STATO MESSICANO: RIVENDICAZIONE ATTACCO ESPLOSIVO CONTRO LA STAZIONE DI POLIZIA RICARDO FLORES MAGÓN

Dalla Brigata linguistica antiautoritaria traduzione dal castellano de
https://anarquia.info/mexico-reivindicacion-de-ataque-explosivo-contra-comisaria-ricardo-flores-magon/

Dopo mezzanotte…
Il tre settembre 2022 abbiamo collocato un artefatto esplosivo di dinamite, polvere da sparo, solfato d’ammonio, nitrati, fosfati e gas butano.
Ciò è accaduto all’una del mattino circa nella stazione di polizia Riccardo Flores Magón che si trova tra Jaime Torres Bodet e Ciprés nel quartiere Santa María La Ribera nel territorio occupato da Città del Messico.

I
Siamo anarchiche. Ripudiamo che la polizia messicana osi usare il nome di Ricardo Flores Magón, che consideriamo un importante punto di riferimento per la lotta anarchica internazionalista che detestò qualsiasi
tipo di governo, per chiamare una stazione della polizia di Città del Messico. Avvertiamo che bruceremo ancora e ancora la stessa stazione sino a che non smettano di macchiare il suo nome di forma tanto ignobile.

II
Siamo donne. Il governo messicano reprime, incarcera e disseziona i nostri corpi, imponendoci una vita sempre più verticale e in accordo con la riproduzione della triade del mostro a tre teste del capitale, del patriarcato e del colonialismo. Lo stato vuole trasformare le nostre menti, emozioni e corpi in campi di sterminio dove ci impone la colonizzazione del valore. Ci vuole convincere ad accettare di convertici in merci docili a loro disposizione dandoci in cambio fantasie vestite di feticismi legali.

NON LO ACCETTEREMO: COMBATTEREMO PER LE NOSTRE VITE!
LA LEGGE È UN FETICCIO! LA REALTÀ SONO I NOSTRI CORPI MUTILATI!
COMPAGNE: LOTTIAMO PER RECUPERARE UN VITA REALMENTE DEGNA DI ESSERE VISSUTA! UNA VITA DI LIBERTÀ, SENZA GOVERNI E SENZA LEGGI!

III
Siamo antimilitariste. Secondo i teorici liberali, il governo messicano sta imponendo uno stato d’eccezione che ci tratta come nemicx. Noi pensiamo che qualsiasi stato sia d’eccezione, e che ogni stato è nostro nemico. Attaccheremo le sue fondamenta in ogni aspetto delle nostre vite. Ci riapproprieremo di ogni millimetro della nostra pelle.

Gli strapperemo le nostre vita dalle grinfie. E… lo attaccheremo. Lo attaccheremo sempre. VIA I MILITARI DALLE NOSTRE STRADE!

Giù i muri delle prigioni! Prigionierx anarchicx per le strade!

Mandiamo tutta la nostra solidarietà e saluti ax compagnx Mónica Caballero e Francisco Solar sino al territorio occupato dallo stato chileno. Un giorno ci incotreremo, compagnx! E torneremo a far nostre le strade attaccando! ….perché nulla finisce, tutto continua…. E se le prigioni di tutti gli stati non bruciano, chi illuminerà la nostra oscurità?

Cellula di diffusione del Grupo Insurreccional Anarca Feminista de Acción Antiautoritaria, Lupe la Camelina e La Inesperada Laura

CONTRO PATRIARCATO, RAZZISMO E VIOLENZA DI STATO


DA FIRENZE A CIVITANOVA MARCHE
,
ACCANTO A CHI OGGI NON C’È PIÙ, AL FIANCO DI CHI LOTTA!

Arriverà quella soglia di saturazione in cui l’insieme delle oppressioni e delle discriminazioni sistemiche diventerà inaccettabile?

Cosa unisce una professoressa trans* che sceglie il fuoco pur di smettere di subire violenze da questa societa’, due sex workers brutalmente uccise, l’omicidio di una donna trans* e l’assassinio di un uomo razzializzato ammazzato in questi giorni, mentre intorno i passanti riprendevano coi telefonini?
Li unisce il fatto di non essere episodi, fatalità, ma il preciso esito di una violenza strutturale accettata tutti i giorni.

La violenza razziale e di genere non e’ un problema di ordine pubblico, avere una vulnerabilità o una diagnosi psichiatrica non significa essere potenziali assassini diversamente da chiunque altro, non è né con la psichiatria, né col giustizialismo, che stravolgeremo alla radice la cultura segregazionista, patriarcale e machista che tiene in piedi questo sistema basato sullo sfruttamento che si riproduce nelle relazioni individuali e collettive.

Ci sono responsabilità precise che vanno indicate.
Chi arma le mani di chi uccide, ammazza?

Non è forse chi porta avanti campagne d’odio cavalcando le paure delle persone a fini economici, propagandistici ed elettorali?

Non sono media, giornali e stampa che veicolano stereotipi ed esasperano insicurezze e paure?

Non sono gli interventi di polizia e repressione che cacciano quotidianamente le fasce più povere e marginalizzate della popolazione dalle città, per fare spazio a profitto e speculazione?

Non è la dottrina securitaria e machista della “tolleranza zero”, della “guerra al nemico”, all’”invasore”?

