IMOLA: AUTODIFESA TRANSFEMMINISTA E PRESENTAZIONE ZINE SISTERRRUDE

Il 26 febbraio al Brigata Prociona in via Riccione 4, a Imola.

– Dalle 12:30 pranzo vegan benefit autodifesa transfemminista – Alle 15 presentazione Sisterrrude, zine per la visibilità di donne, lesbiche, persone trans, non binarie e queer nella scena punk

– Dalle 17 musica con RYF (Special acoustic live) Distrofemministe, musica, cibo&birrette, presabbene

TORINO: PRESIDIO AL CARCERE – CECCA LIBERA!

Da notav.info

CECCA CONDANNATA AL CARCERE PER AVER APPESO UNO STRISCIONE DI SOLIDARIETÀ.

Luglio 2013. Manifestazione notturna al cantiere Tav di Chiomonte. Marta, compagna pisana, viene fermata dalla polizia dopo una violenta carica. Pestata, insultata e molestata sessualmente dalle forze dell’ordine, viene pure denunciata. Durante il primo interrogatorio di Marta, tenuto dagli ormai celebri pm con l’elemento Padalino e Rinaudo, il movimento No Tav organizza un presidio per non lasciare Marta da sola ad affrontare quel difficile momento. Un gruppo di compagne, donne, amiche decide di portare uno striscione che, oltre a solidarizzare con Marta, denuncia le violenze della polizia. “Se toccano una toccano tutte”. Un gesto di solidarietà femminista, contro la violenza maschile in divisa nei confronti di una compagna. Non fanno in tempo ad aprirlo per appenderlo fuori dal tribunale che la polizia carica, manganella e poi denuncia. In un processo farsa in cui le molestie subite da Marta vengono completamente rimosse così come le ragioni del presidio, le compagne vengono accusate di ogni sorta di reato. La Pm punta il dito sul “clima festoso” del presidio a indicare la pretestuosità della presenza del movimento. Per la Pm le donne presenti avrebbero dovuto vestirsi a lutto e piangere tutte le loro lacrime per dimostrare il loro dolore per la vittima? Una reazione determinata da parte di quelle donne è un fatto così inaccettabile e incomprensibile? Ancora, la Pm insiste con una testimone sul fatto che, non avendo subito lei stessa violenze sessuali, non avrebbe potuto capire e quindi solidarizzare con una donna che invece quelle violenze dice di averle subite. Queste sono solo alcune delle perle che si sono sentite durante il processo.

Dieci anni dopo quell’estate. Veniamo a conoscenza della decisione del Tribunale di Sorveglianza di Torino: la giudice Elena Bonu decide di fare scontare la pena in carcere. Purtroppo, per chi non ha la memoria corta, questa giudice la dobbiamo ricordare per essere la stessa ad aver scelto il carcere per Dana. Nonostante il parere positivo della stessa Procura Generale di fronte alla richiesta di applicazione delle misure alternative al carcere il Tribunale di Sorveglianza decide, ancora una volta, di punire chi lotta.

Ci chiediamo poche cose, perché le risposte già le abbiamo. La semplicità con cui la loro giustizia possa giocare con la vita delle persone, con chi fa parte del movimento No Tav, con chi lotta e con chi non ha posto in questo mondo è agghiacciante. Il fatto che possa farlo indisturbata, perché accettato in tutto e per tutto dall’apparato politico, istituzionale e giuridico è vergognoso. Da parte del Tribunale, della Procura e della Questura di Torino viviamo un attacco senza precedenti e probabilmente senza eguali in questo Paese ma, come sempre, resisteremo un metro, un minuto più di loro. Perché sappiamo di avere ragione.

Cecca siamo e saremo sempre al tuo fianco!


SABATO 11 FEBBRAIO ORE 15.30

PRESIDIO AL CARCERE (Ingresso principale, Via Maria Adelaide Aglietta 35)

Sabato saremo davanti al carcere di Torino perché questa ennesima ingiustizia non passi sotto silenzio, vogliamo Cecca libera subito. Lo diremo a gran voce perché il tuo posto è qui fuori, nelle lotte collettive.
Il dito lo puntiamo noi!

Siamo e saremo sempre al tuo fianco!

Cecca libera!

Libertà per tutte/i le/i No Tav!


