AGGIORNAMENTI SULLX ARRESTATX ANTIFA A BUDAPEST

Diffondiamo alcuni testi e gli ultimi aggiornamenti sullx arrestatx antifa a Budapest in carcere dall’11 febbraio 2023.

Aggiornamenti sullx arrestatx antifa a Budapest (17 ottobre 2023)

L’11 febbraio 2023 a Budapest vengono fermate alcune persone con l’accusa di essere coinvolte a vario titolo nel ferimento di alcuni nazisti. Ad oggi una compagna italiana e un compagno tedesco si trovano ancora in carcere a Budapest accusati di questi fatti.
Gli attacchi contro i neonazisti avvengono durante il fine settimana in cui cade il “Giorno dell’onore” data di rilievo per gli ambienti dell’estrema destra ungherese e di tutta Europa in cui si commemora il massacro di un battaglione nazista da parte dell’Armata Rossa avvenuto nel febbraio del 1944. In questi giorni centinaia di camerati si riuniscono a Budapest per una grande marcia commemorativa e per partecipare a varie iniziative organizzate per l’occasione.

Negli scorsi mesi la detenzione dei due compagni è stata prorogata sulla base di nuovi elementi che di volta in volta venivano forniti dagli inquirenti. Ad oggi le indagini sono ancora aperte. Il tentativo dell’accusa è quello di aggravare la posizione della compagna giudicando le lesioni subite dai nazisti come potenzialmente letali e provando a sostenere l’esistenza di un’associazione a delinquere tra persone provenienti da Germania e Italia.
Per il compagno tedesco ancora detenuto l’accusa, invece, è fin da subito quella di far parte di questa supposta associazione. La tesi viene rafforzata dal fatto che il compagno è stato indagato assieme ad altri compagni e compagne tedesche per fatti simili a quelli accaduti a Budapest, nel cosiddetto processo antifa-ost. Questo processo, giunto alla sentenza di primo grado il 31 maggio 2023 con la condanna a 5 anni per Lina e altre tre condanne fino ai 3 anni, verte sull’accusa di associazione criminale (§129 articolo codice penale tedesco) finalizzata ad attaccare membri appartenenti all’estrema destra tedesca. Nell’inchiesta vengono messi assieme diversi attacchi contro nazisti avvenuti negli ultimi 5 anni nella Germania dell’est.

Aggiornamento su Radio Blackout

Link: https://radioblackout.org/2023/10/aggiornamenti-sullx-arrestatx-antifa-a-budapest/


UN TESTO CON GLI ULTIMI AGGIORNAMENTI SULLA SITUAZIONE DI ILARIA (20 ottobre 2023)

Nel weekend del 14 e 15 ottobre siamo andati a Budapest con gli avvocati italiani per incontrare gli avvocati ungheresi di Ilaria.
Insieme a loro anche i genitori sono venuti a Budapest e hanno potuto avere il primo colloquio di persona con lei.
Ci riferiscono che nonostante la frustrazione derivante dalle pessime condizioni detentive, Ilaria tiene botta ed erano naturalmente felici di vedersi. Il colloquio è avvenuto, come previsto dal carcere, in un parlatorio divisi da un plexiglass, tramite cornetta.

È durato due ore.

Facciamo qui una breve parentesi sulla situazione detentiva di Ilaria e sulle condizioni in generale in cui si trovano i detenuti all’interno di quel carcere. Ci sembra opportuno affinché tutti possano comprenderne meglio il contesto.

– Dall’11 febbraio ad oggi è stata spostata undici volte di cella. La metratura di una cella singola è di 6 m quadrati, oppure 4 m quadrati per detenuto se si è in cella in più di uno.
Si sta in cella 23 ore su 24 con il blindo completamente chiuso.
Al sesto piano dove si è trovata per un po’ di tempo, la sezione era mista e le celle maschili sono proprio di fianco a quelle femminili.
C’è una sola ora d’aria al giorno e la socialità non esiste. Le aree per il passeggio sono 5 in totale e sono al piano 1°, per cui non ci batte mai il sole; sono completamente asfaltate e senza una sola panchina, con una rete metallica sopra la testa. Due di esse sono molto piccole, circa 25 m quadrati, e può capitare di trovarcisi anche in 15 persone, quindi è praticamente impossibile muoversi.
Alcuni giorni l’ora d’aria è in concomitanza con la doccia e nulla nel carcere ha un orario fisso, quindi capita di saltare l’aria o la doccia. Spesso l’aria è in concomitanza con la spesa o il cambio di lenzuola e se non ci si trova in cella al momento giusto si salta la spesa o il cambio di lenzuola.
Può capitare di saltare qualsiasi di queste cose e di saltare anche la doccia per 3 giorni di fila.
– Tutto il carcere è infestato dalle cimici da letto e ogni mese viene fatta la disinfestazione con prodotti chimici, ma è possibile stare fuori dalla cella solo il tempo necessario in cui viene messo il veleno, quindi molte persone ci rientrano facendo fatica a respirare e intossicandosi ogni volta.
– Per quanto riguarda il cibo il carrello passa per la colazione  e il pranzo ma non per la cena.
A colazione si riceve una fetta di salume spesso in cattivo stato e a pranzo danno due piatti cucinati che di solito sono brodi o zuppe molto acquose in cui c’è pochissimo cibo solido, ma dove spesso si trovano pezzi di carta o plastica, capelli o peli. Danno anche il pane o qualcosa di freddo che dovrebbe essere la cena (una scatoletta di carne o pesce da 100g oppure un po’ di margarina o una monoporzione di miele/marmellata). Frutta e verdura sono quasi completamente assenti.
– La spesa si può fare una volta ogni due settimane e nel negozio ci sono poche tipologie di prodotti, a volte sono finiti o in scadenza e ci sono limitazioni nell’acquisto di tutto.
– Tutte le mattine la sveglia è alle 5.30, bisogna rifare il letto immediatamente per poi rimanere tutto il giorno in cella a fare niente.
– C’è un laboratorio di ricamo e cucito a cui partecipa, ma anche questo non ha né orari né giorni fissi e spesso capita in concomitanza con l’ora d’aria.
– Tutte le traduzioni dei detenuti dal carcere verso tribunale o stazione di polizia ecc.. avvengono con le manette  e una cintura di cuoio con una fibbia a cui legano le manette. Anche i piedi sono legati tra loro: intorno alle caviglie mettono due cavigliere di cuoio chiuse con 2 lucchetti e unite tra loro da una catena. La legatura ai piedi permette di fare passi molto corti. Un’ ulteriore manetta a un polso è infine legata ad un guinzaglio da cui ti tiene l’agente di scorta.
Si rimane legati così per tutto il tempo della traduzione in qualsiasi luogo bisogna andare o stare per ore, tipo in tribunale.

