CITTÀ DEVASTANTI, BISOGNI SACCHEGGIATI. LA NOSTRA RABBIA NON SI FERMA

Diffondiamo

Dall’ottobre 2022 all’aprile dell’anno successivo, un’inaspettata mobilitazione solidale ha accompagnato lo sciopero della fame di Alfredo Cospito, anarchico prigioniero in 41-bis.
Iniziative, manifestazioni, azioni dirette hanno segnato in Italia e in molte altre parti del globo i passi di un movimento eterogeneo che è cresciuto nel dare forza alla protesta di Alfredo: una protesta che ha rivendicato sì la fine del regime detentivo del 41-bis per il nostro compagno, ma anche l’abolizione di questo dispositivo di tortura legalizzata e dell’ergastolo ostativo, il “fine pena mai”, con cui lo Stato italiano condanna quasi 1300 detenuti a morire in galera.

Uno Stato “democraticamente” guerrafondaio, tutto manette, sbarre e inasprimento di leggi e condanne, ovviamente non si è fatto nessun problema a ignorare, e talvolta a mistificare, quella lotta che metteva in evidenza il suo vero volto da torturatore e certamente non avrebbe ceduto se Alfredo, dopo 6 mesi di sciopero, non avesse interrotto la sua iniziativa. Ma gli obiettivi della protesta e della mobilitazione rimangono sul tavolo delle cause per cui vale la pena lottare.
Ovviamente quello stesso Stato, che probabilmente avrebbe lasciato crepare di fame il nostro compagno, non ha tardato a presentare il conto con inchieste e processi dove si è propagata la mobilitazione di quei mesi.

A Torino, questa controffensiva dello Stato si sta manifestando principalmente per mezzo della cosiddetta “operazione City” che ha propinato un buon numero di misure cautelari e ora si appresta ad aprire un primo “troncone” processuale con l’udienza preliminare del prossimo 17 settembre.
I fatti sotto inchiesta sono quelli accaduti in occasione del corteo internazionale avvenuto a Torino il 4 Marzo 2023, quando Alfredo stava portando avanti da quasi cinque mesi uno sciopero della fame con un inevitabile aggravamento delle sue condizioni fisiche.
I disordini e i danneggiamenti che hanno segnato un tratto del corteo vengono classificati nell’imputazione di “concorso” in “devastazione e saccheggio”, un’iperbole quest’ultima piuttosto roboante trattandosi del reato più grave contestabile in ambito di ordine pubblico, che prevede pene indiscutibilmente elevate.
Per quel che concerne il concorso si noti che in questa inchiesta quasi tutti i destinatari delle misure cautelari non sono accusati di reati specifici ma di aver in qualche modo organizzato il corteo in stile “paramilitare” e di aver “supportato” i danneggiamenti.
La chiamata in causa del “concorso” svela la finalità politica per cui viene utilizzato: spaventare e dissuadere dal manifestare perché la punizione potrà colpire chiunque decida di scendere in strada.
Per questo, il concorso va combattuto nella prospettiva di non cedere spazio alla criminalizzazione e alla smobilitazione della conflittualità di piazza, immancabile tassello in qualsiasi percorso di critica reale agli ordini politici ed economici.

Per quanto ci riguarda, le pratiche messe in atto durante quel corteo, altro non sono che la risposta alla violenza che lo Stato ha voluto per l’ennesima volta dimostrare contro i propri nemici, in un momento in cui era chiara la volontà di annientamento psico-fisico del nostro compagno. Come d’altronde riteniamo fondamentale l’autodifesa dei cortei per tutelare l’incolumità del corteo stesso e rendere più difficile l’identificazione dei manifestanti.
Si tratta di pratiche che appartengono al patrimonio di ogni movimento che si voglia porre in modo conflittuale rispetto allo Stato, pratiche che sempre di più vengono messe alla gogna, criminalizzate e spogliate dal loro significato politico per ridurre la presenza nelle strade a un problema di ordine pubblico.

Le nostre considerazioni rispetto al corteo del 4 Marzo sono poche ma immutabili: l’importanza di esserci stati in quel momento specifico e cruciale della mobilitazione, l’espressione della rabbia per una condanna a morte già scritta, l’affetto e la riconoscenza verso un compagno che ha messo in gioco la sua vita per combattere un mondo di sfruttamento e di prevaricazione autoritaria.

Oggi come ieri al fianco di Alfredo, contro il 41-bis e l’ergastolo ostativo, contro tutte le galere e tutti gli Stati. Alla repressione si risponde con la lotta!

Cassa AntiRepressione delle Alpi occidentali

BOLOGNA: FASCISTI E AVVOLTOI

Infomerdafascista:

A Bologna il 26 settembre in Piazza dell’Unitá fasci e avvoltoi sotto il nome di “Una Bologna che cambia” hanno chiamato a raccolta amici e camerati alle 17:30 al grido di STOP DEGRADO, mentre sotto il nome di “Movimento nazionale rete dei patrioti”, sezione Emilia, la stessa feccia ha indetto per il 12 ottobre, sempre a Bologna, una manifestazione “contro l’immigrazione incontrollata”.  Il “Movimento nazionale rete dei patrioti” è una sigla nata nel 2020 da una scissione del ben più noto partito fascista Forza Nuova e sotto cui si celano diverse formazioni neofasciste. “Una Bologna che cambia” è l’ennesima sigla con cui gli stessi personaggi tentano di mimetizzarsi e rivendersi in cittá come “movimento civico”, tra populismo di bassa lega e revisionismo storico.

NESSUNO SPAZIO A FASCI E AVVOLTOI

[…] la speculazione e la cementificazione chiamata “riqualificazione”, la strumentalizzazione “dell’emergenza droga” e “dell’allarme sicurezza”, la discriminazione della popolazione migrante, la militarizzazione della vita quotidiana, il progressivo restringimento della sanità e dei servizi. Una realtà in cui la sistematica distruzione di comunità e territori è l’esito di quella violenza istituzionale che si nutre di politiche razziste, proibizioniste e repressive, per sostenere e alimentare economie assassine e rendere più docili le classi sfruttate. Città in cui il continuo rinforzarsi delle retoriche della legalità e del decoro si traduce negli abusi sempre più legittimati delle forze dell’ordine e nella violenza del carcere. Un tempo che rende sempre più evidente la necessità di sovvertire l’esistente e lottare.

