CREMONA: MANIFESTO CONTRO LA SICUREZZA


Diffondiamo:

L’OMBRA DEL SABBA NELLA ZONA ROSSA

«Così gli uccelli nella loro venuta fanno a pezzi il mondo perché odiano così tanto quel mondo che non li accetta che loro, a loro volta, non accettano altro che la distruzione di quel mondo».
Lee Edelman

Ebbene sì, anche la “pacificatissima” Cremona si tinge di rosso e non si tratta più solo del rosso che già ne intossica i cieli ad ogni colata dell’acciaieria Arvedi, ma della nuova proposta liberticida introdotta con la scusante dello “stop al degrado”. Ma d’altronde queste operazioni da parte di uno Stato sempre di polizia, che hanno già incontrato un’ottima palestra di rodaggio nel periodo della pandemia, in una città vetrina e provinciale come questa non sorprendono, anzi il più delle volte passano inosservate, come se l’addomesticamento fosse la bandiera di una “psicosi collettiva”, che si alimenta nella distrazione di massa.
Eppure qui nella nebbia ci sono teste ancora capaci di sollevarsi, guardare al di là delle sbarre di una prigione a cielo aperto; sono le teste dei reietti, delle pazze, delle escluse, dei recidivi, delle senza casa e dei senza patria, con i loro corpi scomodi per l’ingranaggio sociale e i loro lancinanti stridii
degni di un cupo stormo di corvi e cornacchie, pronte a cagare sulle loro volanti e beccargli dita e pupille.
Sotto la minaccia del daspo urbano si cerca di blindare intere città, appellandosi alla necessità di difesa da un nemico interno purtroppo immaginario e creato su misura dalla propaganda, che di volta in volta prende l’aspetto degli stranieri d’ogni nazione, così come delle sex workers o dei vandali imbrattatori.
Una manovra che pone un altro tassello nel mosaico di merda che chiamano Stato e che ogni giorno amplia la categoria dei deviati e delle degenerate, una categoria che permette immediatamente di identificare i possibili intralciatori del suo progetto, di modo da spazzarli via o inglobarli nella sua logica. Che le indesiderabili si oppongano, ad un mondo a cui si obbedisce senza neanche lo sforzo di dire si, disertare ogni ordine è già pensare un mondo altro e a agire di conseguenza.

Il manifesto in pdf: qui

CATALOGNA: SCOPERTA NUOVA INFILTRAZIONE POLIZIESCA NELLA COMUNITÀ PALESTINESE E NEI MOVIMENTI INDIPENDENTISTI

È notizia di oggi la scoperta di un’altra poliziotta infiltrata nei movimenti sociali di Barcelona. Belén Hammad Gómez, diplomata alla Scuola di Polizia di Ávila nel 2018, da quell’anno fino al 2023 ha portato avanti un’attività di spionaggio di Stato all’interno della comunità palestinese, dello spazio autogestito “Casal Popular 3 voltes Rebel” nel quartiere Nou Barris e dell’organizzazione di sinistra indipendentista Endavant.
Negli ultimi 3 anni, sono stati scoperti 10 casi di sbirri infiltrati in spazi sociali e collettivi di varie città della Spagna. Ancora una volta vediamo come lo Stato sia disposto a tutto per i suoi scopi: spiare, estorcere informazioni, distruggendo vite, legami e relazioni. L’infiltrazione poliziesca è una pratica repressiva dello Stato consolidata senza limiti né scrupoli.
L’INFILTRAZIONE E’ TORTURA!

Più info qui: https://directa.cat/una-policia-espanyola-sinfiltra-durant-dos-anys-al-moviment-per-palestina-i-a-lesquerra-independentista/

UDINE: NO PACCHETTO SICUREZZA – NO ZONE ROSSE

Diffondiamo:

Invitiamo a partecipare SABATO 22 FEBBRAIO 2025 al presidio contro il “PACCHETTO SICUREZZA” (ddl 1236 ex 1660) , attualmente in fase di approvazione al Senato e contro l’applicazione delle “ZONE ROSSE”.