Non è la morale “disinfettante” bigotta e borghese della “pulizia” e del “decoro” per la fortificazione/colonizzazione dello spazio,  contro l’altro diverso da sé, neutralizzato come soggetto?

Non sono forse la violenza delle frontiere, il ricatto dei documenti, le discriminazioni istituzionalizzate?

Non è la delega, l’ipocrisia e l’indifferenza 
quotidiana?

In nome del Capitale, degli Stati e delle frontiere ogni giorno lə migranti e i migranti in fuga da guerra e povertà subiscono controlli razziali, ricatti, rastrellamenti, violenze e deportazioni. Tutto questo avviene nelle stazioni dei treni, negli areoporti, nelle questure e nei cpr, nei centri di “accoglienza”, all’interno delle città, nei luoghi dello sfruttamento di massa.

In nome del sistema patriarcale alla base di ogni Stato e di questa violenza, che necessita di muri e confini per esercitare il suo potere, ogni giorno le nostre compagnə queer, trans e gender-variant sono respintə in quanto imprevistə e indesideratə, allontanatə dalle famiglie, espostə a sfruttamento, a persecuzioni, aggressioni e vessazioni, sul lavoro, per le strade, nella vita quotidiana.

Quando sopravvivono alle aggressioni vengono incarceratə per essersi difese.

E’ importante dire forte e chiaro che la polizia non solo non ferma abusi e uccisioni ma fa parte del problema: quando non è quella che ammazza, tortura e reprime, è quella che aggredisce e umilia.

 Il carcere ha la funzione di difendere lo Stato patriarcale e la società borghese da eventuali minacce alla sua integrità, serve da schermo per coprire le disuguaglianze e le oppressioni su cui si regge, affinché tutto rimanga tale.

Se oggi le istanze femministe e transfemministe vengono sempre più depoliticizzate e assorbite dallo Stato e dal Capitale, strumentalizzate e spogliate della loro intrinseca conflittualità, essere oggi in strada ha una valenza doppiamente importante.

Una compagna trans è accusata di aver dato fuoco al citofono di una sede della Lega: in questura è stata descritta come “un uomo travestito da donna” nel tentativo di scalfire e umiliare ciò che vorrebbero annientare. 

424 e 270bis, incendio con aggravante di finalità di 
terrorismo.

“Terrorismo”, la parola magica per intimidire e spaventare chi non intende più subire, la macchina della repressione ha sempre pronto come ribaltare il senso della violenza per colpire chi intende lottare, agire per difendersi.

Si, vorremmo che questa gente provasse un briciolo di quel terrore e di quella violenza di cui si serve per opprimere e opprimerci.

Non dimentichiamo nulla.

FIRENZE: SLUT WALK NAZIONALE

Vogliamo alzare la testa, per noi e per tuttx lx oppressx.
Vogliamo che il messaggio passi chiaro:

SE LO STATO E’ VIOLENTO, TERRORISTA LO DIVENTO!