PER SCRIVERE A CECCA:

FRANCESCA LUCCHETTO
c/o Casa Circondariale Lorusso e Cutugno
Via Aglietta, 35
10151 – Torino

NAPOLI: MEMORIA COME RESISTENZA, STORIE DI COMPAGNE RIVOLUZIONARIE

SABATO 25 E DOMENICA 26 MARZO: INCONTRO FEMMINISTA PER ASCOLTARE LE VOCI DI CHI, NEGLI ANNI ’70 E ’80, HA LOTTATO CON OGNI MEZZO NECESSARIO.

Un incontro femminista e separato dedicato al recupero della memoria storica dell’esperienza delle donne che hanno attraversato il periodo della lotta armata degli anni ’70 e ’80 in Italia, militando nelle organizzazioni rivoluzionarie combattenti di quell’epoca, spesso pagando le proprie scelte con la libertà e senza mai dissociarsi.

Femminista perché ci interessa ripercorrere le storie di compagne che, con le loro scelte rivoluzionarie, hanno sfidato il potere e l’autorità dello stato, del capitale e del patriarcato, detentori del monopolio della violenza. Vogliamo ascoltare le voci delle donne che, identificandosi o meno nel femminismo dell’epoca, hanno determinato la rottura dei ruoli di genere che sostengono questo monopolio, scardinando la logica che ci vorrebbe soggetti passivi e vittime impossibilitate a reagire a ciò che ci opprime.

Separato perché crediamo nell’importanza della creazione di spazi autonomi tra le soggettività oppresse dall’etero cis patriarcato. Spazi in cui la nostra forza, le nostre rivolte, le nostre lotte non vengano ingabbiate negli stereotipi patriarcali mostrificanti, psichiatrizzanti, romantici. Spazi in cui sia possibile rafforzare la nostra consapevolezza individuale e collettiva. Vogliamo quindi incontrarci tra donne, lesbiche, trans* e identità non binarie.

Di storia orale perché vogliamo privilegiare il racconto diretto, dando spazio alla condivisione di singole esperienze anche nella loro dimensione personale, perché il femminismo ci ha insegnato che il personale è politico. Affinché il partire da sé ci permetta di ricostruire una storia collettiva, contro la volontà dello stato di silenziare, cancellare, distorcere le voci che non rientrano nelle narrazioni storiche ufficiali.

Recuperare la memoria storica delle donne rivoluzionarie è un atto di resistenza necessario contro l’intento del sistema – statale, capitalista, razzista e patriarcale – di disinnescare la potenza dell’immaginario in cui la sovversione dell’esistente è possibile.

Per non lasciare in mano al nemico la nostra storia,

per riappropriarci di ciò che la repressione vorrebbe farci dimenticare,

per continuare a sentire vive le possibilità di una radicalità femminista in lotta

contro ogni oppressione e autorità.

Link: https://memoriacomeresistenza.noblogs.org/

NAPOLI: CONTRO LE GABBIE DI STATO E PATRIARCATO

Riceviamo e diffondiamo:

Nella giornata di domenica 15 gennaio a Napoli, diverse decine di individualità anarchiche e transfemministe hanno improvvisato un corteo nelle vie principali dello shopping, affollate dalla ressa ai saldi, in solidarietà ad Alfredo, ormai a quasi tre mesi di sciopero della fame, e a tuttx lx prigionierx in lotta, contro 41bis, ergastolo e galere. Ricordando che la lotta del compagno è la lotta di tuttx e che la lotta per la libertà contro una società opprimente non hanno niente a che vedere con ipocrite indignazioni democratiche. Lo stato è responsabile per ogni persona che rinchiude nelle sue gabbie. Finché queste esisteranno, nessuna pace per le loro città vetrina.

Morte a stato e patriarcato

Il testo del volantino distribuito durante il corteo:

Contro le gabbie di Stato e patriarcato

In quanto femministe conosciamo bene il volto patriarcale e violento dello Stato, di cui una delle espressioni più estreme sono il carcere e la tortura del 41bis.

I regimi differenziali e le carceri speciali infatti nascono con l’obbiettivo della deprivazione sensoriale e la spersonalizzazione dellx detenutx.

