AGGIORNAMENTI SU DOMENICO E NATALE IN SCIOPERO DELLA FAME A BANCALI

Domenico Porcelli continua lo sciopero della fame iniziato 5 mesi fa. Ha gli esami del sangue sballati, dolori alle ossa e bassa saturazione del sangue. Non ha ancora ricevuto nessuna risposta dal ministro Nordio. La sua udienza sul 41bis risulta ancora fissata a fine ottobre!

Natale ha interrotto martedì 11 luglio a causa dei suoi valori glicemici. Iniziava ad essere in uno stato soporoso anche di giorno e senza forze, con gravi rischi.

TORINO: PROCESSO SCRIPTA MANENT

La corte di assise d’appello di Torino ha ricalcolato la pena: 23 anni per Alfredo – la procura generale aveva chiesto l’ergastolo – 17 anni e 9 mesi per Anna.

Alfredo continua ad essere recluso in regime di 41bis.

In questo scenario continua ad essere necessario mobilitarsi e lottare con ancora più determinazione.

Le motivazioni delle condanne saranno depositate il 24 settembre.


Su Radio Blackout Gianluca Vitale, difensore di Anna Beniamino: https://radioblackout.org/2023/06/scripta-manent-23-anni-a-cospito-17-anni-e-nove-mesi-a-beniamino/

AGGIORNAMENTI SUI DUE DETENUTI IN SCIOPERO DELLA FAME NEL 41BIS DI BANCALI

Le condizioni di Domenico Porcelli non sono buone: pressione molto bassa, come anche la glicemia, dolori alle gambe, stanchezza costante tanto da essere spesso assopito durante la giornata. Anche l’eloquio non è fluido, ma un po’ biascicante. Dal 28/02 ha perso 16 kg solo di muscoli purtroppo

Un altro detenuto in 41bis ha iniziato lo sciopero della fame dal 12/06, si tratta di Natale che ha perso circa 6 kg. Richiede di essere seguito meglio per la sua patologia e accetterebbe anche un trasferimento in struttura e in isolamento pur di essere curato come deve.

NON LASCIAMO SOLI!

PROCESSO SCRIPTA MANENT: LE DICHIARAZIONI DI ANNA E ALFREDO DEL 19 GIUGNO

Diamo diffusione alle dichiarazioni spontanee rilasciate da Anna e da Alfredo  all’udienza del 19 giugno 2023 presso il tribunale d’appello di Torino, nell’ambito del processo Scripta Manent. Il 26 giugno 2023, a partire dalle ore 12, ci saranno le repliche e, successivamente, verrà emessa la sentenza.  Ricordiamo che il pm ha nuovamente richiesto l’ergastolo e 12 mesi di isolamento diurno per Alfredo e 27 anni e 1 mese per Anna.

Dichiarazione spontanea di Anna Beniamino all’udienza del 19 giugno 2023 presso Corte d’Assise d’Appello di Torino

