Questa mattina i carabinieri di Milano si sono presentati a casa di un nostro compagno, Gabriele, e lo hanno arrestato per i fatti dell’undici febbraio a Budapest. Per lui era stato emesso un MAE (mandato di arresto europeo). Gabriele si trova al momento nel carcere di San Vittore in attesa dell’udienza per l’estradizione.
Come ormai ben sappiamo i prigionieri in Ungheria non possono ricevere la posta se non dai contatti autorizzati per i colloqui. Mandiamo tanti telegrammi a Gabriele (ci mettono meno di cartoline e lettere) cosicché possa sentire calore e solidarietà finché è recluso in Italia.
Seguiranno aggiornamenti.
GABRIELE MARCHESI
CC DI MILANO SAN VITTORE
PIAZZA GAETANO FILANGIERI 2
20123 MILANO
TUTTX LIBERX
In seguito all’udienza del 22 novembre a Gabriele sono stati concessi gli arrestati domiciliari con tutte le restrizioni! L’udienza in merito all’estradizione verrà fissata per i primi di dicembre.
GABRI LIBERO
TUTTI LIBERI
TUTTE LIBERE
GABRI LIBERO! NO ESTRADIZIONE!
Nella notte fra il 20 e il 21 novembre Gabriele, un compagno di Milano, è stato arrestato e trasferito nel carcere di San Vittore. In seguito alla prima udienza, mercoledì 22 novembre gli sono stati concessi gli arresti domiciliari con tutte le restrizioni, dove si trova ora. Su di lui pendeva un MAE (mandato d’arresto europeo) emanato dall’Ungheria per i fatti del febbraio 2023, quando alcuni neonazisti presenti a Budapest per commemorare il “giorno dell’onore” vennero attaccati.
Il prossimo appuntamento con la giustizia italiana per lui sarà l’udienza in corte d’appello, l’organo competente in materia di estradizioni, fissata per il 5 dicembre. In questa udienza si entrerà nel merito della decisione per l’estradizione. Esprimiamo la nostra totale solidarietà a Gabriele e rinnoviamo la nostra vicinanza a Ilaria e Tobias. Un pensiero di coraggio e buon augurio anche a tutte le compagne e i compagni tedeschi ricercati dalle autorità per questi MAE.
Mobilitiamoci ovunque affinché Gabriele non venga trasferito in una prigione ungherese dove, come se non bastasse, le condizioni detentive sono tra le peggiori in Europa.
Diffondiamo un testo scritto a Bologna da alcune compagne eretiche, transfemministe e antiautoritarie:
CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO. Ci proteggono le nostre compagne non il pacchetto sicurezza
Abbiamo appreso con rabbia e dolore che Giulia Cecchettin è la 105esima vittima di femminicidio di quest’anno. Vorremmo dirci stupite, ma lo sapevamo già tutte. È la storia che si ripete da secoli, a ciclo continuo, che stronca le vite di compagne e sorelle per il desiderio maschile di dominarle, assoggettarle, annichilirle.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una crescente spettacolarizzazione dei casi di violenza di genere che hanno ricevuto attenzione mediatica, la dinamica è sempre la stessa, mentre si racconta morbosamente la violenza nei minimi dettagli, costringendo la persona coinvolta a ripercorrere costantemente l’accaduto, si cerca di fissare una distanza tra chi commette violenza e la società civile. Lo abbiamo visto succedere a Palermo e lo stiamo rivedendo accadere in questi giorni: chi ci stupra o uccide diventa il “mostro”, il “pazzo”, l'”animale”, troppo difficile ammettere che invece si tratta di una persona “inserita”, conosciuta, un compagno, un amico, un familiare, un conoscente, “quello che non farebbe male a una mosca”, è lo stesso motivo per cui in tante circostanze non siamo credute. È questa normalità che riproduce relazioni di potere e assoggettamento che combattiamo, in famiglia, nelle case, sul lavoro, per le strade.