A livello di indagini in questo mese, come avevamo già condiviso, ci sono stati diversi cambiamenti. A settembre si è svolto quello che, da quanto hanno dichiarato a voce ad Ilaria, sembrerebbe essere l’ultimo interrogatorio. Ilaria come per i precedenti casi si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Gli avvocati riferiscono che c’è stata una revisione delle accuse e per la prima volta in meglio: ad oggi risulta essere sospettata di aver preso parte ad una sola delle aggressioni. Il reato di “attacco a un membro della comunità” è stato tolto. È quindi accusata di aver commesso un’aggressione con due aggravanti: ossia di aver potuto pregiudicare la vita della vittima e di averlo commesso all’interno di un’organizzazione criminale . Anche se viene riconosciuta la non appartenenza di Ilaria all’organizzazione si suppone che fosse comunque a conoscenza della sua esistenza.
Il range di pena diventa quindi dai 2 ai 16 anni, come già detto.
Si presume che a breve le indagini si chiuderanno anche se non è ancora arrivata nessuna comunicazione ufficiale. Dopodiché il public prosecutor ungherese, colui che formula l’accusa, avrà 60 giorni per far riaprire le indagini, se vorrà.
Gli avvocati presumono che il processo potrà iniziare a febbraio e prevedono che il primo grado durerà circa un anno. Le udienze saranno a porte aperte e con una cadenza bimestrale circa.

Nei prossimi mesi andremo avanti a creare momenti di discussione e aggiornamento su questa situazione.

Abbiamo già diverse date tra Europa e Italia, chiunque volesse organizzarne di nuove ci può contattare! Abbiamo creato una mail apposta per chi volesse chiedere chiarimenti o aggiornamenti:
aggiornamentibudapest@autistiche.org

BASC – BUDAPEST ANTIFASCIST SOLIDARITY COMMITTEE
https://www.basc.news/

L’IBAN per sostenere le spese legali è:

Conto cointestato a: Alice Zaffaroni e Martina Franchi
IBAN: LT523250062922492633

BIC: REVOLT21

Link:
https://ilrovescio.info/2023/10/20/aggiornamenti-su-ilaria-da-budapest/


FREEDOM FOR THE BUDAPEST’S ANTIFASCISTS (2 ottobre 2023)

L’11 febbraio 2023 a Budapest vengono fermate alcune persone con l’accusa di essere coinvolte a vario titolo nel ferimento di alcuni nazisti. Ad oggi una compagna italiana e un compagno tedesco si trovano ancora in carcere a Budapest accusati di questi fatti.
Gli attacchi contro i neonazisti avvengono durante il fine settimana in cui cade il “Giorno dell’onore” data di rilievo per gli ambienti dell’estrema destra ungherese e di tutta Europa in cui si commemora il massacro di un battaglione nazista da parte dell’Armata Rossa avvenuto nel febbraio del 1944. In questi giorni centinaia di camerati si riuniscono a Budapest per una grande marcia commemorativa e per partecipare a varie iniziative organizzate per l’occasione.

Negli scorsi mesi la detenzione dei due compagni è stata prorogata sulla base di nuovi elementi che di volta in volta venivano forniti dagli inquirenti. Ad oggi le indagini sono ancora aperte e la compagna italiana è accusata del reato di “attacco a un membro della comunità” per due episodi. Il tentativo dell’accusa è quello di aggravare la posizione della compagna giudicando le lesioni subite dai nazisti come potenzialmente letali e provando a sostenere l’esistenza di un’associazione a delinquere tra persone provenienti da Germania e Italia.
Per il compagno tedesco ancora detenuto l’accusa, invece, è fin da subito quella di far parte di questa supposta associazione. La tesi viene rafforzata dal fatto che il compagno è stato indagato assieme ad altri compagni e compagne tedesche per fatti simili a quelli accaduti a Budapest, nel cosiddetto processo antifa-ost. Questo processo, giunto alla sentenza di primo grado il 31 maggio 2023 con la condanna a 5 anni per Lina e altre tre condanne fino ai 3 anni, verte sull’accusa di associazione criminale (§129 articolo codice penale tedesco) finalizzata ad attaccare membri appartenenti all’estrema destra tedesca. Nell’inchiesta vengono messi assieme diversi attacchi contro nazisti avvenuti negli ultimi 5 anni nella Germania dell’est.

È per noi importante sostenere i compagni e le compagne detenute/i e indagate/i e sviluppare un discorso solidale che rivendichi la necessità di organizzarsi per contrastare i fascisti.
In un contesto europeo e occidentale attraversato da crisi economiche e sociali sempre più acute, posizioni reazionarie e identitarie sono sdoganate e accettate. La guerra sistemica alle minoranze più povere ed emarginate imposta e nutrita dal capitalismo per la sua sopravvivenza trova la sua espressione più manifesta nelle aggressioni portate avanti da singoli o gruppi di estrema destra. Se per noi ha sempre avuto senso non solo dichiararsi antifascisti e antifasciste ma anche sostenere praticamente questa tensione, oggi ci pare ancora più importante ribadire che agire attivamente per contrastare idee reazionarie e pericolose è impellente e necessario.
Non abbiamo mai creduto alla favola della società pacificata, all’interno della quale ogni opinione è possibile fin tanto che resta all’interno di ciò che è democraticamente accettato e ratificato dalla legge. Sappiamo bene che non è nelle istituzioni statali che troveremo appoggio per arginare queste derive. Il presente che ci si mostra parla chiaro: la violenza statale e istituzionale non ha più bisogno di mascherarsi e si scaglia contro tutto ciò che mette in pericolo la riproduzione stessa di questo sistema.

Per quanto riguarda l’Italia non è certo con l’arrivo del governo Meloni che lo Stato ha cominciato la sua particolare guerra contro i poveri, seppure siano innegabili quanto inaccettabili i passi avanti fatti dall’esecutivo di matrice fascista nella direzione della repressione materiale di individui e gruppi. D’altro canto non si possono dimenticare decenni di discorsi pubblici sul decoro, sulla legalità, l’applicazione di politiche giustizialiste, la terrorizzazione generalizzata e la criminalizzazione delle classi meno abbienti.

Discorsi, portati avanti da destra come da sinistra, che hanno creato un clima non solo adatto alle feroci ristrutturazioni capitalistiche in atto, ma anche al proliferare di un senso comune superficiale e populista.
In questo contesto i gruppi organizzati dell’estrema destra, che si occupino direttamente di propagandare idee fasciste o che si infiltrino nella società attraverso associazioni o enti benefiche e solidaristiche, assumono un peso specifico da non sottovalutare.