Dichiarazione Anna 19.06.23 – pdf

Dopo anni di processo, decine di udienze, non mi stanco di continuar a ribadire quanto dichiarato finora, ad affermare alcune semplici e tautologiche verità, contro l’esercizio del falso perpetrato con metodo scientifico nelle aule di tribunale.
Gli anarchici sono antiautoritari. Gli anarchici non sono stragisti e tanto meno difendono azioni stragiste.
Le stragi che sono state perpetrate in questo Paese sono state il frutto avvelenato dell’intrecciarsi di potere politico ed economico, quanto di più lontano dal pensiero e dalle pratiche antiautoritarie.
Siamo in un processo politico per cui non vale la realtà dei fatti ma la potenza delle suggestioni, tanto più è abnorme ed assiomatica l’accusa, tanto è vanificata la difesa.
Si continua a straparlar di stragi ma quella vera è quella compiuta sulla realtà dei fatti. Vi siete inventati i “capi” anarchici, le “associazioni” funzionanti a singhiozzo o strutturate come scatole cinesi in cui non si capisce neppure più quali siano i contenitori e quali i contenuti, le perizie grafiche “probabilistiche” per attribuire i fatti, l’ultima chicca in ordine di tempo è stata la collusione tra anarchici e mafiosi.
I meccanismi argomentativi nell’attribuzione dei reati e nella creazione di profili biografici ad hoc rendono gli scenari orwelliani qualcosa di squisitamente retrò.
Gli inquisitori mentono sapendo di mentire e facendosi scudo della refrattarietà degli anarchici al mercato della giustizia. Giocano sul fatto che l’etica anarchica non è in vendita al miglior offerente.
La macchina infernale della DNA (Direzione Nazionale Antimafia) diventata DNAA (Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo) ha bisogno di scalpi per macinar consenso e per fortificare l’impalcatura della repressione preventiva: servono nemici interni, non importa se costruiti ad arte
con falsità storiche, politiche, fattuali e processuali, se no la macchina rimane senza benzina ed i regimi speciali sguarniti di carne e d’anime.
Oggi è rimasta solo la nostra testa sul piatto, ma non va dimenticato che per anni decine di compagne e compagni sono stati inquisiti e incarcerati in questo ed in procedimenti paralleli che si autoalimentano. Così come è successo per i procedimenti che hanno portato al 41bis per Alfredo
Cospito: crollano le impalcature delle operazioni Bialystok e Sibilla, non ci sono capi e istigatori… però il 41bis rimane.
Colgo una tragica ironia in tutto questo: i vari inquisitori si impappinano non conoscendo bene neppure la sostanza dell’accusa, infarciscono le loro carte di palesi falsità e contraddizioni, basta arrivare al risultato. Nulla di strano: è l’etica malata di quest’epoca dove si santifica il profitto assassino e si criminalizza la povertà.

Roma, 19 giugno 2023
Anna Beniamino

Dichiarazione spontanea di Alfredo Cospito all’udienza del 19 giugno 2023 presso Corte d’Assise d’Appello di Torino