Si è parlato in questi giorni con indignazione del risentimento che l’assassino mostrava nei confronti della laurea imminente di Giulia, incapace di accettarne l’autonomia, i traguardi, ma se scaviamo, l’odio covato da quest’uomo non ci stupisce e ritorna ben presto familiare. Lorenzo Fontana, attuale Presidente della Camera ed ex ministro della famiglia e della disabilità, figura cardine del Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona del 2019, nel suo testo “La culla vuota della civiltà: all’origine della crisi” senza tanti giri di parole accusa della crisi in corso proprio le donne. Donne che studiano, pensano, si laureano, non si dedicano alla famiglia e non fanno figli. Secondo l’ex ministro attuale Presidente della Camera sono le donne che si sottraggono al loro ruolo di riproduttrici e ancelle del focolare che creano la crisi della nostra società, non chi sfrutta e si arricchisce sulla pelle di comunità e territori, annientandoli. Fontana del resto non fa altro che inserirsi in una lunga genealogia di attacco ai nostri corpi: non dimentichiamo che l’aborto, oggi più che mai minacciato – anche a causa di una normativa che spesso impedisce fattivamente di abortire – era, secondo il codice Rocco, un reato contro «l’integrità e la sanità della stirpe». Una donna non può scegliere se essere madre o se non esserlo: deve riprodurre la società che le uccide, altrimenti è una donna snaturata. Mentre sui giornali si parla di emergenza femminicidi e di uomini impazziti che cedono a raptus, ci si dimentica della continuità storica tra la violenza istituzionale nei confronti delle donne e ciò che si riproduce nelle case e per le strade. Una lunga tradizione di oppressione se si pensa che oltre alla negazione del diritto all’aborto, in Italia il delitto d’onore e il matrimonio riparatore sono rimasti in vigore in Italia fino al 1981.
Omicidi e violenze non sono casi isolati, non sono emergenze improvvise dove lupi venuti dal nulla fanno sembrare la nostra rassicurante quotidianità una serie di true crime. La violenza di genere non è un “problema di ordine pubblico” ma qualcosa di strutturale e sistemico che pervade ogni ambito della nostra normalità. Le lacrime di coccodrillo di una società ipocrita a pochi giorni dal 25 novembre non ci interessano.
Amaramente possiamo pensare che, sì, i nostri corpi valgono, amaramente… perchè nella società capitalista e coloniale i nostri corpi valgono solo quando la loro messa a valore è funzionale a riprodurre lo stato nazione bianco, quando reggiamo le famiglie sulle nostre spalle, quando scandiamo la nostra esistenza tra il lavoro salariato sfruttato e gli istanti di un lavoro domestico invisibilizzato. I nostri corpi valgono se siamo dispensatrici univoche di cura, dedite all’uomo, al padre, al capo, sempre disponibili al ruolo di accudimento. I nostri corpi valgono nella misura in cui sono utili alla propaganda dell’emergenza del politicante di turno che vuole assicurarsi qualche voto in più promettendo “sicurezza contro le barbarie”. Una sicurezza che si pretende arrivi senza che sia messo in discussione l’assetto sociale, e che si traduce nel razzismo sulle persone migranti, nella classificazione di “zone della paura”, nell’aumento di militari e polizia per le strade, in retate nei quartieri, arresti e carcere.
Secondo i dati istat, i crimini violenti si sono sistematicamente ridotti dal 1980 a oggi. L’unico dato in lieve aumento sono appunto i femminicidi. Quella che è cambiata radicalmente, in questi anni, è la percezione di un’assenza di sicurezza. Addomesticatx da anni di retoriche dell’emergenza, ci siamo piegatx alla paura, sempre più alienatx. E così ritorna il vecchio motivetto colonialista e fascista: bisogna proteggere le nostre donne dal pericolo nero. Si legifera sui nostri corpi per assoggettare altri corpi, generalizzando risposte punitive e repressive su parti di popolazione proveniente da specifici contesti sociali e territoriali. Il nome di un luogo che ha visto coinvolti ragazzi minorenni in gravi atti di violenza di genere, diventa il nome di una legge in cui la violenza di genere non è assolutamente il focus dell’intervento ma soltanto il pretesto per prendere provvedimenti di natura autoritaria verso fasce di popolazione già marginalizzate come i minorenni delle periferie.
A Bologna in questi giorni un giornale locale riportava che “sono stati soprattutto giovanissimi nordafricani gli autori di violenze sessuali in luoghi pubblici a Bologna.” Giovane, nordafricano, stupratore. Questa l’equazione di chi vuole parlare alle pance per raccogliere consenso.
