DA MALPENSA A TEL AVIV: COME LE AZIENDE DI SICUREZZA INFORMATICA ISRAELIANE COLLABORANO CON LE AUTORITÁ ITALIANE PER ACCEDERE AI DISPOSITIVI MOBILI

Diffondiamo da No Cpr Torino

La violenza poliziesca non è fatta di soli manganelli; si manifesta anche attraverso l’ingerenza e l’invasività nel privato. Seguire gli spostamenti, osservare e ascoltare il quotidiano fanno parte di un odioso bagaglio di strumenti che la polizia da sempre mette in campo.

Ad oggi, però – attraverso intense partnership con paesi, come Israele, in grado di sviluppare sistemi di sorveglianza capaci di manomettere e accedere facilmente ai dispositivi mobili (smartphone, tablet e PC) – l’accesso da parte delle polizie e dei governi ad informazioni riservate, dettagliate e sensibili può rivelarsi estremamente più pervasivo di quanto si possa immaginare. Il sistema spyware PARAGON ne è un esempio. Il servizio fornito, invece, da Cellebrite è di diverso tipo ed è quello di cui vorremo parlare qui.

Decidiamo di scrivere questo testo – invitando a condividerlo ampiamente – perché riteniamo indispensabile fornire informazioni minime a nostra disposizione, che possano aiutare ad autotutelarsi dalla pervasività della sorveglianza da parte delle autorità.

Stante l’abbassamento dei costi di tali servizi di spionaggio e l’intensificarsi delle relazioni con le aziende del settore, tentare di rompere il velo di mistero attorno a tali strumenti ci sembra tanto doveroso, quanto necessario.

Ci sembra importante, innanzitutto, precisare che le persone a cui sono stati sequestrati e manomessi i telefoni vivono e si organizzano a Torino; qui, portano avanti un percorso di lotta contro la detenzione amministrativa (CPR) e penale e hanno preso parte alla mobilitazione contro 41bis ed ergastolo ostativo. Ciò rende lo sgradevole rapporto con la polizia e le sue indagini – quelle della DIGOS in particolare – abbastanza frequente.

Lo precisiamo non per attestarci un qualche palcoscenico nello spettacolo della repressione, ma perché vogliamo evitare di creare allarmismi e paranoie orwelliane sul controllo totale. Non pensiamo, infatti, sia in atto un controllo di massa. Piuttosto che chi decide di portare avanti lotte o anche solo pratiche di dissenso possa finire tra le maglie di queste forme di spionaggio e necessiti, quindi, di informazioni utili per tutelarsi.

I FATTI

Il 20 Marzo 2024 – a seguito del blocco di un volo di linea della Royal Air Marocc, con il quale stava per essere deportata una persona di origine marocchina dall’aeroporto di Malpensa – 3 smartphone vengono sequestrati dalla polizia di frontiera prima che il fermo di 5 persone si trasformi in arresto per 4 di queste.

Quel giorno, l’arrivo al Terminal 1 dell’aeroporto di Malpensa fu scandito dalla fretta e dall’urgenza politica ed umana di tentare di impedire la deportazione. La macchina accostò – a una delle porte di ingresso dell’aerea partenze – 5 minuti esatti prima dell’orario previsto del decollo del volo per Casablanca. La valutazione del rischio, fatta da chi si trovava in quella macchina, non prevedeva: né che fosse così “semplice” e “realistico” bucare i cosiddetti sistemi di sicurezza dell’aeroporto ed arrivare alla pista di decollo, né che le polizie europee usassero i prodotti di spionaggio dei telefoni ideati in Israele da Cellebrite. Nei pochi secondi a disposizione, nell’imprevedibilità della situazione e considerando il bisogno di comunicare con solidalx, compagnx e avvocatx, venne scelto di portare 3 dei 6 telefoni presenti in macchina. Oggi sappiamo che quei 3 telefoni, poi sequestrati dalla polizia, sono stati spiati e manomessi per mano delle forze dell’ordine o suoi collaboratori, con modalità totalmente silenziate, mai ufficialmente comunicate e senza alcuna convocazione del perito informatico della difesa.

È difficile valutare se in quei pochi minuti, di corsa tra un macchina e un aereo, sarebbe stato possibile – o sensato – fare una scelta differente. Eppure, con questo breve testo invitiamo tuttx a tenere sempre a mente che esiste una zona grigia, alquanto sconosciuta, di utilizzo di tecnologie della sorveglianza da parte della controparte.

