCERE DI POGGIOREALE

Massimo Altieri, un detenuto di 41 anni e in attesa della seconda fase di giudizio, è stato trovato morto in cella nel carcere di Poggioreale. Si sarebbe suicidato inalando del gas da una bombola. Tutto il padiglione Roma del carcere è adesso in rivolta per protestare soprattutto contro la mala gestione della sanità: “ci sentiamo abbandonati, non siamo abbastanza seguiti. Non si può morire così in carcere a 41 anni, serve fare qualcosa. Qui dentro c’è rabbia per quello che è successo. Non deve riaccadere più. In un istituto penitenziario così grande ci sono solo due medici, come possono seguire tante persone?” (Parole affidate all’avv. De Maio). I detenuti criticano inoltre la mancata assistenza sanitaria, affermando che chi soffre di disagi può essere curato adeguatamente solo fuori dal carcere, ma questo non accade: i casi di questo tipo sarebbero diversi.

Link: https://cronachedi.it/morto-in-cella-rivolta-nel-carcere-di-poggioreale-a-napoli/

SECONDO SUICIDIO IN POCHE ORE A TORINO, DETENUTA SI IMPICCA IN CELLA

“A poche ore dalla morte di Susan John, la donna di 42 anni che si è lasciata morire di fame, un’altra detenuta si è tolta la vita nella sezione femminile del carcere di Torino. È una donna italiana che era stata trasferita a fine luglio da Genova, al carcere di Torino. Si chiama Azzurra Campari. Si è impiccata.”

https://torino.repubblica.it/cronaca/2023/08/11/news/suicidio_carcere_torino_impiccata-410796687/

TORINO: DETENUTA MORTA IN SCIOPERO DELLA FAME NEL PIÙ COMPLETO SILENZIO

Una donna nigeriana di 43 anni di nome Susan è morta in sciopero della fame nella così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (sezione psichiatrica) del carcere delle Vallette. Su Radio Blackout apprendiamo che le detenute della sezione femminile delle Vallette non hanno saputo nulla dello sciopero fin quando non hanno appreso della morte dai media. La stessa Garante dei detenuti di Torino non è stata avvisata dalla direzione della situazione. Sui media si parla di tre settimane di sciopero della fame e della sete, uccisa nel più completo silenzio. Proprio la settimana scorsa era stata diffusa la notizia della dimissione di massa di medici e sanitari dal carcere delle Vallette. Nessuno dei sanitari ha denunciato la situazione in corso, né le difficoltà che molte persone recluse vivono, ma solo, in linea con la penitenziaria, una generica lamentela rispetto eventi critici e aggressioni. Davanti a tutto questo si parla solo di facilitare le espulsioni e di riaprire gli OPG.

AGGIORNAMENTI SU DOMENICO PORCELLI

Domenico Porcelli sta portando avanti uno sciopero della fame dal 28 aprile 2023 contro il regime di 41-bis cui è sottoposto. Respinto il differimento pena per motivi di salute, vorrebbe richiedere il suicidio assistito.

L’avvocata Pintus: “Rischia di morire nella completa indifferenza […] Sta ancora proseguendo lo sciopero della fame fino a quando non morirà. Nessuno lo sta considerando, nemmeno una mezza visita da parte di qualche autorità politica, come è stato fatto almeno con Cospito.”

Da: https://www.osservatoriorepressione.info/al-41-bis-sciopero-della-fame-5-mesi-adesso-chiede-leutanasia/

COME L’EGITTO ANCHE L’ITALIA TORTURA E UCCIDE NELLE CARCERI

Assistiamo in questi giorni a una grande ipocrisia istituzionale circa il ritorno in italia di Patrick Zaki, arrestato in Egitto a febbraio 2020 e detenuto fino a dicembre 2021. Il processo si conclude il 18 luglio 2023, con una condanna a tre anni e mezzo di reclusione da parte del tribunale egiziano. Il giorno dopo, il presidente Al-Sisi gli concede la grazia, e Patrick ritorna in Italia con tutti gli onori del caso.