SALUTO ALLX DETENUTX TRANS DEL CARCERE DI IVREA

Riceviamo e diffondiamo:

Qualche settimana fa abbiamo portato solidarietà allx detenutx trans del carcere di Ivrea nel contesto di un saluto fuori dalle mura del cacrere.
Quello di Ivrea è uno dei carceri in cui è presente una sezione dove le donne trans vengono segregate, costrette ad aver a che fare con secondini uomini, con spesso poco accesso agli spazi comuni e alla salute. La detenzione è una merda per tuttx, la solidarietà l’abbiamo portata a tuttx, ma ci tenevamo a fare un saluto speciale a persone come noi, per cui le condizioni detentive risultano ancora più vessatorie.
Riteniamo, come persone trans*, urgente e necessario uscire dalle proprie bolle di privilegio anche con dei gesti semplici, che facciano luce su una realtà (quella della detenzione trans e le condizioni degradanti in cui relega le persone) che spesso rimane sommersa, e che speriamo porti del calore a qualcunx con cui condividiamo una fetta di oppressione, di bisogni, desideri e rivendicazioni. Oltre a Ivrea, le sezioni con donne trans e persone transfem si trovano nelle sezioni maschili dei carceri di Roma Rebibbia, Como, Reggio Emilia, Belluno e Napoli Secondigliano. Altre sono attualmente recluse in sezioni con sex-offender, uomini gay e detenuti uomini ritenuti sessualmente “inoffensivi”. Gli uomini trans e le persone transmasc non hanno neanche delle sezioni apposite e si trovano soggettx a condizioni ancor più aleatorie e discrezionali, nelle sezioni femminili.
Come se questo non bastasse, le persone trans detenute si trovano spesso in una doppia morsa di natura istituzionale-sanitaria dove da una parte c’è uno scarso accesso alla salute trans-specifica, e dall’altra parte il diffusissimo problema della “detenzione chimica” (i.e. L’impiego di larga manica di sedativi e modulatori dell’umore) che diventa ancor più gravoso quando va a colpire una popolazione già indebitamente patologizzata e psichiatrizzata.
Per portare della solidarietà da fuori non serve molto, non eravamo molte persone, né stavolta, né qualche mese fa quando abbiamo portato della solidarietà ad un detenuto trans recluso nella sezione femminile del carcere di Rebibbia di Roma, di cui ci era arrivata voce. Come persone che vivono sulla propria pelle dinamiche di esclusione e segregazione, ci auguriamo che sempre più persone intessano reti non solo tra chi è fuori, ma anche con chi è dentro, per portare sempre più solidarietà nei confronti di chi vive quelle dinamiche in modo ancor più gravoso, per eroderle, per immaginare un mondo senza trattamenti speciali e degradanti, senza galere per le persone come noi e per tuttx.

Un gruppo di frocie trans*

Per chi volesse entrare in contatto potete scriverci all’indirizzo tuttxliberx@riseup.net

TORINO: MISURE CAUTELARI PER 12 COMPAGNX

All’alba del 10 settembre 2024 la Digos di Torino ha notificato misure cautelari (firme quotidiane e per alcunx due volte al giorno) emesse ai danni di 12 compagnx.

Tuttx accusatx di resistenza a pubblico ufficiale con le aggravanti di violenza e minaccia, tutto in concorso in più di dieci.

Alcunx a vario titolo anche di violenza privata, lesioni e danneggiamento.

I fatti si riferiscono al 28 febbraio 2024 quando un nutrito gruppo di compagnx, amicx e solidali si é messo in mezzo durante il trasferimento del nostro compagno Jamal dalla Questura di Torino (lì trattenuto in seguito a un fermo in strada) al CPR di Milano via Corelli, tentando quello che riteniamo ancora il possibile: inceppare la macchine delle espulsioni.

A chi di noi qualche settimana dopo ha corso all’areoporto di Malpensa, nel tentativo di fermare la deportazione di Jamal, bloccandone poi di fatto, quella di un’altra persona, l’aggravante relativa a quei fatti ha portato il GIP a stabilire la peculiare misura delle due firme quotidiane.

Ancora una volta il PM Scafi non ha mancato di chiedere carcere e domiciliari per i fatti in questione portandone a casa un magro bottino.

Mettersi in mezzo al trasferimento in veri e propri lager – quello di via Corelli e di Gradisca d’Isonzo – e alla deportazione di Jamal era il minimo che si potesse fare – e purtroppo troppo poco – al fianco di un compagno e un amico. Il minimo contro il sistema razzista e torturatore, che detiene e deporta.

Provare ad inceppare la macchina delle espulsioni è possibile.

Fuoco ai CPR.
Al fianco di chi lotta, si ribella e resiste nelle galere.

BOLOGNA: SUL PARCO DON BOSCO SPLENDE ANCORA IL SOLE, MA LA REPRESSIONE PIOVE SU CHI LO HA DIFESO [23 SETTEMBRE PRESIDIO AL TRIBUNALE]

Riceviamo e diffondiamo:

Bologna, Parco Don Bosco, 4 Aprile, Ore 02:21.
10 agenti dell’Arma dei carabinieri sono in agguato attorno al presidio. si preparano a tentare l’arresto di 4 soggettività del Parco, ancora al lavoro per fortificare le barricate difensive, quelle stesse barricate sulle quali neanche 24 ore prima si è combattuto il primo tentativo di sgombero della straordinaria esperienza di autogestione collettiva al Don Bosco. Sono tutti e 10 armati, tra taser e manganelli, guanti e spray urticanti. sono acquattati lungo il lato del cantiere di via Fani, come per un assalto a sorpresa, nascosti e probabilmente in cerca di una forma di vendetta. Quello che succede dopo lo sappiamo già.
Avevano un feroce bisogno di attaccare e criminalizzare quello che stava succedendo a Bologna dopo i fatti del giorno prima, della mattina del 3. In quell’occasione la forza dei comitati cittadini, dei collettivi e delle singole anime che insieme avevano portato avanti la lotta per il Don Bosco, dove avevano imparato a conoscersi e a potenziarsi l’un l’altra, aveva umiliato le armate poliziesche: resistendo a ore di cariche, arrivando a scacciare la celere con corpi e desideri, a furor di popolo.  Si era finalmente risposto alla violenza delle istituzioni.
E così, quando il movimento vince, quando dal basso ci si inizia a imporre con decisione sui  territori, sugli spazi in cui viviamo, sulla ricchezza che ci dovrebbe appartenere, la controparte e il suo braccio armato aumentano il livello della repressione.
Come possiamo continuare a manifestare al giorno d’oggi se ogni corteo studentesco, picchetto antisfratto o occupazione viene represso nella violenza dei manganelli prima, e  in quella della famigerata legge italiana dopo?

Proprio in questi giorni (inizio Settembre) vediamo svolgersi la seconda parte delle violenze di cui abbiamo parlato. Vengono aperti una dozzina di procedimenti contro altrettante soggettività, definendo “condotta violenta” l’azione di resistenza. Qual è realmente la condotta violenta?
Difendere un parco con i propri corpi, o invaderlo picchiando alla cieca con l’antisommossa?
Recuperare pezzi di legno per strada, o pestare unx singolx con taser e spray?
Per non parlare di tutte quelle occupazioni abitative con famiglie sgomberate, delle botte ai picchetti dei lavoratori in sciopero (ultimo esempio ne è Mondoconvenienza), di tutti quei cortei studenteschi caricati, da Pisa a Torino a Roma e in tantissime altre città. Neanche un mese dopo gli eventi di aprile, il 3 maggio a Genova alcunx compagnx vengono circondati durante una serata benefit e attaccati brutalmente da decine e decine di sbirri, accompagnati anche da alcuni militari, con l’uso massiccio di taser.
Dove sta il torto?Basta avere una divisa addosso, e tutto diventa legittimo?