Noi donne, lesbiche, frocie, persone trans* e non binarie conosciamo bene il disciplinamento e l’oppressione che passa attraverso i corpi. Quando ci rifiutiamo di aderire alle norme di genere e all’eterocispatriarcato, veniamo rinchiusx e stigmatizzatx come pazzx. Il carcere è la punizione per chi disobbedisce alle regole di questo sistema, al suo ordine, come ogni corpo dissidente fuori dal genere viene rimesso sui binari. Ogni donna, lesbica, frocia, persona trans* e non binaria viene riportata al suo dovere, testa bassa difronte al padre, al padrone, al marito, allo Stato.

La strategia dello Stato è togliere a chi rifiuta l’ordine imposto tutto quello che ha: la libertà, le relazioni, la possibilità di agire e di essere. In una situazione di estremo isolamento carcerario l’unica arma che rimane è il corpo. Questo è quello che Alfredo ha scelto di fare da più di 80 giorni portando avanti uno sciopero della fame fino alle estreme conseguenze. A lui si sono uniti negli ultimi due mesi diversx compagnx – Juan, Ivan, Anna. Per giudici e giornalisti, per cui è inconcepibile un mondo senza gerarchie, Alfredo sarebbe il “capo di un’organizzazione”. Non potranno mai capire che, per lx anarchicx, capi, strutture e gerarchie non possono esistere. D’altra parte si dimenticano della compagna Anna, incarcerata per la medesima operazione repressiva, che con Alfredo e lx altrx compagnx anarchicx porta avanti questa lotta da sempre. La forza della loro resistenza risuona in molti luoghi e fa sì che la rabbia si trasformi in azione.

Vogliamo che la nostra solidarietà passi attraverso quelle odiate sbarre e arrivi ad Alfredo e a tutte le persone detenute, perché crediamo che la spinta di libertà è contagiosa, e possa risuonare più forte della loro autorità.

Sappiamo bene l’importanza della solidarietà diretta e attiva, perchè in quanto femministe non abbiamo nessuna fiducia nello Stato e nella sua giustizia. Magistrati, ispettori, secondini e stupratori nella peggiore delle ipotesi ci criminalizzano quando ci autodifendiamo o ci sottraiamo alle norme di genere a noi imposte. Nella migliore delle ipotesi ci trattano con paternalismo, pretendendo di doverci difendere. Rifiutiamo ogni delega e ogni paternalismo, che quando non ci vede passive e vittime ci mostrifica.

Come femministe anarchiche ci riconosciamo in una lotta contro il 41bis e l’ergastolo perchè un’operazione repressiva di quest’ampiezza è un chiaro monito per chiunque porti avanti le idee e pratiche anarchiche. Alfredo non è il primo compagno sottoposto a questo regime, ricordiamo altre 4 compagnx che si trovano al 41bis da quasi vent’anni. Tra loro due compagne, Diana Blefari, morta nelle mani dello Stato, e Nadia Lioce, in lotta contro questo regime di tortura da anni.

Come identità sessuali e di genere dissidenti ci uniamo alla lotta di Alfredo e tuttx lx compagnx contro il 41bis, regime da cui tra l’altro si può uscire soltanto tramite l’abiura. Quotidianamente ci viene chiesto di rinnegare noi stessx per adattarci a una norma che ci vorrebbe addomesticatx e passivx. Rifiutando qualsiasi compromesso con Stato e giustizia, riconosciamo nella lotta contro il 41bis e tutte le forme di detenzione la nostra lotta.

Tuttx liberx

Fuoco alle galere

NAPOLI QUIR PUNK 14 E 15 GENNAIO 2023

L’epifania non tutte le feste porta via… Il 14 e 15 gennaio al Giardino Liberato di Materdei (Napoli) si terrà una giorno e mezzo di D.I.Y. frociolellatransenonbinaria e spettacoli e concerti punk contro patriarcato, Stato, galere, frontiere e repressione. Ci saranno: serigrafie, stampe, fanzine, scarabocchi, intagli&tagli, esplosioni creative, fantasie appuntite, matite ben affilate… Per noi il punk è un modo di stare al mondo e il queer è lotta e liberazione, non marchi commerciali, estetica social o trend del momento. Queer per noi è resistenza quotidiana in un mondo etero-cis-patriarcale che ci soffoca, queer è crescere come erbe infestanti sull’asfalto ripulito delle città, creare reticolati di affetti diffusi e desideri contro-norma, queer è dare fastidio come il fischio di un microfono, come un urlo rauco che taglia i timpani. Spesso ci troviamo a dover sgomitare per riuscire a stare negli spazi che attraversiamo, così come sui palchi, nelle palestre, nei festival di autoproduzioni che in questi spazi si organizzano. È per questo che abbiamo deciso di organizzare un festival per noi e per chi condivide questo bisogno, un festivalino che sia queer e antisessista nei contenuti e nell’atmosfera. Alcuni eventi, come i laboratori e gli incontri, saranno separati (no maschi cis-et) perché abbiamo bisogno di uno spazio in cui conoscerci e riconoscerci lontano dallo sguardo patriarcale e riappropriarci dei saperi di cui la narrazione binaria dei ruoli di genere ci ha espropriatx. L’esposizione e i concerti, invece, saranno aperti a tuttx, tranne ovviamente machi, fasci e sbirri. il festival sarà benefit cassa antirep transfemminista, che va a supportare compagnx donne, lesbiche, trans* colpitx dalla repressione per essersi autodifesx dalla violenza di Stato e patriarcato.