Non possiamo che accogliere con gioia la notizia del suo ritorno in libertà, tuttavia non possiamo restare cieche di fronte alla grandissima ipocrisia di politici e media mainstream. Da destra a sinistra, da Giorgia Meloni a Matteo Lepore, la liberazione di Patrick Zaki è stata presentata come un successo raggiunto grazie a una strenua battaglia portata avanti dal governo italiano, culla di “civiltà” e dei “diritti umani”.

Noi non ci stiamo a questa retorica fuorviante, smascheriamo la vostra ipocrisia ricordando che esattamente come l’Egitto anche l’Italia tortura e uccide nelle carceri!

Ricordiamo i 40 suicidi in carcere dall’inizio del 2023.
Ricordiamo i 14 detenuti ammazzati durante le rivolte in carcere nel 2020, l’omertà diffusa volta a insabbiare la responsabilità di secondini, medici e dirigenti.

Ricordiamo Liborio Davide Zerba e Victor Pereshchako, due detenuti morti nel carcere di Augusta, in Sicilia, mentre conducevano uno sciopero della fame nel silenzio più assordante.
Ricordiamo Domenico Porcelli, attualmente in sciopero della fame nel carcere di Bancali contro il 41 bis.
Ricordiamo Diana Blefari Melazzi, morta suicida in regime di carcere duro (tolta dal 41 bis a causa delle sue condizioni psico fisiche e trasferita a Rebibbia dove si è suicidata).
Ricordiamo il compagno anarchico Alfredo Cospito che per oltre 6 mesi ha portato avanti uno sciopero della fame contro la tortura democratica del 41-bis, a cui è attualmente sottoposto.
Ricordiamo Nadia Lioce, detenuta da 17 anni nello stesso regime.

Ricordiamo tutte le persone lasciate affogare in mare.
Ricordiamo le torture a Bolzaneto e alla Diaz e tutte le persone che hanno trovato la morte in una cella, in una caserma, ad un posto di blocco, per colpa del braccio armato dello Stato!

Ricordiamo chi ha la responsabilità di tutto questo! Basta ipocrisia, basta passerelle istituzionali!

ANCHE LO STATO ITALIANO TORTURA E UCCIDE NELLE CARCERI
NO 41 BIS
FUOCO ALLE GALERE

AGGIORNAMENTO SU ZAC

E’ stata notificata dal P.M. l’apertura del processo con rito immediato per Zac, arrestato a Pozzuoli (Napoli) il 28 marzo e attualmente prigioniero nel carcere di Terni. Il rito immediato richiesto dal P.M. prevede che venga saltata la fase dell’udienza preliminare (g.u.p). La prima udienza si terrà quindi direttamente in corte d’assise il 13 settembre a Napoli.

Solidarietà e complicità, Zac libero!

Per scrivere a Zac:
Marco Marino
c.c di Terni
Strada delle Campore, 32
05100 Terni
Per chi volesse inviare contributi a sostegno invitiamo a spedire soldi tramite bonifico bancario:
IBAN: IT07V3608105138299544199741
Codice BIC/SWIFT: PPAYITR1XXX
Intestario: Luca d’Esposito
Causale: ricarica

BOLOGNINA: UN DESERTO CHIAMATO SICUREZZA

Questo testo affronta gli ultimi risvolti di un attacco iniziato da tempo al quartiere Bolognina (Bologna), un processo che, seppur nelle sue specificità, non è differente da quanto stanno subendo altre città e territori: la speculazione e la cementificazione chiamata “riqualificazione”, la strumentalizzazione “dell’emergenza droga” e “dell’allarme sicurezza”, la discriminazione della popolazione migrante, la militarizzazione della vita quotidiana, il progressivo restringimento della sanità e dei servizi. Una realtà in cui la sistematica distruzione di comunità e territori è l’esito di quella violenza istituzionale che si nutre di politiche razziste, proibizioniste e repressive, per sostenere e alimentare economie assassine e rendere più docili le classi sfruttate. Città in cui il continuo rinforzarsi delle retoriche della legalità e del decoro si traduce negli abusi sempre più legittimati delle forze dell’ordine e nella violenza del carcere. Un tempo che rende sempre più evidente la necessità di sovvertire l’esistente e lottare.