Il “PACCHETTO SICUREZZA” prende di mira tutte le persone marginalizzate, dissidenti e ribelli, colpendo in primis quelle prive di cittadinanza italiana, passando a chi si trova a lottare per non soccombere alla violenza statale nelle carceri e nei Cpr fino a chi esprime dissenso e solidarietà contro la repressione.
Vengono aggravate quindi di molto le pene e severamente punitx chi lotta con le forme più basilari di protesta. Tutto questo in un quadro legislativo che vede invece aumentare spropositatamente e indiscriminatamente il potere della polizia e la sua arbitrarietà nell’usarlo.

Ma se il “pacchetto sicurezza” non è ancora definitivamente approvato, le zone rosse sono invece già una realtà effettiva.
Dopo una direttiva emanata a dicembre 2024 dal Ministro dell’interno, questa ordinanza ha iniziato ad essere applicata in numerose città italiane.
A Udine è stata stabilita una zona rossa che copre buona parte della città che durerà dal 16 gennaio al 10 marzo e sarà probabilmente estesa nel tempo secondo un non meglio definito “stato di emergenza“.

Cosa può succedere in questa zona rossa?
La polizia può disporre l’allontanamento di tutte quelle persone che, a suo arbitrario giudizio, stiano manifestando “comportamenti aggressivi, minacciosi o insistentemente molesti”, oppure che abbiano precedenti penali (anche non definitivi) relativi a diverse fattispecie di reato commesse nei pressi delle infrastrutture di trasporto pubblico.

Risulta evidente la totale discrezionalità del potere decisionale conferito alla polizia al fine di reprimere e controllare, creando le premesse per una progressiva restrizione della libertà, oggi di alcunx e domani di tuttx.

Il diritto a vivere gli spazi della città che abitiamo non è oggetto di trattativa e non ci arrenderemo facilmente davanti a disposizioni che calano dall’alto, dal sapore spesso propagandistico che non fanno altro che aumentare disagio ed esclusione.
Lotteremo per difendere ogni centimetro che vorranno portarci via e per solidarizzare con tutte lx indesiderabili che in questo modo finiscono sempre più marginalizzatx e isolatx.

Assemblea NO DDL Sicurezza NO zone rosse di Udine

https://laboratoriatfqudine.noblogs.org/post/2025/02/15/presidio-contro-ddl-e-zone-rosse-a-udine/

DA MALPENSA A TEL AVIV: COME LE AZIENDE DI SICUREZZA INFORMATICA ISRAELIANE COLLABORANO CON LE AUTORITÁ ITALIANE PER ACCEDERE AI DISPOSITIVI MOBILI

Diffondiamo da No Cpr Torino

La violenza poliziesca non è fatta di soli manganelli; si manifesta anche attraverso l’ingerenza e l’invasività nel privato. Seguire gli spostamenti, osservare e ascoltare il quotidiano fanno parte di un odioso bagaglio di strumenti che la polizia da sempre mette in campo.

Ad oggi, però – attraverso intense partnership con paesi, come Israele, in grado di sviluppare sistemi di sorveglianza capaci di manomettere e accedere facilmente ai dispositivi mobili (smartphone, tablet e PC) – l’accesso da parte delle polizie e dei governi ad informazioni riservate, dettagliate e sensibili può rivelarsi estremamente più pervasivo di quanto si possa immaginare. Il sistema spyware PARAGON ne è un esempio. Il servizio fornito, invece, da Cellebrite è di diverso tipo ed è quello di cui vorremo parlare qui.

Decidiamo di scrivere questo testo – invitando a condividerlo ampiamente – perché riteniamo indispensabile fornire informazioni minime a nostra disposizione, che possano aiutare ad autotutelarsi dalla pervasività della sorveglianza da parte delle autorità.

Stante l’abbassamento dei costi di tali servizi di spionaggio e l’intensificarsi delle relazioni con le aziende del settore, tentare di rompere il velo di mistero attorno a tali strumenti ci sembra tanto doveroso, quanto necessario.

Ci sembra importante, innanzitutto, precisare che le persone a cui sono stati sequestrati e manomessi i telefoni vivono e si organizzano a Torino; qui, portano avanti un percorso di lotta contro la detenzione amministrativa (CPR) e penale e hanno preso parte alla mobilitazione contro 41bis ed ergastolo ostativo. Ciò rende lo sgradevole rapporto con la polizia e le sue indagini – quelle della DIGOS in particolare – abbastanza frequente.