La Vampa – Casa TransFemminista Occupata

BOLOGNA: SEX WORK IS WORK!

Diffondiamo:

Dopo il triplice femminicidio avvenuto a Roma a ridosso del 25 novembre è imprescindibile prendere parola oggi, 17 dicembre, giornata internazionale contro la violenza su sex worker, abbiamo diffuso in tutta la città le nostre parole per ribadire che non accettiamo alcun tipo di criminalizzazione sui nostri corpi e che rivendichiamo il diritto al lavoro sessuale in sicurezza. Siamo a fianco alle lavoratrici in lotta.

Il lavoro sessuale non è la vendita del corpo, è lavoro di cura e si situa nell’ambito della riproduzione sociale rompendone le regole attraverso l’attribuzione di un costo esplicito e la delimitazione di prestazioni in cui il corpo viene impiegato in pratiche concordate. Come ben sappiamo non esistono mansioni nell’organizzazione capitalista del lavoro in cui non sia previsto l’uso del corpo per lavorare: il problema è il capitalismo non sono le puttane! La rottura delle regole patriarcali che impongono la gratuità delle prestazioni sessuoaffettive porta a una denaturalizzazione delle stesse: perché il lavoro di cura nel matrimonio è accettato e invisibilizzato, mentre se viene palesato attraverso una transazione economica esplicita diventa qualcosa da criminalizzare? Non ci ritroviamo, forse, per disparità di accesso al reddito, in posizioni di costante ricattabilità economica? Non è forse il matrimonio un patto basato più che sull’amore sui ruoli di genere imposti?

È importante uscire dalla logica dicotomica prostituzione per scelta o costrizione, il lavoro sessuale è LAVORO e come tale rappresenta un mezzo di sopravvivenza utilizzato per le più svariate circostanze: non sarà lo stato a decidere se il lavoro sessuale è legittimo o meno, è l’esistenza del lavoro sessuale che apre all’imprescindibile necessità di tutela di chi esercita.

Le proposte di modifica della legge Merlin, che ciclicamente vengono presentate in parlamento con intenti strumentali e propagandistici, mostrano come il dibattito sul lavoro sessuale sia fermo su un piano ideologico che non tiene conto delle istanze e delle ripercussioni che le leggi hanno sulla materialità delle vite. L’ultimo disegno di legge è stato presentato da Alessandra Maiorino, esponente del Movimento Cinque Stelle, la cui proposta è chiara: importare il modello svedese in Italia. La proposta di Maiorino emula un approccio al lavoro sessuale diffusosi nell’Europa del nord che si distingue dalla criminalizzazione classica per la mancata perseguibilità delle lavoratrici e dei lavoratori sessuali, a fronte della criminalizzazione del solo cliente. Si tratta di un approccio insidioso, che si fonda su un finto intento salvifico delle lavoratrici, considerate tutte vittime da salvare, incapaci di autodeterminarsi e che persegue l’intento ideologico di eliminazione della prostituzione. Si tratta di una logica paternalista e patriarcale che fa leva sulla retorica delle “donne costrette a vendere il proprio corpo” e non si cura degli effetti che la criminalizzazione della domanda ha su chi vende. Come si può pensare di non colpire direttamente le sex workers se si incide sull’attività da cui queste fanno dipendere il proprio sostentamento? Come si può spacciare un simile modello per femminista se fa leva su una retorica stigmatizzante e patriarcale come la vendita del corpo? Il modello svedese si è gia rivelato fallimentare, sia nell’intento di eliminazione della prostituzione che in quello di tutela delle sex workers. Nei paesi in cui viene applicato, le sex workers per lavorare sono costrette a contrattare le condizioni di lavoro nel minor tempo possibile e sono impossibilitate a denunciare abusi, lavorare in gruppo o in luoghi visibili per non mettere in pericolo i propri clienti. Al contrario di quello che si prefigge la legge, il modello svedese favorisce lo sfruttamento, costringendo le sex workers a trovare protezione da parte di terzi, cedendo parte del loro guadagno.