CONCENTRAMENTO IL 6 AGOSTO 2022, h 19:00, IN PIAZZA SANTISSIMA ANNUNZIATA A FIRENZE

1312- TRIGGERZ: MISGENDERING, OMOTRANSFOBIA. -1312

“Un uomo travestito da donna” queste le parole che hanno usato in questura per descrivere una compagna trans*. Le sono entrati in casa, sequestrato alcuni abiti, poi questura e infine queste parole, che esprimono l’omotransfobia sistemica dello stato, il tutto accusandola di 424 e 270bis, incendio con aggravante di finalita’ terroristiche. Nello specifico, la compagna e’ accusata di aver dato fuoco alla citofoniera di una sede della LegaNord nel quartiere di Riffredi, Firenze. Tutto questo non poteva accadere in un momento migliore, dopo la lunga serie di attacchi alla liberta’ negli ultimi mesi e un mese di pride “ufficiali” in cui non una voce si e’ levata per parlare della professoressa trans* che ha scelto il fuoco pur di smettere di subire violenze da questa societa’, o delle due sex workers brutalmente uccise, o della donna trans* uccisa a inizio Giugno.
Agli stessi pride purtroppo invece c’erano voci a favore di Police Aperta. Verrebbe da chiedersi se in troppx non si siano scordati cosa sia stato Stonewall, li’ dove era piu’ chiaro chi stava da una parte e chi dall’altra delle barricate.
Tanto per citare alcuni di questi attacchi alla liberta’, pensiamo alla condanna a 28 anni in primo grado di Juan, dove hanno usato lo stesso giochino dell’accusa di finalita’ terroristiche contro la democrazia, parole che fanno cosi’ tanta paura solo perche’ rivendicano la volonta’ di sradicare lo status quo delle cose, minacciando di rovesciare l’autorita’ su cui lo Stato si appoggia. Pensiamo anche che 62 persone trans*, in particolare femminilizzate, sono state uccise dal 1 Gennaio 2022, 115 durante il 2021. Il numero di sbirri e politici ammazzati per il loro lavoro invece e’ 0, per entrambi i periodi. Viene naturale a questo punto chiedersi cosa intendano loro per terrorismo; la definizione “ufficiale” e’ “chi usa il terrore per i propri fini”. La gestione del potere, inevitabilmente basato finche’ esistera’ sulla paura, e’ l’essenza stessa della politica, la sua matrice costituente.
Quindi ci chiediamo: chi e’ terrorista, lo Stato e il suo padrone, il capitale, o chi tutto cio’ combatte, chi lotta per un mondo in cui non esiste autorita’ ma autorevolezza, in cui ogni individuo si rapporta con altri individui come persone, e non come ruoli?
Perche’ se terrorista significa muoversi e lottare per rendere impossibile a chi vuole farci tuttx vivere nella paura esprimersi e iniziare ad impiantare una nuova realta’, allora si’, lx frocix, lx anarchichx, chiunque agisce e subisce repressione e’ terrorista. Se terrorista e’ che lotta perche’ tuttx possano esistere per cio’ che sono, indubbiamente questa definizione ci appartiene, e per quanto ci possa essere sconveniente la rivendichiamo. Ma veramente terrorista e’ giusto chi mette a tacere le fonti di terrore? Terrore che mantiene la miseria di tutti gli esseri viventi che non siano in quell’1% di uomini cis, etero, bianchi e ricchissimi, terrore che ci costringe a vivere nell’ansia costante, dalla sala parto alla camera ardente, che essere se’ stessx ci possa distruggere l’esistenza…
Nell’ottica di incutere terrore per ottenere i propri scopi, cioe’ il mantenimento dell’autorita’, terrorista quindi e’ lo Stato, e’ chi detiene il potere e il monopolio della violenza, e la usa contro noi frocix e anarchichx in primis, ma in generale contro chiunque.
Come frocix antiautoritarix miniamo alla base questa realta’ fatta di ruoli e gerarchie predefinite, rendiamo impossibile la distinzione di ruolo e di gerarchia che sta alla base di tutte, quella tra uomo e donna – che pure la scienza figlia del capitale (antropologia evoluzionista) tenta con forza di giustificare – e a cascata da questa ogni oppressione sociale.
L’omotransfobia sistemica, la medicalizzazione dei nostri corpi, l’imposizione del binarismo di genere infatti sono modi per esercitare oppressione sociale, per replicare il terrore su cui lo Stato e’ fondato, e tutto questo si esprime nelle violenze che subiamo ogni giorno, nelle parole disumanizzanti che hanno usato per umiliare la compagna, nei nomi dellx compagnx uccisx, avvelenati da questo mondo, in quelli dellx compagnx in carcere.

Non possiamo permettere che passi il messaggio che possono continuare a ucciderci, a metterci in galera, a farci violenza e poi umiliarci, chiamandoci uomini travestiti da donne. Per questo in solidarieta’ con la compagna accusata, e con l’intento di rispondere ai colpi sempre piu’ forti che stiamo ricevendo, chiamiamo una slut walk nazionale.

Non siamo sbirri, ogni azione e’ benvenuta, sfogate la vostra fantasia! LGBTQIACAB

PDF chiamata

NÉ STATO NÉ DIO, SUL MIO CORPO DECIDO IO

Riceviamo e diffondiamo:

Siamo le gattare sfascia famiglie che abitano gli incubi dei Pro Life e dei cattofascisti della nazione.

Nel giorno del 44esimo anniversario dall’approvazione della Legge 194 ci riprendiamo lo spazio pubblico e decidiamo di decorare i luoghi in cui si riproduce la violenza antiabortista sui nostri corpi: una delle sedi del Movimento per la Vita, l’ospedale Maggiore e una farmacia notoriamente antiabortista, per ribadire che vogliamo #moltopiùdi194!

La legge 194 non garantisce sempre e per tutt* l’accesso all’aborto; è in sé problematica, ipocrita e contraddittoria, predisposta per sua natura ad attacchi e boicottaggi interni. Per la legge l’aborto è una concessione ammessa solo per motivi di salute, economico-sociali e per rischio vita (art. 4): in nessun caso è ammessa una motivazione come “non voglio diventare madre”. Noi ci opponiamo a ogni tentativo di subordinare le donne al ruolo di cura all’interno della famiglia tradizionale – bianca, eterosessuale, ri-produttiva e maschilista – e alla maternità come destino biologico. Dobbiamo rispondere a medici che vagliano la nostra condizione e le nostre capacità decisionali. L’art. 5, infatti, introduce un limite – che veste il camice del medico – alla nostra autodeterminazione: i sette giorni di riflessione. Non rimane che chiedersi: prima di quei sette giorni non eravamo capaci di prendere decisioni? È potere del medico illuminarci d’un tratto?

L’art. 9 sull’obiezione di coscienza, cosa fa se non consegnare al personale medico-sanitario il potere di decidere per noi? Non ci sono parametri o soglie d’allarme: il risultato è che potremmo ritrovarci senza più personale non obiettore, superando anche il 90% in alcune province. Il piano dei neofondamentalisti risulta chiaro: non chiedono l’abrogazione della legge, ma si alleano con medici e istituzioni, tutelati dalla legge stessa. È del resto la stessa 194 con l’art. 2 che dà il lasciapassare al Movimento per la Vita per strutture sanitarie pubbliche, permettendo loro di finanziare e aprire i loro CAV in consultori e ospedali pubblici.