Il 3 aprile c’eravamo tuttx a riempire quei cordoni. Ed è stato proprio il fatto che volevamo difendere a tutti i costi il parco ed il presidio, il fatto che i nostri corpi si sono opposti all’unisono, che ci ha permesso di avere quella vittoria. Soprattutto, ci ha permesso di dimostrare che saremmo stati disposti a proseguire ad oltranza nei mesi successivi. Determinazione che ha agito da deterrenza per la controparte fino alla capitolazione definitiva del progetto.

Ci saremo tuttx, per i nostri territori, con i nostri corpi, contro la loro brutale repressione, anche il 23 settembre, alle 14, davanti al Tribunale in via d’Azeglio 56, in occasione del processo in direttissima a una soggettività del parco per i fatti della notte tra il 3 e il 4 aprile, per una giornata di solidarietà che finirà attraversando le strade della città e ribadendo ciò che ci ha portato fin qui.

Tuttə liberə, liberə subito!⁩

UNA STAGIONE DI FUOCO: DI RIVOLTE E PROTESTE NEI CENTRI DETENTIVI ITALIANI – PARTE 1

“Senza troppo girarci intorno, quello che vi chiediamo è di aiutarci, di rendere trasparenti questi muri, mostrando alla gente i crimini commessi da uno stato che, ipocrita, pretende il rispetto delle leggi che esso stesso vìola sistematicamente restando però impunito.

Vorremmo che tutti e tutte riuscissero a capire che non c’è nulla di rieducativo nel carcere. Vorremmo che si superasse la solita narrazione della prigione che garantisce la sicurezza dei cittadini. È falso.

Il carcere è criminale, criminoso e criminogeno”.

dai Detenuti Liberi di Regina Coeli

I mesi estivi – più dei precedenti dell’ultimo anno- sono stati scanditi da un ciclo di proteste e rivolte che hanno scosso i centri detentivi italiani da nord a sud. L’ultima, la rivolta nel carcere minorile Beccaria di Milano, che per la sua dirompenza buca ogni tipo di canale d’informazione, fa seguito a proteste e rivolte che tra Luglio e Agosto sono state quasi quotidiane, talvolta altrettanto impattanti e discusse – come quelle avvenute a Torino tra il carcere Lorusso Cutugno e il minorile Ferrante Aporti – talvolta, invece, totalmente silenziate. Abbiamo voluto e provato a raccogliere le lotte di questa stagione di fuoco dei centri detentivi del Bel Paese in una cronistoria. Una cronistoria con tutta probabilità non esaustiva per i limiti delle fonti e per la quantità degli eventi, ma che abbiamo deciso di tracciare per dare una dimensione alla portata delle istanze e delle pratiche con cui detenute e detenuti stanno alzando la testa contro il carcere, i CPR e contro le istituzioni che li riempiono e amministrano. Un punto di partenza per provare a ragionare attorno alla detenzione, a come si stanno evolvendo il discorso e l’intervento pubblico e politico attorno ad essa e a quale ruolo si possa avere qui, “fuori”, tra chi, senza alcuna velleità riformatrice, aspira a vedere macerie di quelle mura.

Le lotte delle persone recluse, le evasioni, il desiderio di libertà ci scaldano il cuore e lo riempiono di coraggio. L’ammutinamento contagioso che si propaga di carcere in CPR (centri di permanenza per il rimpatrio) e viceversa, riesce a contagiare anche il “fuori” e non può non farci interrogare sulle possibilità a nostra disposizione per sostenere queste lotte ed immaginare forme di solidarietà reattive, efficaci e intellegibili. Ovviamente se, da un lato, c’è chi da queste lotte trae spunti di riflessioni per analizzare l’esistente e immaginare in che modo intervenire, dall’altro, non manca e non si fa attendere – in tutta la sua capillarità – l’intervento dello Stato e delle sue articolazioni per limitare spazi di agibilità e soffocare le possibilità di contrastare una realtà sempre più mortifera ed opprimente.

Le dichiarazioni del governo sulla situazione detentivo-carceraria tentano, infatti, di aggirare e manipolare le evidenti tensioni nei centri detentivi, le rivendicazioni di detenuti e detenute, la loro genesi e la loro effettiva portata. Articoli, commenti e opposizioni affrontano superficialmente la questione limitandosi a fare da eco alle istanze di Governo o dei sindacati di polizia, monopolisti delle informazioni che trapelano dalle galere. In parallelo, decreti, pacchetti di legge, circolari e processi, elaborano norme, impartiscono direttive e imbastiscono accuse per ostacolare e stroncare ogni afflato di ribellione dentro e fuori i luoghi di reclusione.

Per chi prova ad osservare cosa rappresenta il carcere in questa società e ad ascoltare il grido di chi lo vive sulla propria pelle, i detenuti e le detenute che si ribellano, assordano le guardie battendo sulle barre che li imprigionano, distruggono impianti di videosorveglianza e infermerie, attaccano le guardie, scioperano, usano il fuoco, salgono sui tetti o tentano di evadere, lo fanno perché la quotidianità detentiva non è accettabile, né sostenibile. “Il carcere è criminale, criminoso e criminogeno”. Non possono passare nel silenzio le morti nelle galere e nei CPR: morti di Stato, che non devono essere silenziate o distorte e delle quali non deve essere taciuta la responsabilità. La responsabilità di un Paese che decide di rinchiudere nelle prigioni le eccedenze e gli inadeguati di una società che sfrutta, impoverisce e marginalizza in modo cannibale.

Non si può non constatare che quanto avvenuto questa estate e continua ad accadere nei centri detentivi penali e amministrativi in Italia, abbia un’intensità e una dimensione che non si riscontravano da diversi anni, ma che comunque non deve e non può sorprendere. La violenza esercitata dal potere sulle persone recluse si compone, infatti, di elementi radicati, strutturali e strutturanti senza i quali non sarebbe possibile parlare di detenzione. I blindi, le sbarre, le guardie e le chiavi, sono solo alcuni di questi elementi, i più visibili e noti. Sarebbe però a dir poco superficiale limitarsi ad essi nel rintracciare gli strumenti afflittivi di cui gli apparati repressivi dispongono e contro i quali si muove la rabbia delle recluse e dei reclusi.

L’architettura del carcere è immaginata per essere una zona grigia distante alla vista della società. Si conforma in una sorta di gerarchia ottica per la quale, quello che avviene all’interno – i pestaggi, la negligenza, gli abusi, le ritorsioni – è noto a chi lo vive, ma ignoto, opaco o distorto all’esterno.

Da qui, una prima forma dell’isolamento, quella dell’invisibilizzazione agli occhi del mondo, che rende possibile, alle istituzioni penitenziarie di agire ogni sorta di sopruso verso chi vive una limitazione della propria libertà. Non a caso, in una delle lettere dei detenuti liberi di Regina Coeli, quello che a gran voce scrivono, è di voler rendere trasparenti le mura del carcere, spezzare l’isolamento.