Nello specifico, il ddl Maiorino presenta anche delle parti di natura esplicitamente transfobica, in quanto nell’elencare i presunti motivi che spingerebbero una persona trans a fare lavoro sessuale fa esplicitamente riferimento a “motivazioni del tutto peculiari di natura psicologica legate all’identità di genere”.
Le persone trans hanno meno accesso al mondo del lavoro a causa della transfobia ancora oggi imperante: non vogliamo riprodurre lo stigma per il lavoro sessuale né possiamo accettare retoriche patologizzanti, vogliamo invece un accesso al reddito per tutt*!

Lo stigma della puttana è una forma di controllo della sessualità di donne e soggettività dissidenti: per noi puttana è un parola cruciale per la nostra lotta, una rivendicazione di autodeterminazione!

Le realtà transfemministe di Bologna

 

BOLOGNA: FAVOLOSE, INFESTANTI, INDISCIPLINATE. GIORNATA TRANSFEMMINISTA

Da infestazioni.noblogs

SABATO 10 DICEMBRE DALLE ORE 10
AL NUOVO SPAZIO OCCUPATO – VIA STALINGRADO 31

🔥Favolosə, infestanti, indisciplinatə 🔥
Come soggettività socializzate donne e fr0ce sentiamo la necessità di contaminare con germi TFQ ogni spazio della città. Ripartiamo dalla nuova occupazione in via Stalingrado 31 per condividere saperi, pratiche e per momenti di socialità fuori dalle logiche del consumo e dai paradigmi eteronormativi. Mentre vediamo un inasprimento della violenza, vogliamo provare a costruire spazi affermativi e safer per tutt*
Crediamo in un femminismo eccentrico, radicalmente fr0cio e intersezionale.
Ci troviamo Sabato 10 dicembre alla nuova occupazione di via Stalingrado 31
PROGRAMMA
H 10 Laboratorio di autoformazione transfemminista con Collettiva Matsutake
H 13 Pranzo
H 14 letture da King Kong Theory
H 15 Incontro sul sex work con Ombre Rosse
H 16 Intervento su carcere e detenzione dalle Brughiere.
H 17 Autoinchiesta con Laboratorio Smaschieramenti
H 19 Talk su autoproduzioni trans femministe
H 20 Socialità degenere! Musica e aperitivo
Odio il macho
Lotta mucho
Rispetta lo spazio, le persone e gli animali non umani attorno a te!

SOVVERTENDO L’ORDINE PATRIARCALE. Storie di donne armate e rivoluzioni

Diffondiamo questa nuova autoproduzione editoriale femminista.

Queste pagine raccolgono testimonianze di donne da diverse parti del mondo che hanno partecipato a movimenti di guerriglia o organizzazioni di lotta armata. Una testimonianza diretta come stimolo per continuare a lavorare sul recupero della nostra memoria femminista rivoluzionaria. Con la proposta di aprire spazi di riflessione e confronto non misti fra compagne/x per incontrarsi, creare e rafforzare legami.

Traduzione dal castigliano del primo numero della rivista “Mujeres mas alla des las armas” (2020) che raccoglie gli atti degli omonimi convegni organizzati annualmente a Barcellona dal collettivo Azadi Jin. Si tratta di incontri separati (non aperti a uomini cis) dove le compagne catalane invitano le donne e le dissidenze sessuali e di genere a raccontare le loro esperienze rivoluzionarie.

