Carcere: “articolazioni salute mentale”

Ma Opg e ‘repartini’ nelle carceri esistono ancora?

Alla Dozza, carcere bolognese, è presente una sezione ‘FEMMINILE ARTICOLAZIONE SALUTE MENTALE’

Si parla di salute mentale, ma è di psichiatria in mano ai carcerieri che si tratta.

A Bologna per altro solo femminile, perchè alla donna è sempre riservato un posto d’onore nella persecuzione e nella stigmatizzazione psichiatrica: nei luoghi di reclusione, nei reparti femminili degli istituti manicomiali, le donne sono sempre state oggetto di un maggior accanimento da parte di medici, infermieri, e del potere costituito.

Ma cosa sono?

Le ‘Articolazioni salute mentale’ sono sezioni speciali per quelle detenute e quei detenuti definiti “rei folli”, cioè con una valutazione psichiatrica sopravvenuta (successiva) alla detenzione.

In sintesi il carcere crea la menomazione, produce sofferenza, esaspera la tenuta psichica di chi vive la reclusione sulla pelle, e poi vuole contenere i ‘comportamenti problema’ (definizione amata da psichiatri ed educatori) reprimendoli ancora di più in ‘speciali repartini’.

Bisogna sapere che gli Opg contenevano tutte le autrici e gli autori di reato con diagnosi psichiatrica, sia quelli dichiarati non imputabili per ‘vizio di mente al momento del fatto’, e perciò prosciolti e rinchiusi in OPG in quanto ‘socialmente pericolosi’, sia quelli condannati a pena detentiva e ‘colpiti’ da ‘disturbi mentali gravi’ durante la permanenza in carcere.

Con la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari in Italia (31 marzo 2015) l’istituzione totale dell’ospedale psichiatrico giudiziario veniva sostituita da più piccole istituzioni di reclusione non molto diverse nella sostanza, le cosiddette «residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza» (Rems), luoghi destinati a recluse e reclusi giudicati incapaci di intendere e volere al momento del giudizio e non successivamente.

Le ‘articolazioni salute mentale’ riguardano perciò  detenute e detenuti che non possono essere accolti nelle residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza istituite dopo la chiusura degli Opg.

In Italia ci sono 47 Atsm in 36 penitenziari per un totale di 303 celle in cui a inizio 2019 erano presenti 318 detenuti (Fonte Relazione del ministero sull’amministrazione della giustizia 2018).

Come sono e cosa si sa?

Queste sezioni carcerarie sono sotto la responsabilità dell’Amministrazione Penitenziaria ma ‘a prevalente gestione sanitaria’, che non si capisce cosa significhi.

A quanto emerge non presentano nè una reale copertura giuridica, nè un qualsiasi tipo di chiarezza circa la ‘gestione’ delle articolazioni stesse e che tipo di aspetti ‘sanitari’ siano tenuti in considerazione e in che termini.  ‘Chiarezza’ poi, sappiamo non ce ne sarà mai finchè esisteranno quelle mura, ma se già ciò che avviene nelle sezioni non deve essere detto, ciò che avviene dentro i repartini, non deve essere detto ancora di più. Che cosa si intende con ‘a prevalente gestione sanitaria’?

La Magistratura di sorveglianza è stata chiamata a pronunciarsi su un caso di differimento pena, inviato nell’articolazione psichiatrica della Dozza di Bologna dopo la chiusura dell’OPG. Il responso è stato che la persona non poteva stare lì perché l’articolazione non aveva niente di sanitario.

Nel 2016 a Bologna sindacati e compagnia bella si opponevano all’apertura del repartino femminile per la sempre vittimistica carenza di organico e per le condizioni strutturali del luogo.

Quanto tempo vengono trattenute le persone nell’articolazione femminile della Dozza? Quale tipo di regolamentazione e ‘gestione’ vige e in che tipo di condizione?

Il garante nel 2018 dice che le tre donne detenute nell’articolazione salute mentale del carcere di Bologna  sono tenute in estremo isolamento.
“I numeri esigui, però, e la collocazione fisica di questi ambienti detentivi, collocati al piano terra, comportano un significativo stato di isolamento per queste donne detenute.”