Questo isolamento, per così dire, strutturale, si affina e si differenzia diventando strumento disciplinante a vari livelli: dall’isolamento punitivo che fa seguito a proteste o rivolte, al fine di annichilire l’individuo e stroncare i legami interni al carcere e talvolta anche quelli esterni – quando esso assume la forma del trasferimento punitivo in altro istituto o centro detentivo – fino al 41bis: estrema forma di afflittività e tortura del sistema carcerario italiano.

Se l’isolamento, nelle sue differenti forme, è una delle condizioni di possibilità dell’architettura penitenziaria, suo opposto speculare è il sovraffollamento: condizione storicamente intrinseca delle carceri italiane – affrontata a fasi alterne, ma sempre in un ottica di emergenzialità – in grado di esasperare le criticità della vita detentiva e la brutalità della prigione. Nonostante lorsignori Nordio e Tajani, con titoli di giornale a far da eco, parlino del sovraffollamento come di una non-realtà o, più moderatamente – se così si può dire – come di un fattore indipendente dai suicidi, che si alternano al ritmo di uno ogni tre giorni, e dalle proteste che hanno infiammato questa e molte altre estati, le lotte e la rabbia delle persone recluse ci dicono tutt’altro.

Cronistoria delle rivolte e proteste

LUGLIO:

  • 2 Luglio, CPR di Pian del Lago, Caltanissetta, rivolta con fuoco e sassaiole contro il trattenimento e il rimpatrio.

  • 5 Luglio, CPR di Ponte Galeria, Roma, scoppia una rivolta che interessa 4 aree del centro dopo un tentativo di suicidio di un recluso, lancio di lacrimogeni e pestaggi dopo l’intervento di polizia e carabinieri. Diversi feriti tra i reclusi.

  • 7 Luglio, carcere di Sollicciano a Firenze, a seguito della morte di un detenuto, scoppia una infuocata protesta in 2 sezioni del carcere, contro condizioni degradanti, sovraffollamento, mancanza dei servizi minimi.

  • 8 Luglio, carcere minorile Beccaria, Milano, rivolta con fuoco divampa dalla seconda ala del penitenziario, detenuti evacuati in un altra sezione.

  • 10 Luglio, CPR di Gradisca d’Isonzo, una colonna di fumo di alza dall’area blu, adibita alla detenzione in prevalenza di persone deportabili in tempi brevi, perlopiù provenienti dalla Tunisia.

  • 11 Luglio, carcere del Coroneo, Trieste, 260 detenuti in un carcere con capienza massima di 150. Rivolta con fuoco, causa gravi danni alla struttura. Scontri con la polizia e rivolta sedata con celere in tenuta antisommossa e lancio di lacrimogeni dentro le sezioni, pestaggi. Diverse persone sono trasportate in ospedale e un detenuto muore.

  • 12 Luglio:

– carcere di Vercelli, il penitenziario si allaga per via del maltempo e la fatiscenza strutturale. Parte una protesta e diversi detenuti si rifiutano di rientrare delle celle, altri scandiscono battiture. 2 sezioni coinvolte.

– carcere di Brissogne, ciclo di proteste e rivolte. Qualcuno tenta di salire sul tetto, lanci di oggetti al di fuori delle sbarre, fuoco. Scontri con la polizia proseguono fino almeno al 16 Luglio;

– carcere di Mammagialla a Viterbo, a seguito della morte di un detenuto scoppia una rivolta di circa 50 detenuti che, sebbene fossero stati accerchiati ed isolati dalle altre sezioni, hanno proseguito la rivolta anche con fuoco; lanciati lacrimogeni nella sezione.

  • 14 Luglio:

– carcere di Castrovillari vicino Cosenza, detenuti si barricano in infermeria e la distruggono.

– dal 14 Luglio al 15 Agosto con cadenza quasi settimanale, proteste nel carcere Lorusso e Cutugno a Torino, il 14 Luglio detenuti si rifiutano di rientrare in cella dal blocco B e divampa il fuoco, scontri con gli agenti; la protesta prosegue nei giorni successivi con 270 detenuti che si rifiutano di rientrare nelle celle, battiture e sciopero del carrello.

  • 18 Luglio CPR di Palazzo San Gervasio, Potenza, alcuni detenuti salgono sul tetto per protestare contro le condizioni degradati e disumane del trattenimento: cibo immangiabile a cui vengono aggiunti psicofarmaci per sedare i reclusi.
  • 20 Luglio:

– carcere Malaspina a Palermo, un gruppo di detenuti ingaggia uno scontro con gli agenti e tenta di impossessarsi delle chiavi.

– carcere minorile di Casal del Marmo, Roma, evasione di 3 detenuti.

– carcere di Arghillà, Regio Calabria, prende fuoco parte della sezione di isolamento, il 19 Luglio un centinaio di detenuti erano stati colpiti da un’intossicazione alimentare dovuta al cibo immangiabile per via delle alte temperature e l’assenza di condizionatori e impianti di areazione.

  • 21 Luglio, CPR di Palazzo San Gervasio, Potenza, ancora proteste e persone sul tetto del CPR potentino.

  • 22 Luglio, carcere di Gorizia, divampa il fuoco, evacuazione del reparto detentivo 4 detenuti e 6 portachiavi ricoverati per intossicazione.

  • 23 Luglio, carcere di Novara, detenuti si barricano usando le brande e usano olio da cucina sui pavimenti per ritardare e ostacolare l’intervento delle guardie. In frantumi l’impianto di illuminazione e videosorveglianza.

  • 24 Luglio:

– carcere di Venezia, Santa Maria Maggiore, devastata la rotonda, l’ufficio di sorveglianza generale, distrutti computer, registri, scrivanie. Gli incendi portano all’evacuazione della sezione. La protesta sembra essere nata a causa di trasferimenti, sovraffollamento (245 su 159 posti) e per il suicidio di un detenuto avvenuto il 15 Luglio.

– carcere di Rieti, 400 detenuti (9 sezioni su 10) iniziano una protesta prolungata con rifiuto di rientrate in cella, sezioni aperte anche di notte.

  • 25 Luglio:

– CPR di Ponte Galeria, divampa il fuoco, vengono sfondati dei cancelli e alcuni detenuti riescono a salire sul tetto. Scontri con la polizia;

– carcere Canton Mombello di Brescia, esplode la rabbia, un’intera sezione a ferro e fuoco.

  • 26 Luglio:

– carcere minorile Beccaria a Milano, rivolta con fuoco in un reparto dell’IPM.

– carcere Prato, la Dogaia, nella notte fra il 26 e il 27 Luglio alcuni detenuti della prima sezione si barricano e distruggono i neon lasciando al buoi il reparto. La sera del 27 un detenuto si toglie la vita.

– carcere di Biella, una stanza del carcere di prende fuoco.

  • 28 Luglio, carcere di Velletri, incendi in diverse sezioni, rivolta di 240 detenuti che prosegue per diversi giorni.

  • 29 Luglio, carcere di Biella, sette detenuti si rifiutano di rientrare in cella.