Lo precisiamo non per attestarci un qualche palcoscenico nello spettacolo della repressione, ma perché vogliamo evitare di creare allarmismi e paranoie orwelliane sul controllo totale. Non pensiamo, infatti, sia in atto un controllo di massa. Piuttosto che chi decide di portare avanti lotte o anche solo pratiche di dissenso possa finire tra le maglie di queste forme di spionaggio e necessiti, quindi, di informazioni utili per tutelarsi.

I FATTI

Il 20 Marzo 2024 – a seguito del blocco di un volo di linea della Royal Air Marocc, con il quale stava per essere deportata una persona di origine marocchina dall’aeroporto di Malpensa – 3 smartphone vengono sequestrati dalla polizia di frontiera prima che il fermo di 5 persone si trasformi in arresto per 4 di queste.

Quel giorno, l’arrivo al Terminal 1 dell’aeroporto di Malpensa fu scandito dalla fretta e dall’urgenza politica ed umana di tentare di impedire la deportazione. La macchina accostò – a una delle porte di ingresso dell’aerea partenze – 5 minuti esatti prima dell’orario previsto del decollo del volo per Casablanca. La valutazione del rischio, fatta da chi si trovava in quella macchina, non prevedeva: né che fosse così “semplice” e “realistico” bucare i cosiddetti sistemi di sicurezza dell’aeroporto ed arrivare alla pista di decollo, né che le polizie europee usassero i prodotti di spionaggio dei telefoni ideati in Israele da Cellebrite. Nei pochi secondi a disposizione, nell’imprevedibilità della situazione e considerando il bisogno di comunicare con solidalx, compagnx e avvocatx, venne scelto di portare 3 dei 6 telefoni presenti in macchina. Oggi sappiamo che quei 3 telefoni, poi sequestrati dalla polizia, sono stati spiati e manomessi per mano delle forze dell’ordine o suoi collaboratori, con modalità totalmente silenziate, mai ufficialmente comunicate e senza alcuna convocazione del perito informatico della difesa.

È difficile valutare se in quei pochi minuti, di corsa tra un macchina e un aereo, sarebbe stato possibile – o sensato – fare una scelta differente. Eppure, con questo breve testo invitiamo tuttx a tenere sempre a mente che esiste una zona grigia, alquanto sconosciuta, di utilizzo di tecnologie della sorveglianza da parte della controparte.

I TELEFONI

A tal proposito, e premesso che ci sono parecchi aspetti che non siamo ancora riusciti a chiarire, condividiamo invece quello sappiamo ad ora.

I telefoni al centro di questa vicenda sono degli Android abbastanza comuni, tutti e tre protetti da PIN (o sequenza), abbastanza recenti, aggiornati e con cifratura abilitata. Al dissequestro, i PIN di due dei tre telefoni sono stati trovati scritti a penna su un adesivo posizionato sul retro: non un buon inizio.

Uno degli strumenti che si utilizza in questi casi per dare un’occhiata ai dispositivi si chiama MVT (Mobile Verification Toolkit, https://mvt.re), che permette – riassumendo – di effettuare un’analisi forense consensuale, alla ricerca di indicatori di compromissione già noti. In questo caso non sono state subito trovate tracce note, ma MVT evidenzia anche eventuali altre stranezze come, nel nostro caso, la presenza di due file sospetti in un posto dove non avrebbero dovuto trovarsi.

Verificando la data di creazione di questi file – risultata successiva alla data del sequestro – abbiamo potuto dare per certa la compromissione del dispositivo da parte delle forze di polizia. Questo ci ha stupito perché fino a non molto tempo fa veniva ritenuto abbastanza macchinoso, e soprattutto costoso, superare determinate pratiche di sicurezza.

Dopo qualche ricerca – e a partire dai nomi dei file trovati ed i loro hash (identificativi univoci) – viene trovato e studiato un report pubblicato di recente da Amnesty International in cui compare lo stesso file (definito: falcon) su alcuni dispositivi sequestrati in Serbia.

