NÉ STATO NÉ DIO, SUL MIO CORPO DECIDO IO

Riceviamo e diffondiamo:

Siamo le gattare sfascia famiglie che abitano gli incubi dei Pro Life e dei cattofascisti della nazione.

Nel giorno del 44esimo anniversario dall’approvazione della Legge 194 ci riprendiamo lo spazio pubblico e decidiamo di decorare i luoghi in cui si riproduce la violenza antiabortista sui nostri corpi: una delle sedi del Movimento per la Vita, l’ospedale Maggiore e una farmacia notoriamente antiabortista, per ribadire che vogliamo #moltopiùdi194!

La legge 194 non garantisce sempre e per tutt* l’accesso all’aborto; è in sé problematica, ipocrita e contraddittoria, predisposta per sua natura ad attacchi e boicottaggi interni. Per la legge l’aborto è una concessione ammessa solo per motivi di salute, economico-sociali e per rischio vita (art. 4): in nessun caso è ammessa una motivazione come “non voglio diventare madre”. Noi ci opponiamo a ogni tentativo di subordinare le donne al ruolo di cura all’interno della famiglia tradizionale – bianca, eterosessuale, ri-produttiva e maschilista – e alla maternità come destino biologico. Dobbiamo rispondere a medici che vagliano la nostra condizione e le nostre capacità decisionali. L’art. 5, infatti, introduce un limite – che veste il camice del medico – alla nostra autodeterminazione: i sette giorni di riflessione. Non rimane che chiedersi: prima di quei sette giorni non eravamo capaci di prendere decisioni? È potere del medico illuminarci d’un tratto?

L’art. 9 sull’obiezione di coscienza, cosa fa se non consegnare al personale medico-sanitario il potere di decidere per noi? Non ci sono parametri o soglie d’allarme: il risultato è che potremmo ritrovarci senza più personale non obiettore, superando anche il 90% in alcune province. Il piano dei neofondamentalisti risulta chiaro: non chiedono l’abrogazione della legge, ma si alleano con medici e istituzioni, tutelati dalla legge stessa. È del resto la stessa 194 con l’art. 2 che dà il lasciapassare al Movimento per la Vita per strutture sanitarie pubbliche, permettendo loro di finanziare e aprire i loro CAV in consultori e ospedali pubblici.

Gli attacchi all’aborto portati avanti in un’ottica familista sono legati all’organizzazione complessiva della società fatta di violenza e oppressione. Dietro la rivendicazione ideologica della nazione bianca si nasconde razzismo istituzionale e odio nei confronti delle soggettività LGBT*QIA+ : mentre alle donne viene negato l’aborto per riprodurre lo stato nazione nella sua bianchezza, le persone migranti vengono respinte e le persone LGBT*QIA+ diventano il bersaglio del cattofascismo di chiesa e stato.

La legge 194 implode nelle mani di cattolici e obiettori e i diritti sessuali e riproduttivi delle persone LGBTQIA+ non versano in condizioni migliori. Noi rigettiamo l’idea della mera difesa di una legge costruita con un compromesso storico sui nostri corpi e desideri.

Non lo volevamo in passato e non lo vogliamo oggi! Ci alleiamo all* compagn* argentin*, irlandes*, polacch*, rumen*: non siamo incubatrici della nazione, non ci limitiamo a difendere le poche e cattive leggi esistenti, abbiamo bisogno di #moltopiùdi194!

NOI FACCIAMO PARENTELE NON POPOLAZIONE SIAMO GATTARE ABORTISTE, ANTIFASCISTE TRANSFEMMINISTE E PER NOI VALE UNA SOLA LEGGE: L’AUTODETERMINAZIONE!

Compagne transfemministe

Niente da spartire

Di seguito diffondiamo un volantino distribuito ieri a Bologna:

NIENTE DA SPARTIRE

– Niente da spartire nè col machismo omofobo, transfobico, misogino e assassino di Putin, nè con la chiamata alle armi del buon padre di famiglia Draghi e dei suoi alleati Nato pronti a dividersi il mondo a costo di un bagno di sangue.

– Niente da spartire con le analisi geopolitiche, non è affar nostro scegliere sull’altare di quale stato e a quali interessi si può sacrificare la vita delle persone.

– Niente da spartire con i mercanti e produttori di armi, prestigioso comparto dell’export Made in Italy che fanno soldi a palate e non hanno cessato i loro sporchi traffici neanche un giorno in piena pandemia, attività essenziali, dicevano, mentre milioni di persone vivevano confinate nelle loro case senza deroghe a costo di sofferenze mentali e fisiche.