AGOSTO

  • 2 Agosto:

– carcere minorile Ferrante Aporti, Torino, i detenuti prendono il controllo del carcere. Viene presa una radio della polizia, incendi, distrutte celle, l’ufficio della direzione, la sala di controllo della videosorveglianza e un tentativo di evasione di massa, poi sventata.

– carcere Lorusso Cutugno, Torino, dopo settimane di sollevazioni nella notte scoppia la rivolta, nel blocco B 400 detenuti prendono il controllo del blocco utilizzando il fuoco.

  • 5 Agosto, CPR di Palazzo San Gervasio, Potenza, a seguito della morte di Osama per le botte ricevute e la negligenza sanitaria della gestione, esplode la rabbia di un centinaio di reclusi. Danneggiamento di diversi moduli, fuoco nelle aree.

  • 6 Agosto, carcere di Baldenich, Belluno, rivolta che porta alla distruzione degli impianti di videosorveglianza, docce, vetrate, videocitofoni. Danni per migliaia di euro.

  • 7 Agosto:

– carcere di Campobasso, alcuni reclusi riescono a raggiungere il tetto della casa circondariale a seguito di tensioni.

– CPR di Bari, dopo la notizia della morte di Osama nel CPR di Palazzo San Gervasio, 3 detenuti salgono sul tetto. 2 di essi cadono, uno dei due viene trasportato in ospedale con probabili fratture multiple, il secondo viene messo in isolamento per la supposta positività al COVID.

  • 10 Agosto, carcere di Siano, Catanzaro, accesa rivolta interessa 2 sezioni, scontri con le guardie e i detenuti si impossessano delle chiavi.

  • 11 Agosto, CPR di Gradisca d’Isonzo, due detenuti riesco ad evadere dal lager.

  • 15 Agosto:

– Battitura nazionale a cui aderiscono diversi detenuti in giro per i penitenziari italiani.

– carcere Lorusso e Cutugno, Torino, le detenute della sezione femminile, in solidarietà alla battitura nazionale, inizia uno sciopero del carrello. Mentre nelle sezioni maschili, nel pomeriggio inizia a salire la tensione. Dal blocco B diversi detenuti si rifiutano di rientrare in cella; qualcuno da fuoco ad un materasso, si tenta un’evasione. Nel frattempo la rivolta si allarga al blocco C, i detenuti si barricano in sezione rifiutando di rientrare in cella, gettando olio a terra per rallentare l’intervento degli apparati repressivi; distrutto il sistema di videosorveglianza, gli “arredi” e l’impianto di illuminazione; divampano incendi nella notte;

– carcere di Pescara, divampa il fuoco in una cella che rimane totalmente inagibile, scontri con le guardie.

  • 16 Agosto, IPM di Casal del Marmo, Roma, distrutti molti arredi del minorile, scontri con le guardie durati fino alle 21; nella serata i detenuti si rifiutano di assumere la terapia psicofarmacologica, lanciando frutta a medici e infermieri, altresì rifiutandosi di rientrare in cella.

  • 17 Agosto:

– carcere di Bari, una trentina di detenuti si rifiutano di rientrare in cella, si impossessano delle chiavi e aprono la cella di un altro detenuto, rissa con alcune guardie e sequestro di un’infermiera; a seguito della protesta i detenuti in questione sono stati trasferiti.

– carcere di Regina Coeli, Roma, iniziano 2 giorni di rivolta che coinvolge inizialmente 200 detenuti della terza sezione; vetri in frantumi, serrature delle celle rotte, corridoio allagato e fuoco nella sezione; l’indomani la sommossa continua con ancor più forza, altri roghi si appiccano.

– carcere di Siano, Catanzaro, un detenuto sale sul tetto in segno di protesta.

– carcere di Imperia, fuoco in una cella.

  • 19 Agosto:

– carcere Lorusso e Cutugno, Torino, i componenti del Consiglio di disciplina incaricati di elargire alcune sanzioni disciplinari nei confronti di un paio di detenuti del blocco A, passano “5 minuti di paura”; distrutto arredo dell’ufficio (computer, tavoli, libreria, ventilatore – perché le guardie stanno al fresco); componenti del consiglio barricati nella stanza mentre i detenuti venivano sedati.

– carcere di Castrovillari, rivolta infuocata, evacuate due sezioni; è la seconda rivolta del mese, la prima non è dato sapere esattamente quando sia avvenuta.

carcere della Dozza, Bologna, scontri con alcuni agenti.

  • IPM del Pratello, Bologna, battitura molto intensa proseguita per alcune ore.

  • IPM Beccaria, Milano, nella notte fra il 19 e il 20 Agosto, a seguito della mancata assistenza sanitaria di un detenuto, viene incendiato un materasso, dopo gli scontri con qualche agente, alcuni detenuti si impossessano delle chiavi e viene tentata l’evasione di massa. A seguito delle proteste qualcuno viene trasferito nello specifico al Pratello.

  • 20 Agosto, IPM del Pratello, Bologna, un detenuto – e qualche solidale – si oppone ardentemente all’ennesimo trasferimento che stava subendo nel giro di neanche un giorno, scontro con alcune guardie e danneggiata una stanza del minorile.

  • 22 Agosto, rintracciato detenuto evaso il 22 Giugno dal carcere di Bollate, Milano; riesce ancora a scappare e resta tutt’ora irreperibile.

  • 23 Agosto:

– carcere di Argillà, Reggio Calabria, scontri con la penitenziaria e detenuti asserragliati in sezione, ingenti danni alla struttura.

– carcere di Marassi, Genova, il piano terra e il primo piano della sesta sezione del penitenziario sono barricati; durante gli scontri, dell’olio bollente cade a terra e rallenta l’intervento delle guardie. Il fuoco ha divampato e alcune celle sono rimaste distrutte, come anche l’impianto di illuminazione.

  • 25 Agosto:

– CPR di Ponte Galeria, si alza una colonna di fumo dalla sezione maschile.

– IPM Beccaria, Milano, più o meno in queste giornate (non è dato sapere esattamente quando) un detenuto evade non rientrando dalle attività svolte fuori dal carcere. Il 28 Agosto viene rintracciato in Liguria e nuovamente arrestato.

– carcere di Bergamo, un detenuto sale sul tetto mentre nelle sezioni alcuni materassi vanno in fiamme.

– carcere di Palermo, Pagliarelli, per opporsi alle perquisizioni, 50 detenuti portano avanti una protesta da mezzanotte alle 3 di notte circa, battiture, gettata acqua e sapone in sezione, lenzuola e carta in fiamme.

  • 26 Agosto:

– carcere di Palermo, Pagliarelli, dalle 13:30 per tutta la notte fino alla mattinata del 27 Agosto, 3 detenuti salgono sul tetto del carcere per chiedere il trasferimento.

– carcere di Porto Azzurro, Isola d’Elba, un detenuto in protesta contro la decisione del magistrato di sorveglianza di escluderlo dall’accesso alla liberazione anticipata per via di alcuni rapporti disciplinari, sale sul tetto/si appende ad una grata a 20 metri di altezza, circa alle 14:30 e ci resta tutta la notte.