Gli attacchi all’aborto portati avanti in un’ottica familista sono legati all’organizzazione complessiva della società fatta di violenza e oppressione. Dietro la rivendicazione ideologica della nazione bianca si nasconde razzismo istituzionale e odio nei confronti delle soggettività LGBT*QIA+ : mentre alle donne viene negato l’aborto per riprodurre lo stato nazione nella sua bianchezza, le persone migranti vengono respinte e le persone LGBT*QIA+ diventano il bersaglio del cattofascismo di chiesa e stato.

La legge 194 implode nelle mani di cattolici e obiettori e i diritti sessuali e riproduttivi delle persone LGBTQIA+ non versano in condizioni migliori. Noi rigettiamo l’idea della mera difesa di una legge costruita con un compromesso storico sui nostri corpi e desideri.

Non lo volevamo in passato e non lo vogliamo oggi! Ci alleiamo all* compagn* argentin*, irlandes*, polacch*, rumen*: non siamo incubatrici della nazione, non ci limitiamo a difendere le poche e cattive leggi esistenti, abbiamo bisogno di #moltopiùdi194!

NOI FACCIAMO PARENTELE NON POPOLAZIONE SIAMO GATTARE ABORTISTE, ANTIFASCISTE TRANSFEMMINISTE E PER NOI VALE UNA SOLA LEGGE: L’AUTODETERMINAZIONE!

Compagne transfemministe

ROMA: OPS! È successo: una nuova occupazione in città

Riceviamo e diffondiamo:

OPS! È successo: una nuova occupazione in città.

Però, OPS!, è proprio una di quelle Occupazioni Piantagrane Separatiste
Femministe che magari per qualcun sarà un po’ scomoda, forse sarà
troppo, forse sarà oltre.. Ma vabbè, pazienza. Quel che ci interessa è che questa sia un’Occupazione Per  Scappatedicasa*. Per lx Sottounponte, lx Senzatetto, lx Senzatitolo, lx Senzadocumenti, lx Senzasperanza, lx Senzanalira.. un’Occupazione

Per lx Sognatrici*, lx Streghe*, lx Strambe*, lx Solitarie*, lx Stralunate*, lx Sbagliatissime*, lx Spessone*, lx Spassose*… Per lx Sopravvissute*.  Per le Soggettività lesbiche trans e non binarie in lotta. Per chi si rende Solidale con le lotte di autodeterminazione. Per chi è Stufa* di questo mondo, per le Sorelle* di sangue e non…

Insomma, con un po’ di fortuna e tanta pazienza, vogliamo che questo spazio sia una fucina di pratiche e saperi femministi e transfemministi. Uno spazio in cui riconoscerci anche in base alle nostre cicatrici e ai nostri sogni, partendo dai quali costruire autodifesa, complicità e alleanze pericolose…
All’interno delle complesse geografie politico relazionali di questa città, e dentro un mondo in cui non era previsto che sopravvivessimo, da brave guastafeste continuiamo a lottare per la liberazione e l’autodeterminazione di corpi e desideri non conformi. Solo che, da
oggi, lo faremo anche da dentro questo spazio attraversato da donne, lesbiche persone trans e non binarie che vogliono organizzarsi insieme per lottare contro stato e patriarcato.

Tenetevi il mondo fatto a misura di uomo cis etero bianco, noi saremo le esplosioni rumorose e canaglie!

Lo spazio si trova in via Giannino Ancillotto a Roma!
https://opsfemminista.noblogs.org/

Saluto a Santa Maria Capua Vetere

Riceviamo e diffondiamo:

Domenica scorsa, alcune decine di solidali transfemministx hanno portato un saluto alle persone recluse dentro il carcere di Santa maria capua vetere in occasione del secondo anniversario della “mattanza della settimana santa” del 6 aprile 2020. Le urla da dentro si sono alzate mentre ancora si stava raggiungendo il punto più vicino possibile alle finestre. Tante erano le persone detenute che si sono affacciate chiedendo aiuto e libertà; molte delle grida raccontavano dell’assenza di acqua e cibo immangiabile, nonché delle condizioni pessime e insostenibili della vita dentro. I tentativi di parlare con loro sono stati quasi subito impediti dalle sirene accese dalla penitenziaria per ostacolare la comunicazione e intimidire lx solidalx. Da dentro alcuni hanno iniziato a gridare di andare via per segnalarci l’arrivo delle guardie.

Le urla erano forti e determinate, il tempo a disposizione poco. Appare quantomeno necessario diffondere queste poche notizie sulle condizioni pessime e al limite della sopravvivenza. Nonostante la visibilità mediatica data a ciò che accadde due anni fa e al processo tuttora in corso a carico delle guardie per torture, pestaggi e omicidio colposo, le condizioni per chi è reclusx lì dentro continuano a essere inumane. Questo a dimostrazione che per Stato e istituzioni, ciò che non è sotto i riflettori, può tranquillamente continuare a marcire.

Che delle galere restino soltanto macerie.
LIBERTA PER TUTTE LE PERSONE RECLUSE

Niente da spartire

Di seguito diffondiamo un volantino distribuito ieri a Bologna:

NIENTE DA SPARTIRE

– Niente da spartire nè col machismo omofobo, transfobico, misogino e assassino di Putin, nè con la chiamata alle armi del buon padre di famiglia Draghi e dei suoi alleati Nato pronti a dividersi il mondo a costo di un bagno di sangue.