I TELEFONI

A tal proposito, e premesso che ci sono parecchi aspetti che non siamo ancora riusciti a chiarire, condividiamo invece quello sappiamo ad ora.

I telefoni al centro di questa vicenda sono degli Android abbastanza comuni, tutti e tre protetti da PIN (o sequenza), abbastanza recenti, aggiornati e con cifratura abilitata. Al dissequestro, i PIN di due dei tre telefoni sono stati trovati scritti a penna su un adesivo posizionato sul retro: non un buon inizio.

Uno degli strumenti che si utilizza in questi casi per dare un’occhiata ai dispositivi si chiama MVT (Mobile Verification Toolkit, https://mvt.re), che permette – riassumendo – di effettuare un’analisi forense consensuale, alla ricerca di indicatori di compromissione già noti. In questo caso non sono state subito trovate tracce note, ma MVT evidenzia anche eventuali altre stranezze come, nel nostro caso, la presenza di due file sospetti in un posto dove non avrebbero dovuto trovarsi.

Verificando la data di creazione di questi file – risultata successiva alla data del sequestro – abbiamo potuto dare per certa la compromissione del dispositivo da parte delle forze di polizia. Questo ci ha stupito perché fino a non molto tempo fa veniva ritenuto abbastanza macchinoso, e soprattutto costoso, superare determinate pratiche di sicurezza.

Dopo qualche ricerca – e a partire dai nomi dei file trovati ed i loro hash (identificativi univoci) – viene trovato e studiato un report pubblicato di recente da Amnesty International in cui compare lo stesso file (definito: falcon) su alcuni dispositivi sequestrati in Serbia.

Questo studio ci fornisce la possibilità di attribuire a Cellebrite – e in particolare al loro servizio UFED / Inseyets l’operazione di manomissione dei telefoni; inizialmente sequestrati dalla Polizia di Frontiera a Malpensa, poi passati alla Procura di Busto Arsizio, poi chissà ancora dove ed infine ritornati a Torino.

Molti pezzi di questa singola storia sono ancora mancanti, sconosciuti e forse secretati. Ciò che ci preme chiarire è che per certo sappiamo che le Procure e le forze dell’ordine italiane hanno a disposizione le tecnologie di manomissione dei telefoni prodotte in Israele da Cellebrite.

A tal proposito lasciamo un link per chi volesse approfondire: https://discuss.grapheneos.org/d/14344-cellebrite-premium-july-2024-documentation

IL MODELLO ISRAELE E LE SUE PARTNERSHIP INTERNAZIONALI

Israele è da sempre un partner strategico, pressoché indispensabile, per l’Occidente, soprattutto in ambito bellico e securitario. Quello che questa storia contribuisce a delineare sono le conseguenze di un business ormai esistente da decenni, basato proprio sullo sviluppo e l’esportazione di tecnologie securitarie e repressive. Un percorso che, da una parte, vede enormi investimenti israeliani alla fase di sviluppo tecnologico e, dall’altra, ingenti finanziamenti da Europa e USA per acquisire il primato e l’esclusiva sul prodotto terminato.

Attraverso la sperimentazione sulla pelle del popolo palestinese, si ottiene la “miglior versione possibile”, soprattutto economicamente competitiva sul mercato. Da qui la riproposizione nel nostro contesto del “modello Israele”, autoritario, securitario e fondato sulla cultura del nemico interno ed esterno; un modello da importare non solo ai costi di mercato – sempre più accessibili – ma soprattutto al costo di una totale sottomissione e immobilismo delle cosiddette “democrazie occidentali” di fronte a 15 mesi di genocidio.

Nella speranza che ognuno possa cogliere da questa vicenda ciò che ritiene utile ai fini di incrementare il proprio livello di sicurezza, proteggersi dall’occhio dello Stato e dei suoi scagnozzi, nonché immaginare con creatività le proprie strade di lotta: vorremmo chiedere che a questa informazione sia data ampia diffusione.

PALESTINA LIBERA!

TUTTE LIBERE! TUTTI LIBERI!

BRESCIA: NO ALLA VIDEOCONFERENZA! JUAN LIBERO!

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Ci stiamo ormai abituando alla videoconferenza imposta durante i processo come fatto normalizzato e immodificabile?

I nostri stessi compagni – che magari non vediamo da anni e che rischiamo di non vedere per anni – diventano delle immagini in uno schermo, la cui voce può essere interrotta premendo un semplice bottone.