“All’interno delle articolazioni si trovano infatti le persone che non possono essere curate e assistite nelle sezioni ordinarie, la maggior parte delle quali, giuridicamente, in “osservazione psichiatrica” (un periodo di 30 giorni prorogabile, in cui viene valutata la compatibilità dello stato di salute psicofisico e la detenzione). L’ingresso e l’uscita avvengono su decisione interna dell’amministrazione sanitaria e penitenziaria, ed è ‘prorogabile’ senza alcuna previsione di un controllo giurisdizionale (che avviene invece nel caso di ricovero in luogo esterno al carcere).”

Significa che direzione e guardie possono usare questo strumento e relative proroghe discrezionalmente e che la reclusa e il recluso non hanno gli stessi ‘diritti sanitari’ dei liberi come si millanta nelle varie norme e riforme.

L’ultimo rapporto di Antigone riporta la raccapriciante storia di M. presso l’articolazione salute mentale “Il Sestante” della Casa Circondariale di Torino.

La stanza 150 : “Il rispetto dei diritti della persona è spesso violato. Si segnalano casi di contenzione e si è rilevata (nella Casa Circondariale di Torino, anche filmata, l’esistenza di ‘celle lisce’ spoglie e senza suppellettili.”

“nonostante infatti formalmente venga dichiarato che la permanenza nella stessa dura generalmente qualche ora, in realtà vengono registrati in alcuni casi la permanenza di soggetti per periodi superiori a venti giorni.”

Eppure la Sentenza della Corte  Costituzionale  n.99/2019 ha stabilito  che,  se  durante  la  carcerazione  sopravviene  una  grave  ‘infermità psichica’,  si  potrà  disporre  che  la  persona  detenuta  venga  ‘curata’  fuori  dal carcere,  applicando  la  misura  alternativa  della  detenzione  domiciliare o in luogo di ‘cura’, così come già dovrebbe accadere per le gravi malattie di tipo fisico.

Una cosa importante da sapere è che dal 14 giugno 2008 le prestazioni/funzioni sanitarie fino ad allora svolte dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e dal Dipartimento della Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia sono state assimilate integralmente al Servizio Sanitario Nazionale. Assieme alle funzioni, sono state trasferite al Fondo sanitario nazionale e ai Fondi sanitari regionali le risorse, le attrezzature, il personale, gli arredi e i beni strumentali afferenti alle attività sanitarie nelle carceri. Il personale sanitario che ad oggi opera nelle carceri italiane è dunque inquadrato contrattualmente quale dipendente dell’usl e non più del DAP.
Questa riforma poneva il principio  della  parità  tra detenuti e soggetti liberi, soprattutto nella tutela del diritto alla salute e, quindi, del diritto  a  godere  di  prestazioni  sanitarie  celeri  ed  efficienti,  in  ottemperanza  al ‘problema  medico  che  si  presenta  nel  caso  concreto’.

Sappiamo invece come questo non sia assolutamente vero, le persone muoiono in carcere e di carcere, con o senza ‘patologie’, oggi come ieri, ne parliamo inoltre ad un anno dalla strage di Stato nelle carceri e dall’esplosione dell’emergenza sanitaria, che ha messo in evidenza l’omertà degli operatori sanitari e come la reclusione sia strutturalmente in antitesi con qualsiasi concetto di salute.

Suicidi in carcere

Le statistiche mostrano che i suicidi sono in continuo aumento, e tra i piu giovani. Emerge inoltre che la popolazione detenuta muore per suicidio esponezialmente di più rispetto la popolazione libera.

Nel 2020 sono stati 61 i suicidi, dall’inizio dell’anno 2021 già 6.


La sofferenza si traduce in isolamento, contenzione fisica, farmacologica e psicologica,
aggravata dall’annientamento, dalla violenza e dalla repressione carceraria.

La reclusione genera disturbi e menomazione (da problemi psichici, a problemi cardiovascolari e metabolici sino a malattie infettive), patologie e fragilità che spesso esordiscono in carcere e si protraggono anche dopo la scarcerazione.