Dall’introduzione all’edizione italiana:

“Quando si legge di rivoluzioni, guerriglia e lotta armata, i protagonisti sono sempre uomini, unici soggetti all’altezza di compiere tali gesti. Alle donne, così come alle dissidenze di genere, sembra essere preclusa la possibilità di rivendicare per sé la violenza come strumento di lotta e di liberazione contro un sistema in cui il paradigma del legale istituzionalizza genocidi, sancendo quali sono i corpi da sacrificare in nome della sicurezza e quali quelli da difendere. L’unica violenza legittima sembra allora essere quella di chi opprime e distrugge. Per noi queste pagine sono uno slancio per rompere la logica della narrazione unica. Siamo consapevoli del fatto che il meccanismo che ci spinge a non considerare altre forme di lotta come possibili è lo stesso che ci impone di normalizzare la brutalità degli stati come legittima e normale. Lo stato e il patriarcato si autolegittimano attraverso le stesse logiche, e sono l’uno lo strumento necessario all’altro per perpetrarsi. Questi racconti rendono evidente la fallacia della logica patriarcale, che vuole l’oppressore come legittimo detentore della forza e l’oppressa\x come soggetto inferiore, la cui forza è repressa e ostracizzata. Sulla base di questa doppia morale, le donne che hanno preso le armi per la rivoluzione sono state condannate e perseguitate, stigmatizzate perché non hanno voluto sottostare alla posizione in cui il patriarcato voleva relegarle.”

Distribuzioni e presentazioni

100 pag. Il prezzo è 5 euri, per le distribuzioni 4. Il ricavato dalla vendità sarà utilizzato per finanziare progetti simili. Il libro è disponibile per essere distribuito unicamente in distro femministe e transfemministe.

Le presentazioni del libro sono pensate per essere fatte in contesti separati (senza uomini cis). La logica dietro a queste decisioni è di rimanere coerenti alla scelta delle donne – le cui voci sono raccolte nel libro – di condividere le loro storie in un contesto separato. Ciò ci permette di fare di questa pubblicazione uno strumento di rafforzamento della rete femminista e transfemminista.

Per ricevere copie del libro e/o organizzare insieme delle presentazioni (a partire da gennaio 2023), potete scriverci a: memoriacomeresistenza@riseup.net

Link alla distribuzione dell’edizione catalana: <https://latiendacomprometida.com/feminismo/2257-mujeres-mas-alla-de-las-armas-vol1.html>

 

SPAZIO URBANO E PSICHIATRIZZAZIONE DELLA DISSIDENZA

Diffondiamo un contributo del Collettivo antipsichiatrico Strappi, all’iniziativa MOVIMENTI TRANSFEMMINISTI E SOVVERSIONE DELLO SPAZIO URBANO

[Polizia e psichiatria: conosciamo le loro cure e i loro trattamenti]

Il proliferare di pratiche psichiatriche va di pari passo ai processi che vedono le città configurarsi sempre più come industrie di sfruttamento e controllo. Metropoli mediate da aziende private, interconnesse e digitalmente sorvegliate, disciplinate sempre più in senso autoritario e iper-razionale, centri di profitto burocratizzati, scientificamente normati e igienizzati, tra telecamere “intelligenti”, “innovazione” urbana, sofisticate architetture e panchine antidegrado. Speculazione edilizia e militarizzazione dei territori aprono la strada ad affitti impossibili, sfratti e sgomberi, oltre che a progetti di ipocrisia sociale all’insegna del greenwashing, del socialwashing, della menzogna tecnologica [la smart city] e della falsa coscienza. A colpi di riqualificazione, decoro e repressione, si esaspera l’inesorabile processo di espulsione – legittimato da culture securitarie – di tutte quelle soggettività considerate problematiche al discorso del potere e non utili al profitto. Lungo le strade in ogni città rastrellamenti quotidiani si abbattono sulle fasce più marginalizzate della società. Una “sicurezza” sempre più “preventiva” , volta ad asfaltare tutti gli spazi di fiducia, libertà, relazione, intersezione, prossimità e solidarietà dal basso.

In nome delle bandiere del decoro e del degrado, controllo e repressione identificano costantemente nuovi “mostri” su cui scaricare insicurezza e timori per fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso: l’obbiettivo é spezzare qualsiasi possibilità di  solidarietà e impedire qualsivoglia forma di messa in discussione del presente. La retorica del “decoro” e del “degrado”, la gestione violenta e iper-razionale dello spazio urbano, la pulizia di quanto imprevisto e non-normato, non sono altro che l’esito di un potere che si appella in modo sempre maggiore a paradigmi psichiatrici e a dicotomie di stampo binario e patriarcale. Questi paradigmi si consolidano nell’articolazione del potere di pari passo all’irreggimentazione delle strutture che lo regolano, e che regolano le relazioni all’interno dei  territori e tra le persone.

