REPRESSIONE È CIVILTÀ.

“Lo Stato c’è e si deve vedere”

“Spaccio, immigrazione e degrado” questo il titolo razzista con cui il 22 gennaio 2023 Il Resto del Carlino – giornale storicamente voce di camerati e padronato – comunica l’esito del patto integrato sulla sicurezza tra Prefettura e Comune di Bologna, siglato con la visita del Ministro dell’Interno Piantedosi in città.

Un titolo che sinergicamente esprime e rilancia l’evidente proposito dell’incontro: mistificare la realtà delle cose per legittimare agli occhi dell’opinione pubblica gli abusi di potere sempre più frequenti delle forze dell’ordine e nascondere sotto al tappeto le reali problematiche di quest’organizzazione sociale e di questo modello di sviluppo insensato.

Il nuovo nemico pubblico sono giovani e adolescenti, minori non accompagnati, soprattutto, stranieri, seconde e terze generazioni cresciute ai margini delle metropoli, nelle periferie e per le strade dei quartieri popolari.

Emergenza micro-criminalità, emergenza droga, emergenza immigrazione, emergenza babygang, emergenza malamovida. E m e r g e n z a, parolina dai risvolti repressivi certi, quando è usata dai padroni.

Degrado, spaccio, prostituzione, accattonaggio, danneggiamento al patrimonio pubblico e privato, insediamenti abusivi… questi i focus citati nell’incontro col ministro a Bologna.

Nel mirino corpi randagi, dissidenti, senza fissa dimora, sex workers, senza documenti, e naturalmente chi lotta per la libertà di tutte, contro tutte le gabbie che sorreggono questo sistema di oppressione.

Un’escalation securitaria che attraverso il governo poliziesco delle marginalità mira a sostenere il processo di ristrutturazione neoliberista e a contenere il conflitto sociale all’interno delle città. Una vera e propria guerra ai poveri e alle dissidenze, che con le retoriche della riqualificazione, dell’innovazione urbana e del degrado intende mettere a profitto ogni angolo di quartiere e annientare qualsiasi possibilità di autodeterminazione, relazione e solidarietà dal basso, oltre che qualsivoglia forma di tensione, conflitto e messa in discussione del presente. Un’intensificazione della repressione che opera anche attraverso l’interiorizzazione dell’autorità da parte delle masse sfruttate, sempre più passive e addomesticate. La solidarietà precipita all’interno di  rapporti  completamente colonizzati dalle logiche dei padroni.

E cosi assistiamo a rastrellamenti quotidiani, morti, abusi e uccisioni che si consumano pressoché nell’indifferenza.

Isabella P., trasferita dall'articolazione salute mentale del carcere di Bologna a quella del carcere di Pozzuoli, morta il 15 febbraio 2021 a causa delle massicce dosi di psicofarmaci e dei trattamenti ricevuti.
(Bologna, il repartino psichiatrico con la sezione "nido" accanto". Presidio al carcere della Dozza.)

Matteo Tenni, ucciso dalle forze dell'ordine il 9 aprile 2021 a Pilcante per una semplice infrazione al codice della strada trasformatasi in una violenta e predatoria caccia al «matto» finita nel sangue sulla sua porta di casa. 
(Quello che è successo a me non può essere solo mio)

Abdel Latif, 26 anni, rimasto per dieci giorni su una nave-quarantena, trasferito nel Cpr di Ponte Galeria e poi morto al San Camillo di Roma il 26 novembre del 2021, legato mani e piedi per giorni. (Contenzioni ed espulsioni ingranaggi nella società dell'esclusione)


Cloe Bianco, prof trasgender prima sospesa dal lavoro poi allontanata definitivamente dall’insegnamento, che ha scelto il fuoco all'interno del suo camper pur di smettere di subire le violenze dì questa società. (Oggi la mia libera morte. La tragica scelta di Cloe Bianco)

Alika Ogorchukwu aggredito e ammazzato per strada a Civitanova Marche a luglio del 2022 mentre intorno i passanti riprendevano coi telefonini. (Giustizia per Alika Ogorchukwu)

Yessenia, uccisa a Roma insieme ad altre due sex workers a novembre 2022. (Tutte le sex workers uccise sono nostre sorelle)

Oussama Ben Rebha, 23 anni, raccolto dalle acque del Brenta senza vita il 10 gennaio 2023 dopo un fermo di polizia. (Verità e giustizia per Oussama e contro gli abusi della polizia, corteo dalla stazione centrale di Padova.)

La lista è infinita. Ad unire queste uccisioni il fatto di non essere episodi, tragiche fatalità, ma il preciso esito della medesima violenza strutturale accettata tutti i giorni.

Un sistema di neutralizzazione selettiva che si gioca sempre sulle linee del privilegio, volta ad annientare tutti quei soggetti sociali non utili alla macchina neoliberista e problematici al discorso del potere.

Come il trentaseienne trovato morto in via Carracci a Bologna pochi giorni fa o l’anziano senza tetto settantacinquenne morto di freddo il mese scorso in via San felice, sempre a Bologna, entrambi spirati in pieno centro, a pochi passi da molteplici servizi e attività commerciali.

