Diffondiamo:
Riceviamo dall’interno del CPR di Gradisca la notizia che otto prigionieri sono saliti sul tetto e hanno distrutto l’attrezzatura di sorveglianza. Probabilmente si è trattato di un tentativo di evasione: da settimane ormai si moltiplicano i buchi nelle reti delle gabbie e riprendono gli incendi. La polizia, spesso in assetto antisommossa, entra nelle celle nel tentativo di riportare l’ordine, fatto – come sappiamo – di sottomissione, deportazione e annichilimento. E’ successo anche il giorno successivo a questi episodi: numerosi sono stati i pestaggi, impressionanti al punto da sembrare “un film in diretta”, ci è stato detto. Un ragazzo ha provato il salto, si è rotto una gamba ed è stato trasportato in ospedale.
Sono tanti i tasselli di questa macchina imperfetta. Cure negate, per le vendette quotidiane nella gestione del campo. Le deportazioni, spesso con voli charter, in direzione della Nigeria e dell’Egitto, e a ritmi vertiginosi verso la Tunisia. Ma anche le angherie più sottili, l’arbitrio poliziesco: perfino i libri, ora, sono materia da negoziare. Così, alcune guardie di sorveglianza hanno deciso che con loro non sarebbe entrata nemmeno la letteratura: chi è prigioniero deve morire di noia, starsene in gabbia e sottomettersi al regime di tortura che hanno preparato per lui.
Lo stesso regime che ora vorrebbero estendere con l’apertura di altri cinque CPR sul territorio nazionale (è notizia di qualche giorno fa che il Ministero dell’Interno ne sta individuando i siti) e che, alla fine della catena, è disposto anche ad uccidere. Lo abbiamo ricordato di fronte al Tribunale di Gorizia (responsabile di un procedimento farsa per la morte di Vakhtang Enukidze a poche settimane dalla riapertura del lager di Gradisca e dove ha sede, anche, il Giudice di Pace che convalida i trattenimenti): i nomi di Vakhtang, Orgest, Anani, Arshad e prima ancora Majid, morti di stato, sono stati tra i nostri discorsi, insieme a quelli dei senza nome che si ribellano ai dispositivi del razzismo di stato.
Finché i CPR rimarranno aperti, ed anzi se ne costruiranno altri, finché ne esisterà l’idea, noi staremo dalla parte di chi non si piega allo stato razzista. Rimarremo complici e solidali dei rivoltosi e continueremo a far risuonare le loro voci, testimonianze di chi da dentro non smette di accendere fuochi, spaccare telecamere, tagliare reti e scappare.