Questo studio ci fornisce la possibilità di attribuire a Cellebrite – e in particolare al loro servizio UFED / Inseyets l’operazione di manomissione dei telefoni; inizialmente sequestrati dalla Polizia di Frontiera a Malpensa, poi passati alla Procura di Busto Arsizio, poi chissà ancora dove ed infine ritornati a Torino.

Molti pezzi di questa singola storia sono ancora mancanti, sconosciuti e forse secretati. Ciò che ci preme chiarire è che per certo sappiamo che le Procure e le forze dell’ordine italiane hanno a disposizione le tecnologie di manomissione dei telefoni prodotte in Israele da Cellebrite.

A tal proposito lasciamo un link per chi volesse approfondire: https://discuss.grapheneos.org/d/14344-cellebrite-premium-july-2024-documentation

IL MODELLO ISRAELE E LE SUE PARTNERSHIP INTERNAZIONALI

Israele è da sempre un partner strategico, pressoché indispensabile, per l’Occidente, soprattutto in ambito bellico e securitario. Quello che questa storia contribuisce a delineare sono le conseguenze di un business ormai esistente da decenni, basato proprio sullo sviluppo e l’esportazione di tecnologie securitarie e repressive. Un percorso che, da una parte, vede enormi investimenti israeliani alla fase di sviluppo tecnologico e, dall’altra, ingenti finanziamenti da Europa e USA per acquisire il primato e l’esclusiva sul prodotto terminato.

Attraverso la sperimentazione sulla pelle del popolo palestinese, si ottiene la “miglior versione possibile”, soprattutto economicamente competitiva sul mercato. Da qui la riproposizione nel nostro contesto del “modello Israele”, autoritario, securitario e fondato sulla cultura del nemico interno ed esterno; un modello da importare non solo ai costi di mercato – sempre più accessibili – ma soprattutto al costo di una totale sottomissione e immobilismo delle cosiddette “democrazie occidentali” di fronte a 15 mesi di genocidio.

Nella speranza che ognuno possa cogliere da questa vicenda ciò che ritiene utile ai fini di incrementare il proprio livello di sicurezza, proteggersi dall’occhio dello Stato e dei suoi scagnozzi, nonché immaginare con creatività le proprie strade di lotta: vorremmo chiedere che a questa informazione sia data ampia diffusione.

PALESTINA LIBERA!

TUTTE LIBERE! TUTTI LIBERI!

BOLOGNA: MEZZ’ORA D’ARIA [RADIO]

Diffondiamo:

Ricordiamo a tuttx la puntata di Mezz’ora d’aria in onda oggi sabato 18 gennaio 2025 alle 17:30 sulle frequenze di Radio città Fujiko, FM 103.1.

In questa puntata parleremo dell’uccisione di Ramy a Milano, dello scudo penale per le forze dell’ordine e dell’istituzione di “zone rosse” all’interno di molte cittá. Infine, la collettiva anarcoerbana interverrá con la seconda pillola di erbacce anticarcerarie.

Di seguito i riferimenti della radio, a cui potete far arrivare dediche, pensieri ed esperienze:
– contatto whatsapp e telegram per chi volesse mandare con un messaggio i propri saluti dentro: 3501550853.
– per chi volesse scriverci una mail: info@mezzoradaria.com
– Per chi invece volesse inviarci una lettera: Mezz’ora d’aria, presso Radio Città Fujiko, via Zanardi 369, 40131 Bologna.⁩

BOLOGNA: SENZA CHIEDERE PERMESSO FEBBRAIO 2025

Diffondiamo:

Giovedì 6 febbraio 2025 sedicesima edizione!

Dalle 17 si aprono le danze: allestimento del mercatino, birrette e microfono aperto.

Dalle 19:30 chiacchiere e riflessioni a partire dall’opuscolo “NON È FORSE QUESTA GUERRA?” con alcunx compagnx sicilianx. Dal progetto ponte, alle “smart cities” sino agli interessi che si cuciono sui corpi reclusi, migranti, arginati, carcerati. Un opuscolo per condividere saperi e percorsi di significazione verso una più fitta condivisione di pratiche, per un’azione sempre più di massa e sempre meno mediata da strutture di delega e rappresentanza.
L’occasione vuole anche essere un invito ad individualità, collettivi, affinità, lotte territoriali e libidiche alla prossima mobilitazione NoPonte che attraverserà le rive dello Stretto nel periodo carnevalesco. Un invito all’incontro di pratiche e pensieri perché tuttx lottiamo contro lo stesso “gelido mostro”.