È proprio quando discorsi populisti e razzisti si diffondono, quando vengono proposte soluzioni semplici e superficiali ai problemi complessi del nostro tempo che queste organizzazioni hanno la possibilità di focalizzare l’attenzione intorno a loro e crescere. È proprio nei nuclei più estremisti e organizzati che si riuniscono, si formano e si concretizzano le idee violente degli assassini fascisti dei nostri giorni, dall’America post Trump fin nelle nostre città. Si contano infatti a decine le aggressioni, gli omicidi e gli attacchi incendiari ai danni di migranti e non solo compiuti da gruppi neonazisti in Grecia, in Germania e in tutta Europa negli ultimi 20 anni.
È importante riconoscere questo pericolo e agire fin da subito per ostacolare questi gruppi. Non lasciargli nessuno spazio. Anche se nelle nostre città le principali formazioni di estrema destra possono sembrare sopite o al momento “poco pericolose”, la sola esistenza di organizzazioni e sedi fasciste è un problema da affrontare attivamente ed eliminare.
E’ importante non solo smascherarli ma anche combatterli concretamente, abbandonando ogni approccio naif che creda nella sola forza delle parole. Certe idee, certi soggetti sono pericolosi e hanno le spalle ben protette, perché inseriti perfettamente nel sistema “democratico” in cui viviamo. Inutile gridare allo scandalo, sempre meno persone si indignano. Inutile rivolgersi allo Stato che oggi come ieri li copre e li legittima.
Per questo saremo sempre al fianco di chi decide di agire per arginare i nazisti, di tutti gli antifascisti e le antifasciste imprigionate, innocenti o colpevoli che siano.

Vogliamo esprimere tutta la nostra solidarietà e vicinanza alla compagna e al compagno detenuti a Budapest e a tutti gli inquisiti e inquisite di quest’inchiesta.
Se vogliamo vivere in un mondo libero da fascismi e fascisti, sta a noi costruirlo!

Azione Antifascista Milano

 


Solidarietà ai quattro, libertà per il compagno e la compagna ancora detenuti in Ungheria! (maggio 2023)

Il febbraio scorso a Budapest venivano fermate 4 persone con l’accusa di essere coinvolte a vario titolo nel ferimento di alcuni nazisti. Due di queste, una compagna tedesca e una ragazza ungherese, sono poi state rilasciate, mentre le altre due, un compagno tedesco e una compagna italiana, si trovano tutt’ora in carcere. A tre mesi da questi arresti abbiamo deciso di scrivere un testo per cercare di condividere un quadro minimo della situazione e soprattutto per dare qualche aggiornamento rispetto alla condizione della compagna italiana, un’amica molto prossima con la quale molti di noi/voi hanno condiviso lotte, lutti, gioie e dolori negli ultimi quindici anni.

Il contesto

Per cominciare è utile sapere che gli arresti non sono avvenuti in un giorno qualsiasi. L’11 febbraio è una data di culto per i neonazisti ungheresi, ribattezzata “Giorno dell’ Onore” in memoria del massacro di un battaglione nazista completamente annientato nel febbraio del 1944 mentre tentava di eludere l’assedio dell’Armata Rossa alla città di Budapest. Negli ultimi anni le celebrazioni legate a questa ricorrenza hanno iniziato ad attirare neonazisti da altri paesi e sono nel tempo diventate un appuntamento sempre più frequentato da certi ambienti dell’estrema destra suprematista europea, in particolare tedesca, anche per via della maggiore tolleranza locale, rispetto a quanto comunemente permesso in Germania, verso l’esibizione di simboli, bandiere, uniformi. Dato il risalto oramai internazionale dell’evento, e il crescere delle proteste contro l’opportunità di ospitare in città questo tipo di parate, per la prima volta proprio quest’anno persino le autorità locali avevano deciso che non fosse appropriato concedere la fortezza di Buda come ritrovo ufficiale del raduno – come normalmente accadeva – e pertanto gli organizzatori della rete neonazista Blood and Honour hanno organizzato “solo” una marcia campestre fuori città, strutturata come percorso avventura nella foresta in cui avvenne la disfatta. Nei pressi della fortezza si sono ritrovati invece alcune centinaia di antifascisti.
È questo probabilmente lo scenario della città di Budapest nei giorni in cui vanno inquadrati i fatti.

Le accuse

Delle due persone ancora oggi in carcere sappiamo solo che sono state fermate a bordo di un taxi e che la loro detenzione si basa su pochi elementi indiziari che la polizia ungherese ritiene sufficienti a richiedere un supplemento di indagine. Per quanto riguarda la compagna italiana sarebbe indagata per due episodi, ma almeno uno dei due non sarebbe compatibile con quanto attestano i suoi biglietti aerei. L’accusa è quella di “aggressione a un membro della comunità” e sarebbe collegata ai ferimenti di alcuni nazisti avvenuti per mano di ignoti nei giorni precedenti al fermo. Gli atti delle indagini sono comunque ancora in corso di traduzione e vi lasciamo immaginare le difficoltà di reperimento delle informazioni e di coordinamento tra avvocati.

La detenzione

La detenzione in Ungheria prevede la possibilità di ricevere lettere, telegrammi, soldi, alimenti o indumenti, solo da persone direttamente registrate e autorizzate ai colloqui. Per questo motivo per tutto il primo mese di detenzione entrambi non hanno ricevuto neppure il pacco di prima necessità e hanno dovuto arrangiarsi con i vestiti che indossavano. Attualmente il compagno tedesco è autorizzato ai colloqui con i genitori e può dunque comunicare con loro via telefono o skipe e ricevere beni di prima necessità e lettere. La compagna italiana ha inizialmente ricevuto l’autorizzazione a comunicare con i genitori e con il legale italiano, autorizzazione però revocata subito dopo la prima telefonata. Da allora ha un telefono in cella ma non è autorizzata a comunicare con nessuna persona differente dal suo avvocato ungherese e dal funzionario di collegamento dell’ambasciata italiana. Un primo ricorso contro questa decisione è stato respinto, dunque tutto lascia pensare che nei prossimi mesi la sua detenzione continuerà senza possibilità di colloqui e di contatti con l’esterno, se non mediati dall’avvocato del posto. Allo stesso modo anche noi qui fuori, privati di canali diretti con lei, dobbiamo affidarci ad informazioni riportate indirettamente, con tutte le difficoltà che questo comporta nella costruzione della solidarietà. In ogni caso sembra stia bene e, nonostante le difficoltà dei primi mesi di detenzione, ora la situazione appare migliorata. Il primo pacco è stato consegnato e le condizioni detentive sono diventate meno gravose da quando non è più isolata e condivide la cella – non più infestata dalle cimici – in compagnia di una detenuta con cui ha stretto un buon rapporto. Queste novità l’avrebbero portata alla decisione di non sollevare pubblicamente sui media locali il caso della propria situazione detentiva, come in un primo tempo le aveva invece suggerito di fare l’avvocato.
Nell’immediato i mezzi di informazione ungheresi hanno trattato la notizia degli arresti con un certo clamore, col passare delle settimane invece l’attenzione è scemata e il caso sembra al momento seguire procedure ordinarie, per quanto lente e arbitrarie possano apparire. La stessa lentezza nella consegna del pacco di prima necessità e le pessime condizioni sanitarie delle celle non sono da considerarsi frutto di un accanimento personalizzato, ma piuttosto normale amministrazione delle carceri ungheresi. Le indagini rimangono comunque ancora aperte e abbiamo notizia di un interrogatorio senza avvocati, al quale si sono entrambi rifiutati di rispondere.