Intanto la sanità sprofonda inesorabilmente verso il baratro sotto gli occhi – e sulla pelle – di tutti, mentre Stato e amministrazioni si organizzano per portare la polizia anche all’interno degli ospedali e dei servizi socio-sanitari.  Si parte da Roma, Milano, Napoli, ma si valuta anche per altre città e naturalmente per Bologna, dove al policlinico Sant’Orsola sono già stati sperimentati giubbotti antiggressione per gli infermieri.

Un approccio securitario che tende ad investire e a travolgere anche ambiti in cui tali ingerenze non sempre storicamente sono state così accettate, come a scuola, in cui l’intervento militare e poliziesco si fa sempre più violento.

A Parma  il 12 ottobre 2022 presso l’istituto tecnico Bodoni hanno fatto irruzione due agenti di polizia che hanno atterrato e immobilizzato con la forza uno studente di 14 anni. (Parma: fuori la polizia dalle scuole)

Nel 2021 a Fano un giovane studente è stato sottoposto a Tso (trattamento sanitario obbligatorio) e ricoverato al reparto psichiatrico di Pesaro soltanto perchè si rifiutava di indossare la mascherina. (Fano Tso su studente)

Gli studenti del Liceo Manzoni di Milano sono stati invece puniti per le loro rivendicazioni sui muri durante l’occupazione. Recitava il murals dipinto in palestra “Non saremo merce per chi lucra sulle nostre vite, stop alternanza”. E poi altre sparse “Salvini appeso”, “Meloni in piazzale Loreto”, “Fuoco sull’autorità”. Non essendo stato possibile individuare i responsabili tutte le famiglie sono state chiamate a risarcire. (Liceo Manzoni, i danni per le scritte li pagano le famglie)

Come per le rivolte dei detenuti, le sollevazioni degli studenti che hanno infiammato l’Italia dopo decine di mesi di isolamento sono finite duramente represse, finanche col carcere. Sono stati quattro i giovani che hanno pagato con mesi di misure cautelari l’aver osato alzare la testa contro l’aternanza scuola lavoro.

Ciò che è chiaro è che non conta da dove arriva la rabbia, la paura, la frustrazione e la sofferenza in crescente aumento, non importa cos’ha da dire chi non ha mai avuto voce, l’importante è contenere, sedare e reprimere.

E dove non arriva la polizia, arriva la psichiatria. (Su spazio pubblico, spazio privato e psichiatrizzazione della dissidenza)

Organizziamoci contro chi ci fa la guerra!

PADOVA: GIUSTIZIA PER OUSSAMA. CORTEO CONTRO IL RAZZISMO ISTITUZIONALE E GLI ABUSI DELLA POLIZIA

28 GENNAIO 2023 – ORE 14.00 CONCENTRAMENTO ALLA STAZIONE CENTRALE DI PADOVA

Oussama Ben Rebha aveva 23 anni, dopo un fermo di polizia, il suo corpo è stato raccolto dalle acque del Brenta senza vita.

Appello per una mobilitazione nazionale contro il razzismo istituzionale, gli abusi di polizia, i cpr, per chiedere verità e giustizia per Oussama e per tuttə.

striscione a Bologna

DICHIARAZIONE DI ALFREDO COSPITO RECLUSO IN REGIME DI 41-BIS IN SCIOPERO DELLA FAME DAL 20 OTTOBRE 2022

Il sottoscritto Alfredo Cospito comunica al proprio avvocato Flavio Rossi Albertini che in pieno possesso delle mie capacitá mentali mi opporró con tutte le forze all’alimentazione forzata. Saranno costretti a legarmi nel letto. Dico questo perché ultimamente mi è stata adombrata la possibilitá di un T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio). Alla loro spietatezza ed accanimento opporró la mia forza, tenacia e la volontá di un anarchico e rivoluzionario cosciente. Andró avanti fino alla fine. Contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo.
La vita non ha senso in questa tomba per vivi.
Alfredo Cospito


MILANO: RESOCONTO DEL CORTEO CONTRO IL 41 BIS

Diffondiamo:

Domenica pomeriggio, a Milano, un corteo numeroso e composito ha sfilato deciso per le vie che incrociano il piazzale di Porta Genova, il carcere di San Vittore e la Darsena gridando forte la solidarietà verso Alfredo, che si trova oggi in sciopero della fame nel carcere di Bancali da 89 giorni, e tutte le persone detenute.
Nonostante l’ostilità degli sbirri, scesi in campo come sempre con un enorme dispositivo di uomini e mezzi, verso una piazza che non aveva nessuna intenzione di prendere accordi o comunicare con loro, il corteo è stato determinato nel tenere la Digos e la celere a distanza impedendogli di passeggiare all’interno e ai lati della manifestazione.
Con diversi interventi, volantini e cori è stata raccontata la lotta che viene portata avanti da Alfredo, e da tante e tanti compagni a lui solidali, contro il regime carcerario del 41 bis e contro l’ergastolo ostativo, vere e proprie forme di tortura che lo stato mette in atto nelle sue prigioni. La giornata di ieri ha ribadito come la solidarietà verso questo sciopero della fame sia forte e trasversale, di come la vicenda di Alfredo sia un’importante passaggio di una lotta ampia che critica profondamente e alla base il carcere tutto e la società di cui esso è istituzione fondamentale per opprimere e punire. La nostra solidarietà non può dunque non allargarsi a chiunque alzi la testa e decida di lottare sia dentro che fuori le prigioni, a chiunque subisca una repressione sempre più asfissiante.
Continueremo a mobilitarci per stare al fianco di Alfredo e invitiamo tutti e tutte a contribuire a questa lotta e a mantenere alta l’attenzione