Non ci rende sicure una società che si autoassolve e che delega a esercito e militari un problema sul quale essa stessa si basa. La divisa che ci bastona per le strade e ci incarcera quando ci difendiamo o lottiamo per una vita radicalmente diversa fa parte del problema, non è la soluzione. Di questa sicurezza che istituzionalizza e riproduce l’uso patriarcale della forza e della prevaricazione non ce ne facciamo nulla. Non sarà armare di più le forze dell’ordine a renderci sicure. Non sarà un inasprimento delle punibilità su chi usa violenza, che fermerà la violenza.
Desideriamo ripensare a tutto un altro genere di sicurezza, a tutto un altro genere di famiglia, a tutto un altro genere di comunità e di vita, che metta in discussione alla radice la violenza maschile e lo sfruttamento predatorio che si abbatte anche sugli altri corpi, che rimetta al centro la sorellanza, la solidarietà tra oppressx, la lotta per un mondo di libere e uguali, la cura reciproca e l’autodeterminazione.
Bologna, novembre 2023
Alcune compagne eretiche, transfemministe, antiautoritarie
Il governo Meloni vara un nuovo “pacchetto sicurezza”. Il provvedimento è stato approvato dal Consiglio dei ministri oggi 16 novembre.
Si parla di “tutele per le forze dell’ordine oggetto di violenza o lesioni”, “contrasto alle occupazioni abusive”, “autorizzazione a detenere senza ulteriore licenza un’arma da fuoco privata diversa da quella di ordinanza per gli agenti di pubblica sicurezza”, “stretta ai blocchi stradali”, “divieto di accesso nelle metropolitane, nelle stazioni ferroviarie e nei porti per chi è già stato denunciato o condannato per furto, rapina o altri reati contro il patrimonio o la persona commessi in quei luoghi.” Diventa “non più obbligatorio il rinvio dell’esecuzione della pena per le donne in gravidanza o madri di figli fino a tre anni”.
Tra le varie misure repressive anche l’introduzione di “un nuovo reato che punisce chi organizza o partecipa una rivolta in un carcere o CPR con atti di violenza, minaccia o con altre condotte pericolose. Un’ulteriore fattispecie di reato punisce chi istiga la rivolta, anche dall’esterno del carcere, con scritti diretti ai detenuti.”
A seguito dell’azione di solidarietà concreta che alcunx compagnx hanno portato avanti martedì scorso al Cpr di Caltanissetta, tentando il blocco della deportazione di alcunx prigionerx, la repressione si stringe su di noi e le persone vicine. Oltre alle denunce ricevute, negli scorsi giorni moltx di noi hanno subito dei fermi in strada. Stamattina, durante uno di questi fermi, D., un amico e compagno è stato trovato privo di documenti ed è al momento in stato di fermo al commissariato di Cefalù, in attesa di essere trasferito a Palermo. Chiamiamo tuttx lx compagnx solidali a ritrovarci in presidio di fronte all’ufficio immigrazione di Palermo, in Via San Lorenzo, 271 per manifestare il nostro sostegno e la nostra vicinanza al compagno fermato.
In un’epoca in cui il tempo vissuto scivola via fagocitando ogni cosa, macinando momenti, notizie e informazioni senza trattenerne nulla, abbiamo scelto di prenderci il tempo di riguardare all’anno passato, per prendere meglio la mira su quello futuro.
Per una fanza di fine anno che raccolga gli articoli salienti pubblicati su Brughiere lanciamo un invito a grafiche e graficx, non maschi etero cis. Il concept è anticarcerario, antipsichiatrico e contro tutte le frontiere: sbarre aperte, muri che si rompono, radici che spaccano il cemento, fiori e farfalle, piante, anche carnivore… ma anche schermi rotti e tutto quanto possa indicare una critica alle tecnologie capitaliste. Raccogliamo i disegni (in bianco e nero) fino al 10 dicembre, da inviare a: brugo@autistiche.org
Questa mattina, 16 novembre, il Ros (di Bologna, Milano, Brescia e Firenze) ha effettuato delle perquisizioni allo spazio anarchico “il tribolo” e nelle abitazioni di 19 compagni/e tra Bologna, Lombardia e Trentino. Le perquisizioni si inseriscono nell indagine per 270 bis, la cui apertura era stata inizialmente notificata a 6 compagni/e nel giugno 2023 e per la quale, nel corso dell estate, il RIS ha eseguito una serie di accertamenti su vari materiali reperiti sui luoghi dei fatti contestati. Oltre al 270 bis (per 11 de perquisiti/e) vengono infatti contestati, solo ad alcuni, una serie di fatti specifici: un attacco a dei ripetitori di telecomunicazioni, un tentato danneggiamento a dei camion della ditta MARR, un blocco stradale tramite danneggiamento di cassonetti, l interruzione di una messa e l occupazione di una gru nel centro di Bologna. Tutti i fatti si inseriscono all interno della lotta contro il 41 bis e in solidarietà al compagno Alfredo Cospito. Da quanto sin ora siamo riusciti a ricostruire il pm avrebbe richiesto il prelievo del DNA per tutti gli indagati. Ribadiamo la nostra solidarietà ad Alfredo e a tutte le/i prigioniere/i!