– Niente da spartire con l’economia della guerra su cui il capitalismo strutturalmente si regge.

– Niente da spartire con lo spettacolo della guerra. I media sciacalli vanno in cerca instancabilmente di immagini e storie tragiche da dare in pasto all’opinione pubblica al servizio della propaganda guerrafondaia dell’Occidente.

– Niente da spartire con il pietismo sulle badanti ucraine che fino a quando non sono diventate funzionali alla narrazione dei governati di casa nostra erano invisibili, democraticamente sfruttate e ricattatte col cappio al collo dei permessi di soggiorno.

– Niente da spartire con il razzismo dell’accoglienza per cui sulla linea del colore si decide chi far passare e chi far inseguire coi cani alle frontiere e far morire in mare.

– Niente da spartire con i signori del nucleare e della guerra (che sono gli stessi, fatalmente) quelli che di mestiere producono devastazione ambientale e morte.
Sono il problema e non la soluzione.

– Niente da spartire con chi ha fatto dei nostri territori una polveriera disseminando basi Nato massicciamente nel sud dell’italia e nelle isole,e reprimendo duramente chi vi si oppone. In queste periferie dell’impero, a Taranto, in Sardegna e in Sicilia le acciaierie e l’industria pesante avvelena e fa ammalare ad ogni respiro e uno dei motivi per cui non si può dismettere è la natura “strategica” della produzione per l’autarchia dell’industria bellica.

Sappiamo di vivere in un mondo che si regge sulle stragi in mare, al lavoro, nelle carceri, nelle case, nei campi di concentramento ai confini dell’Occidente in cui milioni di persone vengono usate come strumenti di pressione e merce di scambio, una guerra a bassa intensità in cui, come per la pandemia, il problema dei governanti è stabilire quante morti e quanta sofferenza è “tollerabile” dalla società civile come danno collaterale procurando di spostare il limite sempre un po’ più in là.
Sappiamo altresì che la rimozione collettiva di questa ferocia serve allo Stato per conservare saldamente il primato della violenza.

Guerra alla vostra guerra e Guerra alla vostra pace

Niente da spartire – pdf

Taser in arrivo

A Torino dal primo febbraio la polizia sarà dotata del “taser”, la pistola elettrica che paralizza e stordisce chi viene colpito. Fa parte della dotazione di armi “non letali” di cui sono equipaggiate le polizie di mezzo mondo. In realtà, i dati dei paesi come gli Stati Uniti, dove questi aggeggi sono utilizzati da molti anni smentiscono la non pericolosità di queste armi, perché il numero dei morti ha ormai superato il migliaio. Persone colpite ripetutamente, cardiopatici, persone fragili rischiano di morire se colpite da queste armi di “deterrenza”.
Non solo. I poliziotti verranno dotati di telecamere sistemate sui caschi e le divise: un ulteriore sistema di controllo che le forze del disordine statale potranno accendere e spegnere a piacimento per meglio reprimere le lotte.

Qui l’approfondimento su RADIO BLACKOUT


Non solo Torino:

Dopo la sperimentazione avviata a settembre 2018, anche la polizia bolognese, a partire da metà febbraio, avrà in dotazione la pistola elettrica. Idem le volanti della questura di Forlì-Cesena e del commissariato di Cesena e presto anche la polizia della provincia di Modena.

Ad aggiudicarsi la gara per la fornitura di 4482 pistole elettriche su tutto il territorio nazionale l’azienda Axon.


La pistola elettrica si andrà ad aggiungere alla dotazione già in uso consegnando nelle mani delle forze dell’ordine un ulteriore dispositivo potenzialmente mortale, e quindi aumentando, non diminuendo, la potenzialità offensiva e letale di guardie e polizia.

Non tutti sanno che il nome T.A.S.E.R. non si riferisce propriamente all’arma ma al nome dell’azienda che l’ha prodotta e messa in commercio (diventata poi AXON), si tratta dell’acronimo di Thomas A. Swift’s Electronic Rifle, romanzo pubblicato nel 1911, l’azienda si sarebbe ispirata a quest’avventura per il nome della sua ‘impresa’.

Ma vediamo, questa impresa,  dove affonda le sue radici:

Tom Swift e il suo fucile elettrico; oppure Daring Adventures in Elephant Land

Un’ avventura imperialista sullo sfondo di un continente africano rappresentato come selvaggio e oscuro, dove il protagonista, Tom Swift, sviluppa un fucile elettrico per la caccia all’avorio.