FUORI ALFREDO DAL 41 BIS!
FUORI TUTTI E TUTTE DAL 41 BIS!
CONTRO OGNI GALERA!

P.s.: Nonostante il tentativo della Questura di scoraggiare i compagni e le compagne, anche attraverso una straordinaria operazione di prevenzione che ha portato addirittura al sequestro di pericolosissime bombolette di vernice, le vie attraversate dal corteo si sono riempite di slogan scritti sui muri e qualche vetro si è crepato per le note troppo acute delle ugole che hanno intonato i cori per tutta la manifestazione.

NAPOLI: CONTRO LE GABBIE DI STATO E PATRIARCATO

Riceviamo e diffondiamo:

Nella giornata di domenica 15 gennaio a Napoli, diverse decine di individualità anarchiche e transfemministe hanno improvvisato un corteo nelle vie principali dello shopping, affollate dalla ressa ai saldi, in solidarietà ad Alfredo, ormai a quasi tre mesi di sciopero della fame, e a tuttx lx prigionierx in lotta, contro 41bis, ergastolo e galere. Ricordando che la lotta del compagno è la lotta di tuttx e che la lotta per la libertà contro una società opprimente non hanno niente a che vedere con ipocrite indignazioni democratiche. Lo stato è responsabile per ogni persona che rinchiude nelle sue gabbie. Finché queste esisteranno, nessuna pace per le loro città vetrina.

Morte a stato e patriarcato

Il testo del volantino distribuito durante il corteo:

Contro le gabbie di Stato e patriarcato

In quanto femministe conosciamo bene il volto patriarcale e violento dello Stato, di cui una delle espressioni più estreme sono il carcere e la tortura del 41bis.

I regimi differenziali e le carceri speciali infatti nascono con l’obbiettivo della deprivazione sensoriale e la spersonalizzazione dellx detenutx.

Noi donne, lesbiche, frocie, persone trans* e non binarie conosciamo bene il disciplinamento e l’oppressione che passa attraverso i corpi. Quando ci rifiutiamo di aderire alle norme di genere e all’eterocispatriarcato, veniamo rinchiusx e stigmatizzatx come pazzx. Il carcere è la punizione per chi disobbedisce alle regole di questo sistema, al suo ordine, come ogni corpo dissidente fuori dal genere viene rimesso sui binari. Ogni donna, lesbica, frocia, persona trans* e non binaria viene riportata al suo dovere, testa bassa difronte al padre, al padrone, al marito, allo Stato.

La strategia dello Stato è togliere a chi rifiuta l’ordine imposto tutto quello che ha: la libertà, le relazioni, la possibilità di agire e di essere. In una situazione di estremo isolamento carcerario l’unica arma che rimane è il corpo. Questo è quello che Alfredo ha scelto di fare da più di 80 giorni portando avanti uno sciopero della fame fino alle estreme conseguenze. A lui si sono uniti negli ultimi due mesi diversx compagnx – Juan, Ivan, Anna. Per giudici e giornalisti, per cui è inconcepibile un mondo senza gerarchie, Alfredo sarebbe il “capo di un’organizzazione”. Non potranno mai capire che, per lx anarchicx, capi, strutture e gerarchie non possono esistere. D’altra parte si dimenticano della compagna Anna, incarcerata per la medesima operazione repressiva, che con Alfredo e lx altrx compagnx anarchicx porta avanti questa lotta da sempre. La forza della loro resistenza risuona in molti luoghi e fa sì che la rabbia si trasformi in azione.

Vogliamo che la nostra solidarietà passi attraverso quelle odiate sbarre e arrivi ad Alfredo e a tutte le persone detenute, perché crediamo che la spinta di libertà è contagiosa, e possa risuonare più forte della loro autorità.

Sappiamo bene l’importanza della solidarietà diretta e attiva, perchè in quanto femministe non abbiamo nessuna fiducia nello Stato e nella sua giustizia. Magistrati, ispettori, secondini e stupratori nella peggiore delle ipotesi ci criminalizzano quando ci autodifendiamo o ci sottraiamo alle norme di genere a noi imposte. Nella migliore delle ipotesi ci trattano con paternalismo, pretendendo di doverci difendere. Rifiutiamo ogni delega e ogni paternalismo, che quando non ci vede passive e vittime ci mostrifica.