La Germania

Se sul lato ungherese i riflettori sulla vicenda sembrano essersi spenti, in Germania i fatti di Budapest trovano ancora spazio sui giornali e sono oggetto di indagini parallele da parte della polizia federale. L’ipotesi avanzata è quella di una continuità tra quei ferimenti e altri episodi simili avvenuti in Germania. Con questa giustificazione la polizia ha avviato negli ultimi mesi una serie di perquisizioni negli ambienti antifascisti e spiccato sette nuovi mandati di arresto, agendo di concerto con una campagna mediatica faziosa e aggressiva volta ad accreditare la necessità di inserire i gruppi Antifa tedeschi nell’elenco dei gruppi terroristici riconosciuti dall’Unione Europea. Per contestualizzare meglio questa intensità repressiva occorre sapere che negli ultimi anni il governo regionale della Sassonia si è radicalizzato ancora più a destra, in linea con la più generale tendenza federale, e dopo le forti proteste antifasciste del 2009/2011 proprio in questa regione è stato più volte utilizzato il reato di “associazione criminale” per indagare, perquisire, arrestare compagni legati agli ambienti Antifa. Fino ad oggi nessuna inchiesta era arrivata a processo ma questo tipo di imputazione ha permesso di intercettare centinaia di persone coinvolte direttamente negli eventi o informate sui fatti. Dal 2019 è stata istituita una commissione speciale dedicata agli Antifa (Soko Linx), una mossa elettorale con copioso stanziamento economico che ha rivendicato arresti ampiamente spettacolarizzati nel novembre 2020. Ad aggravare la situazione nel 2021 si è poi aggiunta la figura di un infame che ha iniziato a contribuire attivamente con gli inquirenti. Il processo scaturito da quei fatti dovrebbe arrivare a sentenza proprio a fine maggio 2023 e per la prima volta il capo di imputazione di “associazione criminale” è rimasto sul tavolo delle condanne possibili. Lo stesso gruppo portato a giudizio a Dresda (definito dalla stampa la “banda del martello”) è quello a cui oggi in Germania si vorrebbe attribuire anche la paternità dei fatti di Budapest. Per quanto riguarda nello specifico la compagna italiana arrestata non abbiamo nessun motivo concreto per ritenere che sia al momento coinvolta nel versante tedesco dell’inchiesta.

Prossime tappe

La prossima decisione del pm sulle misure cautelari per i due arrestati di Budapest sarà presa il 14 giugno prossimo. L’avvocato in quel frangente dovrebbe anche presentare una prima domanda per il trasferimento ai domiciliari. Nel caso della compagna italiana c’è chi si sta occupando di trovare per lei casa e lavoro sulla città di Budapest, a questo scopo contatti e suggerimenti sono i benvenuti. Sulla carta esiste anche la possibilità che possa ottenere gli arresti domiciliari nel suo paese di origine, come previsto dalla legislazione europea, e in questo caso le soluzioni abitative non mancherebbero. Lo stesso discorso vale per il compagno tedesco. Se questa prima richiesta non dovesse andare a buon fine, la difesa ci riproverà nel corso del mese di agosto, quando – trascorsi i primi sei mesi di detenzione preventiva – dovrebbe aprirsi per entrambi una possibilità di uscire di prigione.
Nel frattempo i compagni tedeschi stanno progettando una campagna pubblica di solidarietà che speriamo di poter condividere al più presto.
A Milano stiamo pensando ad un incontro pubblico da organizzarsi tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, per provare a farci raccontare quanto sta accadendo in Germania e Ungheria e collegarlo a quanto accade nelle nostre città. Sarà anche occasione per rilanciare una campagna di raccolta fondi necessari per affrontare le spese legali e materiali a cui questa nostra amica e compagna sta andando incontro. Non lasciamola sola!

Link: https://ilrovescio.info/2023/05/16/aggiornamenti-sui-fatti-dello-scorso-febbraio-a-budapest/ (maggio 2023)

LA LOTTA CONTRO IL 41-BIS NON È FINITA

CON DOMENICO PORCELLI IN SCIOPERO DELLA FAME

Domenico Porcelli ha 49 anni ed è della provincia di Bari. Dal 2018 si trova in stato di detenzione, condannato a 26 anni e mezzo di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso con una sentenza ancora non definitiva. Da quattro anni si trova recluso in regime di 41-bis nel carcere di Bancali, nei pressi di Sassari, lo stesso regime e lo stesso carcere dove il compagno anarchico Alfredo Cospito ha portato avanti uno sciopero della fame durato oltre sei mesi contro il 41-bis e l’ergastolo ostativo, e dov’è attualmente detenuto.

Dal 28 febbraio scorso anche Domenico Porcelli ha intrapreso uno sciopero della fame contro la tortura del 41-bis, la sua è una protesta contro il decreto di proroga della misura emesso quest’anno dal Ministro della Giustizia, un provvedimento che lo vede ancora recluso in questo duro regime (la legge prevede la reclusione in 41-bis per 4 anni, rinnovabile e prorogabile per altri 2 anni di volta in volta). Nonostante il lungo sciopero della fame non ci sono state passerelle “dem” a Bancali per Domenico Porcelli, la sua situazione, lontana dai riflettori e inutile ai fini di propaganda e strumentalizzazione politica, come molte altre dietro le sbarre, è rimasta sepolta pressochè nel silenzio.

A luglio il magistrato di sorveglianza di Sassari ha respinto la richiesta – presentata d’ufficio – di differimento della pena per motivi di incompatibilità con il regime carcerario a causa della sua situazione di salute aggravata dallo sciopero della fame. La richiesta è stata respinta nonostante l’Asl di Sassari abbia fornito dettagli specifici riguardanti le condizioni critiche in cui versa.

Ad agosto Domenico attraverso i suoi avvocati ha affermato di voler richiedere il suicidio assistito, ovviamente cosa non possibile poiché in Italia è reato. Questo ricorda quanto fatto nel 2007 da un gruppo di ergastolani ostativi, tra cui Carmelo Musumeci, che chiese di convertire l’ergastolo in pena di morte per bucare il silenzio intorno a questa condizione.

I legali di Domenico hanno presentato un reclamo al Tribunale di Sorveglianza di Roma per chiedere l’annullamento del decreto di proroga del 41-bis. La giurisprudenza prevederebbe che ogni provvedimento di questo tipo contenga una motivazione specifica e autonoma sulla persistenza del pericolo per l’ordine e la sicurezza, senza utilizzo di formule stereotipate che giustifichino automatismi o si basino su giudizi presuntivi. Secondo il reclamo presentato dagli avvocati il decreto impugnato non indica invece alcun elemento preciso in tal senso.