– Niente da spartire con le analisi geopolitiche, non è affar nostro scegliere sull’altare di quale stato e a quali interessi si può sacrificare la vita delle persone.

– Niente da spartire con i mercanti e produttori di armi, prestigioso comparto dell’export Made in Italy che fanno soldi a palate e non hanno cessato i loro sporchi traffici neanche un giorno in piena pandemia, attività essenziali, dicevano, mentre milioni di persone vivevano confinate nelle loro case senza deroghe a costo di sofferenze mentali e fisiche.

– Niente da spartire con l’economia della guerra su cui il capitalismo strutturalmente si regge.

– Niente da spartire con lo spettacolo della guerra. I media sciacalli vanno in cerca instancabilmente di immagini e storie tragiche da dare in pasto all’opinione pubblica al servizio della propaganda guerrafondaia dell’Occidente.

– Niente da spartire con il pietismo sulle badanti ucraine che fino a quando non sono diventate funzionali alla narrazione dei governati di casa nostra erano invisibili, democraticamente sfruttate e ricattatte col cappio al collo dei permessi di soggiorno.

– Niente da spartire con il razzismo dell’accoglienza per cui sulla linea del colore si decide chi far passare e chi far inseguire coi cani alle frontiere e far morire in mare.

– Niente da spartire con i signori del nucleare e della guerra (che sono gli stessi, fatalmente) quelli che di mestiere producono devastazione ambientale e morte.
Sono il problema e non la soluzione.

– Niente da spartire con chi ha fatto dei nostri territori una polveriera disseminando basi Nato massicciamente nel sud dell’italia e nelle isole,e reprimendo duramente chi vi si oppone. In queste periferie dell’impero, a Taranto, in Sardegna e in Sicilia le acciaierie e l’industria pesante avvelena e fa ammalare ad ogni respiro e uno dei motivi per cui non si può dismettere è la natura “strategica” della produzione per l’autarchia dell’industria bellica.

Sappiamo di vivere in un mondo che si regge sulle stragi in mare, al lavoro, nelle carceri, nelle case, nei campi di concentramento ai confini dell’Occidente in cui milioni di persone vengono usate come strumenti di pressione e merce di scambio, una guerra a bassa intensità in cui, come per la pandemia, il problema dei governanti è stabilire quante morti e quanta sofferenza è “tollerabile” dalla società civile come danno collaterale procurando di spostare il limite sempre un po’ più in là.
Sappiamo altresì che la rimozione collettiva di questa ferocia serve allo Stato per conservare saldamente il primato della violenza.

Guerra alla vostra guerra e Guerra alla vostra pace

Niente da spartire – pdf

PER UN MONDO SENZA PSICHIATRIA, SENZA CARCERE E SENZA FRONTIERE

A luglio del 2021 è stata aperta una sezione ‘nido’ al femminile della Dozza proprio accanto alla sezione psichiatrica – la cosi detta ‘sezione articolazione salute mentale’, l’unica femminile in Emilia Romagna.

Il carcere che annienta gli adulti si è organizzato per l’infanzia: un nido dietro le sbarre accanto al repartino psichiatrico, due dispositivi che insieme esprimono tutta la ferocia del sistema carcerario.

Sabato 22 gennaio dalle 18:00 alle 18:30 su Mezz’ora d’aria, trasmissione radio anticarceraria bolognese sulle frequenze di Radio Città Fujiko, una puntata per parlare di carcere femminile, infanzia reclusa e psichiatria.

PER UN MONDO SENZA PSICHIATRIA, SENZA CARCERE E SENZA FRONTIERE

Il podcast della puntata

La puntata si troverà anche sul sito della trasmissione
https://www.autistici.org/mezzoradaria/

Diffondi

Il 15 febbraio 2021 muore Isabella P., 37 anni,  ‘temporaneamente trasferita’ dall’articolazione femminile di Bologna in quella di Pozzuoli per il tempo dei lavori di ‘ristrutturazione’ nel repartino psichiatrico della Dozza.

Una crisi respiratoria.

Isabella è solo un nome in più nell’elenco dei tanti morti di carcere e di psichiatria.

Isabella non c’è più, l’articolazione ‘salute mentale’ c’è ancora, oggi con una sezione ‘nido’ accanto.

Legami con i prigionieri condannati per violenze sessiste: tracce di riflessione e azione

Legami con i prigionieri condannati per violenze sessiste: tracce di riflessione e azione

Pubblicato su hurriya
Traduzione da
: Paris Luttes

I membri della «Assemblée contre les Centres de Rétention Administrative (CRA) » (Assemblea contro i Centri di Detenzione Amministrativa (CRA)) a volte entrano in contatto con dei prigionieri accusati o condannati per violenze sessuali e sessiste. Se in genere partiamo piuttosto dal presupposto di interagire con le persone nel CRA in quanto persone che subiscono il razzismo di Stato e la reclusione, senza distinguere i loro percorsi di provenienza, che fare una volta che scopriamo che quella persona ha commesso uno stupro o menava la sua compagna? Proviamo qui a proporre qualche spunto.