Dalle 20:30 cena per sostenere il progetto di una casa aperta, complice e solidale nelle prealpi varesine. Difendiamo dal pignoramento e dalle more spazi amici dove esprimerci, ritrovarci e organizzarci, fuori delle pressioni e dalle logiche del sistema.

Con noi dal pomeriggio Equal Rights Forlì, distribuzione di materiale antispecista e non solo (libri, opuscoli, musica, magliette, etc.) dal 1996

A scaldarci come di consueto caldo vin brulè benefit prigionierx e inguaiatx!

Distro e banchetti come se non ci fosse un domani, musichette fino a mezzanotte.

https://mercatinoautogestito.noblogs.org/post/2025/01/14/senza-chiedere-permesso-febbraio-2025/

MESSAGGI PROIBITI: IL BAVAGLIO DIGITALE DEL QUESTORE DI BOLZANO CONTRO IL DISSENSO

Diffondiamo

Se negli ultimi mesi la Questura di Bolzano ci ha abituato al fatto di sfruttare in modo spregiudicato tutte le armi a sua disposizione per mettere a tacere le mobilitazioni in città (divieti di manifestare, denunce come quella per “invasione di terreni” per una tendata analoga a quelle di tante altre città, uso disinvolto di avvisi orali e fogli di via – da ultimo contro un compagno bolzanino residente in un comune limitrofo e con molti legami in città), ora estrae dal cilindro un provvedimento di cui non ricordiamo precedenti contro ambiti “politici”.

Nei giorni scorsi a due compagni bolzanini sono state notificate “prescrizioni aggiuntive” all’avviso orale che era stato loro consegnato a marzo con l’intimazione di “cambiare condotta” – e la minaccia in caso contrario della richiesta di sorveglianza speciale (sorta di arresti domiciliari motivati non da uno specifico reato ma da una generica “pericolosità sociale”). Come previsto dal codice antimafia, oltre a divieti grotteschi evidentemente tarati su tutt’altro genere di soggetti (come quello di possedere “mezzi di trasporto blindati”), si vieta di possedere o utilizzare “programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi”, ma soprattutto, per uno dei due si propone al Tribunale di vietare, per due anni, di possedere o utilizzare il cellulare, altri dispositivi connessi a internet e qualsiasi tipo di social network, mentre all’altro, con lo stratagemma di permettergli di usare il cellulare di vecchio tipo, non connesso a internet, si vieta direttamente, senza passare per il Tribunale, di possedere o utilizzare “gli smartphone, i tablet, i laptop che consentano connessioni dati via WI-FI o con SIM”, ed essendo legato all’avviso orale quest’ultimo divieto non ha una durata determinata, ma è potenzialmente a vita. Contravvenire ai divieti comporta “la reclusione da uno a tre anni” oltre a multe per migliaia di euro e alla confisca dei dispositivi, che saranno “assegnati alle Forze di polizia”.

Quali sono le motivazioni (almeno quelle ufficiali) di un provvedimento del genere, oltre a non aver cambiato condotta dopo aver ricevuto l’avviso orale? Nel primo caso, aver diffuso messaggi offensivi nei confronti del Questore (trasformati dalla stessa Questura e dai giornali al suo servizio in “minacce di morte”) e in generale “anti-istituzionali” (definiti “eversivi”), oltre a mantenere contatti con compagne e compagni di questa e di altre province. Nel secondo caso, “organizzare” e “convocare con strumenti telematici” manifestazioni nel corso delle quali verrebbero “sistematicamente” violate le prescrizioni della Questura e commessi reati: praticamente, la Questura ritiene che l’organizzare e il pubblicizzare iniziative peraltro regolarmente preavvisate faccia parte di un disegno criminoso che però non si deve preoccupare di dimostrare in Tribunale, adottando direttamente “misure in grado di ridurre la capacità di commettere reati”. Da rilevare che, fra i precedenti citati con tono più allarmato, figurano quello del corteo entrato in stazione per denunciare l’accordo Leonardo-Rete Ferroviaria per i trasporti militari, provocando una temporanea interruzione del traffico ferroviario – e per il quale un compagno roveretano ha ricevuto un foglio di via per quattro anni – e quello di un saluto solidale durante una battitura, che avrebbe “istigato” i detenuti “con il rischio concreto che si innescassero disordini e rivolte” come quelle in altre carceri.