  • 27 Agosto:

– carcere della Dozza, Bologna, danneggiato impianto di videosorveglianza e, a seguito del suo trasporto coatto di un detenuto in infermeria (probabilmente in vista di una sedazione forzata), vengono danneggiati i sanitari della stanza.

– carcere di Bollate, Milano, un detenuto scrive una lettera e indice 7 giorni di protesta nazionale, con la richiesta di una visita congiunta del Ministro del Presidente della Corte Costituzionale e del Garante dei detenuti. La protesta prevede una battitura di 30 minuti dalle 12 alle 12:30, rifiuto di uscire dalle celle, sciopero del carrello, sciopero dello spesino, rifiuto di medicinali non prescritti.

– carcere di Ivrea, un detenuto tenta l’evasione.

– carcere Pietro Cerulli, Trapani, un detenuto protesta salendo sul tetto del reparto Tirreno per richiedere il suo trasferimento.

– carcere di Sabbione, Terni, un detenuto si rifiuta di rientrare il cella.

  • 28 Agosto, carcere del Cerialdo, Cuneo, un detenuto sale sul tetto in segno di protesta, chiedendo di essere trasferito.

  • 30 Agosto, carcere di Regina Coeli, Roma, forte protesta nella prima sezione, danneggiato il secondo piano, divelte telecamere, controsoffitto in cartongesso, bombolette del gas scoppiate, lanci di spazzatura, pezzi di ferro e estintori svuotati.

  • 31 Agosto, IPM Beccaria, Milano, nella notte fra il 31 Agosto e l’1 Settembre, scoppia un rivolta che coinvolge tutti i detenuti del minorile; incendi nelle celle, durante l’evacuazione i detenuti riesco a raggiungere la portineria, tentata evasione di massa; qualcuno annoda lenzuola e 4 persone evadono (rintracciate la stessa notte); 8 detenuti feriti.

SETTEMBRE

  • 2 Settembre:

– IPM Fornelli, Bari, inizia un ciclo di diversi giorni di rivolta, tensione alta, fuoco nelle sezioni;

– carcere di Frosinone, a seguito della morte di un detenuto, nella notte fra il 2 e il 3 Settembre, scoppia una rivolta, vetri infranti e ambienti allagati.

– carcere Lorusso e Cututgno, Torino, dal blocco B, in particolare nella prima, seconda, terza e quarta sezione, i detenuti si rifiutano di rientrare in cella. Riescono a raggiungere la rotonda chiedendo di parlarle con il direttore

– carcere di Biella, detenuti riescono a uscire nelle sezioni e ci restano per diverse ore.

  • 3 Settembre, carcere di Ivrea, forti proteste nel primo e terzo piano del reparto di isolamento, distrutta una cabina telefonica, neon, scontri con gli agenti, battiture. Contemporaneamente nel primo e terzo piano destro, inizia una forte battitura, fuoco ai cuscini, diversi arredi distrutti, scontri con gli agenti. Rivolta continuata fino alle 2:30 di notte.

AGGIORNAMENTO OPERAZIONE CITY

Diffondiamo:

Il 17 Settembre presso il Tribunale di Torino si terrà l’udienza preliminare per 19 imputatx, accusatx a vario titolo per i fatti relativi al corteo del 4 marzo 2023 a Torino, contro 41bis ed ergastolo ostativo, al fianco del compagno Alfredo Cospito, ai tempi in sciopero della fame da circa cinque mesi.

Il PM Paolo Scafi contesta ai/alle 19 imputatx, oltre ad alcuni capi ad personam, l’art. 337 c.p (resistenza a pubblico ufficiale, aggravata in vario modo ed in concorso), nonché l’art. 419 c.p. (devastazione e saccheggio) corollato, anche in questo caso, da svariate aggravanti e legato dal concorso sia morale che – per alcunx – materiale. Tuttx le/gli imputatx sono sottopostx a misura cautelare dal 22 Aprile: 3 arresti domiciliari e 16 tra divieti di dimora, obblighi di dimora combinati, o non, con obbligo di presentazione alla P.G.

Inoltre fra i 45 iniziali indagatx per cui erano state chieste misure cautelari (poi rimodulate a 19 dal GIP), la procura ha depositato una richiesta di appello per diversx compagne/i riguardo al reato di resistenza a pubblico ufficiale in concorso (in merito a fatti accaduti durante il concentramento del corteo) e per un compagno relativamente al reato di istigazione a delinquere. Tale udienza si terrà il 20 Settembre a Torino.

Di fronte al tentativo dello Stato di elargire anni di carcere a chi, in quelle giornate, ha scelto di scendere in strada al fianco di un compagno in lotta, e, insieme a lui contro il 41bis, culmine torturativo dell’ordinamento penitenziario italiano, ricordiamo che il 4 Marzo c’eravamo tuttx e che la lotta per la libertà continuerà nonostante le azioni delle procure e della polizia.

PROSSIMI APPUNTAMENTI

Martedì 17 Settembre

Ore 9 presenza solidale davanti al Tribunale di Torino in via Giovanni Falcone

Ore 15 saluto al carcere Lorusso e Cutugno, appuntamento al capolinea del 3.

IL SOLO PONTE È LA SOLIDARIETÀ TRA INSORT*

Diffondiamo da Stretto LibertAria

“A te, uccel di bosco,
bellissima natura in un mondo di calcoli e cemento.
È per te, per la tua umanità e per quelli come me, cuori ardenti.
Dovunque tu sia.
Libero.”

Per il secondo anno si è svolto il corteo contro il ponte sullo Stretto nel centro della città di Messina, in pieno agosto.

Le ultime novità riguardo il progetto del ponte sono la sua lottizzazione, per cui non è più necessario che esso sia definitivo per la messa in cantiere dell’opera; ed ancora, una serie di provvedimenti giuridici che comportano l‘aumento delle pene per chi protesta contro le grandi opere da un lato e la tutela delle forze dell’ordine dall’ altro, garantendo loro il pagamento statale delle spese processuali in caso venissero inquisiti per abusi.

Le liste degli espropri restano in aria, come un “cemento mori”; liste di proscrizione; chiamate al loro fronte del progresso già come vittime. Il ticchettio di un conto alla rovescia opprimente, il loro piano, quello dell’invasione della proprietà privata tende sempre più a stralciare il dissenso in mere gestioni economiche. Per loro, tutto si basa su un’analisi costi-benefici, tutto ha un prezzo, tutto é acquisibile con la giusta somma o pressione. Ci hanno collocati nel loro scenario come caduti e cadute della loro battaglia contro l’arretratezza e ci garrotano al collo un cartello con scritto “Vendesi”, sbarrato da una crudele barra rossa. La vigile attesa sul porticato del ‘pater familias’, che sia per firmare un contratto di (s)vendita o per opporre quella ‘resilienza’ permessa dalle norme, è tutta esaltata. Il tessuto sociale non conta, ad interlocuire è solo il privato con un altro privato. Un colosso (Webuild) contro tante piccole tribù. Il luogo sacro? Un cassetto digitale con un numero catastale; siete state selezionate? Bene, allora pronte al rendez-vous con il peggior offerente. La vita ha già un costo, non ci sono trattative e, tra le altre cose, sembrerebbe già essere acquistata.