Fresco fresco di rilegatura, diffondiamo un nuovo libro benefit prigionierx, pensato e creato in quel di Bologna.
“L’agnello ammazzerà il leone” di Margaret Killjoy.
Una storia di avventura di un gruppo di amicx anarco-punk-squatter che vive in una cittadina occupata nell’Iowa che si trova a dover far i conti con Uliksi, un demone dai poteri piuttosto singolari, quando la situazione in città sfugge di mano.
Dal retro di copertina:
“Potrei dirvi che scrivo storie su società anarchiche e personaggix anarchicx perché voglio promuovere il progetto politico dell’anarchismo, e questo sarebbe vero, ma sarebbe solo una parte della verità. Lo faccio perché voglio scrivere narrativa, voglio raccontare al mondo di persone come me e perché sono un’anarchica.
La narrativa si basa sul porre domande. E la domanda che ho posto in questa storia, ovviamente, è: e se un gruppo di anarchicx in una città occupata evocasse un demone cervo per mangiare la gente?”
Stampato con il ciclostile e con rilegatura DIY, tutto il ricavato del libro andrà benefit prigionierx.
Nell’ultima settimana si sono tenute le udienze finali del processo di primo grado contro i compagni anarchici Mónica Caballero e Francisco Solar, arrestati il 24 luglio 2020 e accusati (il solo Francisco) dell’invio dei pacchi-bomba al 54° commissariato dei carabineros e a Rodrigo Hinzpeter, ex ministro dell’interno e della difesa nazionale, nonché dirigente del gruppo Quiñenco (25 luglio 2019), ed entrambi del duplice attacco esplosivo nell’edificio dell’immobiliare Tánica (27 febbraio 2020), situato nel quartiere borghese di Vitacura (nell’area metropolitana di Santiago) e avvenuto nel contesto della rivolta generalizzata scoppiata in Cile nell’ottobre 2019. L’azione contro il 54° commissariato e Hinzpeter venne rivendicata dai Cómplices Sediciosos – Fracción por la Venganza, mentre quella nell’edificio Tánica dalle Afinidades Armadas en Revuelta.
Nel dicembre 2021 Francisco si è assunto la responsabilità per entrambe le azioni, sostenendone le ragioni, la scelta degli obiettivi e la significatività rivoluzionaria.
Il 10 agosto 2022, dopo una serie di proroghe al periodo d’indagine, si sono concluse le udienze preliminari e sono state rese note le richieste di condanna: 30 anni di carcere per Mónica e 129 anni per Francisco (secondo il sistema giudiziario vigente nello Stato cileno la procura esprime le richieste prima dell’inizio della fase dibattimentale vera e propria, il juicio oral). Il 18 luglio di quest’anno, dopo un rinvio, è quindi iniziato il processo, cui i compagni hanno assistito in presenza solamente nel corso delle prime e delle ultime udienze, assistendo in videoconferenza per le restanti. Durante quella del 18 luglio il pubblico ministero, rimodulando le richieste iniziali, ha dichiarato che la procura intende infliggere una condanna tra i 20 e i 25 anni a Mónica e una di oltre 150 a Francisco. Durante l’udienza del 19 luglio Francisco ha ribadito l’assunzione di responsabilità per tutte le azioni.
L’arresto e le udienze contro i compagni sono state costantemente seguite dai mass-media in Cile, vista la rilevanza del processo, volto a dare un monito agli anarchici e alle forme di guerriglia sviluppatesi nella realtà sociale cilena in particolare negli ultimi anni, a partire dalla rivolta generalizzata del 2019-‘20. Alle udienze processuali è coincisa una mobilitazione solidale con attività di agitazione e propaganda, trasmissioni sulle frequenze radiofoniche solidali, iniziative in strada e dibattiti, la pubblicazione di un numero unico (“Complicidad y sedición”).
