TORINO: APPELLO ALLA PRESENZA SOLIDALE DAVANTI AL PALAZZO DI GIUSTIZIA

Lunedì 19 giugno, presso la Corte d’assise d’Appello di Torino, si terrà l’udienza per il ricalcolo delle condanne per gli anarchici Anna Beniamino e Alfredo Cospito, nell’ambito del processo “Scripta Manent”.

Per quanto la Corte Costituzionale abbia dato indicazioni sulla possibilità di considerare alcune  attenuanti in questo ricalcolo, Anna rischia ancora una sentenza a più di 20 anni e Alfredo l’ergastolo.  Fattore non secondario: la giudice che aveva accettato l’eccezione sollevata dalla difesa degli imputati di ricorrere ad una consulta della Corte Costituzionale (rivelando così magari una sua predisposizione a  recepire l’indicazione di tale organismo) nel frattempo è andata in pensione e non si può prevedere come il giudice che presiederà l’udienza intenda comportarsi.

Di questo processo abbiamo già detto molto, soprattutto grazie allo sciopero della fame di Alfredo e la  mobilitazione che questa sua iniziativa ha reso possibile. Innanzitutto abbiamo cercato di evidenziare  come questa operazione di criminalizzazione di alcune idee e pratiche dell’anarchismo possa rivelarsi in  prospettiva un pericoloso precedente per la persecuzione delle azioni conflittuali, da qualunque  componente sociale o politica queste vengano messe in atto.
Per farla breve: quando si procede per “strage contro l’incolumità dello Stato” per sanzionare azioni che  non hanno fatto morti, feriti e neppure danni materiali rilevanti, l’oggettiva dinamica messa in atto dallo  Stato è quella di un irrigidimento repressivo che supera non solo il buon senso ma le stesse consuetudini giudiziarie. Uno “stravolgimento” dei termini e delle conseguenze penali che, facile prevedere, a cascata riguarderà anche altre azioni simili o, in proporzione, anche fatti di portata “minore”.
Ma non è questo l’unico motivo per cui riteniamo sia importante una presenza solidale significativa per  l’udienza del 19 giugno. Due altre questioni vorremmo sollevare o ricordare per evidenziare l’importanza di questo appuntamento.
La prima è la constatazione che queste condanne non vengono dal nulla ma sono frutto anche del  disinteresse che, a parte alcune componenti anarchiche e comuniste, ha accompagnato l’andamento del processo “Scripta Manent”. Considerata da molti, anche in ambito antagonista, come l’ennesima  operazione che andava a colpire i soliti, ritenuti marginali, ambiti dell’anarchismo d’azione, la mancanza di un’attenzione diffusa e “trasversale” rispetto alle sorti dei/delle compagn* imputat* ha lasciato la  mano libera ai vari inquirenti per “andarci giù pesante”. Non è la prima volta che accade certo, ma  altrettanto certamente è una questione su cui riflettere perché in futuro non ci si debba ritrovare, a giochi ormai fatti, a sbalordirsi per la dismisura delle pene comminate. E perché, soprattutto non ci si ritrovi  con la consapevolezza che nulla o poco si è fatto per impedire che, a uomini e donne che hanno lottato,  le sbarre chiudessero l’orizzonte per decenni se non per tutta la vita.
La seconda questione che, a nostro avviso, motiva con forza la partecipazione a questo momento  solidale sta nella coerenza con quanto si è espresso mille volte durante la mobilitazione degli scorsi  mesi: non solo non avremmo mai lasciato soli gli/le compagn* che con lo sciopero della fame ci hanno  messo il loro (tantissimo), ma l’impegno collettivo a rompere il silenzio che avvolge il 41-bis, l’ergastolo ostativo, la persecuzione dei/delle rivoluzionari*, l’inasprimento repressivo generalizzato sarebbe andato
avanti al di là della specifica iniziativa dei/delle compagn* in sciopero.
Ora che si gioca una decisiva partita per il futuro di Alfredo e Anna, non possiamo relegare ai passati  mesi di forte mobilitazione la giusta tensione per contrastare la dinamica repressiva che vuole seppellirli in una cella e per continuare la lotta per una società senza oppressione né galera.