Come femministe anarchiche ci riconosciamo in una lotta contro il 41bis e l’ergastolo perchè un’operazione repressiva di quest’ampiezza è un chiaro monito per chiunque porti avanti le idee e pratiche anarchiche. Alfredo non è il primo compagno sottoposto a questo regime, ricordiamo altre 4 compagnx che si trovano al 41bis da quasi vent’anni. Tra loro due compagne, Diana Blefari, morta nelle mani dello Stato, e Nadia Lioce, in lotta contro questo regime di tortura da anni.

Come identità sessuali e di genere dissidenti ci uniamo alla lotta di Alfredo e tuttx lx compagnx contro il 41bis, regime da cui tra l’altro si può uscire soltanto tramite l’abiura. Quotidianamente ci viene chiesto di rinnegare noi stessx per adattarci a una norma che ci vorrebbe addomesticatx e passivx. Rifiutando qualsiasi compromesso con Stato e giustizia, riconosciamo nella lotta contro il 41bis e tutte le forme di detenzione la nostra lotta.

Tuttx liberx

Fuoco alle galere

BOLOGNA: GIORNATA ANTIPSICHIATRICA. MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO

Link: https://antipsi.noblogs.org/post/2023/01/15/morto-un-opg-se-ne-fa-un-altro/

MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO

Siamo una rete di collettivi antipsichiatrici e singole persone da anni impegnate sul territorio a contrastare il ruolo sempre più ingombrante che la psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, e i meccanismi attraverso i quali si espande sempre più capillarmente e trasversalmente al suo interno come strumento di controllo sociale.

Il 28 gennaio alle 10:00 saremo in presidio a Bologna davanti al carcere della Dozza per portare il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə, e per contestare la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione psichiatrica – presente a Bologna unicamente all’interno del femminile. Nonostante infatti gli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) siano ufficialmente chiusi dal 2015, all’interno delle carceri italiane continuano ad essere presenti “repartini psichiatrici” per contenere e sedare quelle recluse e quei reclusi che non si adattano al contesto carcerario, che esprimono disagio, difficoltà emotive o squilibri durante la detenzione.

Perché esistono ancora sezioni psichiatriche in carcere se gli OPG sono stati chiusi?

Nel 2014 chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) il Ministero della Giustizia con una circolare del D.A.P. (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) ha istituito le A.T.S.M. (Articolazioni Tutela Salute Mentale).
Bisogna sapere che la legge 81/2014 riserva agli autori di reato dichiarati “incapaci di intendere e di volere per infermità mentale” – definiti “folli rei” – un iter giudiziario diverso da quello destinato ai comuni, che prevede le Residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), istituite, appunto, dopo la chiusura degli OPG. In questo iter giudiziario la pericolosità sociale di derivazione manicomiale la fa ancora da padrona, ma non tutti però finiscono nelle Rems. Nello specifico le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono sezioni istituite nelle carceri per quelle detenute e quei detenuti con una valutazione psichiatrica sopravvenuta alla detenzione, quindi successiva al giudizio – definiti “rei folli” – e che non possono perciò accedere alle Rems, che prevedono inoltre già di per sé lunghe lista di attesa.  

Cambiano le parole ma non la sostanza, morto un OPG se ne fa un altro

Le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono luoghi di annichilimento della personalità che esasperano la sofferenza della detenzione con l’isolamento prolungato, la contenzione psicologica, fisica e farmacologica. Si tratta di strutture che non solo non hanno nulla di “terapeutico” ma che nascono proprio per la necessità dell’istituzione penitenziaria di contenere e sedare le intemperanze dei ristretti in relazione al contesto detentivo. Voragini su cui non vogliamo siano spenti i riflettori.
Direzione e medici all’interno delle ATSM possono mettere in atto proroghe in modo estremamente violento e discrezionale (30 giorni prorogabili che possono tradursi in mesi di isolamento), questo nonostante sulla carta, a seguito della sentenza 99/2019 della Consulta, sia prevista la possibilità che il giudice possa disporre che, la persona che durante la detenzione manifesti una “grave malattia di tipo psichico”, venga curata fuori dal carcere e quindi concederle, anche quando la pena residua sia superiore a 4 anni, la misura alternativa della detenzione “umanitaria” o in “deroga”, come già previsto per le persone detenute con gravi malattie fisiche.