Con il patto integrato sulla sicurezza tra Prefettura e Comune di Bologna siglato durante la visita in città del ministro dell’interno Piantedosi del 21 gennaio, l’amministrazione bolognese ha inaugurato una nuova stagione repressiva per dare il colpo definitivo a quei quartieri nel mirino dei piani di “pulizia”, “riqualificazione” e messa a profitto della città, non ancora del tutto asserviti all’ideologia della sicurezza e del decoro.

Lo Stato c’è e si deve vedere” aveva detto Piantedosi; lo abbiamo visto e lo stiamo vedendo.

SPECULAZIONE ED “EMERGENZA DROGA”

La Bolognina in particolare negli ultimi mesi è stata oggetto di un feroce accanimento mediatico volto a normalizzare una militarizzazione della vita pressoché quotidiana. Con le retoriche della lotta al “degrado” e alla “droga” si stanno legittimando agli occhi dell’opinione pubblica sistematici interventi di polizia per le strade, che, a ben vedere, non hanno mai inciso e non incideranno affatto sulle “criticità” millantate, anzi, le esaspereranno ulteriormente, isolandole sempre più.

Oggetto del terrore la così detta “m-i-c-r-o-c-r-i-m-i-n-a-l-i-t-à”, una categoria in cui fasce già marginalizzate di popolazione vengono liquidate come problema di ordine pubblico.

Non spaventa il problema di un diffuso impoverimento, di un sostentamento e di una vita sempre più difficile per moltx, di un accesso alla casa sempre più proibitivo, delle barriere che deve affrontare chi è senza documenti e senza diritti di cittadinanza; non interessano realmente le problematiche legate all’uso e all’abuso di sostanze legali o illegali ecc. Ciò che interessa è soprattutto che tutto ciò non si veda, disturbi o intralci i progetti di speculazione.

Il 18 luglio si è tenuta in Bolognina una riunione della “cabina di regia” istituita col Patto sulla sicurezza, in cui, in continuità con la strategia avviata a gennaio, è stato deciso un ulteriore inasprimento dei controlli “al fine di prevenire e reprimere la vendita e il consumo di sostanze stupefacenti”. Il Sindaco ha colto l’occasione per fare la sua passerella promozionale tra i commercianti e gli abitanti della zona nel tentativo di esacerbare e strumentalizzare quelle difficoltà, pressoché endemiche, espressione di un quartiere storicamente popolare.

Dopo gli “street tutor” in centro arrivano le nuove ronde di periferia, riqualificate per l’occasione come “sentinelle di condominio”. A promuovere il fascino discreto della delazione questa volta Confabitare, associazione per la tutela della proprietà immobiliare che nel 2020, insieme ad Ape-Confedilizia Bologna, si schierò contro la proroga del blocco sfratti, e che nel 2022, in prima linea contro il “degrado”, ha firmato il protocollo di intesa col Comune di Bologna contro il “vandalismo grafico”, per la rimozione dei graffiti in città.

Dopo aver chirurgicamente fatto a pezzi comunità, sfrattato famiglie, addomesticato realtà e sgomberato spazi sociali, in un contesto di delega e atomizzazione generalizzato, l’amministrazione si appresta a colpire ancora la Bolognina in nome della “legalità” e della “lotta alla droga”, esasperando quella guerra tra poveri utile soltanto ai padroni, cavalcando con retoriche emergenziali quello scarto presente tra sicurezza reale e percepita, e incoraggiando sentimenti quali la paura e la diffidenza tra persone, per una “sicurezza” che ha sempre meno a che fare con la solidarietà e le “comunità”, parole ampiamente abusate dall’amministrazione di questa città, e sempre più con l’esercizio della disciplina e dell’ordine pubblico.

Trattare il consumo di sostanze psicotrope, legali o illegali, in termini sensazionalistici, o liquidarlo come qualcosa da “estirpare”, come avvenuto in questi giorni con le passerelle del Sindaco e la spettacolarizzazione di operazioni “antidroga” dal tempismo quantomeno sospetto – comprese di scenografici elicotteri a sorvolare il quartiere – si inserisce in una propaganda volta per lo più a promuovere speculazioni economiche e manovre politiche.