Dichiarazione Alfredo 19.06.2023 – pdf

Questa mia dichiarazione è strettamente legata al processo perché entra nel merito del trattamento sanzionatorio che mi avete inflitto. Trattamento sanzionatorio incostituzionale e che contraddice le vostre stesse leggi. Trattamento sanzionatorio il 41 bis che stravolge il senso stesso della mia carcerazione, imponendomi una censura insensata che limita il mio diritto alla difesa.
È evidente a tutti come la mia vicenda processuale sia stata usata come una sorta di clava da una parte politica “il governo” contro un’altra parte politica la cosiddetta “opposizione”. Il mio trasferimento all’ultimo momento da una sezione ad un’altra in previsione dell’arrivo dei parlamentari PD ne è un esempio lampante. Che dimostra come sia stato strumentalizzato il DAP e il 41 bis per fini politici.
Questi fatti sono strettamente legati a questo processo perché sono il prodotto delle dinamiche politiche passate che hanno portato alla nostra accusa e condanna spropositata per strage politica. Il tapparmi ora la bocca, nell’unico momento in cui posso difendermi vorrebbe dire avvallare questa deriva pericolosa e totalitaria. Prima di parlare di Fossano e della cosiddetta “strage” (anche se c’è poco da dire basterebbe guardare le immagini dei danni della tremenda esplosione) per soli due minuti mi toccherà accennare a tre morti di due delle quali in qualche modo sono responsabile, la terza morte quella di Cosimo è avvenuta al centro clinico di Opera, reparto 41 bis.
Sono tutte morti legate alla mia vicenda perché legate all’impunità del regime in cui da un anno mi tocca lottare e sopravvivere per non soccombere. Non posso tacere, lo devo ai condannati a morte rinchiusi in quel centro clinico, lo devo a chi è stato lasciato morire e a chi in questo momento nel carcere di Sassari si sta lasciando morire per far sentire la propria voce. Lo devo a Domenico Porcelli in sciopero della fame da 4 mesi. Al suo fianco i figli e Maria Pintus il suo avvocato. A sostenerlo sono quei pochi rivoluzionari anarchici, comunisti e indipendentisti sardi che a costo di galera e repressione si battono contro il 41 bis. Domenico per lo stato è un mafioso quindi indifendibile carne da macello, per lui la costituzione non vale. Per lui nessuna stucchevole passerella di politici, nessuna attenzione dei media. Ne sono certo Domenico non farà notizia neanche da morto. Come d’altronde è già successo a due poveri cristi morti uno dietro l’altro di sciopero della fame nel carcere di Augusta. E di cui mi sento responsabile, perché influenzati dalla canea mediatica che ha seguito il mio sciopero hanno azzardato scivolando velocemente verso la morte. Le loro morti non hanno destato alcuno scalpore, un silenzio complice ed osceno le ha avvolte. Uno di loro era un cittadino russo e chiedeva semplicemente di essere rimpatriato. Immaginate cosa sarebbe successo se a morire di fame in un carcere russo fosse stato un italiano…associazioni umanitarie e media avrebbe scatenato il finimondo. Invece la sua morte è passata inosservata, l’indifferenza è stata totale, rivelando la faccia ipocrita, razzista, imperialista dell’occidente. La faccia ipocrita dello stesso stato etico che per tenere nascoste sue vecchie complicità mantiene in piedi il baraccone degli orrori del 41 bis. Un segreto di pulcinella che sono 30 anni che resiste, che nessuno ha il coraggio di affrontare, chi tocca muore …e che finirà nella volontà di chi l’ha ideato solo quando l’ultimo testimone di quell’accordo fra stato e mafia sarà morto e seppellito tra queste mura.
Certe volte ho il dubbio che è il sistema stesso che voglia essere raccontato, perché altrimenti trasferirmi ad Opera in quello che Nordio ha avuto il coraggio di definire come una struttura medica di eccellenza. Un caotico e mortale baraccone dove vecchi e moribondi vengono parcheggiati in solitudine in attesa della morte. In questa sottospecie di manicomio nei corridoi piove, l’estate si muore dal caldo, l’aria condizionata non funziona, l’inverno si muore dal freddo. Alle finestre bocche di lupo, scarafaggi, formiche, zanzare impazzano tormentando persone allettate, paralizzate, anziani, moribondi, ciechi. Tra il giugno e l’ottobre del 2022 in un centro clinico che può “ospitare” 12 persone in 6 non ce l’hanno fatta, non sono sopravvissuti. Se si è fortunati qualche giorno od ora prima dalla morte si viene traferiti in ospedale dove il trattamento è più umano, ma dove si muore sempre tra estranei senza l’affetto dei propri cari. Tutto è sulle spalle dei ragazzi e delle ragazze che si occupano di pulire e si arrabattano tra pannoloni e medicinali, e gli infermieri-e che cercano di fare del loro meglio ma sono in pochi. La dottoressa responsabile scarica la propria responsabilità sugli infermieri, dandosi spesso per malata cosa abbastanza imbarazzante. Naturalmente parlando di detenuti in situazioni sanitarie precarie dove basta essere trascurati un tantino in più per vederti scivolare verso la morte, le obiezioni da parte dei malati scarseggiano. Ma qualche detenuto impavido ha protestato ed i tribunali gli hanno dato ragione, ma parlando di 41 bis, di un mondo a parte e di figli di un dio minore tutto è rimasto invariato.