La riflessione sulla contenzione della sofferenza mentale e della dissidenza ci deve mettere in guardia, la strumentalizzazione del disagio si traduce in termini ancora piu repressivi: dove non arriva il sistema giudiziario e il carcere, arriva la psichiatria,.

Oggi, oltre al profondo buio che circonda queste ‘articolazioni salute mentale’,  sindacati e guardie tornano a chiedere anche ‘particolari sezioni agitati’  per stringere una morsa repressiva ancora maggiore intorno a chi è reclusa e recluso in carcere e si ribella.

Il carcere è intrinsecamente non solo la negazione di qualsiasi concetto di salute, ma della vita e dell’esistenza stessa.

Rompere l’omertà che avvolge quelle mura e abbattere ogni prigione, qualsasi prigione, è una responsabilità di tutte e tutti.

Appunti sulla psichiatrizzazione e sulla contenzione della dissidenza

Qualcuno volo sul nido del cuculo di Milos Forman 1975
Foto di scena della Fantasy Film and United Artists Corporation USA


“Quadro di personalità allarmante”
“Inclinazione alla violenza”
“Sintomatico di una personalità incapace di controllare l’impulso criminale”

Queste sono le parole usate di recente dal Gip per descrivere i fatti di Torino.

Lo Stato risponde alle sollevazioni di malcontento prospettando anni di carcere e guai per qualche vetrina del lusso in frantumi confermando il suo cieco ruolo di tutore dell’ordine e garante dei privilegi: i poveri devono rimanere poveri, chi è ai margini deve rimanere ai margini a guardare le scintillanti vetrine.

Si parla di ‘punire’ le famiglie delle persone coinvolte con la sospensione del reddito di cittadinanza e non si esita a psichiatrizzare il comportamento individuale.

Rompere una vetrina diventa “Sintomatico di una personalità incapace di controllare l’impulso criminale”.

La psichiatrizzazione del comportamento considerato ‘oppositivo’ ha origini lontanissime, l’estensione capillare che oggi viene fatta del paradigma psichiatrico in  ogni ambito della vita – vedi la medicalizzazione dell’infanzia nelle istituzioni scolastiche – viene ad assumere una valenza enorme che riporta al centro del discorso collettivo la contenzione, la medicalizzazione e la stigmatizzazione psichiatrica dei comportamenti, paradigmi e pratiche coercitive e spersonalizzanti che vanno  a sostenere ‘profili criminosi’ e ‘quadri di personalità’ usati come arma per togliere di mezzo il dissenso.

Complici e solidali con chi lotta

L’escalation repressiva “di strategica valenza preventiva” iniziata a marzo scorso con la proclamazione dello stato d’emergenza sta mostrando tutto il suo volto e colpendo tutti i piani del movimento.

Ora il pugno sempre più duro sulle lotte operaie, perché stanno alzando troppo la testa e tenendo aperti diversi fronti di lotta con resistenza e determinazione. Misure cautelari per aver scelto di non rimanere chini a subire. 21 perquisizioni, 5 divieti di dimora per resistenza aggravata, lesioni e violenza privata.

La macchina della repressione ha sempre pronto come ribaltare il senso della violenza per criminalizzare chi sceglie di difendersi.

Si entra a casa della gente sempre più facilmente, si sequestrano computer, cellulari, si incarcera.

Nell’ambito di una profonda crisi economica e sociale destinata ad ampliarsi in maniera esponenziale lo Stato mostra il suo volto affrontando in termini di repressione chiunque si opponga apertamente alle condizioni di sfruttamento cui è sottoposto. Colpire forte perché sia d’esempio e da monito per tutte e tutti.

Quest’ennesima operazione repressiva dimostra come il carcere, strumento di gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, stia diventando ogni giorno sempre di più un orizzonte concreto per gli oppressi e le oppresse e per chi ha scelto di lottare.

Chi saranno le prossime e i prossimi?