A Bolzano, dall’arrivo del Questore Paolo Sartori, ci troviamo di fronte a uno scenario inedito: un nuovo podestà che si sostituisce contemporaneamente al Sindaco, ai politici di maggioranza e di opposizione, al Tribunale e ai giornalisti, scatenando contro marginali e dissidenti una guerra a colpi di misure amministrative (avvisi orali, sorveglianze speciali, fogli di via, espulsioni, revoche dei permessi di soggiorno, Daspo urbani…) la cui produzione industriale rivendica in conferenze stampa pressoché quotidiane, riuscendo a diventare il protagonista perfino dei commenti da bar (“Questo Questore ha le palle”…).

Al di là dell’allucinante situazione bolzanina, però, va colto il significato più generale di misure come queste: con la guerra alle porte, impegnato ad armarsi e compattarsi, lo Stato non può più tollerare nemmeno la parola dissonante. Per questo, com’è successo a Como, si arriva a vietare di nominare il sionismo. Per questo sempre più inchieste per terrorismo riguardano la sola diffusione di scritti. Le “garanzie democratiche”, senza una forza reale che contrasti questa deriva, cadono una dietro l’altra; lo Stato mostra ogni giorno di più il suo volto autentico.

I modelli nei quali intravedere il futuro che si avvicina non mancano: dalla democrazia tedesca, in cui solidarizzare con la Palestina è di per sé criminalizzato, a quella israeliana, interamente militarizzata oltre che costruita sulla volontà di annientare una popolazione in eccesso, a quella ucraina, che dà la caccia in tutta Europa ai propri giovani per usarli come carne da cannone per conto della Nato, alla Cina, dove grazie alla digitalizzazione si è instaurata una vita a punti in cui a chi non dimostra continuamente di aderire alle norme sociali può essere automaticamente impedita qualsiasi attività.

Di fronte a un orizzonte che non potrebbe essere più cupo, per non farsi definitivamente annichilire tocca scommettere sulla possibile, inattesa vulnerabilità di un nemico che si presenta come fuori portata, rilanciando, allargando e intensificando le lotte, al fianco della resistenza palestinese, contro la guerra, contro il controllo sociale…

Per chiudere tornando al nostro piccolo bolzanino, ad ogni modo, i Questori passano, la passione per la libertà resta.

ULTIMA UDIENZA E SENTENZA DEL PROCESSO CONTRO ZAC [11 LUGLIO]

L’11 luglio si terrà l’ultima udienza del processo contro Zac per 280bis (atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi) e 270quinques (autoaddestramento). Dalle ore 9.30 avranno luogo prima la requisitoria del pubblico ministero e poi le arringhe degli avvocati. Dopodiché la corte si riunirà in camera di consiglio ed emetterà la sentenza.

Zac è accusato di un attacco al Consolato greco di Napoli avvenuto il 4 marzo 2021, che l’accusa ha ricondotto alla matrice anarchica e inserito nella campagna di solidarietà a Dimitri Koufontinas, prigioniero greco che nel 2021 era entrato in sciopero della fame per molti mesi, rischiando la morte, per contestare la riforma penitenziaria in atto in quel periodo che implicava un netto peggioramento delle condizioni di carcerazione. Nel corso delle udienze si è manifestata tutta l’inconsistenza dell’impalcatura accusatoria, rendendo evidente la natura puramente politica di questo processo, che si basa più sulla personalità dell’imputato che sui fatti contestati. Tant’è che Zac è rimasto sottoposto alle misure cautelari ed “eletto” (senza candidarsi!) alla sorveglianza speciale.