Come sempre, il pretesto iniziale (il “terrorismo”) si allarga (la pericolosità dell’imputato, il risparmio sulle traduzioni dal carcere), e la sparizione del corpo dell’accusato diventa un atto burocratico. Mentre la corte decide dei prossimi anni di vita (e di carcere) dell’imputato, la giudice nega al nostro compagno la possibilità di essere fisicamente presente, come Juan ha chiesto.

Juan, da anni detenuto in AS2 nel carcere di Terni, è sotto processo a Brescia con l’accusa di terrorismo per l’attacco contro la scuola di polizia POLGAI.

NO ALLA VIDEOCONFERENZA! JUAN LIBERO!

Domenica 15 dicembre, ore 20:00, al Circolo Anarchico Bonometti, vicolo Borgondio 6, Brescia: Incontro-dibattito. Il mito della prova scientifica. L’uso del DNA nelle indagini e nei processi (come in quello contro Juan).

Lunedì 16 dicembre, ore 10:30: presidio davanti al Tribunale di Brescia, via Lattanzio Gambara 40, in occasione di una nuova udienza contro il compagno Juan.

anarchiche e anarchici

FORLÌ: PRESENTAZIONE DELL’OPUSCOLO “DEMOCRAZIE REALI. ISRAELE COME LABORATORIO E MODELLO DELLA NUOVA MODERNITÀ PER UN OCCIDENTE SEMPRE PIÙ IN CRISI”

Diffondiamo

Giovedì 21 novembre, presso il circolo Asyoli (corso Garibaldi 280,
Forlì)

alle ore 18:30 incontro con alcunx autorx dell’opuscolo
“Democrazie Reali”, un dossier che parte dall’assunto che, no, non c’è nessuna incompatibilità con la democrazia tra Stato sionista d’Israele, la sua occupazione coloniale della palestina (e del Libano ora) e le pratiche genocidiarie che sta attuando, come non c’è incompatibilità con la sua struttura di società-carcere hi-tech. Anzi. Lx autorx dell’opuscolo mostrano come la maggioranza delle democrazie occidentali siano già ben avviate sulla strada di una “israelianizzazione” dei propri assetti.

Ne Parliamo con alcunx autorx.

A seguire buffet vegan!!

(come sempre ci sarà del materiale informativo di critica radicale
all’esistente)

– Collettivo Samara –

MESSAGGI PROIBITI: IL BAVAGLIO DIGITALE DEL QUESTORE DI BOLZANO CONTRO IL DISSENSO

Diffondiamo

Se negli ultimi mesi la Questura di Bolzano ci ha abituato al fatto di sfruttare in modo spregiudicato tutte le armi a sua disposizione per mettere a tacere le mobilitazioni in città (divieti di manifestare, denunce come quella per “invasione di terreni” per una tendata analoga a quelle di tante altre città, uso disinvolto di avvisi orali e fogli di via – da ultimo contro un compagno bolzanino residente in un comune limitrofo e con molti legami in città), ora estrae dal cilindro un provvedimento di cui non ricordiamo precedenti contro ambiti “politici”.

Nei giorni scorsi a due compagni bolzanini sono state notificate “prescrizioni aggiuntive” all’avviso orale che era stato loro consegnato a marzo con l’intimazione di “cambiare condotta” – e la minaccia in caso contrario della richiesta di sorveglianza speciale (sorta di arresti domiciliari motivati non da uno specifico reato ma da una generica “pericolosità sociale”). Come previsto dal codice antimafia, oltre a divieti grotteschi evidentemente tarati su tutt’altro genere di soggetti (come quello di possedere “mezzi di trasporto blindati”), si vieta di possedere o utilizzare “programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi”, ma soprattutto, per uno dei due si propone al Tribunale di vietare, per due anni, di possedere o utilizzare il cellulare, altri dispositivi connessi a internet e qualsiasi tipo di social network, mentre all’altro, con lo stratagemma di permettergli di usare il cellulare di vecchio tipo, non connesso a internet, si vieta direttamente, senza passare per il Tribunale, di possedere o utilizzare “gli smartphone, i tablet, i laptop che consentano connessioni dati via WI-FI o con SIM”, ed essendo legato all’avviso orale quest’ultimo divieto non ha una durata determinata, ma è potenzialmente a vita. Contravvenire ai divieti comporta “la reclusione da uno a tre anni” oltre a multe per migliaia di euro e alla confisca dei dispositivi, che saranno “assegnati alle Forze di polizia”.