Il carcere-manicomio

L’ambiente carcerario può essere terribilmente nocivo per coloro che sono sfornitə di strumenti adeguati. Le difficoltà evidenti di una vita “libera” fatta di precarietà, impoverimento di beni materiali, reti sociali e di conseguenza di qualità del vivere, depauperano anche quelle risorse soggettive utili ad affrontare l’impatto con una quotidianità come quella carceraria. Gli addetti ai lavori denominano con “sindrome da prigionizzazione” le profonde difficoltà, l’alienazione e la sofferenza che la detenzione può comportare. La solitudine, la fatiscenza strutturale degli ambienti, gli spazi freddi e ristretti, l’alto numero di reclusə, l’insalubrità del cibo, l’assenza di acqua e docce adeguate, gli psicofarmaci a profusione e, se va bene, la tachipirina per ogni esigenza, l’impossibilità ad accedere a prevenzione, visite specialistiche, nonché a seguire i propri percorsi terapeutici, esasperano la reclusione causando fragilità, menomazioni e patologie che spesso dal carcere si protraggono anche dopo la scarcerazione. Condizioni dove l’eccezione non è tanto la ‘malasanità’ ma trovare medici non conniventi con le guardie. Il non rispetto del principio di territorialità inoltre rende ancora più dura l’esperienza della detenzione.
 Una quotidianità carceraria che oltre ad essere priva di dignità umana è, post pandemia e post rivolte, sempre più soggetta a soprusi di ogni tipo: dalla potenziata discrezionalità di ogni singola Direzione carceraria e Sanitaria, all’abuso di potere delle guardie penitenziarie. Senza considerare che il timore dei contagi e delle conseguenti politiche di gestione da parte delle Direzioni continua a rappresentare una fonte di ansia per chi è reclusə, oltre che uno strumento di vessazione e ricatto. Non adattarsi può tradursi in chiusura in sé stessi nel tentativo estremo di individuare una via di fuga. Come “fughe”, in fondo, sono spesso i numerosi suicidi e i moltissimi gesti autolesivi che ogni giorno si susseguono nelle patrie galere. Nel 2022 sono state 84 le persone detenute che hanno scelto il suicidio e chissà quante l’hanno tentato. E questi sono i numeri ufficiali, spesso in difetto. Numeri che si uniscono ai segni indelebili lasciati dalle torture fisiche e psichiche, nonchè dai processi, seguiti alle rivolte del marzo 2020, rivolte soppresse con la morte di almeno 14 detenuti (quelli di cui si hanno riscontri ufficiali) e con le violentissime mattanze che non possiamo nè vogliamo dimenticare, un grido rimasto inascoltato. Le disposizioni decise dall’amministrazione penitenziaria per “arginare” il pericolo dei contagi si tradussero nel 2020 nel totale isolamento delle persone detenute dal resto del mondo. Una quotidianità rinchiusa nelle celle, sempre però sovraffollate, poiché tutte le attività furono sospese. Niente colloqui con i familiari, impediti gli ingressi a qualsiasi operatore esterno. I criteri che caratterizzano il regime del 41bis furono estesi, di fatto, a tutte le sezioni presenti nelle carceri, così come la stessa norma prevede qualora lo Stato lo ritenga opportuno. In piena emergenza sanitaria, infatti, si decise di sottoporre interi reparti a molte delle rigide regole previste per questo regime piuttosto che adottare soluzioni volte alla riduzione del sovraffollamento e quindi ai rischi di contagio, sull’onda del più bieco e cinico giustizialismo che da anni caratterizza le politiche dei governanti di questo paese. In questi mesi il 41bis, regime di totale isolamento e di deprivazione sensoriale, da sempre presentato dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA) e dai maggiori organi di informazione come lo “strumento più efficace nella lotta alla mafia”, ha rivelato la sua vera essenza: una tortura normata. E ciò è stato possibile grazie alla drammatica scelta del compagno Alfredo Cospito che ha definito la quotidianità all’interno di quelle sezioni “una tomba per vivi” ed ha intrapreso, dal 20 ottobre 2022, uno sciopero della fame ad oltranza contro il 41bis e l’ergastolo ostativo, due “abomini del sistema penitenziario”. 

Per noi non si tratta di costruire altre sezioni o “repartini”, ma di svuotare quelli già esistenti

Quelli che parlano solo di sovraffollamento nelle prigioni sono gli stessi che le hanno riempite con le loro leggi razziste e liberticide: oltre il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, circa il 30% della popolazione carceraria fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia del tanto declamato “recupero sociale”). Questo grazie a leggi come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini. Politiche repressive il cui bersaglio non è certo il grande narcotraffico – un giro miliardario che allo Stato e alle sue mafie fa evidentemente comodo così –  ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di sostentamento, reti sociali o non è spendibile in termini di profitto. Una caccia alle streghe che conferma la funzione primaria del carcere come strumento di governo e gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, volto al mantenimento dell’ordine attuale, fatto di sfruttati e sfruttatori. Una guerra a bassa intensità affinché il processo di accumulazione capitalista proceda senza soluzioni di continuità, che mira a spostare il limite di tolleranza delle sfruttate e degli sfruttati, sempre un po’ più in là. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale viene duramente repressə, come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020.