La richiesta di quest’ulteriore misura da parte della questura, prontamente accettata dal tribunale di sorveglianza, conferma l’accanimento politico contro il compagno. A noi appare evidente che in questo caso, come per altre operazioni di repressione del dissenso politico, si è trattato di un modo per ottenere un qualche risultato al di là dell’esito del processo. In generale, è diventato uno strumento sempre più diffuso come mezzo di prevenzione e di controllo sociale.

Insomma, dato che il vero collante dell’accozzaglia di ipotesi investigative e burocrazia poliziesca portati in sede processuale è l’appartenenza del compagno al movimento anarchico, possiamo dire che ciò che viene messo sotto accusa è una determinata identità politica e che il vero obiettivo è la criminalizzazione di tutte le lotte contro il sistema carcerario e la solidarietà ai detenuti in lotta. Non è un caso che la presunta pericolosità di Zac e il suo arresto siano stati motivati dal contesto della mobilitazione contro il 41 bis e in solidarietà ad Alfredo Cospito in sciopero della fame, con l’obiettivo di prevenire possibili coinvolgimenti in una eventuale “escalation” della lotta. Questa operazione si inserisce in una strategia repressiva più ampia che con le stesse caratteristiche ha colpito numerosi compagni e compagne nell’ultimo anno.

Non riconosciamo nessuna forma di distinzione tra colpevolezza e innocenza, che è puro arbitrio di una logica processuale mai neutrale e pieno riflesso dei valori dominanti in un sistema di guerra globale, massacro di popoli e incarcerazione di oppressi e dissidenti. Ciò che invece ci rivendichiamo sono gli ideali, le pratiche, l’identità politica del compagno accusato in cui ci riconosciamo pienamente. Crediamo sia importante rafforzare la solidarietà in un momento di intensificazione della repressione, che nell’attuale contesto di guerra colpisce in maniera sempre più estesa. Per questo invitiamo a una presenza massiccia all’ultima udienza per rendere palese che se l’obiettivo era quello di isolare il compagno non ci sono riusciti e che non c’è rassegnazione tra chi sostiene la lotta contro ogni forma di oppressione.

Anarchice e anarchici

Link PDF: Zac-ultima-udienza-1

UDINE: NO ALLA SMART CITY E AL CAPITALISMO DELLA SORVEGLIANZA

Riceviamo e diffondiamo:

DA VENEZIA A UDINE, NO CONTROL ROOM. No alla smart city e al capitalismo della sorveglianza!

Martedì 30 aprile ore 20:30, Spazio autogestito via De Rubeis 43, Udine.