Riportiamo qui di seguito l’aggiornamento sul verdetto e le dichiarazioni finali dei compagni, presenti in aula durante l’udienza del 6 novembre (si tratta di trascrizioni, pertanto non essendovi una stesura scritta la punteggiatura è stata definita da chi ha tradotto).
Verdetto contro i compagni anarchici Mónica Caballero e Francisco Solar
Ieri, 7 novembre 2023, mentre all’esterno si teneva un presidio solidale, il tribunale – dopo quattro mesi di processo – ha emesso il verdetto contro i compagni Mónica e Francisco.
Francisco è stato dichiarato colpevole come autore per:
– due invii di ordigni esplosivi (alla 54° comisaría dei carabineros e a Hinzpeter);
– un tentato omicidio nei confronti dei carabineros;
– un reato di lesioni gravi nei confronti di un agente dei carabineros;
– un reato di lesioni;
– cinque reati di lesioni lievi;
– un danneggiamento (54° comisaría);
– un tentato omicidio nei confronti di Hinzpeter;
– due reati di collocazione di ordigno esplosivo (edificio Tánica).
È stato assolto dall’accusa di usurpazione di identità.
Mónica è stata condannata in qualità di complice per due reati di collocazione di ordigno esplosivo (edificio Tánica), mentre è stata assolta dall’accusa di possesso di marijuana.
Riassumendo, il tribunale ha accolto quasi tutte le richieste della procura, tranne, nel caso di Francisco, una delle imputazioni di tentato omicidio (che è stata derubricata in lesioni) e l’accusa di furto d’identità (per cui è stata disposta l’assoluzione); nel caso della compagna Mónica ha modificato la sua posizione da “autrice” dei fatti a “complice” e ha rigettato alcune aggravanti richieste dagli inquirenti.
Il tribunale dovrebbe emettere la sentenza definitiva, comprensiva degli anni di condanna che peseranno su ciascuno di loro, il prossimo 7 dicembre.
Salutiamo i cuori neri che assumono il compito di colpire i potenti.
Amore e anarchia per Mónica e Francisco.
Dichiarazione di Francisco Solar Domínguez
Buongiorno,
le azioni delle quali mi sono già assunto la responsabilità, che ho rivendicato politicamente e per le quali verrò condannato, fanno tutte parte di una lunga tradizione storica, specificatamente anarchica, che si incarica di restituire, in prima persona e senza necessità di intermediari, i colpi dei potenti e dei repressori; perché se qualcuno pensava che le loro politiche del terrore, basate su imposizioni e restrizioni di ogni sorta, così come su ondate repressive in cui addirittura, spesso e volentieri, calpestano la loro propria legalità (che tanto dicono di difendere e rispettare), sarebbero passate inosservate e non avrebbero suscitato risposte, si sbagliava di grosso.
Siamo in molti a saper aspettare il momento giusto per agire, a concepire la memoria non come un baule in cui riporre ricordi da contemplare e lamentele, ma piuttosto come un motore, che dà impulso all’azione vendicatrice come parte di una nostra pratica politica permanente, che si nutre della nostra storia, con i nostri successi e le nostre sconfitte.
Ed è stato questo esercizio mnemonico a nutrire le azioni individuali che realizzai negli anni 2019 e 2020; azioni individuali che non necessitavano né del consenso né dell’accordo collettivo, ma che furono il risultato dell’analisi, della decisione e della volontà personali, azioni che per alcuni altri furono parte e indubbiamente fortificarono la guerriglia urbana anarchica, la quale non scompare a prescindere dai costanti colpi repressivi, dimostrando nei fatti la praticabilità e l’efficacia delle relazioni informali orientate all’azione rivoluzionaria. Dimostrando peraltro come non sia necessaria una grande struttura organizzativa per la realizzazione di azioni incisive.
In questo senso, è importante far notare come le grandi organizzazioni rigide e stabili si trasformino rapidamente nel proprio stesso fine, cioè si organizzano nient’altro che per fortificare l’organizzazione stessa, a differenza delle organizzazioni informali che basano le proprie relazioni sull’attacco, cosa che conferisce loro quel dinamismo che previene l’irrigidimento e la comparsa di logiche burocratiche.