Militarizzare la bolognina, rastrellare “casa per casa” per “passare al setaccio” con squadre di polizia “le cantine dello spaccio” e riempire il quartiere di agenti in borghese, non migliorerà la vita di chi ha un utilizzo problematico di sostanze legali o illegali, o di chi già subisce discriminazioni di classe, genere, razza e cittadinanza, ne peggiorerà la condizione. Un’occasione per “ripulire” la zona e preparare il terreno a quei progetti di riqualificazione, museificazione e turistificazione pianificati da tempo dall’amministrazione, che esaspereranno ulteriormente l’accesso alla casa e alla reale vivibilità del quartiere.

RAZZISMO ISTITUZIONALE

La sovrarappresentazione della popolazione straniera nel discorso pubblico quando si parla di “allarme sicurezza” è lo specchio della violenza del razzismo istituzionale, e della paura e del pregiudizio che questo riproduce nella “società civile”, piuttosto che di una reale “emergenza sicurezza” in “correlazione con l’immigrazione”, un’equazione distorta e riduzionista.

La dinamica è la stessa subita da chi migrava dalle regioni del sud Italia.

Naturalizzare lo stato di subordinazione che molta popolazione migrante e straniera subisce in termini di sfruttamento, discriminazione, diritti, è utile soltanto a Stato e padroni che si nutrono di questo allarmismo per portare avanti le loro economie assassine.

LE RILEVAZIONI DEI SERVIZI PER LE DIPENDENZE A BOLOGNA

Volendo prendere in considerazione le statistiche e le relazioni – parziali – fornite dall’Ausl di Bologna, queste identificano due categorie di consumatori che si rivolgono ai servizi per le dipendenze (SerD): i consumatori considerati “socialmente integrati”, indicati in aumento, persone pressochè inserite nel tessuto sociale e produttivo, coinvolte in particolare dal consumo problematico di alcol e cocaina, o come policosumatori, consumatori problematici di più sostanze – legali e/o illegali – e non di una sola sostanza elettiva (anche qui con la prevalenza di alcol e cocaina), e i consumatori considerati “socialmente marginalizzati”, una fascia di popolazione indicata in cambiamento (per età media e consumo) ma non in aumento per quanto riguarda l’afferenza ai servizi. Si tratta di una categoria di consumatori costituita in gran parte da persone ai margini del tessuto sociale, fuori dal processo produttivo, con scarsa disponibilità economica e spesso con problemi legati alla legge (consumatori di sostanze assunte per via innettiva, oppioidi, cocaina e consumatori di crack, sostanza il cui utilizzo si sta allargando e che sembra sostituire nel consumo l’eroina). L’Ausl indica che per ogni persona che si rivolge ai servizi sanitari per difficoltà di questo tipo, ce ne sono almeno altre cinque che non lo fanno. Per quanto riguarda la popolazione migrante l’accesso ai servizi resta difficile e complicato, sia per la burocrazia e le norme legate ai documenti, sia per le barriere linguistiche.

LA TESTIMONIANZA DI UNA LAVORATRICE

La testimonianza di un’operatrice ci informa di come all’interno dei SerD bolognesi (Servizi per le dipendenze) sia sempre più privilegiato un approccio burocratico, medicalizzante, psichiatrizzante e contenitivo, con ampio abuso della delega agli psicofarmaci nel “trattamento”, mentre trova sempre meno spazio la relazione, l’ascolto e la possibilità di accesso a supporto sociale concreto. Emerge un problema specifico per quanto riguarda la popolazione non residente, senza documenti e senza fissa dimora, per cui i servizi sono drasticamente ridotti e di minor qualità.

Aumenta anche il numero delle così dette “doppie diagnosi”, persone con problematiche di dipendenza certificate e una concomitante valutazione psichiatrica, in carico quindi contemporaneamente ai Serd (servizi per le dipendenze) e ai Csm (Centri per la salute mentale). Questo non necessariamente si traduce in un miglioramento dell’offerta di sostegno, anzi, spesso e volentieri determina un processo di delega e “rimpallo” tra servizi che può paralizzare percorsi e possibilità, oltre che determinare un accavallamento delle figure professionali coinvolte, generando lentezze e a volte confusione nella persona. Viene inoltre segnalato come tra le persone migranti in condizioni di fragilità sia diffuso l’abuso di rivotril e crack. In generale i tempi di attesa per una “prima visita” in alcuni servizi possono essere estremamente lunghi, in particolare in quello alcologico e in quello istituito per la popolazione considerata “vulnerabile” non residente; medici e operatori non possono dedicare molto tempo a persona, un po’ per un’organizzazione socio-sanitaria assolutamente scellerata, insensata e inefficace, un po’ per la legittimazione di una cultura sempre più miope in tema di sostanze e mortificante per quanto riguarda la relazione d’aiuto, i ruoli delle “professionalità” coinvolte e la loro formazione.