Da marzo 2024, anche Udine, come Venezia, Trento, Bolzano, Milano e altre città entra in una progettualità di smart city. Un videowall di ultima generazione, una parete di 20 metri quadri composta da 12 monitor che trasmette le immagini in costante aggiornamento che provengono dalle telecamere di sorveglianza, che per mezzo di un software integrato da algoritmi di intelligenza artificiale, incrocerà dati come ad esempio il luogo, l’orario, il colore degli indumenti, i dettagli dei veicoli, dalle immagini raccolte in diversi contesti dalle telecamere. Tutto ciò nella Control Room del Comando di Polizia Locale di via Girardini a Udine.
Questa sala operativa permette di incrociare i dati ottenuti tramite le 190 videocamere di sorveglianza poste sul territorio udinese, con un totale di 496 obiettivi montati sulle telecamere stesse, cui andranno ad aggiungersi altre 86 ottiche montate su 26 nuovi apparecchi di videosorveglianza, che vanno sommati ai 18 dispositivi per il riconoscimento delle targhe delle vetture, dislocati nei principali nodi di traffico della città.
Nella realizzazione di queste politiche ultra tecnologiche di sorveglianza di massa, l’ente locale non è solo, si avvale infatti della collaborazione dell’Università di Udine – Dipartimento di Scienze matematiche, informatiche e fisiche che sta lavorando a Progetti di videosorveglianza predittiva con l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale in partenariato con MD Systems, ditta leader nei sistemi di sicurezza e sorveglianza.
Inoltre il Comune di Udine ha appena varato un Protocollo di sicurezza partecipata che prevede un sistema gerarchizzato di delazione di quartiere, in diretto contatto con le forze dell’ordine, atto a distruggere ogni possibile forma di solidarietà spontanea tra vicini di casa (e di classe sociale) per affrontare i problemi di vita di ognuno e a potenziare la criminalizzazione della povertà e della diversità dai canoni dominanti della società. La Regione FVG ha poi votato un nuovo regolamento che permette l’acquisto di droni, videocamere e fototrappole per contrastare l’immigrazione clandestina e il pericolo terrorismo e blindare ulteriormente il confine italo-sloveno, ora che il trattato di Schengen è sospeso. Questi dispositivi potranno essere acquistati anche dalle forze dell’ordine non di frontiera e impiegati nelle città e nei territori.
La smart city è un luogo che integra i sistemi fisici, digitali e umani nelle reti e nei servizi tradizionali (ad esempio nei sistemi pubblici di mobilità).
La prima ricaduta negativa sulla popolazione di questo modello urbano riguarda la privacy e la sorveglianza. Nell’ambiente della smart city, il sistema Internet delle cose – tra cui sensori, telecamere e Wi-Fi – modifica in modo radicale la consapevolezza situazionale e interferisce con la quotidianità delle persone attraverso il controllo totale e la polizia predittiva. Negli attuali scenari urbani la tecnologia non è una cosa a sé, ma è un soggetto che regola l’ambiente in cui si vive e che viene presentato come lo strumento necessario per la sicurezza, intesa come priorità in uno stato di emergenza permanente. Oggi la necessità di “difesa”, viene perseguita attraverso dispositivi di separazione e canalizzazione: le persone, diventate utenti della città, possono essere filtrate in funzione della legittimità riconosciuta alla loro presenza nel dato luogo da securizzare. La NATO richiede il proprio coinvolgimento nelle aree urbane in quanto “le città stanno diventando sempre più i bersagli principali di attacchi militari, politici e terroristici e sono ambienti di violenza e conflitto”. Molti investimenti nel settore della digitalizzazione delle città italiane arrivano dal PNNR, che prevede lo stanziamento di diversi miliardi di euro per la digitalizzazione e la trasformazione di territori vulnerabili in smart city, attraverso il recupero del ruolo dei Comuni e la promozione dei partenariati pubblico- privati. La cooperazione su cui si basano le smart city, vede infatti come soggetti gli enti territoriali regionali e locali, le istituzioni culturali e accademiche, le grandi aziende, i cittadini e i “city users”, cioè coloro che si recano in città per usufruire di un servizio.
In questo scenario una città che si contraddistingue è Venezia, che ha inaugurato una Smart Control Room nel settembre 2020, una vera e propria torre di controllo che ha sede nella sede della polizia municipale al Tronchetto, realizzata e gestita in collaborazione tra Comune, Venis S.p.A., Polizia locale e TIM. La data di nascita della Smart Control Room veneziana non è casuale, il 2020 infatti è l’anno in cui la gestione dell’emergenza Covid -19 criminalizza l’idea di folla e dà inizio ad un disciplinamento di massa attraverso dispositivi di controllo e identificazione che permettono spostamenti e accessi solo alle persone in possesso del Green Pass. Non troppo dissimile è il funzionamento del nuovo contributo d’accesso necessario per visitare Venezia, previsto per aprile 2024.

NAPOLI: SORVEGLIANZA SPECIALE, SORVEGLIANZA SOCIALE

Riceviamo e diffondiamo:

Lo Stato ha individuato il nemico interno nelle frange dissidenti e nella parte più emarginata del tessuto sociale. Contro di esse viene dispiegato un apparato repressivo sempre più pervasivo, utilizzando decreti legge, pacchetti sicurezza e misure di prevenzione, con la finalità di una
carcerazione di massa.

Ne discuteremo assieme ad alcune avvocate.

Domenica 3 marzo  alle 18 a Santa Fede Liberata, in via S. Giovanni Maggiore Pignatelli 2, Napoli.

AL FIANCO DI ZAC, COMPAGNO ANARCHICO DETENUTO A TERNI IN AS2 E RAGGIUNTO DALLA MISURA DELLA SORVEGLIANZA SPECIALE