Quali sono le motivazioni (almeno quelle ufficiali) di un provvedimento del genere, oltre a non aver cambiato condotta dopo aver ricevuto l’avviso orale? Nel primo caso, aver diffuso messaggi offensivi nei confronti del Questore (trasformati dalla stessa Questura e dai giornali al suo servizio in “minacce di morte”) e in generale “anti-istituzionali” (definiti “eversivi”), oltre a mantenere contatti con compagne e compagni di questa e di altre province. Nel secondo caso, “organizzare” e “convocare con strumenti telematici” manifestazioni nel corso delle quali verrebbero “sistematicamente” violate le prescrizioni della Questura e commessi reati: praticamente, la Questura ritiene che l’organizzare e il pubblicizzare iniziative peraltro regolarmente preavvisate faccia parte di un disegno criminoso che però non si deve preoccupare di dimostrare in Tribunale, adottando direttamente “misure in grado di ridurre la capacità di commettere reati”. Da rilevare che, fra i precedenti citati con tono più allarmato, figurano quello del corteo entrato in stazione per denunciare l’accordo Leonardo-Rete Ferroviaria per i trasporti militari, provocando una temporanea interruzione del traffico ferroviario – e per il quale un compagno roveretano ha ricevuto un foglio di via per quattro anni – e quello di un saluto solidale durante una battitura, che avrebbe “istigato” i detenuti “con il rischio concreto che si innescassero disordini e rivolte” come quelle in altre carceri.

A Bolzano, dall’arrivo del Questore Paolo Sartori, ci troviamo di fronte a uno scenario inedito: un nuovo podestà che si sostituisce contemporaneamente al Sindaco, ai politici di maggioranza e di opposizione, al Tribunale e ai giornalisti, scatenando contro marginali e dissidenti una guerra a colpi di misure amministrative (avvisi orali, sorveglianze speciali, fogli di via, espulsioni, revoche dei permessi di soggiorno, Daspo urbani…) la cui produzione industriale rivendica in conferenze stampa pressoché quotidiane, riuscendo a diventare il protagonista perfino dei commenti da bar (“Questo Questore ha le palle”…).

Al di là dell’allucinante situazione bolzanina, però, va colto il significato più generale di misure come queste: con la guerra alle porte, impegnato ad armarsi e compattarsi, lo Stato non può più tollerare nemmeno la parola dissonante. Per questo, com’è successo a Como, si arriva a vietare di nominare il sionismo. Per questo sempre più inchieste per terrorismo riguardano la sola diffusione di scritti. Le “garanzie democratiche”, senza una forza reale che contrasti questa deriva, cadono una dietro l’altra; lo Stato mostra ogni giorno di più il suo volto autentico.

I modelli nei quali intravedere il futuro che si avvicina non mancano: dalla democrazia tedesca, in cui solidarizzare con la Palestina è di per sé criminalizzato, a quella israeliana, interamente militarizzata oltre che costruita sulla volontà di annientare una popolazione in eccesso, a quella ucraina, che dà la caccia in tutta Europa ai propri giovani per usarli come carne da cannone per conto della Nato, alla Cina, dove grazie alla digitalizzazione si è instaurata una vita a punti in cui a chi non dimostra continuamente di aderire alle norme sociali può essere automaticamente impedita qualsiasi attività.

Di fronte a un orizzonte che non potrebbe essere più cupo, per non farsi definitivamente annichilire tocca scommettere sulla possibile, inattesa vulnerabilità di un nemico che si presenta come fuori portata, rilanciando, allargando e intensificando le lotte, al fianco della resistenza palestinese, contro la guerra, contro il controllo sociale…

Per chiudere tornando al nostro piccolo bolzanino, ad ogni modo, i Questori passano, la passione per la libertà resta.

UDINE: NO ALLA SMART CITY E AL CAPITALISMO DELLA SORVEGLIANZA

Riceviamo e diffondiamo:

DA VENEZIA A UDINE, NO CONTROL ROOM. No alla smart city e al capitalismo della sorveglianza!

Martedì 30 aprile ore 20:30, Spazio autogestito via De Rubeis 43, Udine.