L’udienza si è tenuta venerdì 20 ottobre e sembra sia andata molto male. Il relatore, che era anche presidente, non ha dato possibilità all’avvocata di parlare. Il presidente ha asserito che non si tratta di sciopero della fame, dal momento che ingerisce latte, tisane e the. Come già dimostrato nei mesi scorsi, lo Stato non esita ad ignorare totalmente la salute di un detenuto che non sta ingerendo cibo da mesi per soffocare qualsiasi messa in discussione del regime di 41-bis.

Intanto la situazione di salute fisica, e inevitabilmente anche psichica, di Domenico è sempre più compromessa: già a fine agosto accettava un po’ di latte ma gli venivano somministrate delle flebo perché, con pressione molto bassa, battiti cardiaci lentissimi e 55 kg di peso, non si reggeva in piedi.

L’avvocata Pintus riporta che al momento ha smesso di ingerire anche il latte per bere soltanto acqua, the e tisane, e che i valori sono preoccupanti, ha la pelle disidratata e un piede addormentato con formicolio ormai costante.

Recentemente Domenico ha affermato che se l’udienza del 20 ottobre a Roma riguardo la discussione sulla revoca del 41bis, fosse andata male, avrebbe incominciato anche lo sciopero della sete.

DUE PAROLE SU MAFIA E ANTIMAFIA

Tutti i regimi si sono serviti e si servono della costruzione di un nemico comune per manipolare le persone e ottenere consenso. La repressione e la tortura sono sempre state al servizio e a difesa del potere dominante, mai della giustizia sociale.

Quando il potere politico istituzionalizza la repressione e la tortura, il meccanismo per legittimarli agli occhi dell’opinione pubblica è quello di mostrificare chi la subisce, ed esaltare gli aguzzini che la eseguono.

I pronunciamenti marziali dei tanti politici e campioni della legalità che esortano una guerra santa alla mafia, difendono proprio la stessa democratica barbarie che la necessita e la produce.

Mafia e Stato sono indistricabili, gli interessi che li legano sono profondi e molteplici, sin dal principio. La convinzione binaria che l’antimafia rappresenti la legalità e la giutizia suprema, e che il Bene coincida con lo Stato è parte di una propaganda volta a mistificare la realtà e ad alimentare sfruttamento e oppressione. Ad oggi la mafia è colta, inserita, legata a doppio filo al capitale finanziario, agli interessi legati alle grandi opere, alla gestione del sistema degli appalti ecc. L’epitaffio inciso sulla tomba di Peppino Impastato non a caso recita: “Rivoluzionario e militante comunista – Assassinato dalla mafia democristiana.”

ESTENSIONE AI PRIGIONIERI POLITICI

E infatti dal pretesto della “lotta alla mafia” dal 2002 il regime di 41-bis è stato esteso a prigioniere e prigionieri politici e rivoluzionari e alle associazioni cosiddette eversive, perfezionando così l’armamentario della repressione preventiva.

In questo senso ricordiamo la compagna Diana Blefari che si tolse la vita dopo la permanenza in questo duro regime. Ricordiamo Nadia Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, tutti militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente, che vi resistono da oltre 17 anni.

TORTURA E PENA DI MORTE DEMOCRATICA

Concepito come una vera e propria tomba per vivi, il regime di 41-bis mira a recidere i legami e i contatti con il mondo esterno di chi vi è ristretta/o col proposito di costringerla/o a collaborare con la giustizia. L’isolamento totale e l’annichilimento della personalità che subisce chi vi è internata/o si aggiunge ad una quotidianità carceraria fatta di privazioni, umiliazioni e sofferenze. Un mezzo di pressione pari ai metodi dell’inquisizione, costruito per provocare danni fisici e mentali tramite la tecnica della deprivazione sensoriale allo scopo di indurre al pentimento, estorcere confessioni e dichiarazioni.

Attualmente lo Stato non solo detiene oltre 700 persone in questa tomba per vivi ma sta procedendo all’aumento dei posti disponibili, come al carcere di Uta, nella provincia di Cagliari, dove si sta procedendo nella realizzazione di un nuovo padiglione per detenuti in regime di 41 bis.

UNA LETTERA DEI DETENUTI DI BANCALI
“Vi raccontiamo cosa succede davvero”

A fine settembre dopo la morte in cella di un detenuto di soli 26 anni, i detenuti del carcere di Bancali hanno scritto una lettera:

Raccontano come “non è possibile accedere ai benefici penitenziari come le misure alternative e la liberazione anticipata che, nostro malgrado, viene istituita in condizioni talmente minime che non permettono neanche ad un qualsiasi detenuto con pena in scadenza ormai prossima a pochi mesi, di uscire prima per raggiungere i nostri famigliari. Ciò nonostante la buona condotta, perché la liberazione anticipata, che per ogni semestre è di 45 giorni, non viene istruita dalla stessa area trattamentale. Parimenti si verificano le stesse condizioni su tutti i detenuti, che con i requisiti e i termini di legge raggiunti con buona condotta, ed essendo, in possesso altresì di accettazione e destinazione, nonché di lavoro con contratto e tutto il necessario, non vengono messi in condizioni di accedere al beneficio o alla misura alternativa”. Idem per i detenuti vulnerabili, in condizioni di fragilità psichica o tossicodipendenti, i quali si trovano di fronte al “diniego, in quanto l’Area educativa relaziona detenuti compatibili al carcere.”

“Ci sono persone con disabilità anche gravi, con età superiore ai 75 anni e patologie fisiche e psichiatriche”

Tra i tanti reclusi dentro Bancali con residui di pena di pochissimi anni e addirittura mesi c’è un giovane straniero, raccontano, che da diversi mesi attende la liberazione anticipata “E’ stata più volte sollecitata all’area educativa, ma mai inoltrata all’apposito ufficio di sorveglianza, nonostante il fine pena sia previsto poco prima della fine dell’anno. Tutto ciò è vergognoso e ci sono numerose persone in queste condizioni”.

Nella lettera i detenuti hanno anche messo in luce la condizione ancora più difficile degli stranieri extracomunitari “Queste persone, che escono per permessi premio per buona condotta, devono lavorare come degli schiavi per produrre economia, chissà per chi. Altro che permesso premio, questo si chiama caporalato”.

La morte del giovane di 26 anni non è stata l’unica all’interno del carcere di Bancali, nella lettera i detenuti ricordano un detenuto morto nel settembre 2022 per overdose “Nonostante avesse scontato 7 anni ed era oltre la metà della pena, gli è stata negata la possibilità di accedere ai permessi premio e lo stesso, facendo una riflessione e vedendosi privato di ogni speranza, si è tolto la vita. Come Erik Masala, che, considerata l’età poteva essere il figlio o il fratello di ognuno di noi”.