L’assemblea dell’Île-de-France contro i centri di detenzione esiste da tre anni e può capitare che dobbiamo confrontarci con situazioni complicate nell’intessere legami con le persone detenute all’interno del CRA. Alcuni detenuti con cui eravamo in contatto erano stati condannati per violenze sessiste e sessuali (moleste, violenze coniugali, aggressioni sessuali, stupri). Nella maggior parte dei casi l’abbiamo scoperto perché è stata la persona stessa a dircelo (in generale in seguito al trasferimento al CRA dopo la fine della detenzione in carcere), o perché ce l’ha detto la sua compagna. Nel marzo 2021, a seguito dell’incendio al CRA di Mesnil-Amelot, 7 persone sono state portate di fronte al tribunale di Meaux: durante le campagne anti-repressione che abbiamo tentato di portare avanti, abbiamo messo mano sui loro faldoni giudiziari e abbiamo scoperto molti di loro erano stati condannati per violenze sessiste.
Abbiamo fatto quindi molte discussioni sul tipo di supporto che avevamo voglia di dare loro: anche se eravamo tutt* d’accordo a continuare l’attività minima contro la repressione per esprimere loro la nostra solidarietà dopo la rivolta avvenuta a gennaio, non c’era però consenso sul fatto di supportarli oltre questo (ovvero mantenendo con loro una corrispondenza, andandoci a parlare, mandando loro dei vaglia). Avevano davvero voglia di fare queste cose? Se in genere partiamo piuttosto dal presupposto di interagire con le persone nel CRA in quanto persone che subiscono il razzismo di Stato e la reclusione, senza distinguere i loro percorsi di provenienza, che fare una volta che scopriamo che quella persona ha commesso uno stupro o menava la sua compagna? Nel caso dei prigionieri dell’incendio, eravamo venut* a conoscenza di questi fatti tramite i faldoni giudiziari: volevamo davvero basarci sul casellario giudiziale delle persone, ovvero un prodotto della polizia e della giustizia che rifiutiamo, per costruire la nostra azione politica?

Varie riflessioni hanno attraversato l’assemblea e, alla fine, abbiamo deciso di organizzare una discussione specifica sull’argomento: l’idea era quella di fare un passo indietro, di andarci a cercare altre risorse, di vedere cosa avevano fatto prima di noi altre persone o collettivi. Nel preparare la discussione, non abbiamo trovato quasi nessuna risorsa pratica in francese. C’erano dei testi teorici sul femminismo anti-carcerario che potevano darci degli spunti: tra di noi eravamo in generale d’accordo sul fatto di essere contro il carcere, sul fatto che la prigione non è una risposta efficace o desiderabile contro le violenze sessiste, sul fatto che le persone razzizzate vengono sovra-rappresentate tra i prigionieri sessisti quando, allo stesso tempo, uno stupratore è diventato Ministro dell’Interno e alcuni discorsi femministi vengono strumentalizzati dallo Stato a fini razzisti e repressivi … Ma pur essendo d’accordo sulla teoria, non avevamo risposte per le situazioni concrete con cui dovevamo confrontarci. Abbiamo comunque letto varie cose e discusso a lungo, e anche se non abbiamo trovato la soluzione magica, ci siamo dett* che avevamo voglia di condividere le nostre riflessioni con questo testo.

Qualche riferimento teorico ma poche risorse pratiche

Innanzitutto, abbiamo discusso un po’ di femminismo anti-carcerario e di qualche elemento su cui eravamo d’accordo.

– Siamo contro tutte le forme di reclusione e siamo solidali con le persone prigioniere in cella e nel CRA: non chiediamo di sapere perché ci sono finite. Nel caso del CRA, è più facile perché le persone vengono rinchiuse letteralmente per il solo motivo di non possedere il giusto pezzo di carta; ma essere contro i CRA senza essere contro le prigioni implica un posizionamento moralista e umanitario (il buon prigioniero migrante che non ha fatto niente a differenza del prigionieri cattivo e colpevole) che non ci appartiene. Inoltre, il passaggio dalla prigione al CRA e viceversa è sempre più frequente: non ha alcun senso, quindi, limitare le nostre lotte ai centri di detenzione, perché i due luoghi costituiscono un continuum della stessa politica razzista e repressiva.

– Alcuni discorsi femministi vengono strumentalizzati dallo Stato per mettere in campo politiche razziste e carcerarie: le donne vengono rese soggetti deboli da difendere e i colpevoli sono sempre i poveri, le persone non bianche che rappresentano di fatto la maggioranza della popolazione detenuta. Siamo contro le politiche che affermano che aumentare il numero degli sbirri e dei posti in carcere possa essere d’aiuto nella “lotta contro il sessismo”. Sappiamo che queste politiche non prenderanno mai di mira gli uomini cisgenere bianchi ricchi, che però beneficiano anch’essi del patriarcato.