Bologna: il repartino psichiatrico femminile con la sezione “nido” accanto

A Bologna l’Articolazione Tutela Salute Mentale prevede cinque posti e coinvolge unicamente il femminile. La collocazione isolata degli ambienti e il numero esiguo delle recluse previste conferma gli aspetti di segregazione che caratterizzano la sezione. Ad oggi nonostante diverse pressioni per la chiusura dell’articolazione non solo questa è ancora aperta ma addirittura millantata sui giornali come esempio “pragmatico” da seguire ed estendere.
Nel 2020/2021 lavori di ristrutturazione ne avevano comportato la chiusura provvisoria, quindi il trasferimento delle detenute presenti in quel momento in “articolazioni analoghe fuori regione”. Tra queste vogliamo ricordare Isabella P., 37 anni, accusata di furto, estorsione e minaccia a pubblico ufficiale, morta il 15 febbraio 2021 nel carcere femminile di Pozzuoli a causa delle massicce dosi di psicofarmaci somministratele e dei trattamenti ricevuti. Sarebbe dovuta uscire nel 2026, era alla sua settima carcerazione. Era considerata una detenuta difficile. A 18 anni aveva subito il suo primo Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Gli stessi lavori di ristrutturazione che hanno visto trasferire Isabella hanno portato all’inaugurazione, a luglio 2021, della nuova “sezione nido”, tre celle adiacenti all’articolazione salute mentale per detenute madri con bambini fino a tre anni. Il Garante dei detenuti ha dichiarato di sentirsi “preoccupato” per l’apertura di questa sezione accanto ai locali dell’articolazione psichiatrica, dai quali, giorno e notte, uscirebbero “grida e lamenti”. Purtroppo nonostante la legge 62 del 2011 indichi in questi casi di favorire gli arresti domiciliari e /o la creazione di case famiglia protette, ad oggi rimane assente un concreto interessamento per il superamento anche di questi istituti.

Per questo invitiamo tuttə sabato 28 gennaio a Bologna e a Imola, per una giornata di lotta antipsichiatrica, approfondimento e scambio.

Assemblea antipsichiatrica

SABATO 28 GENNAIO GIORNATA ANTIPSICHIATRICA

Bologna

Alle 10:00 presidio a Bologna davanti al carcere della Dozza per portare il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə, e per contestare la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione psichiatrica presente a Bologna unicamente all’interno del femminile – oltre che la recente sezione “nido”, istituita accanto.

Imola (Spazio autogestito Brigata Prociona)*

Alle 13:30 pranzo a cura del Vascello Vegano a sostegno della biblioteca antipsichiatrica del Collettivo Strappi 

Alle 18:00 presentazione del libro “Divieto di Infanzia. Psichiatria, controllo e profitto”.“Attualmente a scuola sono sempre di più i bambini che hanno diagnosi psichiatriche. L’attuale tendenza dell’insegnamento e della pedagogia è quella di farsi coadiuvare dalla neuropsichiatria ogni qualvolta una bambina o bambino disturba o contrasta i programmi formativi.” Ne parliamo con gli autori Chiara Gazzola e Sebastiano Ortu.

Alle 20:00 cena benefit per la nuova Cassa di solidarietà e mutuo soccorso antipsichiatrica

Alle 21:30 “The Jackson Pollock” live, duo Garage Punk dal sound esplosivo!

* Per raggiungere il Brigata in via Riccione 4 a Imola : dalla stazione uscire sul retro (lato via Serraglio) svoltare alla prima a sinistra (via Cesena) dopodichè la prima a destra è via Riccione.

CHIMICA E RIVOLTA AL CASAL DEL MARMO DI ROMA

Riceviamo e diffondiamo:

Chimica e rivolta al Casal del Marmo di Roma

I sentieri per la Francia sono pieni di scarti di buste di gaviscon. Chi esce in qualche modo da un CPR, dal carcere, o scappa da una delle tante comunità o appartamenti delle cooperative, spesso ha bruciori di stomaco lancinanti provocati dalle dosi massicce di antidepressivi che si porta dietro. Alle volte capita che a qualcuno venga un attacco epilettico mentre attraversa la frontiera. Sono gli effetti collaterali di una brusca interruzione del rivotril, ansiolitico antiepilettico anche detto “eroina dei poveri”1, somministrato in dosi massicce in tutti i luoghi di reclusione, e spacciato fuori vicino alle stazioni. Ieri 11 Gennaio 2023 al carcere minorile Casal del Marmo di Roma è scoppiata una rivolta e sono andati a fuoco alcuni materassi perché non arrivavano gli ansiolitici della sera2. Non ce la facevano più e sono scoppiati, dei ragazzini di 15 anni. Come si dice quando una persona spacca tutto perché non trova una sostanza? Dipendenza, tossicità. Ma tossico è soprattutto lo Stato che sceglie di creare decine di migliaia di ragazzi e ragazze dipendenti, che crea marginalità come aveva fatto con l’eroina di stato negli anni 70. Le carceri statali sono una “fabbrica di tossicodipendenza”3. Gli stessi medici che lavorano in carcere testimoniano la “responsabilità epidemiologica e la problematica restituzione alla società, a fine pena, di centinaia di soggetti in difficoltà nella gestione di forme di dipendenza problematiche”4. Allargando lo sguardo, negli ultimi anni in gran parte degli stati industrializzati, la percentuale delle persone con una diagnosi psichiatrica in cura a carico dei sistemi sanitari è sempre più risicata, mentre sale invece la percentuale di problematiche psichiatriche in persone rinchiuse in carcere. Questo può voler dire più cose: l’inefficacia dei sistemi di cura pubblici e privati da una parte, la rinnovata tensione a custodire e reprimere la follia e la sragione, il cambiamento della popolazione carceraria e delle storie personali che attraversano il carcere, l’utilizzo di diagnosi e contenzione chimica sempre più frequente e massiccio nelle galere.