L’UNICO PONTE È QUELLO TRA INSORT*
Una settimana precede il corteo, un caldo sempre più asfissiante, lo Scirocco ci graffia la pelle con il suo desertico contenuto. Il mondo procede a passi da maratoneta, ogni istante tutto sembra cambiare, di volta appesantendosi di volta nebulizzandosi nelle solite vecchie promesse. Quest’aria color ocra porta in se già un’elettricità. Lo Stretto, frontiera, panorama di mille speculazioni, diventa adesso un canale di incontro, un’infrastruttura di insubordinazione. Migliaia di persone, emigranti in ferie e vacanzieri in cerca d’ avventura, sfilano e condividono i propri umori, sudano insieme per le vie della città, che altrimenti sarebbe vuota. Gridano la contrarietà nei confronti di un’opera che in tutto il suo fantasmatico bagliore intende celebrare l‘utopia del capitale.

Ci si reincontra tra amici e conoscenti dopo un anno di lavoro, si ride, si chiacchiera e ogni tanto si grida qualche slogan. Mi ricorda la festa del santo del paese alla quale partecipavano ogni anno con la famiglia, mia madre che saluta tutti, un clima di festa e di comunità ritrovata..peccato durasse quella settimana all’anno e basta. Oggi dura un giorno, ma dura anche da tutto un anno fatto di incontri, scontri, complicità e complessità; anche noi vogliamo ritrovare la festa e chissà, forse farla a qualcuno.

Il gioco contro lo spettacolo delle opinioni che si fanno liturgia.
Alcune compagne, alcuni compagni cospirano insieme; certamente alcune vedute assumono tinte differenti, mischiate insieme si trasformano in un profondo nero, quello delle “notti belliss(im)e” che, con piccoli orrori ortografici, dimenticanze, diventa un grido su uno striscione nero pollock. Tenuto alto sui volti delle complici, sfilerà poi nelle strade di Messina. L’incontro di diversi respiri si trasforma presto in un urlo che giunge, sotto forma di richiamo, fiumi di parole, per chi da diverse latitudini sente un accorato disprezzo per l’opera usurpatrice, scure statale ed intrallazzo globale.  Lo sentiamo, ci serve spazio; la piazza, le spiagge, le tende, il focolare che ci ha riunite in cerchio di sonno/veglia in attesa del giorno seguente.

Sarà forse che gli sgherri hanno sempre le orecchie troppo lunghe, ma la piazza, il pomeriggio del 10 agosto, pullula di sbirri. Camionette ed impostori voyeuristi di Stato si aggirano con quel ghigno intorno al corteo, intorno a tutte noi.

In questo equilibrio tra gioia della condivisione e necessità di rendere un minimo pratica una critica che muore non appena si riduce a opinione, nell’intento di creare uno spazio di fuga dal grande occhio dello Stato che si manifesta in centinaia di telecamere, in una dinamica che non ha dimenticato di mettere al primo posto il gioco e la presa bene, ci siamo ritrovati dentro un quadrato di striscioni, dentro il quale c’erano le nostre risate, cori e parole che, nell’estate torrida delle rivolte nelle carceri e delle morti in mare, manifestavano vicinanza a chi lotta dentro ogni luogo di reclusione e qualche pistola ad acqua per allontanare gli sguardi indiscreti; il quadrato ha lasciato alcune scritte per le strade e sui muri della città, ne avremmo volute di più, ma i controllori dell’ordine si sono concentrati tutti su questa testuggine di striscioni che sfilava per le strade, sconcertati da qualcosa di mai visto da queste parti.

Il contenuto non è certo fatto da una muta ostilità, nè di certo ci imbrogliamo che qualche sputo e un pò d’acqua sia una bastevole misura contro questi imbufaliti esecutori della repressione statale, risultava però fondamentale in qualche modo rendere evidente,coi nostri corpi, la critica alle nuove norme in materia di repressione del dissenso. Quegli impiegati che stanno lì a rosicchiare straordinari non sono nostri amici, sono coloro che permettono che quei decreti liberticidi e criminalizzanti si concretizzino. Inoltre, in un momento in cui la presenza di cantieri e altri obiettivi materiali ancora non c’è, cominciare a esplicitare a noi stessi e al resto del corteo la necessità di un modo di stare in piazza che si farà sempre più necessario con la messa in opera del progetto ci è sembrato doveroso e abbiamo constatato con gioia che questo, nella maggior parte delle persone al corteo, non ha prodotto inimicizia o diffidenza ma curiosità e solidarietà. Seppure l’attenzione era comunemente indirizzata a quelle telecamerine degli inquisitori, sappiamo bene che sono solo l’ultimo anello di questa squallida catena, di questo tremendo giogo. Essere ed esserci ha portato con se una deflagrazione di gioia, forme di complicità erranti, erotiche ed eretiche nell’incontrarsi; ci difendevamo a vicenda, cacciando sbirri, facendo festa. La gioia feroce contro questo ennesimo monumento alla rapina di Stato ha lasciato segni al nostro passaggio e ha saputo ispirarci anche gioco, serenate rivolte a sodali al balcone; corse collettive, fuorvianti per chi credeva di starci addosso e divertenti per noi.

La noia, infatti, ora strumento di potere si è insinuata sotto forma di riformisti mai disposti alla messa in discussione radicale delle logiche dominanti. Ad essere in gioco è l’avvento di nuove forme di produzione, ‘sostenibili’ per spalle resilienti, promuovono solo nuove forme di oppressione, di interdizione del sentire. Nuove le forme di produzione, sempre uguali restano le sacchette che si ingrossano; sempre gli stessi i corpi espropiati. Se il loro è il regno della tristezza, del funebre, allora non c’è da fidarsi di nessuna innovazione proposta da questi succhia sangue. Non sono altro che rinnovati sistemi di afflizione affilati su corpi sempre meno corpi e sempre più ombre. Non si tratta più di poter prendere un qualunque tipo di ruolo attivo nelle scelte del “proprio territorio”, se mai fosse stata questa la questione. Distruggere questo ‘processo decisionale’, incepparlo, non prendervi parte con una qualche vana speranza che possederlo significhi veramente inibire tutto il suo potenziale fagocitante. Disertare e sabotare ogni tentativo di appropriazione delle nostre vite tutte, in un mondo dove cemento e repressione avanzano a spron battuto, diventa così l’unico vero sorridere all’esistenza.

“La gioia è mortale all’interno dello spettacolo del capitale. Tutto, qui, è tetro e funebre, tutto è serio e composto, tutto è razionale e programmato, proprio perché tutto è falso e illusorio.”