Nessuno dovrebbe morire isolato in una cella, sotto l’occhio freddo di una telecamera che lo filma in stanza 24 ore su 24. Come è successo nel giugno del 2022 a Cosimo Di Lauro. Questo detenuto è morto di inedia, non era in sciopero della fame, semplicemente aveva smesso di bere e mangiare, secondo le testimonianze che ho ascoltato, e non solo da detenuti, “non ci stava con la testa”. Una mattina la guardia lo trova morto, monitorato in cella da una telecamera, la sua agonia filmata, senza che nessuno muovesse un dito. Di Lauro non arrivò mai in ospedale, al contrario del sottoscritto trasportato in ospedale al minimo accenno di malore anche se non in pericolo immediato di vita. Cosimo un semplice “mafioso” ed in più non in grado di ragionare e di far valere i propri diritti venne lasciato morire. Venne aperta un’indagine, vennero prese delle testimonianze anche quelle di un coraggioso detenuto, ma tutto venne insabbiato, fino ad oggi almeno…..
Quante cose ho visto in questo mio anno di 41 bis. Non sono solo le morti ad essere insabbiate ma può capitare che il 41 bis sia strumentalizzato per altri fini. E questo uso “improprio” insabbiato. Ad essere insabbiato il fin troppo chiaro uso del DAP da parte del governo per dare addosso alla cosiddetta “opposizione”. Sto parlando della passerella dei deputati del PD a Sassari e l’uso strumentale da parte del governo delle informative del DAP che mi riguardavano per dare addosso al PD. Per capirci la stupida piazzata di Fratelli D’italia in parlamento E’ indicativo il mio trasferimento appena qualche giorno prima dell’arrivo dei parlamentari (di cui sono certo, il governo era a conoscenza) da una sezione “tranquilla” in cui passavo le giornate in solitudine in una sezione dove nell’ottica distorta del DAP vi erano i pezzi “grossi” di Sassari, i cosiddetti boss. Che detto tra parentesi hanno fatto di tutto per convincermi a smettere lo sciopero, e che poi sono stati messi alla gogna mediatica per colpa mia. Nessuno mi toglierà dalla testa che il DAP sia stato “ispirato” dal governo. Appena dopo la visita dei parlamentari la sezione fu smembrata ed io trasferito ad Opera. Quante ingenue trappole mi sono state tese che poi regolarmente si sono ritorte contro il sistema stesso.
Sequestro di appunti processuali trasformati in pizzini, l’accusa ridicola di un’alleanza fra mafia e anarchici, l’accusa surreale di aver fatto finta di fare lo sciopero.
La convinzione che mi sono fatto in questo anno è che il 41 bis non abbia il reale obiettivo di spezzare il fenomeno delle organizzazioni criminali. Ma mettere il bavaglio ad una generazione di mafiosi, che lo stato 30 anni fa ha usato e poi tradito. Rinchiudendoli qui dentro fino alla morte che gli tapperà la bocca per sempre, e questo per la paura che una volta fuori i segreti oscuri della repubblica possano essere svelati.
Questo è come dicevo il segreto di pulcinella che sta dietro l’intoccabilità di questo regime.
Il 41 bis verrà tolto, quando l’ultimo testimone scomodo di quell’epoca sarà morto. Questo naturalmente se non verrà esteso al resto del cosiddetto “sistema giustizia”, la barbarie tende a dilagare, e può sfuggire di mano. Tra mafia e stato molte similitudini, volontà egemonica, monopolio della violenza, gerarchia, autoritarismo. Ma poi una volta qui dentro mi sono reso conto che oltre a queste caratteristiche comuni indubbie si aggiunge una sorta di “peccato originale” che abbisogna di un sistema liberticida come il 41 bis per tenere insieme i cocci, senza il quale il sistema nel suo complesso si sfalderebbe. Consiste proprio in questo l’intoccabilità del 41 bis, il suo essere diventato il punto nevralgico di tutto il sistema democratico totalitario, la vera faccia della repubblica italiana.
Per il resto che dire….nulla è cambiato, le foto dei miei genitori sequestrate un anno fa qui a Sassari, e restituite col timbro della censura al mio arrivo ad Opera, di nuovo trattenute al mio arrivo a Sassari. Niente musica, la mia richiesta di comprare un lettore cd rigettata dalla direzione del carcere. A quanto pare libri e musica continuano ad essere visti dal DAP come qualcosa di sovversivo ed in fondo non hanno tutti i torti.
Da quando sono al 41 bis non tocco un filo d’erba, un albero, un fiore solo cemento, sbarre e tv. Negli ultimi mesi con grande fatica sono riuscito a comprare un solo libro, e solo perché di me parlavano i media. I colloqui una sola volta al mese col vetro e con la voce metallica dei citofoni. Le mie sorelle e mio fratello che sono gli unici che possono venire a trovarmi vengono al loro arrivo incerottati sui tatuaggi e sugli orecchini, perché potrebbero comunicare messaggi criptici attraverso i disegni tatuati.
Comunque queste mie rimostranze diventano ridicole, dopo quello che ho visto al centro clinico di Opera. Ho visto con i miei occhi lo stato che si pretende etico applicare la legge della ritorsione su vecchi e malati, inermi e semi infermi di mente.La mia richiesta ingenua di libri, musica, periodi anarchici, scientifici, storici ed un prato dove correre e di qualche albero diventa risibile quasi stucchevole. Me ne rendo conto.