Il 43% dei detenuti assume sedativi o ipnotici, mentre il 20% risulta assumere regolarmente stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi. Le percentuali schizzano nei cpr5 dove per contenere il rischio suicidario dei tranquillanti minori si prescrivono insieme gli antidepressivi. Poi c’è il metadone e il subutex per chi una dipendenza già ce l’aveva quando è entrato/a. I farmaci a volte possono salvarti la pelle ma sono sempre e solo l’inizio di un percorso, nelle carceri davanti non hai niente verso cui andare, nel tempo e nello spazio. Nessun futuro in un non-luogo di una soggettività negata. La farmacologia diventa in questo contesto culturale e di rapporti di forza camicia di forza chimica e i manicomi si ricreano in carcere, un po’ come una volta le carceri si ricreavano in manicomio con gli ergastoli bianchi e le sbarre. Non è un caso dunque se i movimenti antipsichiatrici si occupano sempre più spesso di carcere6-7, che comunque è un esperienza che accomuna gran parte della popolazione psichiatrica in carico ad altri istituti non penali: SPDC, SERT e carcere hanno le porte scorrevoli tra loro. È importante che lo facciano, che le compagnə parlino di psichiatria in carcere, perché altrimenti la retorica “neomanicomiale” e la cosiddetta “emergenza psichiatrica” vengono utilizzate dai sindacati di polizia e dal DAP per ottenere trasferimenti dei detenuti, più potere nel governo delle carceri e nuove risorse per la repressione della vita privata della libertà.

Da ieri, dopo questo fortuito sabotaggio dovuto a un ritardo nella consegna dei farmaci, è palese ed autoevidente a cosa serve la psichiatria in carcere: a sedare le rivolte, perchè senza pasticche o gocce le gabbie non sarebbero sostenibili per una popolazione carceraria che è cambiata, che “il carcere non lo sa fare”, che fuori non ha nessuno che aspetta, che chiede con disperazione e insistenza talvolta violenta di chiudere gli occhi almeno di notte, che senza non si dorme, di morire almeno per un attimo, il tempo che dura l’effetto dello xanax. Il dolore vivo che celano le carceri nelle loro varie forme va anestetizzato, legato, ucciso. Nessuna cura è possibile in un luogo nato per provocare dolore. Sedare, reprimere, addormentare e fare in modo che i prigionieri e le prigioniere non si suicidino. Quest’ultimo è il mandato che riesce meno e che ha sulla coscienza ha 83 suicidi nel 2022, a cui andrebbero aggiunti tutti quei decessi causati dagli effetti collaterali degli psicofarmaci, come è successo a Isabella, morta a Pozzuoli in seguito alle crisi respiratorie causate dagli psicofarmaci8. In breve la psichiatria serve a gestire, con gravi danni di salute, tutte quelle situazioni che sfuggono al auto-controllo e all’amministrazione della premialità e della pena individualizzata9. Chi non accetta il bastone e la carota non può che essere matto infondo.

p.u.c.k@anche.no


NOTE:

1 https://www.psicoattivo.com/rivotril-nuova-sostanza-dabuso-vecchio-ansiolitico-e-antiepilettico/

2 https://ilmanifesto.it/carceri-minorili-la-rivolta-dei-farmaci

3 http://www.ristretti.it/areestudio/salute/mentale/bartolini/capitolo8.htm

4 https://www.rapportoantigone.it/diciassettesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/la-manica-stretta-ipotesi-di-regolazione-della-somministrazione-di-psicofarmaci-in-carcere/

5 https://radioblackout.org/podcast/nessuna-cura-del-18-01-22/

6 https://radioblackout.org/podcast/carceri-invisibili-del-20-09-22/

7 https://www.osservatoriorepressione.info/carcere-psichiatria-strumenti-controllo/

8 https://internapoli.it/isabella-morta-carcere-pozzuoli/

9 https://tamulibri.com/negozio/il-carcere-invisibile-etnografia-dei-saperi-medici-e-psichiatrici-nell-arcipelago-carcerario

PERQUISIZIONI A BOLOGNA

All’alba di oggi 11 gennaio 2023, Digos di Bologna e polizia scientifica si sono presentati alle abitazioni di 2 compagne e di 1 compagno, per perquisizione. Una di loro è indagata, insieme ad ignoti, per il reato di minacce aggravate in concorso (art 612 co 2 e 10 con varie aggravanti) nei confronti di Marta Cartabia, oltre che per resistenza e imbrattamento. L’episodio contestato è l’esposizione di striscioni con scritto “Marta Cartabia merda” e “41bis: tortura. Alfredo Cospito libero” e lo sversamento di letame davanti al cancello della facoltà di teologia durante l’inaugurazione dell’anno accademico a cui era stata invitata la Cartabia per tenere una conferenza dal titolo “Ristabilire la giustizia. Domande per lo spazio pubblico e per la teologia”.
È stato sequestrato vario materiale (cartaceo, informatico, indumenti) e sono state fotografate molte altre cose presenti nelle abitazioni e nelle auto.