Il corteo é passato, i giorni si scandiscono tra albeggiare e tramonti. I rubinetti si sono trasformati in contagoccie da ste parti, il vaso è traboccato e l’ultima goccia è già scesa parecchi giorni fa. Le strade sono deserte, desertificate; occupate solo da mezzi di emergenza. Ora auto-botti, ora pompieri, ora esercito, ora protezione civile etc. etc. etc.. Le abitazioni sono coltivazioni di bidoni per stoccare acqua, anche i c.d. “giorni di erogazione” non garantiscono affatto il flusso da tutte noi tanto anelato. La vita é qui scandita dall’emergenza, un perenne stato d’emergenza, continua gestione tecnica ed amministrativa delle esistenze. L’estate é ancora molto calda e si prevedono ondate di calore consistenti e poco timide nello spingersi in quei mesi di solito avversi alle alte temperature. Un’estate ancora ricca di appuntamenti e momenti di condivisione; altri, chissà, ancora da sognare insieme. L’aria asfissiante non fermarà questo co-respiro. Come gatte, “insuscettibili di ravvedimento”, torneremo a mordere la mano di tutti questi ladroni e lacchè dal facile giudizio.

Ascoltiamoci, esploriamoci, organizziamoci.

“Le Bastiglie le abbattono i popoli: i governi le costruiscono e le conservano.”

MESSAGGI PROIBITI: IL BAVAGLIO DIGITALE DEL QUESTORE DI BOLZANO CONTRO IL DISSENSO

Diffondiamo

Se negli ultimi mesi la Questura di Bolzano ci ha abituato al fatto di sfruttare in modo spregiudicato tutte le armi a sua disposizione per mettere a tacere le mobilitazioni in città (divieti di manifestare, denunce come quella per “invasione di terreni” per una tendata analoga a quelle di tante altre città, uso disinvolto di avvisi orali e fogli di via – da ultimo contro un compagno bolzanino residente in un comune limitrofo e con molti legami in città), ora estrae dal cilindro un provvedimento di cui non ricordiamo precedenti contro ambiti “politici”.

Nei giorni scorsi a due compagni bolzanini sono state notificate “prescrizioni aggiuntive” all’avviso orale che era stato loro consegnato a marzo con l’intimazione di “cambiare condotta” – e la minaccia in caso contrario della richiesta di sorveglianza speciale (sorta di arresti domiciliari motivati non da uno specifico reato ma da una generica “pericolosità sociale”). Come previsto dal codice antimafia, oltre a divieti grotteschi evidentemente tarati su tutt’altro genere di soggetti (come quello di possedere “mezzi di trasporto blindati”), si vieta di possedere o utilizzare “programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi”, ma soprattutto, per uno dei due si propone al Tribunale di vietare, per due anni, di possedere o utilizzare il cellulare, altri dispositivi connessi a internet e qualsiasi tipo di social network, mentre all’altro, con lo stratagemma di permettergli di usare il cellulare di vecchio tipo, non connesso a internet, si vieta direttamente, senza passare per il Tribunale, di possedere o utilizzare “gli smartphone, i tablet, i laptop che consentano connessioni dati via WI-FI o con SIM”, ed essendo legato all’avviso orale quest’ultimo divieto non ha una durata determinata, ma è potenzialmente a vita. Contravvenire ai divieti comporta “la reclusione da uno a tre anni” oltre a multe per migliaia di euro e alla confisca dei dispositivi, che saranno “assegnati alle Forze di polizia”.

Quali sono le motivazioni (almeno quelle ufficiali) di un provvedimento del genere, oltre a non aver cambiato condotta dopo aver ricevuto l’avviso orale? Nel primo caso, aver diffuso messaggi offensivi nei confronti del Questore (trasformati dalla stessa Questura e dai giornali al suo servizio in “minacce di morte”) e in generale “anti-istituzionali” (definiti “eversivi”), oltre a mantenere contatti con compagne e compagni di questa e di altre province. Nel secondo caso, “organizzare” e “convocare con strumenti telematici” manifestazioni nel corso delle quali verrebbero “sistematicamente” violate le prescrizioni della Questura e commessi reati: praticamente, la Questura ritiene che l’organizzare e il pubblicizzare iniziative peraltro regolarmente preavvisate faccia parte di un disegno criminoso che però non si deve preoccupare di dimostrare in Tribunale, adottando direttamente “misure in grado di ridurre la capacità di commettere reati”. Da rilevare che, fra i precedenti citati con tono più allarmato, figurano quello del corteo entrato in stazione per denunciare l’accordo Leonardo-Rete Ferroviaria per i trasporti militari, provocando una temporanea interruzione del traffico ferroviario – e per il quale un compagno roveretano ha ricevuto un foglio di via per quattro anni – e quello di un saluto solidale durante una battitura, che avrebbe “istigato” i detenuti “con il rischio concreto che si innescassero disordini e rivolte” come quelle in altre carceri.

A Bolzano, dall’arrivo del Questore Paolo Sartori, ci troviamo di fronte a uno scenario inedito: un nuovo podestà che si sostituisce contemporaneamente al Sindaco, ai politici di maggioranza e di opposizione, al Tribunale e ai giornalisti, scatenando contro marginali e dissidenti una guerra a colpi di misure amministrative (avvisi orali, sorveglianze speciali, fogli di via, espulsioni, revoche dei permessi di soggiorno, Daspo urbani…) la cui produzione industriale rivendica in conferenze stampa pressoché quotidiane, riuscendo a diventare il protagonista perfino dei commenti da bar (“Questo Questore ha le palle”…).

Al di là dell’allucinante situazione bolzanina, però, va colto il significato più generale di misure come queste: con la guerra alle porte, impegnato ad armarsi e compattarsi, lo Stato non può più tollerare nemmeno la parola dissonante. Per questo, com’è successo a Como, si arriva a vietare di nominare il sionismo. Per questo sempre più inchieste per terrorismo riguardano la sola diffusione di scritti. Le “garanzie democratiche”, senza una forza reale che contrasti questa deriva, cadono una dietro l’altra; lo Stato mostra ogni giorno di più il suo volto autentico.

I modelli nei quali intravedere il futuro che si avvicina non mancano: dalla democrazia tedesca, in cui solidarizzare con la Palestina è di per sé criminalizzato, a quella israeliana, interamente militarizzata oltre che costruita sulla volontà di annientare una popolazione in eccesso, a quella ucraina, che dà la caccia in tutta Europa ai propri giovani per usarli come carne da cannone per conto della Nato, alla Cina, dove grazie alla digitalizzazione si è instaurata una vita a punti in cui a chi non dimostra continuamente di aderire alle norme sociali può essere automaticamente impedita qualsiasi attività.

Di fronte a un orizzonte che non potrebbe essere più cupo, per non farsi definitivamente annichilire tocca scommettere sulla possibile, inattesa vulnerabilità di un nemico che si presenta come fuori portata, rilanciando, allargando e intensificando le lotte, al fianco della resistenza palestinese, contro la guerra, contro il controllo sociale…

Per chiudere tornando al nostro piccolo bolzanino, ad ogni modo, i Questori passano, la passione per la libertà resta.