L’Africa nel contesto del libro esiste solo come territorio di conquista, le comunità nere locali,  rappresentate come a malapena umane, possono essere saccheggiate, depredate, controllate, guidate o uccise, a completa disposizione dei conquistatori bianchi e “civili”.


Altri riferimenti sul taser:

QUANDO LO STATO SPARA SULLA FOLLA
Le armi non letali come ingrediente della repressione (Qui)

TASER: ARMA A IMPULSI ELETTRICI
Storia, introduzione in Italia, autodifesa (Qui)

TASER
Repressione da shock
Aperiodico del Collettivo Antipsichiatrico Senzanumero (Qui)


BOLOGNA: GUERRA ALLA DROGA

Il Procuratore Amato annuncia un’ulteriore stretta autoritaria per quanto riguarda… la guerra alla DDDdroga, dice: ” Se non cessa la domanda, non può cessare l’offerta”.

“Dobbiamo occuparci non solo di chi spaccia, ma anche di chi consuma […] nel momento in cui al divieto di fare uso di sostanze venissero associate delle sanzioni, pecuniarie o interdittive, anche l’assuntore avrebbe consapevolezza della sua responsabilità. Un ragazzo, di fronte al rischio di una ‘punizione’, come ad esempio il divieto di frequentare locali per un determinato periodo o il sequestro della macchina, probabilmente ci penserebbe due volte prima di fumare uno spinello”.

Tutto questo servirebbe – come no – per “sensibilizzare sugli ‘effetti collaterali’ connessi all’uso di sostanze”.

Una ‘salute’ e una ‘prevenzione’ che fanno sempre più rima con repressione. Ci si abitua sempre più ai ‘cani antidroga’ nelle scuole, a controlli polizieschi su adolescenti nei parchi, a vessazioni e abusi da parte delle forze dell’ordine.

“Il popolo è minorenne, la repressione è il nostro vaccino, repressione e civiltà.”

Si pensa anche alla possibilità di una sanzione ‘retroattiva’: non solo per chi è sorpreso in flagranza a consumare ma anche per chi risulta aver assunto sostanze, a seguito di analisi.

Facendo leva su una ‘responsabilità personale’ che vede nell’uso/abuso di sostanze psicotrope un comportamento “pericoloso” da punire attivamente, si propongono sanzioni pecuniarie o interdittive da applicare soprattutto in un’ottica “preventiva”, come non allontanarsi dall’abitazione prima o dopo un certo orario, il divieto di frequentare determinati locali pubblici, l’obbligo di presentarsi in orari precisi agli uffici di polizia.

Nonostante i laboratori antiproibizionisti da oltre 20 anni indichino come l’unico modo per stroncare alla radice i narcotraffici sia la depenalizzazione della coltivazione di cannabis per uso personale e il commercio legale delle foglie di coca – come chiedono le popolazioni indigene sudamericane da decenni – le politiche repressive e la caccia alle streghe su categorie sociali già marginalizzate e stigmatizzate non si arresta, anzi, li arresta.

Oltre il 35% della popolazione detenuta è in carcere
per violazione della legge sulle droghe, circa il 30% della popolazione carceraria fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia del tanto declamato ‘recupero sociale’).

Questo è accaduto grazie a leggi repressive come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini.

La Fini Giovanardi è stata stracciata dalla corte costituzionale nel 2014, esiste ancora la 309/90, che il referendum nel 2022 potrebbe ‘migliorare’   – ma solo in parte – depenalizzando uso personale e coltivazione.

La proposta medioevale del procuratore Amato mette in luce tutta l’ipocrisia di un sistema fatto per rimanere tale: tabacco 70mila morti l’anno, alcool 40 mila, eroina circa 168, cocaina 63 , cannabis zero, ma sulle sostanze ‘legali’ si può lucrare accettando tangenti dagli spacciatori autorizzati.

Sebbene enti come le Nazioni Unite abbiano già dichiarato sulla carta diversi anni fa il fallimento della ‘Guerra alla Droga’ – il consumo zero è fantasia – continuare a fare ‘la guerra ‘a chi usa sostanze non solo lede i più fondamentali diritti umani ma  toglie la possibilità di contrastare le narcomafie che hanno proprio bisogno del proibizionismo per alzare i prezzi.