Abolire il 41 bis
Grazie compagni e compagne
Sempre per l’anarchia

AGGIORNAMENTI SU ZAC E PRESIDIO A TERNI

Diffondiamo:

Un aggiornamento su Zac. A seguire un testo e la chiamata del presidio al carcere di Terni del 25 giugno 2023.

È stata fissata per il 20 settembre a Roma l’udienza del ricorso in cassazione all’esito del riesame del 6 aprile, che ha confermato la misura cautelare in carcere per Zac.

Per scrivere a Zac:
Marco Marino
C.c. di Terni
Via delle Campore,32
05100 Terni (TR)


Per un mondo senza galere e senza la società che le produce.

Qui il testo pdf

Il 28 marzo il compagno anarchico Zac è stato arrestato in maniera preventiva a seguito di un’indagine ancora in corso per 270 bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo), che coinvolge altre 13 persone, disposta inizialmente dai PM Antonio Ardituro e Gianfranco Scarfò e poi rilevata dal PM Maurizio De Marco. Zac viene accusato di 280 bis (atto di terrorismo con ordigni micidiali e esplosivi) e 270 quinquies (autoaddestramento) per un’azione incendiaria avvenuta il 4 marzo 2021 davanti al consolato greco di Napoli, collocata dall’accusa all’interno della campagna di solidarietà con il prigioniero rivoluzionario Dimitris Koufontinas, all’epoca in sciopero della fame nelle carceri greche. Il 3 aprile Zac è stato trasferito dal carcere di Secondigliano alla sezione di Alta Sicurezza (AS2) del carcere di Terni, e si trova in cella con Juan, compagno anarchico condannato in secondo grado a 14 anni di carcere dal tribunale di Treviso, perché accusato di un attacco esplosivo contro la sede della Lega nord di Villorba (Treviso). Cioè contro i responsabili stragisti della morte di migliaia di migranti lasciati affondare nel Mediterraneo, e di un decreto sicurezza che ha portato fino a 12 anni le pene possibili per i picchetti e i blocchi stradali. Infami promotori di un delirante securitarismo di destra, che fa coppia fissa col più ottuso giustizialismo di sinistra, come volti indistinguibili di una società sempre più carcerogena.  Vogliamo quindi ribadire la nostra solidarietà e complicità con Zac e Juan, con chi è accusato/a di attaccare il sistema economico-politico di carcere e frontiere, e con chiunque si ribella alle imposizioni di questa società. Sempre al fianco di chi lotta e contro chi si arricchisce soffiando sui venti di guerra. Contro chi crede di aver già scritto e prescritto un futuro tecno-militare di controllo totale, calando ogni giorno un po’ di più la ghigliottina atomica sospesa sulle nostre teste e usando lo stato di emergenza permanente (covid, terrorismo, clima, guerra, immigrazione) come tecnica di governo. Ma senza aver fatto i conti con l’imprevedibilità del vivente, che non può rientrare in alcun calcolo predefinito e definitivo. Che i loro conti non tornano lo hanno dimostrato tanto i fiumi che hanno rotto gli argini, portando a galla anni di cementificazione della natura e ingegneria ambientale senza scrupoli, quanto le quotidiane resistenze nei lager di Stato (carceri, cpr e simili). La richiesta di più secondini e corpi speciali avanzata dai servi sindacali in divisa non basterà a prevenire l’insorgere dell’imprevedibile. Come non servirà il miserabile tentativo di psichiatrizzare la tensione anarchica come patologica “condotta” di personalità disfunzionali. Disfunzionali ad alimentare questo stato di cose lo siamo di certo, ma non c’è categoria giuridica o psicologica che può costringerci nella sua morsa, o che può anche solo presumere di riuscire a dire chi siamo, cosa facciamo e cosa vogliamo.  Contro i responsabili della devastazione di interi territori, garanti della pacificazione di ogni conflittualità sociale e armatori della guerra alla natura e ai poveri. Lobotomici funzionari e religiosi soldati del grigio esercito della servitù volontaria. Megalomani disagiati che scambiano l’innovazione scientifica per creazione divina, e la legge di legno della Giustizia per Grazia dei cieli. Fanatici crociati in prima linea sul fronte dell’avanzamento tecnologico eletto a fede, che intende spazzare via ogni residuo non macchinico di autorganizzazione e autodeterminazione, che vorrebbe schiacciare ogni contenuto sovversivo e riproducibile della storia su