Ciò che sta succedendo è lo specchio di ciò che avverrà esponenzialmente sempre più. Tutte le menzogne democratiche di un sistema patriarcale basato sul dominio si stanno svelando. Si sta giocando una partita epocale tra chi è disposto a lottare per la riappropriazione della propria vita e contro ogni forma di oppressione, e chi porta avanti un sistema predatorio che annienta la vita di persone, territori e comunità , ed è pronto a reprimere duramente chiunque sia disposto a metterlo in discussione.

Un messaggio invece è importante che emerga chiaro, se colpiranno forte, colpiremo ancora più forte, diciamo a questa gente che non staremo fermi a subire mentre il cappio ci si stringe intorno.

Complici e solidali con chi lotta

ARAFAT E CARLO LIBERI SUBITO

Il canto d’amore di Cri

Una rivisitazione de Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock, di Thomas Stearns Eliot

Si parla di attendismo, lotte e rivoluzione, in particolare qui a Bologna, nello specifico in Bolognina.

Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in quartieri fantasma
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l’insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono.
Oh, non chiedere « Cosa? »
Andiamo a fare la nostra visita.

Nella stanza le persone vanno e vengono, parlando di libri
 e della prossima presentazione.

La nebbia gialla che strofina la schiena contro gli spettri dei cantieri,
Il fumo giallo che strofina il suo muso contro i portici vuoti
Lambì con la sua lingua gli angoli della sera,
Indugiò sulle pozze stagnanti negli scoli,
Lasciò che gli cadesse sulla schiena la nebbia che arriva nell’inverno,
Scivolò sul terrazzo, spiccò un balzo improvviso,
E vedendo che era una fredda sera d’ottobre
S’arricciolò attorno all’ex mercato, e si assopì.

E di sicuro ci sarà tempo
Per riavere ciò che ci è stato tolto dagli spettri dei cantieri,
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per prepararci una faccia per incontrare le facce che incontreremo;
Ci sarà tempo per la rivoluzione, l’autogestione,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul nostro piatto.

Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un’altra birretta o vedere un altro film.

Nella stanza le persone vanno e vengono, parlando di libri
 e della prossima presentazione.

E di sicuro ci sarà tempo
Di chiedere, « Possiamo osare? » e,
« Possiamo osare? »

Tempo di volgere il capo e scendere la scala,
Con una zona calva in mezzo ai nostri capelli
– (Diranno: « Come diventano radi i loro capelli! »)
Con il nostro abito per la mattina, e quello della sera.

Oseremo
Turbare l’universo?

In un attimo solo c’è tempo
Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà.

Perché già tutte le abbiamo conosciute, conosciute tutte:
– Le repressioni, l’annientamento, lo sfruttamento,
 abbiamo conosciuto gli sgomberi, i soprusi, i morti, le frontiere,
Abbiamo misurato la vita con cucchiaini da caffè alle assemblee;
Abbiamo conosciuto le voci che muoiono con un morente declino
Sotto i pifferi che giungono da una stanza più lontana.

Così, come potremmo rischiare?

E abbiamo conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti:
–
 Gli occhi che ci scrutano, giudicano e fissano in una frase formulata,
E quando siamo formulati, appuntati a uno spillo,
Quando siamo trafitti da uno spillo e ci dibattiamo sul muro,
Come potremmo allora cominciare
A sputar fuori tutte le oppressioni, e i mozziconi dei nostri giorni e delle nostre
abitudini?
Come potremmo rischiare?

E abbiamo già conosciuto le parole, conosciute tutte
–
 Le parole ingioiellate e false (Ma alla luce di una lampada rassicuranti sirene!)
Che ci tagliano la voce

Che ci fa divagare a questo modo?
Braccia appoggiate a un tavolo, o avvolte in uno scialle, prima di un’altra birra.

Potremmo rischiare, allora?
– Come potremmo cominciare?

. . . . . . . . . . . .

Diremo, abbiamo camminato al crepuscolo per strade strette, parlando di rivoluzione,
E abbiamo osservato i mostri dei cantieri
Dalle collinette dietro il parco?…

Avremmo potuto essere un paio di ruvidi artigli
Che corrono sul fondo di mari silenziosi

. . . . . . . . . . . . .