Il 19 giugno, dobbiamo esserci, in tant*,  fuori e dentro il Palazzo di Giustizia di Torino dalle 8.30!  Per chiudere ci sembra opportuno ricordare che il 19 giugno, ogni anno, ci si mobilita in molte zone del  globo per la Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero, data che rinnova la solidarietà a  tutt* i/le militanti imprigionat* in memoria del massacro di quasi 300 prigionier* politic* compiuto nel  1986 dall’esercito nelle carceri peruviane.

Assemblea contro il 41-bis e l’ergastolo ostativo – Torino

AGGIORNAMENTI SU GREG ARRESTATO IN FRANCIA

Ricondividiamo da Lanemesi

Arrestato Greg in Francia

Martedì 23 maggio Greg, un compagno francese che ha vissuto molti anni in Italia, è stato fermato e identificato in Francia, nei pressi di Limoges, per un controllo stradale. Il giorno seguente è stato rintracciato e arrestato dalla gendarmerie del posto.

Nel corso dell’udienza a porte chiuse per la convalida dell’arresto svoltasi mercoledì 24 è risultato essere stato emesso dall’Italia un mandato di arresto europeo a suo carico nel mese di marzo per un cumulo pena di 2 anni e 2 mesi per tre diverse condanne giudicate in definitivo.

Il giudice ha confermato la detenzione e Greg si trova in questo momento nel carcere di Limoges. Si attende la prossima udienza che dovrebbe svolgersi la prossima settimana e che sarà incentrata sull’esecuzione del mandato di arresto europeo ed eventuale estradizione.

L’avvocato riferisce che il compagno ha potuto recuperare soldi e vestiti e che sta bene. Gli è stato fatto un versamento e ha avuto modo di fare una prima telefonata ai genitori.

Seguiranno aggiornamenti non appena si avranno.

Tutte e tutti liberi


Aggiornamento sulla situazione di Greg (Francia, 27 maggio 2023)

In attesa dell’udienza per l’estradizione della prossima settimana, Greg ha incontrato a colloquio l’avvocato che l’ha trovato lucido e in forma. Ha inoltre fatto sapere il suo numero di écrou (indispensabile per scrivere in carcere in Francia).

Non facciamogli mancare calore complicità e solidarietà.

Grégoire Poupin
#24587
17B Pl Winston Churchill
87000 Limoges
France

Fuoco alle galere!

DI FAVE, MICROFONI, FUMOGENI E OMBRELLI

Dal campo di fave, sulle mobilitazioni in Sardegna contro carcere e 41bis.

Mentre la procura di Sassari apre un’inchiesta per sanzionare la mobilitazione in solidarietà alla lotta di Alfredo Cospito, nelle carceri italiane le condizioni di vita sono in continuo peggioramento, come dimostrano i 22 suicidi dall’inizio dell’anno (1) e i sempre più frequenti scioperi della fame intrapresi dalle persone recluse.
Due di queste sono decedute a poche settimane di distanza, tra aprile e maggio, nel carcere di Augusta (SR), mentre portavano avanti questa forma di protesta estrema nel silenzio più totale del Ministero, del DAP e dei media (2). Nel carcere di Bancali Domenico Porcelli, recluso a cui è stato applicato il regime di 41 bis, si trova in condizioni di salute sempre più critiche per lo sciopero della fame iniziato il 28 febbraio.