– La prigione non ci salverà dal patriarcato nel senso che denunciare/intraprendere un processo/mettere in carcere uno stupratore o un marito violento non costituisce in genere una risposta soddisfacente quando si è vittim* di stupro o violenze coniugali. Non si tratta di giustizia riparativa: la vittima viene in genere esposta a un processo penale che può amplificare il trauma e i suoi bisogni (psicologici, materiali, emotivi, ecc.) non sono mai al centro del procedimento. Non si tratta di giustizia trasformativa: i numeri mostrano che il tasso di recidiva dopo la pena in carcere è enorme e il fatto di individuare un colpevole individuale (“tu sei uno stupratore”) permette al resto della società di non affrontare mai le cause strutturali e sistemiche delle violenze sessuali. Infine, se la detenzione in carcere può consentire di allontanare temporaneamente un uomo violento da sua moglie e, quindi, di dare a lei una parvenza di sicurezza, nei fatti la situazione delle persone vittime di violenza coniugale è spesso più complessa (questo spiega anche perché molte donne non sporgono denuncia): la donna si ritrova spesso a doversi occupare della famiglia da sola, oltre a dover inviare denaro al marito in carcere, ecc. Abbiamo incontrato spesso delle donne che continuavano a svolgere una qualche forma di lavoro (quotidiano, invisibilizzato e non remunerato) per il proprio marito detenuto per violenza domestica (andare a colloquio, mandargli dei vaglia o procurargli dei vestiti, per esempio).

Un primo spunto di riflessione per uscire dall’impasse: creare più legami con le donne vicine ai prigionieri

Nella maggior parte dei casi, è il prigioniero a raccontarci che, prima di finire al CRA, aveva scontato un periodo in carcere per violenze sessiste o sessuali. Ci siamo dett* che uno spunto di riflessione potrebbe essere quello di andare a cercare il punto di vista delle donne e di partire da lì nella nostra azione. Dobbiamo sforzarci di più a creare un legame con le persone vicine ai prigionieri: visto che spesso queste continuano a sostenere il loro compagno detenuti, organizzarsi con loro significa fare un lavoro politico vero e proprio.
In effetti, ci rendiamo conto che nelle lotte anticarcerarie, si tiene poco conto del patriarcato. Le lotte delle donne vengono invisibilizzate: sia dentro quando sono prigioniere, sia fuori in quanto vicine ai prigionieri. Spesso le ascoltiamo in quanto testimoni della prigionia dei loro cari, o come messaggere, ma non come persone colpite in prima persona dal – o in lotta contro il – carcere. C’è la tendenza a occuparci più di quello che succede dentro la prigione che dei suoi effetti su chi sta fuori. Questo ha a che fare anche con delle forme di romanticizzazione della rivolta, sotto forma, per esempio, di rivolta dentro al carcere, incendio, prigionieri che salgono sul tetto o in sciopero della fame; e molto meno spesso intesa come una resistenza quotidiana, quella delle donne che vanno a colloquio, che si occupano dell’avvocato, che svolgono il lavoro di cura, che si battono contro l’amministrazione penitenziaria per ottenere i colloqui, ecc. Conoscere meglio queste pratiche di resistenza ci permetterebbe forse di escogitare nuove prospettive di lotta. Se cambiamo la prospettiva, se smettiamo di partire sistematicamente dagli uomini prigionieri per partire invece dalle loro persone care, questo non farà certo sparire il fatto che alcuni di loro hanno commesso delle violenze sessiste, ma può farci considerare le donne (che siano vittime di violenza o no) come attrici della lotta, in una posizione che ridà loro il potere, la capacità di agire e di decidere. Tentare di creare più legami con le donne fuori dal carcere significa anche costruire una solidarietà femminista anticarceraria che non dipende dagli uomini reclusi.

La necessità di rendere più visibili i percorsi e le lotte delle donne prigioniere

È chiaramente più facile a dirsi che a farsi: abbiamo già provato ad avvicinarci a chi è vicino alle persone detenute ed è sempre stato più o meno un fallimento. Tutto è reso ancora più difficile dal fatto che le persone restano recluse nel CRA “solo” 3 mesi: è spesso complesso creare un legame di lungo periodo, sia con loro che con l* loro car*, rispetto ai casi di pene lunghe. Ci siamo comunque dett* che poteva essere uno spunto di risposta interessante alle domande che ci facevamo rispetto ai prigionieri accusati di violenze sessiste e sessuali; e questo ha dato l’avvio a ulteriori discussioni e questionamenti sulle nostre pratiche di lotta.

Innanzitutto, ci siamo dett* che avevamo la tendenza a dare più attenzione ai prigionieri che alle prigioniere. Facendo questo, abbiamo spesso contribuito a riprodurre l’invisibilizzazione che colpisce le detenute e le loro lotte. Ovviamente ci sono più uomini che donne nei CRA, ma il CRA di Mesnil-Amelot è comunque la più grande sezione femminile di tutta la Francia. Uno dei motivi per cui abbiamo dato più spesso spazio ai prigionieri che alle prigioniere sta nel fatto che le rivolte degli uomini vengono più velocemente considerate come tali, perché utilizzano delle modalità d’azione considerate più radicali (come spiegato sopra).