E il pomeriggio, la sera, dorme così tranquillamente!
Ex mercato,
Lasciato solo,
Addormentato… dimenticato?… o gioca a fare il malato,
Sdraiato sul pavimento, qui fra te e me.

Potremmo, dopo le birrette , le punte, e i campari,
Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?

Ma sebbene abbiamo pianto e digiunato, pianto e pagato,
Sebbene abbiamo visto il nostro declino, la nostra fine
Portata su un vassoio,
Non siamo lucidi – e non ha molta importanza;
Abbiamo visto vacillare il momento della nostra grandezza,
E abbiamo visto l’eterno Lacchè reggere il nostro soprabito ghignando,
E a farla breve, ne abbiamo avuto paura.

E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Dopo le birrette, i campari e gli spritz,
E fra un banchetto e qualche chiacchiera
Fra noi, ne sarebbe valsa la pena
D’affrontare il problema sorridendo,
Di comprimere tutto l’universo in una palla
E di farlo rotolare verso chi sgombera e opprime,
Di dire: « Sappiamo tutto, non abbiamo paura »
–
 Se una, appoggiandole una mano sulla spalla,
Avesse detto: « Non abbiamo paura. »

E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Ne sarebbe valsa la pena,
Dopo gli aperitivi, le presentazioni,
Dopo i romanzi, i film, dopo le birrette e i thè, dopo le ore al mercato
E questo, e tante altre cose?

– E’ impossibile dire ciò che intendo!

Ma come se un disegno si rivelasse un poco alla volta, unendo i puntini su uno schermo:
Ne sarebbe valsa la pena
Se uno, alzandosi dalla sedia,
E volgendosi verso tutti noi avesse detto:

« Non è per niente così,
Non è per niente così che doveva andare. »

. . . . . . . . . . .

No! Non siamo combattenti, ne rivoluzionari;
Siamo il prodotto della battaglie evitate,
Utili forse a ingrossare un corteo, a dar l’avvio a una scena o due,
Ad avvisare gli altri; uno strumento facile, di certo,
Deferente, felice di mostrarsi utile, creativo,
Prudente, cauto, meticoloso;
Pieno di nobili sentenze, ma un po’ ottuso;
Talvolta, in verità, quasi ridicolo –
E quasi, a volte, il Buffone.

Diventiamo vecchi… diventiamo vecchi…
 Sceglieremo il nostro cantuccio per raccontarcela.

Divideremo i nostri capelli sulla nuca?
Avremo il coraggio di parlare di anarchia? Rivoluzione?
E quando vedremo Bologna affondare, riqualificata, pulita, spogliata,
Porteremo libri in biblioteca, e cammineremo sotto i portici senza un nodo in gola?

Abbiamo udito le sirene cantare l’una all’altra.
 Non credo che canteranno per noi.

Abbiamo visto un galeone al largo cavalcare l’onde
E lo abbiamo perso di vista
Nella notte in burrasca
Quando il vento rigonfia l’acqua bianca e nera.

Ci siamo troppo attardati ad osservare,
Con la paura che ci schiaccia,
Finché le sirene ci svegliano, e anneghiamo.

Soffio

Ad un anno dalla strage di Stato nelle carceri

Un intervento letto a Modena il 6 marzo sotto al carcere Sant’Anna:

Sono qui fuori perché credo che quello che succede dietro quelle mura ci riguardi tutte e tutti!

E’ passato un anno da quei giorni di marzo. 
Ricordo che seguivo le notizie al computer, e la conta dei morti continuava a salire!

Dicono che sono morti di overdose, lo hanno detto dal primo giorno, ma queste sono morti di Stato e qui fuori lo sappiamo bene!

Io non sono un medico ma ho avuto le mie esperienze, e so, che anche con l’assunzione di quantitativi rischiosi ed elevati di metadone, la morte per insufficienza respiratoria non sopraggiunge subito, ci sono segnali, sonnolenza, diminuzione delle capacità vitali, è un processo non immediato, che avrebbe permesso ad eventuali soccorsi di intervenire.