In questi ultimi mesi abbiamo deciso di appoggiare la lotta di Alfredo Cospito contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo, vere e proprie forme di tortura. Riteniamo inoltre che il sistema carcerario sia funzionale al mantenimento dell’ordine sociale basato sullo sfruttamento capitalista, per questo le iniziative di questi mesi si sono indirizzate anche “contro il carcere e la società che lo rende necessario”.
Prima ci siamo presx le strade e le piazze della città di Sassari per far uscire la sua voce, affinché tutte e tutti sapessero quello che stava succedendo a pochi chilometri dalle nostre case. Poi ci siamo datx appuntamento in diverse giornate sotto le mura del carcere di Bancali per rompere l’isolamento imposto ad Alfredo, amplificando musica, leggendo saluti, comunicazioni e aggiornamenti sulle azioni di solidarietà nei confronti di questa lotta.

A fine gennaio Alfredo è stato trasferito al carcere di Opera (MI), e solo in aprile, dopo sei mesi, ha interrotto lo sciopero della fame in seguito alla sentenza della corte costituzionale che ritiene “illegittimo il divieto per il giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata in caso di reati puniti con la pena dell’ergastolo”. Tradotto nel concreto, per la prima volta, un organo di stato apre alla possibilità che Alfredo non sia per forza condannato all’ergastolo; non solo, questa sentenza si applicherà a tutti i casi analoghi al suo. A essere ‘contraddetta’ è proprio la giurisprudenza tutta in materia di reati che prevedono l’ergastolo come unica pena. Il che è davvero un fatto “storico”.

La solidarietà espressa in varie forme durante i sei mesi di sciopero della fame di
Alfredo è riuscita nell’impresa di portare all’attenzione pubblica, seppur per un tempo limitato, le terribili condizioni di vita delle circa 750 persone poste in 41 bis. La lotta iniziata da Alfredo contro questo regime e l’ergastolo non è terminata con la fine del suo sciopero della fame, e lui è ancora sottoposto a 41 bis. Continuano le lotte, le iniziative di solidarietà e continua, di contro, la repressione.

Oggi diverse procure italiane presentano il conto, aprendo inchieste volte a reprimere le diverse azioni intraprese negli scorsi mesi. L’obbiettivo come sempre è quello di intimorire e scoraggiare chi ha deciso di prendere parola e agire concretamente. Non a caso i reati maggiormente contestati nell’inchiesta sassarese sono proprio quelli di manifestazione non autorizzata, in molti casi aggravata dall’aver pronunciato discorsi, aver letto testi e aver cantato in sostegno ad Alfredo.

Questa inchiesta ed altre azioni
giudiziarie attivate in Sardegna contro chi si oppone alle varie forme di colonizzazione del territorio (occupazione militare, colonialismo energetico, trasformazione della Sardegna in un’immensa colonia penale tra carceri di massima sicurezza e CPR) nei fatti criminalizzano la solidarietà e ci proiettano in un clima repressivo poco rassicurante.

La repressione non fermerà le nostre lotte.

Alcunx indagatx del campo di fave


TESTO PDF: Di fave, microfoni, fumogeni e ombrelli

(1) http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/
(2) https://www.radiondadurto.org/2023/05/12/carcere-due-detenuti-in-sciopero-della-fame-morti-nel-carcere-di-augusta/

 

CATANIA: DENUNCE PER LE MOBILITAZIONI CONTRO IL 41BIS

Centro Sociale Autogestito Officina Rebelde:

Nelle scorse settimane, ad alcun@ attivist@ e frequentator@ del C.s.a. Officina Rebelde, oltre che di altre realtà, sono state notificate delle denunce per avere “disobbedito agli ordini delle autorità”. I fatti contestati riguarderebbero le mobilitazioni a sostegno della lotta contro il 41-bis ed intraprese in solidarietà ad Alfredo Cospito ed al suo sciopero della fame, in particolare un corteo non autorizzato che avrebbe sfilato per le strade della città.

Come collettivo politico abbiamo deciso di sostenere la lotta di Alfredo perché lottiamo contro le ingiustizie carcerarie: dentro questo assetto sociale neoliberista ed autoritario, il carcere opprime soprattutto gli appartenenti alle classi popolari ed il carcere duro è stato spesso usato per piegare i prigionieri “politici” come Alfredo.