un eterno presente di cieco progresso, sempre uguale a sé stesso nella sua logica espansiva, in cui non c’è tempo né spazio per immaginare e desiderare alcun futuro altro. Ma tanti dei rivoluzionari imprigionati da decenni nel carcere di Terni rendono irriducibile la memoria delle lotte che si vorrebbero condannate all’oblio. Costruttori di armi e distruttori di sogni. A sentirsi davvero in pericolo sono loro. La scintilla della solidarietà che potrebbe minacciare interessi economici, ordine politico, obbedienza civile e guadagni militari è infatti il principale obiettivo degli attacchi repressivi – spesso preventivi – contro anarchiche e anarchici. L’accusa di pericolosità sociale con cui lo Stato vorrebbe mettere definitivamente al bando l’anarchia, in quanto pensiero radicalmente pratico, e giustificare nuove misure repressive, non è che il goffo tentativo di prevenire e punire l’esplosione di reti e pratiche di solidarietà tra e verso chi si ribella in questo mondo. In particolare, la solidarietà manifestata nei confronti di Alfredo, prigioniero anarchico che nel 2012 ha rivendicato il ferimento dell’allora Amministratore Delegato di Ansaldo Nucleare, uno dei responsabili della produzione di morte atomica. Dal carcere sardo di Bancali a quello milanese di Opera, Alfredo ha lottato con uno sciopero della fame di sei mesi contro ergastolo ostativo e 41 bis, che sono solo “il grado estremo di accanimento dei regimi differenziati: carceri dove l’isolamento continuato e il sovraffollamento delle sezioni comuni sono le due facce di un sistema teso ad annullare l’individuo. Carceri dove le stragi, quelle vere, si sono verificate e si verificano: nella repressione delle rivolte del 2020, nello stillicidio di suicidi, nel trattamento dei più poveri e fragili tra i prigionieri come “materiale residuale” della società tecno-capitalistica imperante” (dichiarazione di Anna, prigioniera anarchica nel carcere di Rebibbia). La lotta contro il 41 bis non si è conclusa con la fine dello sciopero della fame di Alfredo, che si trova ancora sottoposto a questo infame regime. Né crediamo che sia sufficiente la contestazione “democratica” e benpensante contro questo strumento di condanna a morte, considerato legittimo quando viene applicato ai cosiddetti boss mafiosi, a cui lo Stato stringe la mano, per poi rinchiuderli in una tomba da cui si esce solo con l’abiura e il pentimento, cioè barattando la propria libertà con quella di qualcun altro; o l’umanitarismo ipocrita di chi, appellandosi all’incostituzionalità dei regimi più duri, rivendica un carcere “più giusto”, come luogo di rieducazione (ma poi a cosa? Ai principi di una società che produce morte e devastazione a ogni latitudine?). Il 41 bis e l’ergastolo sono la punta dell’iceberg di un universo carcerario fatto di annientamento fisico e psicologico, che deve essere abbattuto dalle fondamenta. Sappiamo bene che salvare la facciata della democrazia amputandone le terminazioni più cruente non renderà il mondo un posto più libero. Siamo convinte/i che il carcere stesso e non solo i suoi eccessi sia il prodotto non riformabile di una società che opprime. Ai vertici di quest’ultima troviamo la magistratura antimafia e antiterrorismo con la sua presunzione di intoccabilità, che ottiene sacrosanto potere politico, altissima gloria mediatica, grasse carriere e soldi a profusione costruendo teoremi di supercazzole. Con lo scoppio della guerra tra imperialisti occidentali e russi e la conseguente esasperazione della “crisi” economica, la repressione è aumentata in modo da arginare ogni potenziale conflittualità interna agli stati, anche grazie all’accelerazione della pacificazione sociale che è passata per la gestione iperautoritaria del covid con misure fino a quel momento ritenute inaccettabili, come lockdown, coprifuoco, green pass, obbligo vaccinale, divieto di manifestazione. Pandemia, nucleare, economia di guerra: questi i terreni su cui sperimentare il controllo sulle popolazioni secondo logiche militari, e dare il colpo di grazia a ogni forma di opposizione attraverso l’applicazione di strumenti emergenziali di irreggimentazione di massa. Proprio l’accettazione sociale di questi ha reso possibile isolare e stigmatizzare