I detenuti di Bancali hanno organizzato una donazione per sostenere i familiari e le spese del funerale “non doveva più nemmeno essere detenuto a Bancali in quelle condizioni”.

Contro ogni carcere e la tortura del 41 bis, continueremo a lottare!

Testo PDF: Con Domenico Porcelli in sciopero della fame


Link:

Carcere di Bancali (Sassari): Domenico Porcelli in sciopero della fame dal 28 febbraio. 70 indagati per il presidio di solidarietà per Cospito

Al 41 bis e in sciopero della fame da 5 mesi, adesso chiede l’eutanasia

 

https://www.infoaut.org/divise-e-potere/la-lettera-dei-detenuti-dal-carcere-di-bancali-sassari-vi-raccontiamo-cosa-succede-davvero

[È “consuetudine”, non solo a Bancali, che i detenuti scontino pene oltre la detenzione o si vedano precluso l’accesso a misure alternative perché i magistrati di sorveglianza sono in ferie o non ci sono, e non rispondono a nessuna richiesta. Anche l’accesso al lavoro, allo studio o a visite specialistiche è spesso complicato se non impossibile. Tanti detenuti inoltre non vedono mai nessuno, non fanno colloqui con nessuno. Chi ha fragilità psichiche o è gravemente malato viene lasciato senza cure o assistenza. Moltissimi non hanno nessuna disponibilità economica per pagarsi la difesa o una rete per difendere le proprie istanze. Chi ha pene pari o inferiori a tre anni inoltre non può accedere a benefici o a misure alternative a causa delle condizioni ostative.]

https://www.sassarioggi.it/cronaca/morto-in-carcere-bancali-erik-masala-verita-20-settembre-2023/

https://www.reportsardegna24.it/cronaca/3-giugno-presidio-al-carcere-di-uta-no-alla-nuova-sezione-41bis/

AGGIORNAMENTI OPERAZIONE SCRIPTA SCELERA

Diffondiamo:

Operazione Scripta Scelera: Gino Vatteroni ritorna agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni, Veronica all’obbligo di dimora con rientro notturno e obbligo di firma (30 ottobre 2023)

Si sono tenute il 30 ottobre presso il tribunale di Genova le udienze d’appello inerenti l’aggravamento delle misure cautelari nei confronti di un compagno e una compagna anarchici indagati nell’operazione Scripta Scelera dell’8 agosto. È stato disposto il trasferimento di Gino Vatteroni agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni (divieto di comunicazioni, di visite, ecc., più il braccialetto elettronico), mentre Veronica passa dagli arresti domiciliari con tutte le restrizioni all’obbligo di dimora nel comune di domicilio, congiunto al rientro notturno dalle ore 19:00 alle 07:00 e all’obbligo di firma tre giorni a settimana.

Gli aggravamenti delle misure cautelari erano stati notificati il 4 ottobre. Gino era stato tradotto inizialmente nel carcere di Massa, per poi essere trasferito il 9 ottobre successivo nella sezione di “Alta Sicurezza 2” interna al carcere “San Michele” di Alessandria, dove si trovano imprigionati (alcuni da oltre quarant’anni) dei militanti di varie formazioni delle Brigate Rosse e militanti comunisti rivoluzionari.

Pertanto la situazione ritorna sostanzialmente quella ordinata l’8 agosto, con piccole differenze (aggiunta delle firme tre volte a settimana per una compagna, rientro notturno dalle 21:00 alle 06:00 per un altro compagno), in una sorta di gioco dell’oca fatto di provocazioni, aggravamenti e ritorno al punto di partenza che impedisce di fatto un miglioramento nelle condizioni dei compagni nonostante l’annullamento delle misure cautelari in riferimento all’accusa di associazione sovversiva con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (mentre le stesse sono state confermate, rimanendo inalterate, per l’istigazione a delinquere con l’aggravante della finalità di terrorismo).

L’attacco alle pubblicazioni anarchiche e rivoluzionarie, i regimi di detenzione speciale come il 41 bis, la più generale offensiva repressiva a carattere preventivo dispiegatasi negli ultimi anni sono espressione delle politiche di guerra intraprese dallo Stato italiano. Alla luce di ciò, oggi come ieri crediamo sia necessario perseverare con tenacia nelle nostre convinzioni rivoluzionarie e internazionaliste, così come solidarizzare con tutti gli anarchici e i rivoluzionari prigionieri nelle carceri dello Stato, agli arresti domiciliari o con altre misure restrittive.

Invitiamo a partecipare al presidio in solidarietà con i rivoluzionari prigionieri, fissato in seguito al trasferimento di Gino da Massa ad Alessandria, che si terrà mercoledì 1º novembre, alle ore 15:00, davanti al carcere “San Michele” di Alessandria.

Riportiamo qui di seguito le coordinate del conto per la cassa di solidarietà con gli inquisiti:

Carta postepay numero: 5333 1711 9250 1035
IBAN: IT12R3608105138290233690253
Intestataria: Ilaria Ferrario


IMPORTANTE: Il 30 ottobre è stato disposto che il compagno Gino Vatteroni fosse trasferito agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni. Tuttavia, a oggi (31 ottobre), Gino si trova ancora nel carcere “San Michele” di Alessandria, in attesa che sia disponibile il braccialetto elettronico o che sulla questione si pronunci il tribunale del riesame di Genova. Ricordiamo che per domani, 1° novembre, alle ore 15:00, è previsto in ogni caso il presidio fuori dal carcere in solidarietà con i rivoluzionari prigionieri rinchiusi in AS2 ad Alessandria come altrove.

TORINO: CORTEO CONTRO IL CARCERE

CORTEO SABATO 11 NOVEMBRE
DALLE ORE 15
Angolo via Val della Torre/corso Cincinnato (Torino)


GOVERNARE (DA)I MARGINI:
CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ’ CHE NE HA BISOGNO

Mentre non si riesce più a contare il numero di gente massacrata e la cui vita è in scacco per via di necessità e imperativi di guerra che bussano alle porte di questa Europa apparentemente prossima al collasso sia economico che ecologico; mentre i giornali imperversano in una retorica schiacciante in cui terrorista è nominato colui che lotta, si organizza e risponde – colpo su colpo – alla violenza degli Stati, alla violenza delle colonie e all’ingiustizia strutturale dei sistemi differenziati del capitalismo neo-liberale (ossia la produzione, da parte del capitalismo, di categorie di persone sfruttabili, ricattabili e reprimibili a seconda delle sue necessità); mentre tutto questo succede, il carcere – essenza materiale e simbolica, della dirompenza del sistema di controllo, punizione e messa a valore delle classi oppresse – diventa un nodo centrale contro cui lottare. Non solo per ribadire come il potere si materializzi sulle vite di sfruttati e sfruttabili, ma anche per sottolineare quali alleanze vogliamo ribadire, scoprire e valorizzare nel nostro bisogno di organizzarci contro un’esistenza invivibile e inaccettabile.