La repressione non ci fermerà: non l’ha fatto in passato e non lo farà oggi, queste denunce ci rafforzano soltanto nella convinzione di essere nel giusto e sono una grande dimostrazione di debolezza da parte di istituzioni che non sono più abituate a fronteggiare il dissenso. Noi proseguiremo nelle nostre lotte a fianco di chi è ingiustamente carcerato, vittima di discriminazioni razziali o di genere, per il reddito, contro il futuro di sfruttamento, guerra e devastazioni ambientali che le élite globali vorrebbero imporci.
Attivisti del csa “Officina Rebelde” e di altre realtà sociali di Catania sono colpiti da denunce per le mobilitazioni a sostegno della lotta contro il 41bis e in solidarietà ad Alfredo Cospito in sciopero della fame.

https://www.osservatoriorepressione.info/catania-denunce-le-mobilitazioni-41bis/

BOLOGNA: PRESIDIO AL CARCERE DELLA DOZZA

Domenica 21 maggio ore 17 presidio al carcere della Dozza. Dopo mesi di mobilitazione a fianco di Alfredo contro 41-bis ed ergastolo ostativo, continuiamo a portare la nostra solidarietà a chi si trova reclusx e vive la sofferenza quotidiana si essere sottrattx della libertà. In presidio per bucare l’isolamento del carcere e contro la repressione. Ritrovo in Piazza dell’Unità alle 16 per andare insieme in bus (linea 25) e in bicicletta.

AGGIORNAMENTI SUI FATTI DI BUDAPEST

Il febbraio scorso a Budapest venivano fermate 4 persone con l’accusa di essere coinvolte a vario titolo nel ferimento di alcuni nazisti. Due di queste, una compagna tedesca e una ragazza ungherese, sono poi state rilasciate, mentre le altre due, un compagno tedesco e una compagna italiana, si trovano tutt’ora in carcere. A tre mesi da questi arresti abbiamo deciso di scrivere un testo per cercare di condividere un quadro minimo della situazione e soprattutto per dare qualche aggiornamento rispetto alla condizione della compagna italiana, un’amica molto prossima con la quale molti di noi/voi hanno condiviso lotte, lutti, gioie e dolori negli ultimi quindici anni.

Il contesto

Per cominciare è utile sapere che gli arresti non sono avvenuti in un giorno qualsiasi. L’11 febbraio è una data di culto per i neonazisti ungheresi, ribattezzata “Giorno dell’ Onore” in memoria del massacro di un battaglione nazista completamente annientato nel febbraio del 1944 mentre tentava di eludere l’assedio dell’Armata Rossa alla città di Budapest. Negli ultimi anni le celebrazioni legate a questa ricorrenza hanno iniziato ad attirare neonazisti da altri paesi e sono nel tempo diventate un appuntamento sempre più frequentato da certi ambienti dell’estrema destra suprematista europea, in particolare tedesca, anche per via della maggiore tolleranza locale, rispetto a quanto comunemente permesso in Germania, verso l’esibizione di simboli, bandiere, uniformi. Dato il risalto oramai internazionale dell’evento, e il crescere delle proteste contro l’opportunità di ospitare in città questo tipo di parate, per la prima volta proprio quest’anno persino le autorità locali avevano deciso che non fosse appropriato concedere la fortezza di Buda come ritrovo ufficiale del raduno – come normalmente accadeva – e pertanto gli organizzatori della rete neonazista Blood and Honour hanno organizzato “solo” una marcia campestre fuori città, strutturata come percorso avventura nella foresta in cui avvenne la disfatta. Nei pressi della fortezza si sono ritrovati invece alcune centinaia di antifascisti.
È questo probabilmente lo scenario della città di Budapest nei giorni in cui vanno inquadrati i fatti.