Nessun passo indietro nella solidarietà ad Alfredo, contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo!

MILANO: ANCORA IN PIAZZA DOMENICA 15 GENNAIO CONTRO IL CARCERE E IL 41BIS

Uno sciopero della fame a oltranza per la libertà di tutte e tutti.

Il prigioniero anarchico Alfredo Cospito è in sciopero della fame a oltranza dal 20 ottobre contro il regime del 41 bis e l’ergastolo ostativo. Da otto mesi si trova rinchiuso in 41 bis nel carcere di Bancali, Sassari, per un’azione contro la caserma allievi carabinieri a Fossano (CN) che non ha provocato né morti né feriti ma che la Cassazione ha riqualificato come strage politica con conseguente possibile condanna all’ergastolo ostativo. Neppure per piazza Fontana, per la stazione di Bologna o per le stragi di Falcone e Borsellino è stata applicata questa tipologia di accusa.

Ha perso 35 chili e i parametri vitali sono al limite. Il 19 dicembre il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha confermato la sua detenzione in 41 bis, di fatto firmandone la condanna a morte. La sua lotta ha avuto la forza di aprire uno squarcio sulla ferocia di questo regime a cui nessuno prima poteva portare critiche senza essere accusato di collusione con i “mafiosi” e di indebolire la lotta dell’Antimafia.

Il 41 bis, per come lo conosciamo ora, esiste dal 1992 e non ci risulta, dopo trent’anni, che le organizzazioni di stampo mafioso abbiano subito un indebolimento. Infatti il vero intento di questo trattamento penitenziario non è impedire i contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza all’esterno, come recita il provvedimento che lo istituì, ma di costringere a dissociarsi, a pentirsi, ad accusare qualcun altro da mandare dentro al posto di chi così spera di uscirne.

Isolare, punire, seppellire. Questo è lo scopo di un regime che ormai in tanti definiscono di tortura, in cui si è totalmente tagliati fuori dal mondo, da qualunque rapporto anche con altri detenuti che non siano quelli decisi dalle direzioni, chiusi in celle spoglie, spesso sottoterra, nelle quali anche l’esposizione di una foto e qualsivoglia materiale compresi i giornali. La possibilità di leggere, limitata a 4 libri al mese, è sottoposta a censura e alla decisione dei direttori. I colloqui, uno al mese, si svolgono dietro al pannello di plexiglas. Né i familiari né gli avvocati possono portare fuori neppure una parola del detenuto, pena denuncia con rischio di condanne da 3 a 7 anni di carcere.

In tutto il paese e in tante parti di Europa e del mondo si sono attivate numerose iniziative di solidarietà che hanno riaperto il dibattito pubblico sugli aspetti repressivi del sistema carcerario italiano di cui il 41bis è la punta di diamante.

L’ampia adesione alla giornata di mobilitazione milanese del 29 dicembre, nonostante il divieto posto dalla Questura proprio per scoraggiare la partecipazione, dimostra che la solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo e al regime di tortura del 41 bis sono elementi riconosciuti come propri da settori militanti, sindacali e sociali non quindi circoscritti alla sola area anarchica.

Le notizie invece diffuse dai media hanno il chiaro intento di confinare la breccia apertasi, con la coraggiosa lotta di Alfredo, nel consenso o silenzio che regnava sul regime di tortura del 41 bis, vera pietra angolare che regola l’approfondirsi dell’arbitrio carcerario attraverso l’onnipotenza di strutture come la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Va mantenuta viva e concreta la critica al regime di tortura del 41 bis, dell’ergastolo ostativo e in generale al criterio della “collaborazione” quale strumento premiale o punitivo di mobilità fra i circuiti carcerari che istituzionalizza l’arbitrio e il baratto.

Il 41 bis, l’ergastolo ostativo sono solo la punta estrema di un sistema repressivo le cui ricadute e i cui effetti li misuriamo ogni giorno: va contrastata la crescente criminalizzazione delle lotte sociali – il tributo pagato è già altissimo in termini di repressione, misure preventive e carcere – in particolare della componente anarchica e compresa la sua natura strumentale finalizzata a generalizzare un continuo inasprimento dell’azione repressiva come la storia di questo paese ben ci ha insegnato.

La repressione colpisce e minaccia chiunque non abbassa la testa di fronte allo sfruttamento nei luoghi di lavoro, nella scuola con l’alternanza scuola-lavoro, alla distruzione dell’ambiente, al saccheggio dei territori, alla guerra e al razzismo di stato.

Domenica 15 gennaio: manifestazione
Ore 15 Porta Genova – Milano

Assemblea cittadina Contro carcere, 41 bis, ergastolo ostativo

Fuori Alfredo dal 41 bis
Solidali con chi lotta nelle carceri