Le azioni, oltre a essere colpi diretti a dei rappresentanti e a dei simboli del potere, e oltre a dimostrare che è possibile realizzare i suddetti attacchi, costituiscono un mezzo per la diffusione di idee e messaggi, messaggi di ribellione e libertà, che verranno recepiti e posti in pratica da chiunque lo desideri. Messaggi che solo collegati con queste azioni costituiscono un reale pericolo per l’ordine imposto.
E parlo di ordine imposto perché in questa società non esiste un contratto sociale per il quale gli individui abbiano delegato la propria libertà allo Stato in cambio di libertà e sicurezza – impostazione che per inciso costituisce le fondamenta degli Stati moderni – ma, al contrario, lo Stato si fonda sulla spoliazione storica delle libertà degli individui, sottomettendoli e limitandoli in sempre più aspetti della loro vita, cosa che fortifica e perpetua il dominio statale. Lo Stato non è più solo un’istituzione, ma lo si ritrova in ognuna delle nostre relazioni, rendendo ancora più complesso ed esteso il dominio statale, e pertanto azioni contro lo Stato non solo sono giustificate, ma assolutamente necessarie. E, certo – come ha detto anche il signor Pubblico Ministero nella sua requisitoria finale – “concediamogli pure la parola!”, ma una parola che sia vincolata all’azione rivoluzionaria, perché una parola che pretenda costruire nuove relazioni, scevre di qualunque autorità, deve necessariamente andare di pari passo con l’azione rivoluzionaria.
Non si può negare la crescita e la proliferazione dei gruppi anarchici, negli ultimi tempi, cosa che ha comportato il fatto che i discorsi e le pratiche antiautoritarie siano presenti in gran parte delle mobilitazioni e delle rivolte attuali. Vedendo l’anarchia come una tensione piuttosto che un punto d’arrivo, e intendendola al pari di una lotta permanente contro ogni espressione dell’autorità piuttosto che una società perfetta o un paradiso terrestre, come in molti suggeriscono, si comprende come queste azioni individuali violente siano una parte imprescindibile di questo percorso di liberazione. Voglio lasciar intendere molto chiaramente che, lungo questo percorso, azioni come queste non sono le prime né saranno le ultime, ma come ho già detto precedentemente sono parte di un continuum storico che non sparirà; nonostante ci condannino a decadi di reclusione, e persino se ci uccidessero, ci saranno sempre individui e gruppi di individui che sono disposti a rispondere alla brutalità dello Stato e del capitalismo: ciò è inevitabile.
Infine, voglio approfittare di questa occasione per mandare un saluto complice ai prigionieri e prigioniere, anarchici e sovversivi, che lottano nelle carceri di questo paese.
Viva l’anarchia!
[6 novembre 2023]
Dichiarazione di Mónica Caballero Sepúlveda
Cercherò di essere abbastanza breve, visto che avevo deciso di non prendere la parola in questa sede, però reputo che sia necessario precisare una serie di questioni piuttosto specifiche rispetto ad alcune affermazioni in prevalenza del Pubblico Ministero.
Dunque, ho deciso di rilasciare una dichiarazione finale in questo processo, che mira a essere una punizione esemplare, perché non posso lasciar passare l’opportunità di difendere e chiarire una serie di aspetti che hanno a che fare con le idee e le pratiche che ho difeso e adottato praticamente negli ultimi 20 anni della mia vita.
Il signor Pubblico Ministero ha chiesto al mio coimputato se sono anarchica. E sì, certo che sono anarchica, però questo che significa? Dicendo anarchismo mi riferisco a un insieme di idee e pratiche che, inquadrate in principi che sono, ad esempio, il mutuo appoggio, la solidarietà, l’autogestione, costruiscono idee e pratiche che si iscrivono nella distruzione e nella costruzione, che voglio dire con questo?, la costruzione di ciò che è…
Quando mi riferisco all’anarchismo, intendo quell’insieme di idee e pratiche che in base a principi come il mutuo appoggio, la solidarietà e l’autogestione, costruiscono le condizioni affinché tutti gli individui… costruiscono le condizioni affinché tutti e tutte ci sviluppiamo in maniera integrale, tuttavia allo stesso tempo queste condizioni mirano alla distruzione di ogni forma di dominio.
Cosa intendo con “ogni forma di dominio”? Quelle forme di dominio che sono, ad esempio, l’attuale sistema di oppressione economica imperante, ciò vale a dire il capitalismo, e anche l’egemonia del potere politico, ovvero l’attuale Stato.