Le accuse

Delle due persone ancora oggi in carcere sappiamo solo che sono state fermate a bordo di un taxi e che la loro detenzione si basa su pochi elementi indiziari che la polizia ungherese ritiene sufficienti a richiedere un supplemento di indagine. Per quanto riguarda la compagna italiana sarebbe indagata per due episodi, ma almeno uno dei due non sarebbe compatibile con quanto attestano i suoi biglietti aerei. L’accusa è quella di “aggressione a un membro della comunità” e sarebbe collegata ai ferimenti di alcuni nazisti avvenuti per mano di ignoti nei giorni precedenti al fermo. Gli atti delle indagini sono comunque ancora in corso di traduzione e vi lasciamo immaginare le difficoltà di reperimento delle informazioni e di coordinamento tra avvocati.

La detenzione

La detenzione in Ungheria prevede la possibilità di ricevere lettere, telegrammi, soldi, alimenti o indumenti, solo da persone direttamente registrate e autorizzate ai colloqui. Per questo motivo per tutto il primo mese di detenzione entrambi non hanno ricevuto neppure il pacco di prima necessità e hanno dovuto arrangiarsi con i vestiti che indossavano. Attualmente il compagno tedesco è autorizzato ai colloqui con i genitori e può dunque comunicare con loro via telefono o skipe e ricevere beni di prima necessità e lettere. La compagna italiana ha inizialmente ricevuto l’autorizzazione a comunicare con i genitori e con il legale italiano, autorizzazione però revocata subito dopo la prima telefonata. Da allora ha un telefono in cella ma non è autorizzata a comunicare con nessuna persona differente dal suo avvocato ungherese e dal funzionario di collegamento dell’ambasciata italiana. Un primo ricorso contro questa decisione è stato respinto, dunque tutto lascia pensare che nei prossimi mesi la sua detenzione continuerà senza possibilità di colloqui e di contatti con l’esterno, se non mediati dall’avvocato del posto. Allo stesso modo anche noi qui fuori, privati di canali diretti con lei, dobbiamo affidarci ad informazioni riportate indirettamente, con tutte le difficoltà che questo comporta nella costruzione della solidarietà. In ogni caso sembra stia bene e, nonostante le difficoltà dei primi mesi di detenzione, ora la situazione appare migliorata. Il primo pacco è stato consegnato e le condizioni detentive sono diventate meno gravose da quando non è più isolata e condivide la cella – non più infestata dalle cimici – in compagnia di una detenuta con cui ha stretto un buon rapporto. Queste novità l’avrebbero portata alla decisione di non sollevare pubblicamente sui media locali il caso della propria situazione detentiva, come in un primo tempo le aveva invece suggerito di fare l’avvocato.
Nell’immediato i mezzi di informazione ungheresi hanno trattato la notizia degli arresti con un certo clamore, col passare delle settimane invece l’attenzione è scemata e il caso sembra al momento seguire procedure ordinarie, per quanto lente e arbitrarie possano apparire. La stessa lentezza nella consegna del pacco di prima necessità e le pessime condizioni sanitarie delle celle non sono da considerarsi frutto di un accanimento personalizzato, ma piuttosto normale amministrazione delle carceri ungheresi. Le indagini rimangono comunque ancora aperte e abbiamo notizia di un interrogatorio senza avvocati, al quale si sono entrambi rifiutati di rispondere.