Mentre si incarcerano i piccoli spacciatori, si perseguono i consumatori e le morti per overdose passano inosservate, si lascia intaccato un giro miliardario che evidentemente fa comodo così.

Lo stato di emergenza non perdona,  la stretta autoritaria non solo continua ma minaccia di amplificarsi a dismisura senza trovare argine alcuno.

Nessunx è al sicuro. Lo Stato è la vera ‘droga’, l’autodeterminazione è la risposta!

Piu info: Lab57  https://lab57.indivia.net/
(Laboratorio Antiproibizionista bolognese)

Contro i fascisti sempre, coi servi dei padroni mai

Sull’attacco fascista alla sede della CGIL

Se la nostra solidarietà va alle lavoratrici e ai lavoratori, non certo va alla CGIL, burocrazia sindacale nemica degli sfruttatx. Fasci appesi sempre, ma coi servi dei padroni mai.

Non abbiamo mai sottovalutato la presenza fascista in campo anche in questa fase pandemica, per questo non abbiamo mai rinunciato alla lotta.
Questo attacco è segno dello spazio lasciato a chi è abile a strumentalizzare il malessere generato dall’emergenza.

E’ dall’inizio della pandemia che l’abdicare dei movimenti a qualsiasi confronto/conflitto circa le possibilità di autodeterminazione e critica dal basso rispetto la gestione securitaria ed emergenziale della pandemia ha lasciato campo libero ad iniziative reazionarie.

L’emergenza si sta rivelando un’occasione epocale di attacco alle condizioni di vita di milioni di sfruttatx ma la deriva dominante è un’ipocrita attendismo progressista, composto e democratico. Nonostante gli ultimi due anni abbiano messo in luce tutta la ferocia che sottende al mantenimento di questo sistema di sfruttamento le risposte sono state deboli o isolate.

Liquidare tutto il malcontento diffuso soltanto come interesse borghese o fascista è riduttivo e fa solo il gioco dei padroni: questa narrazione dominante rende ancora più invisibili alcune delle oppressioni, delle diseguaglianze e delle tante contraddizioni che attraversano le strade e quelle piazze.

E’ indicativo che quanto accaduto si inserisca così bene nella propaganda di Stato e padroni.

Assisteremo all’ennesimo siparietto di chi ha compiuto impunemente stragi, di chi ha messo le merci e i profitti prima delle persone, dell’antifascismo da salotto. Lo Stato, i padroni e i suoi servi si laveranno la coscienza sulla pelle dell’antifascismo ma il risultato sarà soltanto un ulteriore azzeramento e livellamento delle contraddizioni in campo, che ridarà lustro al potere, libero di tirare dritto nonostante tutto e tutti.

Ci terremo alla larga dall’ennesimo bagno di ipocrisia, l’antifascismo lo fa chi non ha mai smesso di vivere le strade e i quartieri, chi si batte quotidianamente per l’autodeterminazione, contro lo sfruttamento istituzionalizzato, contro il razzismo e la violenza di Stato.

Sappiamo che non vogliamo tornare alla normalità. Sappiamo che il vaccino non basta e non basterà, sappiamo che il green pass non tutelerà la salute di nessunx e si tradurrà soltanto in un’ulteriore strumento di controllo, sappiamo che finché si rinuncerà alla rabbia, alla critica e al conflitto, non ci sarà lotta e salute per nessunx.

Bologna, ottobre 2021

ALCUNE CONSIDERAZIONI SU ATTUALITÀ E PANDEMIA

Questo scritto prova a raccogliere alcune riflessioni emerse nel contesto pandemico attuale. Non ha la pretesa di essere esaustivo ma solo di tracciare qualche considerazione che tenga conto di alcune complessità.

(PDF)




UNA PREMESSA NECESSARIA

Il consumo di immagini, emozioni forzate, informazioni e disinformazioni alimentato dai media mainstream è ormai talmente accelerato, quasi parossistico, che ogni notizia che può fare scalpore diventa pervasiva, spingendo la gente a prendere partito (quale che sia), ad esprimere opinioni (quali che siano), consensi, applausi o dissensi ed indignazioni. In un brevissimo lasso di tempo la “notizia” scivola via, slegata dalla vita reale, facendosi sfondo, rappresentazione, teatro a cui si può assistere, vetrina per l’ego atomizzato di ognunx, aliena ad elaborazioni  complesse, come da social network.