Assistiamo all’uso sempre più frequente e capillare del daspo urbano per allontanare persone “sgradite”, e della manipolabilissima categoria di “pericolosità sociale” di derivazione psichiatrica e fascista per reprimere il conflitto e contenere/sedare diseguaglianze e oppressioni. Vediamo continuamente puntare il dito contro la “malamovida”, neologismo che si vuole contrapposto a “buona movida”, cioè a quella socialità che rientra perfettamente negli spazi e nei tempi del consumo. Anche l’infanzia è nel mirino: attraverso la costruzione mediatica del “bullo” e della “baby gang”, giovani e adolescenti sono continuamente trattati e rappresentati come un problema di ordine pubblico da reprimere mentre rimangono intatti quei modelli che il sistema stesso riproduce ed esalta, pesci grandi che mangiano pesci piccoli all’interno di realtà dove solo chi ha soldi e potere è preso in considerazione, e chi non accetta di essere un cavallino da corsa non è nessuno. Nel frattempo imprese e attività commerciali sono incentivate a tappezzare i marciapiedi di telecamere con la promessa di detrazioni fiscali, gli individui sono incoraggiati a sorvegliare le strade a loro volta, forti di una crescente accessibilità dell’intervento delle forze dell’ordine, cementificandone il ruolo di controllo e repressione anche all’interno dei singoli, costantemente spinti alla delazione piuttosto che alla relazione.

Lo spazio pubblico irrimediabilmente costruito a immagine dell’uomo bianco, eterosessuale e borghese richiede prestazioni sempre più abiliste e performative che seguono norme ideali di neurotipicità o aspettative sociali calate dall’alto piuttosto che concrete e reali esigenze provenienti dalle soggettività oppresse che vivono desideri e bisogni altri.

L’organizzazione algoritmica dello sfruttamento, la mercificazione esasperata di ogni aspetto della vita, sta depoliticizzando l’incontro con noi stessi, con l’altro e con l’ambiente e incoraggiando una sempre più ampia disumanizzazione delle relazioni sociali. La psichiatria è pronta a raccogliere i cortocircuiti di queste oppressioni e a colonizzare con nuovo slancio il quotidiano e l’individuo: la platea di “difetti” e “tare” da “curare” è destinata ad aumentare proporzionalmente allo sfruttamento e all’oggettivazione che attraversano sempre più infanzia ed età adulta. Lo sfruttamento, l’isolamento e il disciplinamento esasperato di ogni aspetto della vita, l’insicurezza legata al presente e al futuro, la vede infatti in prima fila nell’individuazione di nuovi “disturbi” e “terapie” per “contenere” con nuove diagnosi e nomenclature le “ansie”, legate a rabbia, paura e frustrazione in crescente aumento, da addomesticare e spiegare con specializzazioni create ad hoc.

Ma la solitudine a fronte di un contesto comunitario deprivato si riferisce anche ad una vita sociale impossibile nei “loculi” domestici cittadini.

La famiglia nucleare patriarcale come modello dominante continua a svolgere il suo ruolo di piccola istituzione totale, laboratorio quotidiano di abusi, isolamento e oppressioni sistemiche: lo spazio domestico e familiare spesso infatti esaspera dinamiche oppressive con la tendenza mattofobica a isolare una vittima, che diventa tante volte capro espiatorio di situazioni nocive, da punire proprio quando manifesta in maniera eterodossa atti di libertà ed espressione di sè che non vengono capiti o accettati. Non dimentichiamo che, così come le violenze, anche il ricorso alla psichiatria, quando avvengono i TSO,  proviene sovente da persone conviventi e spesso parenti della persona interessata, vuoi per mancanza di conoscenza, vuoi per mancata elaborazione di alternative, che il più delle volte nei nuclei famigliari sono assenti o non ricercate per l’accumularsi e incancrenirsi di processi tendenti  a circoli viziosi che si richiudono al loro interno.

Tutto questo, come soggettività con un posizionamento antiautoritario e antipsichiatrico non solo ci riguarda, ma ci chiama in causa. Le strade che vorremmo percorrere sono in direzione altra rispetto alla famiglia intesa come nucleo ciseteronormativo, nella direzione di legami e parentele inedite dove l’aspetto di interdipendenza e cura reciproca si alimentano in un circolo virtuoso.