Il momento storico in cui ci troviamo a vivere ci impone la necessità di ampliare lo sguardo sul fenomeno carcerario, legandolo non solo a un dispositivo fisico repressivo, ma capendo come la diluizione del sistema carcere al di fuoridelle patrie galere coinvolga inevitabilmente i diversi strati sociali e informi il tessuto sociale tutto. Il governo Meloni e le sue politiche, marcatamente classiste, razziste e securitarie, mostra una continuità a ritmo sostenuto, in rapporto con gli esecutivi precedenti nel creare supposti “soggetti criminali” e nemici da cui difenderci. La tendenza è quella giustizialista che continua a materializzarsi nell’uso della decretazione d’urgenza, sia riguardo al fenomeno della cosiddetta “devianza giovanile” sia a quello della migrazione. Decreti che hanno il medesimo obiettivo politico: privazione della libertà personale e di movimento. Un vero e proprio strapotere penale, e carcerario, quello che si sta sviluppando oltre il perimetro dell’istituzione totale per eccellenza, dove a farne le spese sarà la parte più sfruttabile e ricattabile del tessuto sociale.

Il mito collettivo, secondo cui la prigione protegge (da cosa esattamente?) e quindi sia un male necessario, non è altro che un mito utilizzato per giustificare, quando ancora ce ne sia bisogno, l’istituzione carcere in sé, luogo ove confinare la miseria e soffocare la protesta contro l’ordine stabilito e creare cittadini obbedienti. E questo mito è di sovente ancorato all’idea, quasi religiosa, del “chi ha peccato deve pagare”. Ma invece è ovvio che le carceri, essendo per essenza strutture coercitive, non possono che avere come unico scopo la disciplina e la sicurezza. Questo controllo sociale totalizzante viene esercitato al di là delle mura del carcere, attraverso la paura che esso incute, ma anche per mezzo delle cosiddette pene alternative, ovvero ulteriori strumenti per aumentare la carcerazione diffusa. La prigione è il luogo di punizione per eccellenza, in cui la società capitalista neoliberale rinchiude coloro che dichiara dannosi, per contenere qualsiasi slancio di rivolta sociale e mantenere così al suo interno valori morali basati sulla disuguaglianza, sullo sfruttamento, sul rispetto dell’autorità e sulla sottomissione alla violenza dello Stato.

Le rivolte, gli scioperi della fame, le lotte dei reclusi che caratterizzano la quotidianità delle carceri, sono l’evidenza di una rabbia irriformabile. Una rabbia relegata, dagli organi governamentali, a una totale silenziazione delle sue rivendicazioni, in cui si vuole privare di significato qualsiasi atto di protesta con la conseguente invisibillazione delle condizioni detentive.

Le parole del ministro della Giustizia Nordio, in visita al carcere Lorusso e Cotugno, lo scorso mese in risposta alla morte di due detenute, non fanno altro che speculare sull’accaduto e portare avanti i calcoli politici di governo, di fronte all’evidenza strutturale che il carcere uccide. Lo scopo delle istituzioni penitenziarie è dunque chiaro: controllare, monitorare, punire, uccidere, poiché la necropolitica è parte integrante della logica carceraria.

Essa si basa sul fare della violenza-tortura-morte uno strumento di controllo e deterrenza per gli internati, verso il mondo dei liberi e in particolare verso quegli strati del tessuto sociale che, in diverse forme, escono dagli schemi costruiti attorno ad essi. Grazie allo sciopero della fame di 181 giorni portato avanti da Alfredo Cospito e alla mobilitazione contro il 41bis e l’ergastolo ostativo al suo fianco, è oggi forse maggiormente noto come lo stato utilizzi la tortura, annientando psico-fisicamente le persone detenute nelle carceri per estorcere informazioni, richiedere il pentimento o la dissociazione. Questi sono i meccanismi brutali di cui si avvalgono le istituzioni per il re-inquadramento di massa della società tutta.

Quando il sistema carcerario esplica la sua funzione violenta e mortifera, l’opinione pubblica tende a polarizzarsi in due correnti non dualistiche tra di loro: da una parte si consolida l’approccio giustizialista, dove si criminalizza e si condanna alla responsabilità individuale dell’espiazione della colpa, discorso accettato da un ampia fetta della società. Dall’altra, invece, il paradigma garantista, abbandonate le proprie velleità di assicurazione dello stato di diritto – come il principio di proporzionalità e funzione rieducativa della pena – si riduce alla mera richiesta di più controllo e sorveglianza negli istituti penitenziari, tramite l’assunzione massiccia di guardie, militari e personale sanitario. Nello specifico i sindacati di polizia avanzano rivendicazioni bastate sulla richiesta di più organico con l’obbiettivo di aumentare la loro capacità di coercizione e violenza nei confronti dex detenutx,soprattutto dex rivoltosx.

Entrambi gli approcci danno voce quindi ad un unicum securitario. Un discorso che nel suo complesso va smascherato. La violenza statale si perpetua nell’ordine carcerario anche attraverso il sovraffollamento, la mancanza di cure sanitarie e i pestaggi della polizia. Pensare di riformare le carceri non è un’orizzonte politico desiderabile perché non può esserci una vera emancipazione senza la distruzione totale dei luoghi di reclusione e della società che li necessita.

CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ CHE NE HA BISOGNO
Rendiamo tangibile la solidarietà a chi resiste e lotta contro la violenza quotidiana della detenzione, attraversando le strade di Vallette per arrivare fino alle mura del carcere Lorusso Cotugno.

ARRESTATO STECCO

 

Il 20 ottobre è stato arrestato a Bordighera il compagno anarchico Luca Dolce, detto Stecco, nel contesto di un’operazione del Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza (NOCS) della polizia derivata da un’indagine della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, che ha coordinato le DIGOS di Trento, Trieste, Treviso, Genova e Brescia. Il compagno è stato tradotto prima nel carcere di Imperia, poi in quello di Sanremo. Contestualmente, sono state perquisite le case di alcuni compagni a Rovereto. La perquisizione era stata disposta il 16 ottobre a carico di Stecco, per i processi “No name” e “Diana”: gli sbirri hanno sequestrato dispositivi informatici e telefoni ed inoltre si sono presentati a casa della madre e della sorella di Stecco, a Trieste.