E’ stato relativamente difficile non rincorrere l’instant-book del momento, ma non abbiamo mai smesso di dire in modo fermo e determinato quanto l’attualità sia solo quella dei soggetti e non quella del tempo preconfezionato, cello-phanato e distribuito dallo Stato. Per questo abbiamo rifuggito dal farci anche noi attrici e attorx di un triste teatrino sulla pelle deglx ultimx, che è la nostra, e piuttosto che alimentare un dibattito infruttoso, ci siamo preoccupate di non abbandonare le strade e di lottare accanto a chi scelta e voce non è ha, contro chi sfrutta e opprime, come abbiamo sempre fatto.

Come prima cosa ci siamo postx delle domande su come autogestirci e autotutelarci dal virus oltre la burocrazia statale, da un punto di vista pratico e antiautoritario, individuando aspetti da considerare e alcunx possibili criteri basati sul consenso.

Dall’inizio della pandemia in troppx hanno rinunciato ad una riflessione critica  che tenesse conto delle complessità legate al contesto emergenziale che si è venuto a creare. Questo ha lasciato campo libero a fratture che si sono insidiate nei gruppi, spianando la strada a sterili dicotomie (salute, cura – sorveglianza, sicurezza / si vax – no vax…) che ricalcano la propaganda di Stato e fanno solo il gioco delle destre e dei padroni.

Se da una parte è emersa una tendenza diffusa ad esasperare gli aspetti allarmisitico-distopici legati alla pandemia senza il minimo discernimento, dall’altra si è evidenziata invece una generalizzata minimizzazione degli effetti drammatici dei cambiamenti che stiamo vivendo che riflette un attendismo che non rassicura.
Questo processo di polarizzazione è legato a doppio filo con la pervasività di una comunicazione interpersonale sempre più tecnologicamente mediata: le relazioni faccia a faccia diminuiscono sempre più, la conoscenza e le relazioni diventano sempre più filtrate da piattaforme digitali commerciali che influenzano la percezione delle informazioni e dei messaggi, ostacolando rielaborazioni critiche.

In molti contesti ‘compagni’ la componente dei vissuti, delle esperienze, la componente affettiva ed emotiva della vita e delle relazioni che ci animano è stata trascurata generando conflitto e ulteriore sofferenza, facendo sentire le persone ancora più isolate.

E’ emersa una certa indifferenza diffusa per quanto riguarda il prendersi cura di sè e dell’altrx anche nei contesti antiautoritari e di lotta, colonizzati ancora da dinamiche di esclusione, produttività o consumo, e sono sempre meno gli spazi in cui ricercare reciproca soggettivazione nella ricerca comune di liberazioni che siano anche ‘pratiche’.

È UNA GUERRA TRA POVERX QUELLA CHE CI ASPETTA?

Stato, destre e padroni stanno cavalcando la pandemia riducendo le complessità e le relazioni tra le diverse oppressioni per separarle, renderle inoffensive, manipolabili e sfruttabili ai fini produttivo-capitalistici.

Mentre sinistra e Confindustria speculano sulle nostre vite, da oltre un anno assistiamo all’estendersi di derive razziste, abiliste, xenofobe e sessiste, che dal regno del pregiudizio tornano ad affermarsi attraverso un principio di determinazione aspecifico che strizza l’occhio ad uno spietato darwinismo sociale travestito da libertà, volto a naturalizzare le ingiustizie sociali.

Intimamente convintx che in un sistema che genera morte, malattia, disuguaglianza e alienazione come il capitalismo, una malattia non sia solo un’etichetta diagnostica ma sia frutto di interazioni e connessioni tra cultura, società, umanità e ambiente, crediamo sia necessario non smettere di interrogarci sulle contraddizioni, sui dubbi, sugli interessi, sulle oppressioni in campo legate al nuovo contesto che stiamo vivendo.

SU CURA E SALUTE NEL CONTESTO CAPITALISTA


La pandemia ha messo in luce quanto siamo disabituatx a considerare i concetti di ‘salute’, ‘malattia’, ‘cura’, in modo critico, quindi in relazione all’attuale organizzazione socio-economica.

Mentre gli ambienti di vita e di lavoro diventano sempre più piccoli, ristretti e atomizzati, aumenta e si amplifica a dismisura la varietà della divisione del lavoro e dello sfruttamento. La drastica riduzione degli spazi fisici di soggettivazione ha spostato l’alienazione dei Tempi moderni di Chaplin, dalle fabbriche all’individuo.