All’interno di queste pratiche noi anarchici possediamo un ampio ventaglio, come ben diceva il Pubblico Ministero. Tra le pratiche anarchiche esiste la violenza, ma ciò non è appannaggio unicamente dell’anarchismo, e allo stesso modo l’anarchismo non contempla la violenza come sua unica espressione pratica; e sì, ci sono compagni che hanno collocato degli ordigni, o che hanno spedito ordigni esplosivi, ma insisto: questa pratica di violenza politica non appartiene al solo anarchismo e l’anarchismo non esercita unicamente la violenza politica.
In relazione a tutto ciò, devo necessariamente porre una domanda e contemporaneamente rispondermi: che cosa caratterizza la pratica anarchica? Le pratiche anarchiche, violente o meno, si inscrivono e traggono ispirazione necessariamente all’interno delle idee antiautoritarie. Non possiamo separare l’idea dalla pratica antiautoritaria anarchica, finanche rivoluzionaria in un ampio spettro, senza tenere in considerazione la complementarietà tra idea e pratica. Vale a dire che le pratiche anarchiche non si sostengono senza la colonna vertebrale delle idee. Mettendo in chiaro tale questione rilevante tra idea e pratica, posso categoricamente dire che una pratica anarchica, violenta o no, non sarà mai indirizzata in maniera indiscriminata.
Il Pubblico Ministero, in una delle sue repliche, chiedo venia, durante la sua requisitoria, ha menzionato un concetto molto azzeccato e antico di noialtri anarchici: si è riferito alla propaganda con il fatto. La prospettiva del Pubblico Ministero sulla propaganda con il fatto, o ciò che ha cercato di spiegare in relazione a questo concetto, è una maniera molto miope di vederla, fondamentalmente perché ha tentato di inquadrarla nel contesto storico in cui ebbe il suo apogeo. Se non ricordo male, tra la fine dell’‘800 e l’inizio del 1900, durante un congresso a Londra, un gruppo di anarchici di diversi luoghi del mondo assunsero come pratica la propaganda con il fatto, e questa propaganda con il fatto la incarnarono attraverso assassinii, collocazioni di ordigni esplosivi, e una lunga lista di altri episodi. Ma la propaganda con il fatto è molto più di questo. Ciò che io sto facendo, ciò che sta facendo il mio coimputato in questo stesso processo, con le nostre parole, è propaganda con il fatto; questo è il punto: tutto ciò va molto più in là del mero esercizio della violenza, e nello specifico degli ordigni esplosivi.
Devo anche sottolineare come in questo processo, così come in tutti gli altri processi penali in cui sono stata e in quelli di cui sono stata spettatrice, nei confronti di compagni e compagne tanto in Cile come in altre parti del mondo, si è sempre assimilata la nostra visione politica a dei fatti delittuosi, e mi pare curioso, per non dire altro, che si stia negando questo aspetto investigativo, altrimenti che senso avrebbe avuto il sequestro delle decine, per non dire centinaia, di libri, le centinaia o migliaia di volantini, poster, opuscoli, e così via? Non capisco se non abbia altro scopo che lo studio della nostra concezione del mondo o del nostro modo di intendere la politica o lo scontro con il dominio, e non comprendo la negazione di questo aspetto.
Come già dicevo prima sono anarchica, pertanto nemica di ogni forma di dominazione, sottomissione od oppressione realizzata attraverso qualsiasi struttura di potere, per cui lo Stato, in tutte le sue forme e rappresentazioni, è illegittimo. Partendo dall’idea per cui questo, lo stesso Stato, si creò e consolidò a partire dall’idea del bene comune, o per lo meno il bene della gran maggioranza, cosa che è assai lontana dalla verità, vivo in un mondo in cui un gruppo privilegiato esiste al prezzo della miseria della grande maggioranza. Costruire forme antagoniste alle relazioni di potere è necessario affinché esista uno sviluppo integrale di tutti gli abitanti di questo mondo, tanto umani quanto animali.
Infine, posso dire a tutti i presenti che aspetto piuttosto tranquillamente il verdetto di questo tribunale, perché so che le idee di emancipazione alle quali ho dedicato buona parte della mia vita trascendono me stessa.
In ultimo, ai presenti e ai miei compagni e compagne presenti, come a coloro che ascolteranno o leggeranno in seguito le mie parole, posso dire che fino all’ultimo respiro che mi rimanga, sempre affermerò: morte allo Stato e che viva l’anarchia!