TRA PROIBIZIONISMO, CRIMINALIZZAZIONE, REPRESSIONE E CARCERE

Davanti a questo quadro la risposta statale continua ad essere la criminalizzazione di intere fasce di popolazione, il progressivo depauperamento dei servizi pubblici territoriali e di prossimità, l’appalto sempre maggiore dell’assistenza a cooperative-azienda e a lavoro sfruttato, e lo speculare rinforzo di strategie e interventi di tipo securitario e carcerario, tanto che alla Dozza, carcere della città, davanti a celle bollenti come forni e un sovraffollamento che sta sfiorando il 160% della capienza consentita – oltre 800 detenuti a fronte di 500 posti previsti, quindi circa 300 persone recluse in più – dopo gli arresti sensazionali degli ultimi giorni si stanno bloccando i nuovi ingressi. Una situazione decisamente in contraddizione con i recenti tentativi di maquillage e “re-branding” volti a coprire la violenza strutturale che caratterizza l’istituto carcerario cittadino.

Nonostante i laboratori antiproibizionisti da oltre 20 anni indichino come l’unico modo per stroncare alla radice i narcotraffici sia la depenalizzazione della coltivazione di cannabis per uso personale e il commercio legale delle foglie di coca – come chiedono le popolazioni indigene sudamericane da decenni – le politiche repressive e la caccia alle streghe su categorie sociali già marginalizzate e stigmatizzate non si arresta, anzi, appunto, li arresta: gli ultimi dati indicano che circa il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, e che oltre il 40% di chi finisce in cella in Italia fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione, alla faccia del tanto declamato “recupero sociale”. Questo è accaduto grazie a leggi razziste, discriminatorie e liberticide come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini. Politiche repressive il cui bersaglio non è mai stato il grande narcotraffico – un giro miliardario che allo Stato e alle sue mafie fa evidentemente comodo così – ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di sostentamento, reti sociali o non è spendibile in termini di profitto.

IL TESTO UNICO DELLE LEGGI IN MATERIA DI DISCIPLINA DEGLI STUPEFACENTI

Nell’ordinamento giuridico italiano la detenzione di sostanze stupefacenti è sanzionata dal DPR n.309/1990, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. In particolare i due articoli rilevanti per quanto riguarda “droghe” e galera sono il 73, per il caso di detenzione ai fini di spaccio e il 75, per il caso di detenzione al fine di utilizzo personale.

L’articolo 73 recita “Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000”.

Questa legge continua a rappresentare la principale causa di ingresso nel sistema giudiziario italiano e di detenzione nelle patrie galere.

MANGIATE LE CAROTE RESTA SOLO IL BASTONE

Mentre sanità e servizi sprofondano inesorabilmente verso il baratro sotto gli occhi – e sulla pelle – di tutti, e le spese militari aumentano, le politiche della “tolleranza zero” si confermano strumento di governo delle diseguaglianze per il mantenimento dello status quo, una dissimulata guerra ai poveri e alle dissidenze volta ad isolare chi, per rifiuto o necessità, vive ai margini delle città, mirando a spostare questi margini, sempre un po’ più in là.

Distrutte comunità e legami, ridotti quegli ammortizzatori sociali che consentivano di scaricare parzialmente i danni prodotti dal capitalismo sulla “cosa pubblica”, accentuato lo sfruttamento, la precarizzazione e l’insicurezza lavorativa, non deve stupire il naturale determinarsi di situazioni di conflitto e attrito all’interno delle città, non riconducibili ad ambiti di compatibilità. Per neutralizzarli, esaurita la strada del welfare state, non rimane che quella repressiva. A noi, non resta che la lotta.


Link alla versione pdf del testo e alle note: UN DESERTO CHIAMATO SICUREZZA