Si tratta di nuovi paradigmi produttivi meno fondati sulla fabbrica e più sui servizi: la merce sei tu.

Anche la salute è sempre più individualizzata. Divenuta di pertinenza esclusiva di una medicina organizzata definitivamente come corpo separato, la dimensione della ‘cura’ riflette l’organizzazione del corpo sociale a partire dalla divisione del lavoro e dalla divisione in sfere sempre più isolate e mercificate di tutti i fenomeni umani.

Di quel ‘sistema sanitario’ tanto celebrato eredità delle lotte e delle agitazioni dei movimenti degli anni ’70, rimane poco e niente, un’azienda tra le aziende annientata dalle violente privatizzazioni.

Mentre aumenta il potere delle industrie farmaceutiche, la maggior parte dell’insieme di attenzioni e cure necessarie per il sostentamento della vita è lavoro salariato al ribasso, ultra-proletarizzato e fortemente connotato in termini di genere e razza. Quanto non è compreso dai ‘servizi’ rimane tombato nelle case, schiacciato in quel privato alienato che esprime gli stessi meccanismi patriarcali di Stato.

Da controaltare a questo isolamento dei corpi sempre più stringente, un sistema di sfruttamento capillarizzato e in costante crescita.

L’assenza di culture dal basso in merito ai temi della ‘salute’, della ‘malattia’ e della ‘cura’ ha determinato la delega ai tecnici, totale e assoluta, e lasciato campo libero agli interessi del Capitale di espropriare le fasce oppresse della popolazione da scelte e da possibili processi di autodeterminazione in merito.

L’infantilizzazione che lo Stato sta attuando sul corpo sociale è lo specchio del livello di delega che il corpo sociale ha concesso allo Stato e al Capitale.

Irrompono nel dibattito collettivo le problematicità legate alle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, al capitalismo della sorveglienza, al mercato delle tecnologie legate alla salute, al corpo e alle relazioni in mano a grandi multinazionali, nonchè l’ambiguità di una scienza mercificata e subordinata al profitto. Emerge come la tecnologia industriale si sia servita del lavoro di milioni di lavoratrici e lavoratorx per creare la ricchezza della ‘classe dirigente’ che aliena, sfrutta e tortura, mentre i corpi oppressi sono ridotti ad oggetti e funzioni in relazione a chi detiene i maggiori privilegi sociali ed economici.

Ma una riflessione critica alla scienza e alla cura nel contesto capitalista che sia realmente antiautoritaria non può sedersi sul proprio privilegio e ridursi ad un’amputazione ideologica della realtà, la trama complessa dei contesti di sfruttamento è infatti composta da molteplici oppressioni che altrimenti rischiano di essere invisibilizzate.

Si tratta quindi di impegnarsi nello svelare le interellazioni tra le diverse oppressioni che stanno attraversando la vita di milioni di persone in un contesto di sfruttamento sistemico, globalizzato e interconnesso.


QUALCHE RIFLESSIONE SU OBBLIGO VACCINALE E TUTELA DAL VIRUS


E’ la prima volta che vaccini basati sulla tecnologia a mRNA vengono sperimentati e non ci sono garanzie sul comportamento a lungo termine: già solo questo dovrebbe bastare nel considerare qualsiasi obbligo, ricatto o pressione, moralmente sbagliato.

Per questa campagna vaccinale il dubbio, che pure costituisce il motore dello stesso metodo scientifico, non è ammesso. La medicina, intesa nella sua applicazione tecnico-farmacologica, si erge a scienza esatta rinnegando le stesse basi filosofiche che la animano. 

Lo stesso Stato che ha compiuto impunemente stragi, cerca di costruire un nemico unico e perfetto, scaricando l’emergenza su chi non risponde prontamente ad una scelta che ha tutto il diritto di essere ponderata.

Oscillare tra carità e punizione, polarizzare le posizioni, serve a scaricare le responsabilità, ad individualizzare le colpe, a livellare le contraddizioni e ad abbattere tutto ciò che non si conforma al ritmo stabilito dal Capitale.

Se da una parte è necessario lottare per l’accesso a possibilità di cura per tutti e tutte, contro i brevetti e i profitti delle multinazionali sulla pelle di chi soffre, dall’altra legittimare l’imposizione di una vaccinazione sperimentale con coercizione e ricatto rappresenta un pericoloso precedente che non riguarda esclusivamente la minoranza relativa di coloro che non vogliono/non possono vaccinarsi.