La Germania

Se sul lato ungherese i riflettori sulla vicenda sembrano essersi spenti, in Germania i fatti di Budapest trovano ancora spazio sui giornali e sono oggetto di indagini parallele da parte della polizia federale. L’ipotesi avanzata è quella di una continuità tra quei ferimenti e altri episodi simili avvenuti in Germania. Con questa giustificazione la polizia ha avviato negli ultimi mesi una serie di perquisizioni negli ambienti antifascisti e spiccato sette nuovi mandati di arresto, agendo di concerto con una campagna mediatica faziosa e aggressiva volta ad accreditare la necessità di inserire i gruppi Antifa tedeschi nell’elenco dei gruppi terroristici riconosciuti dall’Unione Europea. Per contestualizzare meglio questa intensità repressiva occorre sapere che negli ultimi anni il governo regionale della Sassonia si è radicalizzato ancora più a destra, in linea con la più generale tendenza federale, e dopo le forti proteste antifasciste del 2009/2011 proprio in questa regione è stato più volte utilizzato il reato di “associazione criminale” per indagare, perquisire, arrestare compagni legati agli ambienti Antifa. Fino ad oggi nessuna inchiesta era arrivata a processo ma questo tipo di imputazione ha permesso di intercettare centinaia di persone coinvolte direttamente negli eventi o informate sui fatti. Dal 2019 è stata istituita una commissione speciale dedicata agli Antifa (Soko Linx), una mossa elettorale con copioso stanziamento economico che ha rivendicato arresti ampiamente spettacolarizzati nel novembre 2020. Ad aggravare la situazione nel 2021 si è poi aggiunta la figura di un infame che ha iniziato a contribuire attivamente con gli inquirenti. Il processo scaturito da quei fatti dovrebbe arrivare a sentenza proprio a fine maggio 2023 e per la prima volta il capo di imputazione di “associazione criminale” è rimasto sul tavolo delle condanne possibili. Lo stesso gruppo portato a giudizio a Dresda (definito dalla stampa la “banda del martello”) è quello a cui oggi in Germania si vorrebbe attribuire anche la paternità dei fatti di Budapest. Per quanto riguarda nello specifico la compagna italiana arrestata non abbiamo nessun motivo concreto per ritenere che sia al momento coinvolta nel versante tedesco dell’inchiesta.

Prossime tappe

La prossima decisione del pm sulle misure cautelari per i due arrestati di Budapest sarà presa il 14 giugno prossimo. L’avvocato in quel frangente dovrebbe anche presentare una prima domanda per il trasferimento ai domiciliari. Nel caso della compagna italiana c’è chi si sta occupando di trovare per lei casa e lavoro sulla città di Budapest, a questo scopo contatti e suggerimenti sono i benvenuti. Sulla carta esiste anche la possibilità che possa ottenere gli arresti domiciliari nel suo paese di origine, come previsto dalla legislazione europea, e in questo caso le soluzioni abitative non mancherebbero. Lo stesso discorso vale per il compagno tedesco. Se questa prima richiesta non dovesse andare a buon fine, la difesa ci riproverà nel corso del mese di agosto, quando – trascorsi i primi sei mesi di detenzione preventiva – dovrebbe aprirsi per entrambi una possibilità di uscire di prigione.
Nel frattempo i compagni tedeschi stanno progettando una campagna pubblica di solidarietà che speriamo di poter condividere al più presto.
A Milano stiamo pensando ad un incontro pubblico da organizzarsi tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, per provare a farci raccontare quanto sta accadendo in Germania e Ungheria e collegarlo a quanto accade nelle nostre città. Sarà anche occasione per rilanciare una campagna di raccolta fondi necessari per affrontare le spese legali e materiali a cui questa nostra amica e compagna sta andando incontro. Non lasciamola sola!
Seguiranno aggiornamenti…

Invitiamo chi può a contribuire alle spese legali:

MARTINA DEMICHELA
IBAN: IT38G0306930510100000001519
BIC: BCITITMM
CAUSALE: BENEFITBU
PAYPAL: Martina Demichela
Martina.demichela@gmail.com

dieci maggio duemilaventitre
alcuni amici e tante compagne da Milano

ALFREDO COSPITO: PRONUNCIA CORTE COSTITUZIONALE

Pronuncia Corte Costituzionale Alfredo Cospito
SENTENZA N. 94
ANNO 2023

[…] PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come modificato dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui, relativamente ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo, prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2023