Da marzo 2024, anche Udine, come Venezia, Trento, Bolzano, Milano e altre città entra in una progettualità di smart city. Un videowall di ultima generazione, una parete di 20 metri quadri composta da 12 monitor che trasmette le immagini in costante aggiornamento che provengono dalle telecamere di sorveglianza, che per mezzo di un software integrato da algoritmi di intelligenza artificiale, incrocerà dati come ad esempio il luogo, l’orario, il colore degli indumenti, i dettagli dei veicoli, dalle immagini raccolte in diversi contesti dalle telecamere. Tutto ciò nella Control Room del Comando di Polizia Locale di via Girardini a Udine.
Questa sala operativa permette di incrociare i dati ottenuti tramite le 190 videocamere di sorveglianza poste sul territorio udinese, con un totale di 496 obiettivi montati sulle telecamere stesse, cui andranno ad aggiungersi altre 86 ottiche montate su 26 nuovi apparecchi di videosorveglianza, che vanno sommati ai 18 dispositivi per il riconoscimento delle targhe delle vetture, dislocati nei principali nodi di traffico della città.
Nella realizzazione di queste politiche ultra tecnologiche di sorveglianza di massa, l’ente locale non è solo, si avvale infatti della collaborazione dell’Università di Udine – Dipartimento di Scienze matematiche, informatiche e fisiche che sta lavorando a Progetti di videosorveglianza predittiva con l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale in partenariato con MD Systems, ditta leader nei sistemi di sicurezza e sorveglianza.
Inoltre il Comune di Udine ha appena varato un Protocollo di sicurezza partecipata che prevede un sistema gerarchizzato di delazione di quartiere, in diretto contatto con le forze dell’ordine, atto a distruggere ogni possibile forma di solidarietà spontanea tra vicini di casa (e di classe sociale) per affrontare i problemi di vita di ognuno e a potenziare la criminalizzazione della povertà e della diversità dai canoni dominanti della società. La Regione FVG ha poi votato un nuovo regolamento che permette l’acquisto di droni, videocamere e fototrappole per contrastare l’immigrazione clandestina e il pericolo terrorismo e blindare ulteriormente il confine italo-sloveno, ora che il trattato di Schengen è sospeso. Questi dispositivi potranno essere acquistati anche dalle forze dell’ordine non di frontiera e impiegati nelle città e nei territori.
La smart city è un luogo che integra i sistemi fisici, digitali e umani nelle reti e nei servizi tradizionali (ad esempio nei sistemi pubblici di mobilità).
La prima ricaduta negativa sulla popolazione di questo modello urbano riguarda la privacy e la sorveglianza. Nell’ambiente della smart city, il sistema Internet delle cose – tra cui sensori, telecamere e Wi-Fi – modifica in modo radicale la consapevolezza situazionale e interferisce con la quotidianità delle persone attraverso il controllo totale e la polizia predittiva. Negli attuali scenari urbani la tecnologia non è una cosa a sé, ma è un soggetto che regola l’ambiente in cui si vive e che viene presentato come lo strumento necessario per la sicurezza, intesa come priorità in uno stato di emergenza permanente. Oggi la necessità di “difesa”, viene perseguita attraverso dispositivi di separazione e canalizzazione: le persone, diventate utenti della città, possono essere filtrate in funzione della legittimità riconosciuta alla loro presenza nel dato luogo da securizzare. La NATO richiede il proprio coinvolgimento nelle aree urbane in quanto “le città stanno diventando sempre più i bersagli principali di attacchi militari, politici e terroristici e sono ambienti di violenza e conflitto”. Molti investimenti nel settore della digitalizzazione delle città italiane arrivano dal PNNR, che prevede lo stanziamento di diversi miliardi di euro per la digitalizzazione e la trasformazione di territori vulnerabili in smart city, attraverso il recupero del ruolo dei Comuni e la promozione dei partenariati pubblico- privati. La cooperazione su cui si basano le smart city, vede infatti come soggetti gli enti territoriali regionali e locali, le istituzioni culturali e accademiche, le grandi aziende, i cittadini e i “city users”, cioè coloro che si recano in città per usufruire di un servizio.
In questo scenario una città che si contraddistingue è Venezia, che ha inaugurato una Smart Control Room nel settembre 2020, una vera e propria torre di controllo che ha sede nella sede della polizia municipale al Tronchetto, realizzata e gestita in collaborazione tra Comune, Venis S.p.A., Polizia locale e TIM. La data di nascita della Smart Control Room veneziana non è casuale, il 2020 infatti è l’anno in cui la gestione dell’emergenza Covid -19 criminalizza l’idea di folla e dà inizio ad un disciplinamento di massa attraverso dispositivi di controllo e identificazione che permettono spostamenti e accessi solo alle persone in possesso del Green Pass. Non troppo dissimile è il funzionamento del nuovo contributo d’accesso necessario per visitare Venezia, previsto per aprile 2024.