E’ evidente quanto la fatica ad organizzare una resistenza derivi in primo luogo dall’inesorabile sottrazione di reali spazi di autodeterminazione, soggettivazione e messa in comune delle esperienze, in favore della competizione fra individualità deprivate, impegnate a sopravvivere e concorrere come monadi per rimanere a galla.

CONOSCIAMO LA FALSA SICUREZZA CHE VENDONO PSICHIATRIA E POLIZIA, CONOSCIAMO LE LORO CURE E I LORO TRATTAMENTI!

A fronte di un’oppressione che vede coinvolte sempre più soggettività, crediamo sia urgente e necessario individuare spazi dove liberare complicità, legami nuovi e solidarietà impreviste!

Collettivo antipsichiatrico STRAPPI

Link: https://antipsi.noblogs.org/post/2022/11/10/spazio-urbano-e-psichiatrizzazione-della-dissidenza/

PDF PSICHIATRIZZAZIONE DISSIDENZA

 

STATO MESSICANO: RIVENDICAZIONE ATTACCO ESPLOSIVO CONTRO LA STAZIONE DI POLIZIA RICARDO FLORES MAGÓN

Dalla Brigata linguistica antiautoritaria traduzione dal castellano de
https://anarquia.info/mexico-reivindicacion-de-ataque-explosivo-contra-comisaria-ricardo-flores-magon/

Dopo mezzanotte…
Il tre settembre 2022 abbiamo collocato un artefatto esplosivo di dinamite, polvere da sparo, solfato d’ammonio, nitrati, fosfati e gas butano.
Ciò è accaduto all’una del mattino circa nella stazione di polizia Riccardo Flores Magón che si trova tra Jaime Torres Bodet e Ciprés nel quartiere Santa María La Ribera nel territorio occupato da Città del Messico.

I
Siamo anarchiche. Ripudiamo che la polizia messicana osi usare il nome di Ricardo Flores Magón, che consideriamo un importante punto di riferimento per la lotta anarchica internazionalista che detestò qualsiasi
tipo di governo, per chiamare una stazione della polizia di Città del Messico. Avvertiamo che bruceremo ancora e ancora la stessa stazione sino a che non smettano di macchiare il suo nome di forma tanto ignobile.

II
Siamo donne. Il governo messicano reprime, incarcera e disseziona i nostri corpi, imponendoci una vita sempre più verticale e in accordo con la riproduzione della triade del mostro a tre teste del capitale, del patriarcato e del colonialismo. Lo stato vuole trasformare le nostre menti, emozioni e corpi in campi di sterminio dove ci impone la colonizzazione del valore. Ci vuole convincere ad accettare di convertici in merci docili a loro disposizione dandoci in cambio fantasie vestite di feticismi legali.

NON LO ACCETTEREMO: COMBATTEREMO PER LE NOSTRE VITE!
LA LEGGE È UN FETICCIO! LA REALTÀ SONO I NOSTRI CORPI MUTILATI!
COMPAGNE: LOTTIAMO PER RECUPERARE UN VITA REALMENTE DEGNA DI ESSERE VISSUTA! UNA VITA DI LIBERTÀ, SENZA GOVERNI E SENZA LEGGI!

III
Siamo antimilitariste. Secondo i teorici liberali, il governo messicano sta imponendo uno stato d’eccezione che ci tratta come nemicx. Noi pensiamo che qualsiasi stato sia d’eccezione, e che ogni stato è nostro nemico. Attaccheremo le sue fondamenta in ogni aspetto delle nostre vite. Ci riapproprieremo di ogni millimetro della nostra pelle.

Gli strapperemo le nostre vita dalle grinfie. E… lo attaccheremo. Lo attaccheremo sempre. VIA I MILITARI DALLE NOSTRE STRADE!

Giù i muri delle prigioni! Prigionierx anarchicx per le strade!

Mandiamo tutta la nostra solidarietà e saluti ax compagnx Mónica Caballero e Francisco Solar sino al territorio occupato dallo stato chileno. Un giorno ci incotreremo, compagnx! E torneremo a far nostre le strade attaccando! ….perché nulla finisce, tutto continua…. E se le prigioni di tutti gli stati non bruciano, chi illuminerà la nostra oscurità?

Cellula di diffusione del Grupo Insurreccional Anarca Feminista de Acción Antiautoritaria, Lupe la Camelina e La Inesperada Laura