E’ importante considerare che il rifiuto dei farmaci o dei vaccini non si configura solo come privilegio, rimane aperto il tema del rapporto tra medicina e culture, tra medicina occidentale e colonialismo medico, fermo restando le disparità di accesso alla salute in un sistema globalizzato di sfruttamento dove le diseguaglianze hanno stretti legami di interdipendenza.

Quindi se un discorso pro o contro la vaccinazione in astratto è un cortocircuito costruito e fasullo buono solo a coprire le falle di un sistema che inizia a fare acqua da tutte le parti e in modo evidente, è chiaro come il nemico rimanga uno Stato paternalista che ha bisogno di infantilizzare il corpo sociale per tutelare esclusivamente i propri interessi economici.

Essere contro la coercizione e l’obbligo vaccinale non ci ha impedisce di interrogarci sulla necessità di tutela di contagio dal virus, soprattutto per quanto riguarda chi è piu esposto e vulnerabile nei luoghi di reclusione e dello sfruttamento di massa, dove le relazioni sono imposte e non volute. E’ evidente che dove non c’è spazio per la soggettivazione e la cura reciproca, per la relazione e il consenso, si fa strada la burocrazia e la coercizione, e che a pagarne il prezzo, oggi come ieri, saranno sempre e comunque tutte quelle vite già discriminate, considerate di scarso valore o ritenute ‘improduttive’.

Se è vero che la vaccinazione stia risultando efficace nell’abbassare i ricoveri, le morti e la pressione sul sistema sanitario, è vero anche che la campagna vaccinale portata avanti dal governo a reti unificate ha spinto moltx a non tenere nessuna precauzione circa reazioni avverse anche gravi che potevano essere evitate.

É importante considerare che la ‘protezione’ al momento si riferisce ad un minore rischio di infettarsi, quindi di contrarre la malattia in modo grave e di trasmettere il virus. Non tutela davvero dalla possibilità di contagiarsi e contagiare, ma diminuisce la probabilità che soggetti fragili contraggano la malattia, o la contraggano in modo grave.

Mentre tuttx fuori, rassicurati dai proclami di Stato, si sono completamente disinibitx per quanto riguarda qualsiasi misura di prevenzione di base – perchè è arrivato il vaccino e basta il green pass – è evidente invece che il dispositivo tecnico della vaccinazione non basterà.

Appellarsi ad un senso di ‘comunità’ nella società neoliberista assume caratteri farseschi quando tre quarti del mondo non ha accesso a livelli di salute minimi.

Prevenzione, riduzione del danno, redistribuzione delle risorse non se ne vedono, rapporti di forza per mettere in discussione un sistema al collasso che si ostina a tirare dritto nonostante tutto e tutti, nemmeno.

Intanto le case farmaceutiche produttrici di vaccini a mRNA – quelli che si stanno rivelando statisticamente più efficaci  – alzano il prezzo dei farmaci.

Si procede per ricatti, e saranno sempre di più.

SU GREEN PASS

Ed è così che si arriva al green pass, un’escamotage che lo Stato sta trovando per scaricare di nuovo su gli individux le proprie responsabilità: si ricattano le persone con un documento che le metterà all’angolo per poter accedere a molte attività al chiuso, esasperando ulteriormente differenze e certificando nuove discriminazioni.

Una misura che non ha niente a che vedere con la tutela della salute e con qualsiasi concetto di prevenzione. Chi diventerà lo sbirro di chi?

Potrebbe diventare obbligatorio per trasporti a lunga percorrenza, per la scuola e per il lavoro. Opporsi a questo ricatto non solo è giusto, ma necessario.

Scegliendo deliberatamente di lavarsi la coscienza, lo Stato sta sancendo un’ulteriore frattura tra un’umanità di serie A e un’umanità di serie B per tutelare gli interessi dei soliti noti, liberi si, ma di tornare a sfruttare, mentre le disuguaglianze che hanno segnato la pandemia sin dall’inizio continueranno a farlo.

CHI HA PAGATO FIN’ORA E CHI PAGHERÀ?

A ogni latitudine sono state le fasce della popolazione più svantaggiate – all’interno delle quali si trovano la maggior parte dei migrantx e dei non bianchx – a essere colpite dalla pandemia.

Le frontiere hanno mostrato tutta la loro violenza evidenziando come a questo mondo muri e confini esistano sempre e soltanto contro i poveri, mentre merci ed economie assassine possono girare indisturbate.