BOLOGNA: CONTAPERSONE E PIAZZA ALDROVANDI A NUMERO CHIUSO PER HALLOWEEN

Mentre continuano le retate interforze inaugurate a gennaio con il patto integrato sulla sicurezza, il Sindaco più smart di sempre fa sapere che per Halloween Piazza Aldrovandi sarà ad “accesso limitato”, gestita con l’ausilio di contapersone. La retorica della “sicurezza”, del “decoro” e del “degrado” diventa sempre più aggressiva: si punta il dito contro la “malamovida”, neologismo che si vuole contrapposto a “buona movida”, cioè a quella socialità che rientra perfettamente negli spazi e nei tempi del consumo stabiliti dai padroni. Una città sempre più escludente ed esclusiva, dove mentre si sgomberano sistematicamente spazi sociali ed esperienze di autogestione, si espelle dal territorio e si marginalizza chi non può permettersi i costosi aperitivi del centro.


Link:

Contapersone per gestire piazza Aldrovandi
https://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/halloween-2023-piazza-aldrovandi-numero-chiuso-f3rs0pcf

Posto di blocco in via Stalingrado con le auto fatte fermare nell’area di servizio

Alcol alla guida, maxicontrollo della polizia in via Stalingrado

Controlli interforze in stazione e centro
https://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/spaccio-degrado-piazza-verdi-cani-e69086ff

IMOLA: VERSO L’UTOPIA

Diffondiamo:

Qual’è il mondo contro cui lottiamo? Qual’è il mondo per cui lottiamo?

Dibattiti e presentazioni di libri su tecnologia, estrattivismo, transizione ecologica e guerra.
Concerti benefit.

VENERDÌ 29 settembre
SABATO 30 settembre
DOMENICA 1 ottobre

Al Brigata, via Riccione 4 – Imola.
[Qui il programma dettagliato.]

IMOLA: VERSO L’UTOPIA. SCRITTI E PENSIERI ANARCHICI

Diffondiamo:

Qual’è il mondo contro cui lottiamo? Qual’è il mondo per cui lottiamo?

Dibattiti e presentazioni di libri su tecnologia, estrattivismo, transizione ecologica e guerra.

VENERDÌ 29 settembre
SABATO 30 settembre
DOMENICA 1 ottobre

Al Brigata, via Riccione 4 – Imola.
[Programma dettagliato in arrivo https://brigataprociona.noblogs.org/post/2023/07/22/verso-lutopia-scritti-e-pensieri-anarchici/]

OPUSCOLO: LA TRANSIZIONE ALLA GUERRA IN CASA

Riceviamo e diffondiamo questi appunti sulla ristrutturazione energetica e digitale delle forze armate, il suo contesto e il mondo che prepara.


Introduzione

Che il complesso militare nostrano si sia mosso con crescente determinazione nella direzione di una sempre più accentuata penetrazione nella cosiddetta “società civile” è un fatto che si è reso sempre più evidente negli ultimi decenni, con una più marcata accelerazione in tempi recenti dettata dalle esigenze della ristrutturazione capitalistica in corso e dagli equilibri politico-militari globali in via di ridefinizione.

La società e la sua cultura sono sempre più penetrare e irradiate dei valori e dei modelli del bellicismo, in funzione dei vecchi e nuovi interessi del complesso tecno-industriale e finanziario. Come ha notato qualcuno, “la logistica della guerra” segue (e anticipa) le velocità, le maniere e, aggiungiamo, le necessità dello Stato capitalista, ne mutua il paradigma di produzione just in time come adeguamento quasi in tempo reale ai mutamenti e ai bisogni del momento.