Questa idea secondo la quale le donne sarebbero “naturalmente” meno radicali deve essere messa in discussione. In primo luogo, abbiamo visto varie volte le detenute organizzare delle rivolte in modo più o meno collettivo, per esempio contro le espulsioni o contro le condizioni di detenzione. In alcuni casi, le donne si sono organizzate insieme agli uomini contro le espulsioni, assicurando delle reti di solidarietà all’esterno e sostenendo all’interno un confronto serrato con gli sbirri. Inoltre, se le lotte e le forme di resistenza messe in campo dalle donne possono apparire a volte meno radicali o meno collettive rispetto a quelle degli uomini, è anche perché le condizioni di detenzione di donne e uomini non sono le stesse: di conseguenza, il contesto in cui si esprime la loro resistenza è diverso. Le persone recluse nelle sezioni femminili sono sempre meno numerose (raramente più di 20-30 persone), sono più isolate rispetto ai detenuti maschi, e hanno maggiori difficoltà a comunicare tra di loro a causa di origini nazionali molto diverse. È quindi molto più complicato per loro organizzarsi collettivamente. L’opposizione feroce al controllo che gli sbirri esercitano sull’accesso ai medicinali o ai beni di prima necessità (per esempio ai tamponi o agli assorbenti) costituisce un esempio potente di una resistenza a cui bisogna prestare maggiore attenzione, se vogliamo capire come si è espressa la lotta di alcune prigioniere con cui siamo stat* in contatto.
È necessario anche dire che abbiamo spesso avuto più difficoltà a creare dei legami di fiducia con le donne rispetto agli uomini: in molti casi, i contatti che avevamo tramite chiamate telefoniche non creavano delle condizioni adeguate perché le detenute si sentissero in confidenza di parlare della situazione all’interno. Per questo motivo, abbiamo semplicemente meno informazioni su quello che succede nella loro sezione, e quindi conosciamo meno le loro lotte e le loro resistenze che possono assumere delle forme diverse rispetto a quelle degli uomini. Su questo c’è ancora molto lavoro da fare …

Abbiamo notato anche che tendiamo spesso a considerare d’ufficio le donne come persone in condizioni di vulnerabilità, e quindi a percepirle come soggetti meno politici degli uomini: ci siamo ritrovat* più facilmente a fare lavoro di cura e umanitario con loro rispetto a quanto lo facevamo con gli uomini. Questa differenza rispecchia la divisione genderizzata del lavoro che riproduciamo spesso nell’assemblea: gli uomini dell’assemblea vengono generalmente considerati dai prigionieri come interlocutori legittimi per discutere di mobilitazioni e rivolte, mentre alle donne dell’assemblea vengono formulate delle richieste impegnative di cura. Ma non sono solo i prigionieri a creare questa situazione: gli uomini dell’assemblea (come avviene un po’ in tutti gli spazi militanti) hanno la tendenza ad accaparrarsi i compiti visti come più prestigiosi e a delegare alle donne quelli associati al lavoro di cura. Cambiare questo aspetto richiede una partecipazione attiva dei maschi cis dell’assemblea per rimettere in discussione queste abitudini. Questo cambiamento necessita di una riflessione sui nostri atteggiamenti al telefono o durante i colloqui, su come ci dividiamo i contatti con i prigionieri e più in generale sulla distribuzione dei compiti nell’assemblea.

In conclusione, alcuni spunti per l’azione:

Per concludere, alcuni spunti di riflessione ancora da sbrogliare:

– Riflettere sul ruolo dei maschi dell’assemblea rispetto alle detenute: i maschi devono essere più coinvolti nello stabilire un contatto con le donne prigioniere, e allo stesso tempo fare attenzione al fatto che le prigioniere potrebbero non avere voglia di parlare o incontrare dei maschi, soprattutto se hanno subito violenze sessiste e sessuali in precedenza, ecc. Fare dei gruppi di contatto misti potrebbe essere una prima soluzione.

– Che fare quando ci ritroviamo di fronte a dei detenuti che sappiamo essere stati condannati per violenze sessuali o sessiste o che sono violenti con l* loro car*? Abbiamo discusso molto di questo: alcun* pensano che il loro casellario non dovrebbe interessarci dal momento che subiscono comunque l’istituzione carceraria; altr* pensano che bisognerebbe interrompere i contatti e non perdere tempo con gli stupratori (privilegiando per esempio il contatto con le donne); altr* ancora che non hanno una posizione netta su questo tema. Uno spunto possibile per uscire da questa impasse potrebbe essere quello di non cercare una soluzione magica ma di riflettere su cosa fare caso per caso. Interrompere i contatti con un prigioniero stupratore o mantenerli dipende innanzitutto dalle energie che hanno le persone in assemblea che sono in contatto con lui: in ogni caso, la loro decisione deve essere rispettata. È importante comunque far circolare l’informazione affinché l* altr* compagn* siano al corrente e possano prendere liberamente una decisione. Soprattutto, è fondamentale creare degli spazi all’interno dell’assemblea dove collettivizzare la gestione dei contatti con l’interno e discutere di questo genere di problematiche. Non lasciare l* compagn* sol* a gestirle è forse la cosa più importante.

Questo testo non è che un primo tentativo di riflessione sul tema delle violenze sessiste e sessuali di cui purtroppo si parla troppo poco nei nostri ambienti militanti. Anche se questo testo si basa in alcuni punti su analisi teoriche, vuole essere innanzitutto un punto di partenza per rispondere a delle questioni che ci poniamo spesso nel quotidiano della lotta contro i CRA. Propone più domande che risposte, ma offre comunque, secondo noi, qualche spunto interessante che deve ancora essere testato. Questo testo è soprattutto un invito a continuare il dibattito e la riflessione. Quindi non esitate a farlo circolare e a interagire scrivendoci in privato (per esempio a: anticra at riseup.net) o tramite altri testi pubblici.

Abbasso i CRA !