La diffusione globale del virus ha viaggiato infatti in business class alla stessa velocità dei numeri in borsa, non annegando sui barconi nel mediterraneo. Ma le morti contano solo se hanno effetto sui mercati, le vite valgono soltanto se è possibile metterle a profitto.

L’ultimo anno ha messo in luce tutta la ferocia che sottende al mantenimento di questo sistema di sfruttamento:

La strage nelle carceri ha svelato la violenza strutturale su cui si fondano tutti  i luoghi di reclusione, oltre che l’omertà dell’intervento sanitario nelle galere italiane, dove l’eccezione non è la ‘malasanità’, ma trovare un medico non connivente con le guardie. Il silenzio di medici e infermieri è stato assordante rispetto gli abusi compiuti in quei giorni e rispetto agli abusi che si perpetuano ogni giorno in tutte le carceri: la salute nei luoghi di reclusione è isolamento, annientamento, deprivazione, contenzione fisica, farmacologica, psicologica, violenza e repressione sistemica. La reclusione genera disturbi e menomazione, patologie e fragilità che spesso esordiscono in carcere e si protraggono anche dopo la scarcerazione. A questo si aggiungono la fatiscenza strutturale degli ambienti, l’insalubrità del cibo, l’assenza di docce, e il trito e ritrito affollamento, buono soltanto come scusa per mantenere intatto il meccanismo.

Negli ospedali, nelle residenze per anziani, nelle strutture sociosanitarie si é consumata una strage silenziosa e taciuta: operatrici e operatori sbattuti in reparti covid senza formazione e protezioni adeguate, lavoratorx ‘usa e getta’ obbligatx a lavorare pure se positivx fino alla comparsa dei sintomi, protocolli fatti di tachipirina e vigile attesa e persone murate in casa senza alcuna cura o visita medica e condannata alla morte. Mentre il numero dei morti saliva il ricatto salute/lavoro ha visto tutelati i profitti dei padroni prima ancora della salute delle persone, come osservato drammaticamente in Lombardia, dove ospedali e luoghi di lavoro hanno continuato ad alimentare inesauribili il serbatoio dei positivi.

Deroga su deroga si sono continuate a tenere aperte le grandi fabbriche per volere di Confindustria costringendo le persone ad andare a lavoro sui mezzi pubblici,  mentre si chiedeva in parlamento uno scudo penale bipartisan per proteggere imprenditori e manager delle aziende pubbliche.

Anche l’istituzione scolastica ha mostrato tutta la sua ipocrisia: milioni di euro per l’acquisto di banchi a rotelle per la didattica digitale ‘a seduta innovativa’ spacciati come misura anticovid, mentre la sofferenza di bambini e bambine è scomparsa per decreto.

La morte è stata rimossa, strumentalizzata, spettacolarizzata, per essere piegata ad una propaganda del terrore che ha impedito qualsiasi processo collettivo di socializzazione del lutto e di condivisione del dolore.

Lo stesso Stato che ha sempre tutelato solo e soltanto gli interessi dei padroni, tenta oggi d’un sol colpo di pulirsi la coscienza sbandierando un’ipocrita volontà di proteggere i più fragili, quando l’eccezionalità della pandemia nel contesto capitalista ha reso evidente quanto i profitti legati alle merci siano sempre venutx prima delle persone.

Tutto questo è sempre stato vero, non è arrivato oggi col covid e non andrà via con un vaccino.

CONCLUSIONI

L’isolamento imposto durante il lockdown si è insediato su una condizione di profonda miseria umana e materiale che ha sterilizzato rapporti e legami e impedito elaborazioni critiche dei vissuti e della realtà, mostrando come questo sistema capitalista sia il vero responsabile dell’alineazione e della povertà che solca a tutti i livelli le nostre relazioni e le nostre possibilità di autodeterminazione e riappropriazione, oltre che il principale attore della frammentazione/atomizzazione che ci attraversa.

CHE FARE?

Intanto ricostruire un tessuto umano in grado di rimettere in campo rapporti di forza, riappropriarsi dei quartieri, di bisogni e desideri, tessere alleanze e intersezioni, costruire solidarietà, riprendersi zone autonome e indipendenti dal potere statale, farla pagare a chi sfrutta e opprime.

Non sappiamo bene “che fare”, domanda antica, forse ci sono tante cose da fare, vediamo bene però, un passo alla volta, dove tutto sta andando.

 Agosto 2021, Bologna

 


Link: Considerazioni sull’autogestione della salute