Dalla firma nell’ormai lontano dicembre 2017 di un protocollo di collaborazione nei progetti di alternanza scuola-lavoro tra il Ministero della Difesa e quelli di Lavoro, Istruzione e Università e Ricerca, alla stipula, il 24 febbraio 2022, di un accordo tra i rappresentanti della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) e la Fondazione Leonardo Med-Or di Marco Minniti, al fine di “promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica”; dall’istituzione, nel febbraio 2023, di un “Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della difesa” che dovrebbe, nelle parole del ministro guerrafondaio Guido Crosetto, spostare l’attenzione “anche sull’impatto che la difesa nel suo complesso ha sulla vita di tutti i giorni” grazie all’aiuto di una schiera di servi volontari economisti, giornalisti, intellettuali, accademici, dirigenti d’azienda, all’ormai strutturale penetrazione del comparto bellico industriale in tutte le università italiane, centri di ricerca e laboratori, dipartimenti e consorzi interuniversitari, la lista delle brecce aperte in quasi tutti gli ambiti appare già ampissima e in continua e inarrestabile espansione.

Si assiste alla stretta relazione tra l’evolvere di nuovi scenari bellici a scala globale e l’aumento esponenziale della militarizzazione interna, non solo in termini di sempre più pervasiva presenza militare e poliziesca nei territori, ma anche e non secondariamente, in termini sociali e culturali, per non parlare delle ormai dilaganti strette repressive.

Un tema passato forse un po’ sottotraccia, di cui si è parlato meno, è quello legato al processo di ristrutturazione energetica e logistica che le forze armate, non solo nostrane, stanno intraprendendo e agli obiettivi ad essa strettamente connessi. Ad eccezione infatti di alcuni grandi contesti metropolitani o comunque locali, sembra che la questione degli smart military district e delle caserme verdi dell’Esercito, degli aeroporti azzurri dell’Aeronautica e delle basi blu della Marina militare, di cui si inizia a parlare intorno al 2019, raggiunga raramente gli onori delle cronache nazionali. Ed è proprio a partire da una situazione locale interessata da uno di questi progetti che si è sentita la necessità di iniziare una ricerca sul tema, nel proposito di fornire un primo contributo alla conoscenza dei mutamenti in atto e in procinto di essere attuati all’interno del comparto bellico nostrano nella prospettiva di scenari di conflitto futuri.

Questo contributo, molto lungi, come si vedrà, sia dall’essere esaustivo sia dal voler affrontare la grande complessità della materia oggetto di indagine nella sua interezza, i cambiamenti in atto nel settore militar-industriale – tanto nostrano quanto globale – e la complessità delle sue sempre più strette relazioni dual use con l’ambito civile, si propone di gettare un po’ di luce sui progetti che la difesa sta avviando nella direzione di una generale preparazione a futuri scenari bellici sul fronte interno, nascosti, manco a dirlo, dietro le tende della transizione green e digitale.

Link al testo pdf: Transizione alla guerra in casa_ lettura  
Transizione alla guerra in casa_stampa

IT-ALERT, NUOVO SISTEMA DI ALLARME PUBBLICO NAZIONALE

“IT-alert, il nuovo sistema di allarme pubblico nazionale, arriva nella nostra regione con un messaggio di test che, una volta a regime, potrà essere attivato per informare direttamente i cittadini in caso di gravi emergenze imminenti o in corso.” Fonte: sito della Regione Emilia Romagna

Lunedì 10 luglio tutti i cellulari collegati a celle di telefonia mobile dell’Emilia-Romagna squilleranno contemporaneamente ma con un suono diverso rispetto a quello delle normali notifiche. Si tratta del nuovo sistema di allerta di cui si sta dotando l’Italia, già sperimentato in Toscana, Sicilia, Sardegna, Calabria (già al quarto test).

IT-alert diventerà operativo nel 2024 e si attiverà in caso di gravi emergenze o eventi catastrofici imminenti o in corso, come incidenti nucleari o emergenze radiologiche, incidenti rilevanti in stabilimenti industriali, maremoti, collasso di grandi dighe, attività vulcanica.

Il procedere della crisi del sistema capitalista sta esasperando sia le politiche di guerra e di contenzione dell’immigrazione, sia le politiche di precarizzazione e di attacco alle classi sublaterne, determinando una corsa sempre più rapida alla conquista di risorse e mercati nel mondo. In questo contesto risulta evidente a tutte/i quanto emergenze ed eventi critici non possono più essere affrontati come “incidenti di percorso” da denunciare ogniqualvolta ci colpiscono, direttamente o indirettamente (diventando a tutti gli effetti strumenti di ricatto e vessazione in mano ai padroni) ma come elementi strutturali che pongono l’urgenza materiale di una critica radicale e di un’opposizione concreta a questo modello di sviluppo insensato, allo sfruttamento di persone e territori, allo stato di cose presenti.