Ma chi interviene se chi ha la tua vita in mano è lo stesso che ti ha riempito anche di calci e manganellate? Se è proprio lui che vuole la tua morte?

Quattro morti sono sopraggiunte durante e dopo i trasferimenti in altri carceri, questo conferma che non sono stati soccorsi!

Il silenzio di medici e infermieri è assordante rispetto gli abusi compiuti in quei giorni e rispetto agli abusi che si perpetuano ogni giorno in tutte le carceri! Infermieri, medici, tecnici, operatori, complici di un sistema che li vede colpevoli per l’omertà con cui attraversano quelle mura.

Perché al carcere è evidentemente riconosciuto il diritto di provocare  malattia, menomazione e anche di uccidere!

Lo ha detto la procura di Modena: “Indagini da archiviare”

. Nessuna responsabilità! Sono morti per overdose. Nessun pestaggio. Assistenza sanitaria garantita. Tutto a posto.

Vogliono mettere a tacere non solo le ragioni delle rivolte, ma tutto ciò che ne è seguito.

Non possiamo permetterlo! Non dobbiamo permetterlo! Perché ne approfitteranno per stringere una morsa ancora più stretta intorno a chi vive l’oppressione carceraria!

In carcere si muore, oggi come ieri, oggi piu di ieri. I suicidi sono in continuo aumento!

Questa pandemia ha portato allo scoperto l’incompatibilità della condizione detentiva con qualsiasi concetto di salute, non solo per le ridicole condizioni igieniche, per il sovraffollamento, o per l’assistenza sanitaria inesistente, ma strutturalmente: il carcere è in sè stesso l’antitesi della salute, della prevenzione e della cura per la violenza e la deprivazione su cui si fonda.

Isolamento, solitudine, sradicamento, attese e procedure alla mercé completa della discrezionalità di guardie e direzione, sono la prima fonte di deterioramento psicologico per chi subisce la reclusione.

L’impossibilità di comunicare annienta e distrugge corpi e menti, generando handicap, disturbi e malattie psico-somatiche.

Il carcere non deve esistere e le persone devono uscire!

Sovvertire le ingiustizie è l’unica possibilità che abbiamo per non soccombere allo schifo che ci circonda e la solidarietà è l’arma che il potere teme di più!

Se il carcere è lo strumento che lo Stato ha per mantenere le diseguaglianze,  controllare il conflitto sociale e far si che nulla cambi, combatterlo è una necessità per tutte e tutti noi!

Cinque detenuti hanno avuto il coraggio e la determinazione di esporsi e alzare la testa, si sono messi a rischio scegliendo la loro coscienza al silenzio!

Ma più saremo, ad alzare la testa, piu qualcosa potrà cambiare.

Soltanto lottando possiamo rompere il filo spinato dell’omertà che avvolge queste mura affinché le rivolte, e il sacrificio di chi non c’è più non siano stati inutili! 


Cos’è brughiere

Le brughiere sono un tipo particolare di associazione vegetale, abitano suoli acidi con scarsa presenza di humus, il loro terreno è ostile allo sfruttamento e inadatto alla domesticazione.

Le brughiere sono libere, antiautoritarie e contro qualsiasi forma di sfruttamento, possono incoraggiare e raccogliere ogni ispirazione, ogni grido che non puzzi di ipocrisia.

Le brughiere sostengono l’azione diretta e non conoscono attendismo o rassegnazione.

Le brughiere sanno che l’esistenza di simili colture spaventa il potere ma questo le rende più forti.

Le brughiere intendono rovesciare i paradigmi del controllo patriarcale, capitalista e istituzionale e i modelli dominanti spersonalizzanti in cui sono inserite.

Le brughiere sanno anche che sovvertire le ingiustizie è l’unica possibilità che hanno per non soccombere allo schifo che le circonda.

Le brughiere sono per la solidarietà tra oppresse e oppressi, contro tutte le carceri, contro tutte le forme di repressione, controllo e coercizione.

Per inviare i tuoi contributi e liberarli nelle brughiere scrivi a brugo at autistiche . org