quelle poche frange di persone che non hanno voluto adeguarsi a un sistema asfittico e impersonale. Si è così permesso allo stato di spogliarsi delle pur poche ipocrisie garantiste, dando inizio a una caccia spietata verso quelle minoranze politiche che hanno continuato ad avere una voce dissenziente all’interno del deserto che chiamano società. Non a caso nell’ultimo anno operai, studenti, organizzazioni sindacali, disoccupati e movimenti sociali hanno subito pesanti attacchi da parte della magistratura con denunce, condanne e arresti, come quello di sette sindacalisti delle organizzazioni di base la cui lotta per il miglioramento delle condizioni lavorative è stata equiparata al reato di “estorsione” e la rabbia ai tempi del covid messa sotto accusa con l’“aggravante camorristica” (negli scontri di ottobre 2020 a Napoli per esempio). Imbarazzanti capriole linguistiche vomitate dalla fusione di antiterrorismo e antimafia. Tocchiamo oggi con mano come la progressiva sparizione della conflittualità non ha fatto altro che peggiorare le condizioni di vita, alimentare sistemi di sfruttamento e controllo, così come di sofferenza e disagio. Mentre si agita l’emergenza del terrorismo islamico, del terrorismo rivoluzionario e del sistema mafioso riempiendo le galere di mezza Italia, vengono intanto criminalizzate intere comunità di islamici e meridionali, le loro reti affettive e lavorative, di sopravvivenza materiale e culturale, solidarietà, recalcitranza (verso lo Stato), innanzitutto perché storicamente migranti e colonizzate, poco integrabili, povere, ricattabili, sfruttabili, e quindi condannabili. E al tempo stesso la critica e la violenza rivoluzionaria vengono mostrificate dalla retorica infamante delle inchieste giornalistico- giudiziarie antianarchiche costruendo immagini consumabili via cavo che azzerano ogni concetto critico, mentre la condivisione degli stessi ideali viene costipata nella categoria giuridica di “associazione terroristica”. Lo Stato colpisce gli/le anarchici/che non necessariamente e non solo per l’effettiva offensività o per la disponibilità al rischio mostrata anche nei momenti più bui della storia recente di questo Paese, ma come monito e laboratorio di pratiche repressive con cui liquidare ogni forma di dissenso e ogni individualità che resiste al setaccio. Del resto, inesorabile destino del re è quello di rimanere nudo a ogni giro di vite. Per quanto l’ipocrisia democratica vorrebbe a tutti i costi conciliare autorità e libertà, con bastone in pugno e carota alla mano, esse restano del tutto incompatibili. Basta già solo uno sforzo di logica per intuirlo. La menzogna sistematica che si fa Stato è al servizio del potere di pochi, e per questo non ha niente a che vedere con la libertà. Quindi non riconosciamo e non ci interessa la distinzione tra colpevoli e innocenti, che è degno prodotto di questa cultura, puro arbitrio dell’Inquisizione, e trappola verbale di un linguaggio manipolato e manipolatorio costruito ad arte per far piovere anni di galera su chi non si è integrato a dovere. Spezziamo l’isolamento carcerario imposto dalla tecnocrazia che chiude a chiave i corpi e militarizza le menti dentro e fuori le mura di questa galera a cielo aperto. Non potranno disporre mai a loro pieno piacimento della vita di chi la libertà se la porta dentro e l’ha condivisa qui e ora, in anni di lotte, amore e rabbia.

Per un mondo altro da questo e una vita senza capi, né sbirri, né sbarre. Al fianco di tutti i rivoluzionari e rivoluzionarie prigioniere/i nelle carceri di tutto il mondo Finché ogni gabbia non sarà distrutta.

ASSEMBLEA NAPOLETANA CONTRO CARCERE E REPRESSIONE

25 GIUGNO 2023, ORE 15:00 PRESIDIO AL CARCERE DI TERNI

LA SOCIETÀ INDUSTRIALE E IL SUO FUTURO

Il 10 giugno 2023 è morto in una prigione federale statunitense Ted Kaczinsky. Ci fa rabbia che dopo anni tra i boschi sia stato costretto a finire i suoi giorni in una cella. Al di là delle spettacolarizzazioni da tribuna social e dei feticismi di chi non sa stare senza idoli, vogliamo solo dire che il suo ricordo, i suoi scritti e le sue azioni resteranno vive a lungo nei cuori di chi si rivolta.

Qui il pdf di La società industriale e il suo futuro, T. Kaczynski.