Il compagno – irreperibile alle forze dell’ordine dal 2021 – era ricercato per via di un cumulo di condanne definitive a 3 anni e 6 mesi e per un mandato di cattura derivato dalla cosiddetta “operazione senza nome” del 25 febbraio 2022 (per cui sono già stati condannati due compagni e una compagna, tra cui Juan Sorroche, attualmente recluso a Terni). In quest’ultimo procedimento Stecco è accusato di avere favorito la latitanza di Juan con l’uso di documenti falsi. Il compagno, arrestato nel 2019 per l’operazione Renata, aveva già avuto nel successivo processo una condanna a 2 anni sempre per fabbricazione di documenti falsi. Inoltre, ha ricevuto in appello una condanna a 3 anni e 8 mesi nell’ambito del processo sulla manifestazione “Abbattere le frontiere”, tenutasi al valico del Brennero il 7 maggio 2016, e per cui non vi è ancora un pronunciamento definitivo sulla sessantina di compagni e compagne imputati.

Da parte nostra, non possiamo che solidarizzare con chi si rende irreperibile o si sottrae all’infame giustizia borghese.

Con rabbia e con amore
Stecco libero


Per scrivere a Stecco:

Luca Dolce
c/o Casa circondariale Sanremo
Strada Armea 144
18038 Sanremo

UDIENZA D’APPELLO OPERAZIONE SENZA NOME

Diffondiamo

Oggi, lunedì 23 ottobre, si è tenuta l’udienza di appello dell’operazione cosiddetta “senza nome”. Agnese era accusata di aver favorito la latitanza di Juan e di fabbricazione di documenti falsi. Massimo di estorsione per aver chiesto ad una radio locale la lettura di un testo sulle morti in carcere del marzo 2020. Juan invece di un attacco al Tribunale di Sorveglianza di Trento del 2014.
Questo l’esito della sentenza:
Agnese è stata condannata per il solo favoreggiamento a 8 mesi. La pena in primo grado era di due anni.
Massimo è stato condannato a 6 mesi per violenza privata, in primo grado invece aveva ricevuto una pena ad un anno e un mese per estorsione.
Juan, con nostra grande gioia, è stato assolto.

Sempre avanti, per la libertà!
JUAN LIBERO, STECCO LIBERO, NASCI LIBERO!
Tutti liberi, tutte libere!

TREVISO: SENTENZA DI PRIMO GRADO PER LE PROTESTE NEL CENTRO DI ACCOGLIENZA EX CASERMA SERENA

Diffondiamo:

Sentenza di primo grado per le proteste nel centro di accoglienza Ex Caserma Serena (Treviso): solidarietà a Mohammed, Abdou e Amadou!

Il 20 ottobre il Tribunale di Treviso ha pronunciato la sentenza di primo grado nei confronti di Mohammed, Amadou e Abdourahmane, per le proteste avvenute l’11 e 12 giugno 2020 dentro il centro di accoglienza Ex Caserma Serena di Treviso, di cui i tre erano accusati.
L’accusa di devastazione e saccheggio è caduta, ma è rimasta quella di sequestro di persona per i fatti del 12 giugno. Il PM aveva inizialmente chiesto condanne di 6 anni, ma al termine di questa udienza due di loro sono stati condannati a 1 anno e 8 mesi, e l’altro a 2 anni.

La repressione che i tre hanno subìto ha voluto fin da subito essere esemplare: si voleva punire una rivolta per dare un segnale a tutte le altre, in un’estate in cui le proteste si moltiplicavano in tutti i luoghi di reclusione per persone immigrate in Italia.
Il quarto imputato di questo processo, Chaka Ouattara è morto in isolamento nel carcere di Verona il 7 novembre 2020 nel silenzio e nell’indifferenza generale.

Abdou, Mohammed e Amadou hanno passato tre anni tra carcere, arresti domiciliari e obblighi di firma. A tutto questo si aggiunge il ricatto quotidiano di non riuscire più a ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno, di non avere abbastanza mezzi economici e reti di relazioni per sostenere le spese legali e tutto il peso della repressione.
Per questo è importante tenere viva la solidarietà nei confronti dei tre e di tutt* quell* che spesso nell’isolamento più totale lottano per la propria libertà.

Venerdì mentre il Tribunale di Treviso pronunciava la sua sentenza, c’è stato un presidio solidale davanti al tribunale e diversi striscioni di solidarietà sono apparsi in diverse città d’Italia: a Torino, a Roma in occasione del corteo per la Palestina nelle strade di Torpignattara, e anche a Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, per ribadire ancora una volta che chi lotta non è mai solo.

Per Chaka, in solidarietà con Abdou, Mohammed e Amadou, TUTT LIBER!

AGGIORNAMENTI SU NASCI, COMPAGNO PRIGIONIERO NEL CARCERE DI TRENTO

Diffondiamo da Il Rovescio:

Qualche notizia in più sul nostro amico Nasci e sulle vicende che hanno portato alla sua carcerazione a Spini di Gardolo.

Nasci è stato arrestato dalla DIGOS la mattina dello scorso martedì 10 ottobre per un cumulo di un anno e due mesi di condanne per tre diversi episodi: l’occupazione, nel febbraio 2017, del Municipio di Mori (un paese di circa 10.000 anime vicino a Rovereto), nel corso di una partecipata e vivace mobilitazione contro un progetto – purtroppo poi realizzato – di devastazione ambientale; una scritta vergata su un muro di Firenze nell’agosto di quell’anno, durante un’iniziativa in solidarietà agli arrestati e arrestate dell’Operazione Panico; i fatti del 9 febbraio 2018 a Trento, quando compagni e compagne contestarono con modalità creative (tra le quali dei seri danni al negozio di abbigliamento di un fascista accoltellatore) la consueta kermesse di Casapound in occasione della “Giornata delle Foibe”.

Determinante, nello spedire in galera il nostro compagno, è stato il rifiuto di ogni misura alternativa al carcere (che normalmente avrebbe dovuto ottenere, dato che il cumulo di condanne rientrava nei termini di legge) da parte del Tribunale di Sorveglianza di Trento, opportunamente istruito dall’UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) che ha preteso e non ottenuto da Nasci la cosiddetta “revisione” delle sue idee e scelte di vita. Ancora una volta, dopo l’Operazione Renata e i casi di Poza e Rupert (e quello di Sasha, tuttora in detenzione domiciliare solo perché madre di una bambina piccola): o l’abiura, o la galera.

Dalla visita del suo avvocato sappiamo che Nasci sta bene. Uscito dai “nuovi giunti”, si trova adesso in sezione, in cella con un ragazzo giovane e tranquillo.
Ha sentito il partecipato e rumoroso presidio tenuto sotto al carcere nella serata di martedì 10 ottobre. Sa dell’ampia solidarietà che sta ricevendo (non solo da compagni in senso stretto) e ne è molto felice. Ha ricevuto regolarmente i telegrammi che gli sono stati spediti.

Solidarietà, complicità e affetto a Nasci!
Libertà per tutti e tutte!

Per scrivere al compagno:

Matteo Nascimben

CC di Spini di Gardolo

Via Cesare Beccaria, 13
38121 Località Produttiva, Trento (TN)